Segnalazione di Voijslav Stojanovic
Noi come loro, un secolo fa
Albania News - 02 Dicembre 2011 - Da Esmeralda Tyli
Se mi si domanda di definire la prima generazione di immigrati, oserei dire
"silenziosa, invisibile e individualista per troppo tempo". Ne sono consapevole
che una tale definizione non susciterà troppe simpatie e consensi.
Sia per un po' d'orgoglio, sia perché come tutti gli umani, siamo più propensi a
gettare le colpe sempre sugli altri, in pochi condivideranno questa mia
opinione.
Essere schietti e leali, prima di tutto vuol dire esserlo con se stessi. Fare un
bel esame di coscienza individuale e generazionale non guasterebbe, anzi,
aiuterebbe ad uscire prima possibile da quel guscio in cui ci siamo rifugiati
dal momento in cui siamo approdati in questa terra, ancora succubi delle
condizioni socio-politiche che avevamo lasciato nei paesi d'origine.
Era ovvio che la paura e le diffidenze non ci avrebbero abbandonato subito.
Educarsi con la nozione e la realtà "Democrazia" non è fenomeno che si realizza
automaticamente appena metti piede in un paese democratico. È un processo lungo
e non sempre facile se non aiutato da politiche adeguate per l'integrazione. Ma
siamo arrivati in Italia, paese che storicamente va avanti a forza di decreti
legge per le emergenze..emergenza abusivismo, emergenza corruzione.
Persino emergenza mafia, anche se la mafia esiste da un bel po' di tempo ormai.
Sempre emergenza in vista. Così fu e ancora lo è con il fenomeno immigrazione.
L'emergenza albanesi che ha liberato i polacchi dal peso della definizione "il
male dell'Italia", passandoci la staffetta . Poi i jugo, (le popolazioni della
ex- Yugoslavia che scappavano dai feroci conflitti che stavano sprofondando la
penisola balcanica in una guerra senza fine) e poi e poi di nuovo gli albanesi,
i rumeni, cinesi, subsahariani nordafricani rom un'eterna emergenza.
Sono entrata in questo paese con la legge Martelli..e non mi si domandi se
ricordo tutte le leggi che si sono susseguite risponderei di no. Ho perso il
filo nella giungla di leggi e decreti speciali. Un immigrazione alquanto
selvaggia per il fatto che le politiche per l'integrazione erano totalmente
assenti. L'integrazione era questione di noi altri.
"Se vogliono, che s'integrino" - la frase più ricorrente che usciva come perla
di saggezza dai politici, i giornalisti, persino dal panettiere sotto casa.
L'integrazione, al massimo era una questione che dovevano risolvere le varie
associazioni e organizzazioni non governative.
Qualche spiraglio c'era in qualche realtà di amministrazioni locali, ma molto
fiacca per mancanza di mezzi e di conoscenza del fenomeno. E non ne parliamo
degli attacchi immediati provenienti dalla politica e dai media,rivolti ad una
nazionalità specifica, in caso che un membro di essa compiva un crimine, minore
o grave che fosse. Iniziava (e inizia ancora ),una campagna denigratoria senza
fine. A tal punto che la nazionalità in questione emetteva un sospiro di
sollievo in caso di altro crimine compiuto da italiani o da membri di
nazionalità diverse.
Incredibile, offensivo e fuori da ogni logica umana ma vero!!! Era l'unico modo
per salvarsi almeno per un po' da definizioni diffamatorie che toglievano le
forze Dopo aver detto tutto ciò, può nascere spontanea la domanda:- "Che c'entra
la prima generazione in questa situazione caotica?"
Penso che noi, cittadini di origine non italiana, dobbiamo riconoscere la nostra
colpa per la formazione e lo sviluppo di questo terreno fertile di attacchi a
più non posso dei media e della politica, specialmente nei momenti cruciali
della nazione. Un terreno fertile anche per un certo indifferentismo e apatia
nel trattare la questione Immigrazione come un problema, una questione scomoda
da prendere con le pinze.
La nostra colpa? Subire in silenzio per anni, cercando di proteggere noi stessi.
Subire in silenzio, non reagire in maniera organizzata rispondendo agli attacchi
in modo immediato e difendendo la parte sana, (che è anche la maggioranza) degli
immigrati che non ha niente a che fare con la delinquenza e le azioni lesive
verso la società. Aspettare che le cose cambiassero in positivo passivamente e
che questi cambiamenti arrivassero dagli altri come la mana del cielo, non
riconoscendo subito il nostro ruolo da veri cittadini di questa nazione e
permettere che fossimo trattati solo come braccia da lavoro Ecco, questo è in
parole povere la nostra colpa.
Subire e indignarci in silenzio, rischiando di ghettizzare persino l'anima,
senza reagire adeguatamente, basandosi sui mezzi che la democrazia ci concede.
La mancanza per molti lunghissimi anni dell'attività reale e organizzata,
appoggiando le lotte quotidiane di quella parte della società italiana che aveva
ed ha le stesse aspirazioni, gli stessi concreti ideali per una società
migliore, non era di certo la strada giusta per combattere l'inadeguatezza delle
politiche sull'immigrazione e integrazione, e per non permettere l'uso da parte
dei media dell'immigrato come il male che infetta questo paese. Per moltissimo
tempo abbiamo permesso passivamente di vedere buttarci addosso le colpe delle
vari momenti difficili della nazione, abbiamo permesso che l'integrazione sia
trattato come un problema e non come una strada da percorrere insieme. Abbiamo
aspettato troppo.
Abbiamo aspettato troppo per gridare BASTA!! con la nostra voce potente che è
ugualmente valida e ha la stessa forza di quella dei nostri compagni di viaggio
italiani, nella giusta strada del miglioramento e dello sviluppo di questa
società. Perché..perché spesso e volentieri abbiamo avuto
la percezione che questa società non ci apparteneva, e non appartenevamo ed
essa.
Sì, sono molto critica, prima di tutto verso me stessa e verso tutti noi, verso
il silenzio e la rassegnazione della cosiddetta prima generazione degli
immigrati. Troppi silenzi, testa nascosta nella sabbia come lo struzzo,
rassegnazione e paura di esprimersi.. Facile nascondersi dietro l'alibi delle
mancanze legislative ma noi proprio noi, cosa abbiamo fatto per rispondere
adeguatamente a queste mancanze? Parlo di una generazione, nella maggior parte
con un bagaglio culturale e d'istruzione molto alta rimasta nascosta per troppo
tempo.
Ci siamo ribellati..sì..è vero, ma una ribellione bisbigliata dentro le mura
delle proprie abitazioni, oppure spesso neanche bisbigliata ma solo soffocata.
Abbiamo mormorato BASTA solo dentro di noi, in silenzio, mettendo maschere
d'indifferenza e non abbiamo fatto i conti che, un giorno, i nostri silenzi
sarebbero caduti sulle spalle dei nostri figli.
Le parole del Presidente Napolitano sul diritto di cittadinanza per i ragazzi
nati e cresciuti in Italia ci rincuorano, ci danno ottimismo. Si parla dei
nostri ragazzi, di coloro che vengono definiti seconda generazione.
Ma di noi di noi che siamo i genitori, gli zii o semplicemente amici di
famiglia, non se ne parla. Quasi come se questa seconda generazione fosse nata
dal nulla. E questo nulla lo abbiamo creato anche noi, con la nostra
indifferenza, i nostri silenzi la nostra non partecipazione.
Abbiamo cercato di integrarsi con le nostre forze, con la nostra grande volontà.
Questo fatto ci fà onore. Abbiamo educato i nostri figli con dei principi sani,
occupandosi di dare a loro anche una giusta istruzione, pretendendo i risultati
massimi a scuola. Abbiamo cercato di vedere in loro il nostro riscatto per le
ingiustizie subite in tanti anni. E non ce ne siamo accorti che forse
l'ingiustizia più grande lo abbiamo fatto noi a se stessi, con i silenzi
prolungati nel tempo, con la rassegnazione, rischiando di diventare fantasmi
viventi.
Se domandi ancora oggi giorno un natìo italiano chi sono questi esponenti della
prima generazione, all'inizio lo vedrai pensarci su, e poi spesso ti
risponderà:- "Quelli che venivano in gommoni, in barconi semidistrutti.. Eh loro
portavano la droga, le donne per venderle in strada" e altre cose del genere.
Spesso lui ignora la presenza del muratore straniero che ha ristrutturato la sua
casa, la colf che gli ha cucinato il ragù meglio di una massaia emiliana, la
babysitter che gli ha cresciuto i figli con tanto amore, insegnando a loro a
scandire bene la parola "mamma" e a fare i primi passi verso quella cosa così
bella che si chiama vita.
Perché perché il muratore o la colf sentivano in silenzio i commenti che si
facevano nelle case su questi stranieri, (e non aggiungo le definizioni non
proprio simpatiche che accompagnavano il termine stranieri), su questi stranieri
che "vengono qua e dettarci legge e a rubarci il lavoro e i mariti ". In
silenzio e senza fiatare inghiottendo spesso le lacrime. Ecco il massimo della
ribellione di noi, la prima generazione. E in silenzio abbiamo costruite le case
nel paese d'origine, dove andiamo una volta all'anno e dove ci fermiamo sempre
di meno.
E ce ne siamo resi conto solo tardi, molto tardi che, la vera costruzione della
nostra vita noi lo facevamo lì dove producevamo ogni giorno, lì dove i nostri
figli crescevano e si formavano come persone e come cittadini in una società, la
quale ancora non se ne rendeva conto della nostra voce, della nostra esistenza,
del nostro contributo nello sviluppo della società stessa.
Ce ne siamo accorti molto tardi che stavamo diventando immigrati a tempo
indeterminato, rischiando che i nostri figli diventassero una seconda
generazione di immigrati a vita. Ci ha dovuto pensare il Presidente per dare una
scossa alle nostre coscienze che ormai si stavano svegliando dal letargo ma un
po' apatiche, ancora non trovano la strada giusta per attivarsi nella lotta
quotidiana per i diritti.
Per dirla tutta e all'onor del vero, negli ultimi 3-4 anni, la partecipazione
sempre più numerosa e sempre più attiva dei cittadini di origine non italiana
nelle varie manifestazioni, iniziative concrete, nelle lotte quotidiane dimostra
che finalmente il risveglio delle coscienze è una realtà. Abbiamo iniziato a
riconoscerci il ruolo importante di membri attivi di questa società.
Un tardivo risveglio?? Forse sì! Ma forse, forse proprio questo dà ancora più
forza alla nostra voce. Perché difendiamo il nostro diritto di essere trattati
alla pari nei doveri e nei diritti con i cittadini italiani. Così agendo,
facciamo comprendere alla società che questo paese lo rispettiamo, lo amiamo, lo
chiamiamo CASA. È la casa dei nostri figli e nipoti,la maggior parte dei quali
qui ci sono nati, crescono e maturano. E la casa la si difende e la si migliora
continuamente, investendo energie concrete, investendo il proprio lavoro, il
proprio sudore, la propria mente e la propria passione.
Ce ne ribelliamo più apertamente e in modo attivo verso le leggi discriminatorie
della Destra, (la legge Bossi-Fini, con il suo contenuto disumano è un ostacolo
quasi insormontabile per una vera e naturale integrazione), e ci rallegriamo per
l'attivazione concreta della Sinistra nel cercare di dare al fenomeno
immigrazione la dignità e l'attenzione che merita, senza abbassare la guardia e
il tenore degli sforzi quotidiani a questi intenti. Sto cercando di rimanere il
più possibile neutrale e razionale su questo punto, perché in queste mie
personali riflessioni non vorrei fare un'analisi politica né dell'una e né
dell'altra parte, anche se a chi mi conosce è noto il fatto su da che parte sto
per quanto riguarda lo sviluppo politico italiano. Non è stato mai un segreto e
ne sono consapevole delle mie scelte e le mie convinzioni.
Ma, anche dalla parte politica che io stessa appoggio, c'è una certa falla per
quanto riguarda la prima generazione. Forse il mio è un richiamo a noi e proprio
a loro. Siamo dei quarantenni, con delle risorse ancora inesplorate e non messe
alla disposizione.
Abbiamo un mondo ricco dentro di noi, che si può sfruttare in tutti i campi. Il
futuro è dei nostri figli, dei giovani ma noi esistiamo in questo presente.
Esistiamo e viviamo non siamo dei vegetali.
Abbiamo molto da dare prima di tutto la nostra energia e il nostro sapere, la
nostra esperienza inestimabile. Abbiamo coscienza e per di più siamo degli
adulti che come dovere primario conosciamo il ruolo di guida per i nostri
ragazzi. Non siamo solo una definizione di un aspetto dell'immigrazione, siamo
attivi. Non scordate la nostra presenza, perché siamo proprio noi le radici di
questa seconda generazione.
Ci siamo!!! E vogliamo che si riconosca il nostro ruolo attivo in questa
società, in tutti i campi per preparare un terreno fertile per la crescita e lo
sviluppo delle nuove generazioni. Rendiamo attiva questa prima generazione,
rendiamola utile proprio ora che la sua coscienza è risvegliata. Perché si è
lasciata ed è stata lasciata per troppo tempo in disparte per ragioni sopra
menzionate. Sennò rischiamo di vedere una seconda generazione riconosciuta come
cittadini in tutti gli effetti, che come radice ha una generazione ghettizzata.
L'esempio dei ragazzi di origine nord-africana di cittadinanza francese che
fischiano l'inno nazionale, ci deve fare riflettere. Già il mondo lavorativo
tratta i quarantenni e i cinquantenni come peso morto Che la politica non faccia
lo stesso errore!!!
Chiudo queste riflessioni personali, prendendo spunto da due passaggi che
citerò:
1. "Ho provato ad affermare un principio: l’integrazione non riguarda gli altri.
Riguarda noi, tutti. Noi tutti che condividiamo il destino di vivere nello
stesso spazio e nello stesso tempo. Indipendentemente da dove siamo nati, in
quale lingua sogniamo, quale sia il nostro credo religioso, il nostro
orientamento sessuale, la nostra età, il nostro genere o la nostra condizione
sociale ed economica. Noi che usiamo gli stessi mezzi pubblici, le stesse
piazze, gli stessi luoghi di lavoro, gli stessi giardinetti dove giocano i
nostri figli
2. Lavoriamo perché l'Italia sia un paese per tutti, per i bimbi e per i loro
genitori, qualsiasi sia la loro origine.
Visti così, sembrano i passaggi dello stesso discorso, della stessa persona.
Invece appartengono a momenti diversi e a persone diverse. Il primo è di Ilda
Curti, Assessore delle Politiche per l'Integrazione di Torino. E il secondo
appartiene a Marco Pacciotti, Coordinatore Nazionale del Forum Immigrazione PD,
in un intervento congiunto con Piero Ruzzante, Vicepresidente della Commissione
Bilancio di Regione Veneto.
Comunque la si pensi dal punto di vista politico, si può trarre la conclusione
che, la società che vogliamo è proprio questa, dove c'è un posto e un ruolo per
tutti, e dove la politica mette in centro del suo lavoro il cittadino.
Noi, di prima generazione lo siamo!!! E vogliamo riconoscere e vedere
riconosciuto il nostro ruolo nella società e nello sviluppo di essa. Ne vale il
nostro presente e il futuro delle generazioni che verranno.
Esmeralda Tyli Ha studiato "Letteratura
italiana" presso l’Università di Tirana