di Pino Petruzzelli - 30 novembre 2011
I bambini rom dovrebbero essere tolti alle rispettive famiglie e dati
tutti in adozione?
Stando alla ricerca di Carlotta Saletti Salza, professoressa presso
l'Università di Verona, su un totale di 8.830 procedure di adottabilità, i
minori rom e sinti dichiarati adottabili in sette sedi di Tribunali Minorili
italiani nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005 sono stati 258. Quello che è
oggi uno dei maggiori studiosi di cultura romanì in Italia, il professor Leonardo Piasere, commenta i dati:
"Se consideriamo che la popolazione dei rom e dei sinti in Italia ammonta allo
0,15% circa della popolazione totale, capiamo che la percentuale di procedure di
adottabilità dello 0,15%, cioè in sintonia con la proporzione della popolazione,
corrisponderebbe a circa 13 procedure sulle 8.830. Ora il numero di procedure
riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a tale cifra!"
Questo mio intervento non è contro il sistema delle adozioni, perché, lo dico
chiaramente, ci sono casi in cui togliere il bambino a una famiglia rom o sinta
è cosa sacrosanta.
Ciò che mi interessa è porre alcune domande.
Stando alla legge italiana sono dichiarati in stato di adottabilità i minori di
cui sia accertata la situazione di "abbandono" (legge 184 del 2001), ma nella
legge 149 dello stesso anno, si dice che:
"1) Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà
genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore
alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti
interventi di sostegno e di aiuto.
2) Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze,
sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei
limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei famigliari a rischio, al
fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato
nell'ambito della propria famiglia…."
L'interpretazione del termine "abbandono" è così lasciato alla discrezionalità
del Tribunale dei Minori. Ma cosa si intende per abbandono?
Ipotizziamo ci siano due bambini rom di sette e dieci anni, Alin e Mari, che a
causa della povertà dei genitori sono costretti a vivere sotto un ponte. Vengono
sgomberati e i Vigili Urbani li portano sotto un altro ponte. Lì assistono
all'incendio della loro baracca e all'orribile morte di quattro amichetti.
Vengono sgomberati nuovamente e ritornano sotto il primo ponte. I genitori non
trovano lavoro (chi di noi assumerebbe uno zingaro che vive sotto un ponte?) e
tirano avanti solo con gli aiuti che forniscono loro alcuni volontari della
Caritas e dell'Arci. Ogni mattina i genitori di Alin e Mari, però, accompagnano
i figli a scuola dove i bambini arrivano sempre puliti e ben vestiti anche
grazie all'aiuto dei sopra citati volontari. Aggiungo che i bambini, a detta
delle maestre, seguono con sufficiente profitto le lezioni. I pomeriggi dei
bambini, però, trascorrono sotto il ponte.
Voglio ora porre alcune domande:
1) Se vedessimo Alin e Mari sotto il ponte e non sapessimo nulla di loro,
penseremmo giusta l'affidabilità? E sapendo la loro storia e la loro
quotidianità, riterremmo lo stesso giusto toglierli alla famiglia e darli in
adozione?
2) Può un'Amministrazione pubblica, di qualunque appartenenza politica, sentirsi
priva di responsabilità nel lasciare che una famiglia di rom continui a
sopravvivere sotto un ponte?
3) La famiglia di Alin e Mari va sgomberata? E, se si, può lo sgombero di un
sottoponte, senza una reale alternativa abitativa, bastare a tutelare i minori
che vi abitano?
4) Cosa si fa per prevenire le situazioni di estrema miseria in cui sono
costretti a vivere alcuni bambini rom e sinti?
5) Togliere un bambino alla propria famiglia deve essere l'ultima strada
percorribile o la prima? E se deve essere l'ultima, perché il numero di
procedure riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a quello delle
procedure totali nelle sette sedi dei Tribunali dei Minori che ha preso in esame
la professoressa di Verona nel suo libro "Dalla tutela al genocidio?"