Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 22/12/2011 @ 09:08:09, in media, visitato 1659 volte)
Tiscali: sociale
BOLOGNA – "Mi piace andare a trovare i Rom. Di solito non è un'esperienza
piacevole, perché non scelgo mai le comunità più floride. Vado nelle cloache.
Non per il gusto perverso della miseria, al contrario. Semplicemente perché in
Europa ce ne sono troppe ed è giunto il momento di fare qualcosa. Sono posti in
cui la miseria è allucinante. Mi viene da dire, fuori dal mondo. Sono posti
fuori dal mondo". Queste paroole sono del fotografo Alain Keler, che ha
attraversato l'Europa sulla sua Skoda per visitare i campi Rom di diversi Paesi,
compresa l'Italia. Al suo ritorno ha raccontato le sue esperienze all'amico
disegnatore Emmanuel Guibert che, insieme a Frédéric Lemercier, ne ha fatto un
reportage a fumetti e fotografie uscito a puntate in Francia sulla rivista XXI e
poi in Italia nel volume "Alain e i Rom" (Coconino Press). "Alain tornava dai
suoi viaggi e me li raccontava – spiega Guibert – è un momento cruciale quello
del ritorno, pieno di storie e aneddoti e del bisogno di raccontarli e, se non
c'è una pubblicazione immediata, il calore si perde". E rispetto ai recenti
fatti di cronaca, commenta: "Quello che è successo a Torino fa paura, ma non è
un caso isolato, il mio amico Alain mi ha raccontato episodi simili accaduti in
Repubblica Ceca, purtroppo l'odio cresce nelle situazioni di crisi". Ecco
perché, continua, "dobbiamo parlare, non lasciare che le cose avvengano nel
silenzio e mostrare gli esempi di persone che fanno qualcosa a livello locale:
la risposta è qui".
Il libro "Alain e i Rom" si apre con una prefazione di don
Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e di Libera, in cui si legge: "Le foto
di Alain Keler ci aiutano a gettare luce su quella che spesso sentiamo
etichettare come ‘emergenza', ma è invece una situazione ormai consolidata di
degrado e marginalizzazione". I Rom, insomma, fanno "notizia" solo nel caso di
eventi drammatici, come nel caso di Torino di qualche giorno fa, altrimenti
nessuno si ricorda di loro e delle condizioni in cui vivono. Lo dimostra anche
il caso del fotografo Alain Keler che ha girato il mondo, lavorando per le
agenzie di stampa, ma quando ha smesso e ha deciso di occuparsi di ciò che lo
interessava, non ha più venduto nemmeno una fotografia. Perché si tratta di
soggetti difficili. "Ai quotidiani interessano i fatti drammatici – dice Guibert
– mentre il ruolo delle riviste e dei libri è diverso, si prendono il tempo e lo
spazio per raccontare le cose: è anche l'ambizione di questo libro, dare l'idea
di un posto, delle persone che ci abitano, far sentire le loro voci, mostrare i
loro volti". Conoscerli, in una parola. "Non abbiamo fatto altro che ripetere
cose che tutti sanno – continua Guibert – che la maggior parte dei Rom non è più
nomade e che, quando se ne va da un posto, è per l'impossibilità di viverci".
Il libro di Keler, Guibert e Lemercier ha anche questo pregio, di mostrarci i
campi Rom a poca distanza dalle nostre case, alle periferie delle nostre città,
di farci incontrare le persone che ci vivono e quelle che con loro lavorano per
cambiare le cose. "Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, Alain aveva già
fatto la maggior parte dei suoi viaggi, ma l'ho accompagnato a Parigi – racconta Guibert – e sono entrato in posti di cui conoscevo l'esistenza ma in cui non mi
ero mai fermato, ho conosciuto le persone che ci vivono e i volontari che
lavorano per cambiare la situazione". Tra loro c'è anche Ivan Akimov, slovacco
che ha vissuto per molti anni in Francia e che, insieme alla moglie Helena, ha
creato i Kesaj Tchavé, un gruppo di giovani musicisti, ballerini e cantanti Rom.
Come racconta Alain Keler nel sesto capitolo del libro, ogni giorno, Ivan,
insieme alla moglie Helena, fa il giro dei villaggi e delle baraccopoli di
Kežmarok in Slovacchia per portarli a suonare e ballare. Grazie a Ivan Akimov, i
Kesaj Tchavé hanno suonato anche in Francia, a Parigi. "Ho assistito a uno di
quei concerti e fa un bene incredibile" dice Guibert.
Ivan è una di quelle persone che cercano di cambiare le cose. E racconta Guibert,
"anche se il suo lavoro non durerà per sempre, almeno è riuscito a modificare la
prospettiva del mondo esterno per quei ragazzi". Ma non è l'unico. Insieme a lui
ci sono Jeanne, Colette, Antonio e altri di cui veniamo a conoscenza leggendo
"Alain e i Rom". "Ho un'ammirazione senza limiti per loro – dice Guibert – Sono
persone che non fanno un discorso convenzionale sui Rom, che parlano con voce
franca senza nascondere i problemi, che, dopo generazioni di pregiudizi,
violenza e sfiducia, cercano di cambiare la situazione, dedicando la loro vita,
o solo una parte, a lavorare con queste persone". Ed è quello che ha fatto con i
suoi reportage Alain Keler. "Alain ha deciso di raccontare come vivono i Rom
d'Europa perché ha origini ebree e i suoi nonni sono morti nei campi di
sterminio nazisti – spiega Guibert – Per questa ragione non può sopportare la
discriminazione e il razzismo che colpisce i Rom: per lui è un dovere e anche io
ho sentito di dovermi mettere a sua disposizione per far conoscere il lavoro
paziente e segreto che fa, come si dice in Francia, contro il vento".
15 dicembre 2011 - di Redattore Sociale
Di Fabrizio (del 21/12/2011 @ 09:30:13, in Europa, visitato 1652 volte)
Da
Nordic_Roma
Rom frugano nei cassonetti della ricca Norvegia - AUDREY ANDERSEN
- 7-12-2011
LETTERA DA OSLO: E' un freddo venerdì mattina d'autunno e già si sta
formando una fila di persone fuori da Fattighuset (La Casa Povera) nel centro di
Oslo. Si va dai ragazzini ai pensionati, e la coda finisce quando il centro di
carità chiude le porte al pubblico alle 15.30.
Mentre la Norvegia è uno dei paesi più ricchi al mondo, le statistiche
recenti mostrano che il 9,68% di chi vive ad Oslo viene definito povero.
In Norvegia circa 85.000 bambini vivono in povertà, ma è nella parte est di
Oslo, la più etnicamente sfaccettata, che il fenomeno si concentra. Una famiglia
di 3 componenti che vive con un reddito annuo di NOK 273.000 (€ 35.330) viene
considerata sotto la soglia di povertà.
In un'altra parte della città, un altro gruppo si riunisce per affrontare la
giornata. A Frogner Park, alcuni Rom sono rannicchiati su una panchina, mentre
alcuni turisti giapponesi sono in posa davanti alle famose sculture Vigeland che
delimitano il ponte principale.
Una Romnì di mezza età suona una pittoresca fisarmonica mentre passano i
turisti. Altri del gruppo, attrezzati con grandi buste di plastica Ikea,
iniziano il giornaliero rimestare nei bidoni, in cerca di bottiglie d'acqua e di
birra che siano rimborsabili.
Frogner ospita alcuni tra i cittadini più ricchi. Mentre il reddito medio è
in aumento, si allarga anche il divario tra ricchi e poveri. D'estate, diventò
una sorta di rifugio per alcuni Rom che vivevano in un campo improvvisato,
nascosto alla vista, in un bosco ai margini del parco. Tutto ciò che ora rimane
è il guscio di una struttura in legno improvvisata. A luglio, come altri in
città, il campo venne sgomberato dalle autorità comunali senza preavviso.
Per qualche periodo i problemi connessi con i Rom sono stati la produzione di
birra, con annesse questioni legate all'igiene ed alla criminalità. L'argomento
ha coinvolto tutto lo spettro politico, da ambo le parti. Sembra esserci
consenso sul fatto che, pur essendo poveri, trattare con loro è più problematico
rispetto agli altri gruppi.
Da un lato dello schieramento politico, sono visti come una minaccia
sanitaria, principalmente perché non hanno accesso a docce e servizi igienici.
Dall'altro, come vittime della xenofobia con i sostenitori dei diritti umani che
chiedono tolleranza e compassione. Marianne Borgen, del partito socialista di
sinistra (SV) e Kirkens Bymisjon, di un'associazione caritatevole ecclesiastica,
vorrebbero che ai Rom venissero forniti servizi di base, come docce e servizi
igienici.
D'altra parte, le autorità ritengono che offrire docce e servizi igienici sia
una pericolosa seduzione che potrà aprire i cancelli all'arrivo di un maggiore
numero di Rom.
Kari Helene Partapuoli, del Centro Antirazzista, è abituata a questo tipo di
retorica ufficiale, usata spesso per discriminare i Rom. "Vogliono gestirli come
nel resto d'Europa, come -spazzatura-, perché non ne arriva altra."
Ma sono stati i mezzi d'informazione a dipingere banchetti dei Rom a base di
topi, cani e piccioni selvatici, cosa che ha fatto infuriare tanto la comunità
rom che i suoi sostenitori.
La foto di un giornale ritrae i resti di un barbecue rom, con alcune ossa di
animale che si diceva fossero quelle di un topo. Poi la notizia si rivelò
infondata, e le ossa si rivelarono essere quelle di un pollo.
Il musicista zingaro Raya Bielenberg, da tempo residente a Oslo, ha reagito
con rabbia alle speculazioni dei media: "Siamo un popolo con un orgoglio, e
morire3mmo piuttosto che mangiare topi o cani," ha detto. "E se hanno il diritto
di venire qua e mendicare, dovrebbero almeno avere un posto dove andare in bagno
e lavarsi."
Concorda
Kari Gran, portavoce della missione ecclesiale (Kirkens Bymisjon) di Oslo, e
sente che la situazione sta arrivando ad un punto critico. Dice di incontrare
ogni giorno i Rom a Bymisjon, dato che sono l'unica organizzazione che li aiuta
attivamente
"Forniamo loro un posto dove incontrarsi, mangiare, usare i servizi igienici,
oltre ad un servizio di consulenza," dice. "Ma non abbiamo docce o lavanderia."
Kirkens Bymisjon è il solo posto che si prende cura dei Rom, ma la sola
carità non può fare molto.
Un problema è che i Rom, soprattutto dalla Romania, arrivando qui con visto
turistico non possono beneficiare dell'assistenza sociale o di servizi come un
posto dove dormire la notte, usufruire di docce o di lavanderia. Non possono
equipararsi ai bisogni di altri gruppi emarginati.
Gran ed altri sono molto preoccupati per i Rom, particolarmente per
l'avvicinarsi del rigido inverno. Alcuni Rom per l'occasione torneranno a casa,
ma per molti la tetra prospettiva è di dover dormire all'aperto.
Di Fabrizio (del 21/12/2011 @ 09:00:46, in Italia, visitato 1450 volte)
Punto di vista interessante, quello presentato su
GAY INDIPENDENT. Anche se la critica lì è più centrata sul
dualismo uomo-donna, la domanda di fondo è: quanto può essere efficace scindere
la lotta alla discriminazione tra antirazzismo da una parte e pari opportunità
dall'altra?
Di Enzo Cucco - 15/12/2011
Lo scorso 13 dicembre il Governo ha assegnato ad Andrea Riccardi alcune
funzioni di grande rilievo nell'ambito delle politiche sociali, tra cui quelle
sulla famiglia, sulle tossicodipendenze e sull'UNAR, l'Ufficio nazionale contro
le discriminazioni razziali, ed ha riconfermato ad Elsa Fornero le funzioni
sulle pari opportunità.
Va ricordato che l'attuale Governo ha ridotto in modo molto consistente il
numero dei Ministri (sia con portafoglio che senza), e tenendo presente la
scadenza della legislatura, l'impressionante mole di lavoro e di responsabilità
a carico di ciascuno e la oggettiva scarsità di funzioni assegnate ad alcuni dei
Sottosegretari e Viceministri, una ridefinizione delle attribuzioni era
necessaria.
Ma perché allontanare l'UNAR dalle pari opportunità?
Questa distinzione appare in controtendenza rispetto all'evoluzione che tutto
questo ambito di politiche (ma anche di norme) ha subito e sta subendo in
tutt'Europa. Come è noto l'Italia ha prodotto un corpo di norme significativo ed
all'avanguardia nell'ambito delle pari opportunità tra uomo e donna, ma manca
del tutto di una norma specifica per la lotta contro tutte le forme di
discriminazione, oltre alle due leggi di recepimento delle direttive comunitarie
del 2000. La carenza normativa e l'assenza di un soggetto terzo per l'intervento
in materia di lotta alle discriminazioni sono stati per anni i motivi sia delle
critiche europee che dell'assenza di una vera politica nazionale sulla materia.
Di questa situazione era perfettamente consapevole sia il Ministro Carfagna che
l'UNAR a cui dobbiamo riconoscere di aver fatto letteralmente dei miracoli per
recuperare nell'ambito delle politiche e degli interventi concreti quello che
sul piano normativo non poteva essere recuperato. Prima di tutto la facoltà di
intervenire su tutte le sei aree di potenziale discriminazione previste
dall'articolo 19 dei Trattato dell'Unione (genere, orientamento sessuale, età,
disabilità, religione e credenze personali, origine etniche e nazionali) e non
solo in materia di razzismo, come la missione iniziale prevedeva.
Unire l'UNAR al Ministero "della cooperazione internazionale e integrazione"
sembra re-spingere queste politiche nell'alveo di quelle contro il razzismo, con
la conseguenza che le pari opportunità tornano ad essere esclusivamente quelle
"classiche" tra uomo e donna. E' così, o si tratta solo di un effetto ottico
dovuto ad una redistribuzione di funzioni basata su logiche politiche e non su
una razionale trattazione delle materie in oggetto?
Spero di essere smentito, magari anche solo leggendo il testo dei decreti di
delega che ancora non si conoscono, e sono certo che la qualità del Ministro
Riccardi e l'indiscussa consapevolezza e dedizione che l'UNAR ha dimostrato
negli ultimi anni nel gestire una materia tanto incandescente, sapranno non solo
dissipare ogni ombra ma anche far procedere l'Italia nella direzione di quelle
riforme che in tutta Europa ormai sono concretezza da anni. Non ci sono ne i
tempi né le condizioni politiche per intervenire sulla legislazione italiana in
modo organico, ma molto si può fare sulle politiche e soprattutto si deve
tentare di istituire quel soggetto indipendente dal Governo che, assorbendo
l'UNAR e magari qualche altra istituzione di parità, sappia farci fare quel
passo avanti di cui abbiamo bisogno.
Saprà il Governo marciare, diviso ma unito, su questo obiettivo? Saprà gestire
l'oggettiva sovrapposizione di due Ministeri su una materia che, nella sostanza
e per molti ambiti non solo sono sovrapponibili ma necessitano di integrazione?
Di Fabrizio (del 20/12/2011 @ 09:36:52, in Europa, visitato 1666 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso di Cristina Bezzi 15 dicembre 2011
Foto di Cristina Bezzi
Che impatto hanno i fenomeni migratori sui diritti dei bambini? In questo
reportage Cristina Bezzi, antropologa, visita la Moldavia romena, una delle aree
più povere della Romania e più colpita dall'emigrazione
Secondo le stime UNICEF sono 350.000 in Romania i bambini con uno o entrambi
i genitori all'estero per lavoro. Mentre madri e padri sono in Italia, Spagna e
Francia per contribuire ad un bilancio famigliare altrimenti impossibile, loro
vengono accuditi da zii, nonni o altri parenti. A volte vivono praticamente
soli, magari affidati a qualche vicino di casa.
Anche a seguito di recenti e drammatici fatti di cronaca al destino di questi
"orfani bianchi", così vengono chiamati, si inizia a prestare sempre più
attenzione. Ci siamo recati nella Moldavia romena - nordest della Romania, una
regione tra le più povere del Paese e quindi più colpite dal fenomeno migratorio
- accompagnati dai volontari dell'Albero della Vita, Onlus impegnata nella
tutela e salvaguardia dei diritti dei bambini.
Il progetto children rights in action
Il progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea "Children's
rights in action. Improving children's rights in migration across Europe"
è coordinato dalla fondazione L'albero della vita di Milano e vede come
partner la fondazione ISMU, l'Università di Barcellona, la Fundaciò
Institut de Reinserciò Social e l'associazione Alternative Sociale di
Iaşi. Scopo del progetto analizzare le condizioni dei bambini romeni
coinvolti nel processo migratorio familiare, in Romania, Italia, Spagna
e sviluppare delle buone prassi per ridurre la loro condizione di
vulnerabilità. Spesso i loro diritti fondamentali vengono violati sia
nel paese di origine ma anche in quello di accoglienza a causa delle
difficoltà d'integrazione nel nuovo sistema. L'importanza della ricerca
appare evidente se si pensa che solo in Italia sono 105 mila i romeni
iscritti alla scuola dell'obbligo e che molti si ricongiungono ai loro
genitori solo dopo anni di distanza.
L'economia della zona è basata prevalentemente su un'agricoltura
di sussistenza che, già fragile, è stata messa in ginocchio dalle
alluvioni che nel 2008 hanno colpito l'intera area. Molti hanno dovuto
considerare la migrazione, per poter far fronte ai bisogni familiari. E
sono partiti per periodi più o meno lunghi, lasciando i figlia a casa.
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Liteni: vivere a ritmo del passato, abitare nelle case del futuro
Parto dall'affollata autostazione di Iaşi, principale città della Moldova
romena, alle 6.30 del mattino con il minibus che ogni mattina accompagna gli
insegnanti della scuola media ed elementare del paese al lavoro. Trascorso un
primo pezzo di superstrada svoltiamo su una strada bianca che ci porta dalla
veloce e moderna città a Liteni, paesino a circa 50 chilometri da Iaşi dove il
30% dei 2.200 abitanti lavora all'estero. "In realtà sono molti di più", spiega
il sindaco, Petraş Constantin, perché molti continuano a rimanere registrati
all'anagrafe pur non vivendo più nel paese".
Qui il ritmo è ancora scandito dalle stagioni e al posto delle macchine che
hanno oramai invaso la città, la gente si sposta utilizzando carretti di legno
trainati da cavalli. Tutt'intorno distese di campi in passato coltivati da
un'azienda agricola di stato, restituiti poi negli anni '90 ai vecchi
proprietari. L'attività agricola è la principale occupazione delle persone che
vivono nel paesino di Liteni; in questo periodo uomini, donne, vecchi e bambini
sono impegnati nella raccolta del mais e il paese, nelle prime ore del
pomeriggio, è attraversato da carri carichi di pannocchie seguiti da intere
famiglie che tornano verso casa.
E' proprio l'immagine di un cavallo che rimane bloccato dal peso esagerato del
carro davanti al cancello di un'enorme e moderna villa in costruzione che mette
in risalto la doppia identità del luogo.
La vita del villaggio procede con il suo antico ritmo di campi arati dal
cavallo, giornate che iniziano con il sorgere del sole e terminano con il suo
tramonto, ma accanto alla strada bianca e polverosa si innalzano case
modernissime quasi tutte non intonacate, che stanno sostituendo le piccole
abitazioni tradizionali dai caldi colori pastello.
Dietro ad ogni casa nuova o in costruzione c'è una storia di migrazione. Lo
stile delle costruzioni spesso racconta anche la storia di quella migrazione,
come osserva Gheorghe Moga, direttore della scuola del paese: "Se osservi le
caratteristiche delle case puoi capire anche dove le persone sono emigrate". Da Liteni le persone si sono dirette principalmente in Italia, Spagna, Francia e in
misura minore in Germania.
La maestra
Entriamo nella prima elementare con la maestra Ileana, i bambini le si fanno
attorno e la stringono forte in abbracci. "Manifestano così la loro carenza
affettiva", mi spiega. Ileana chiede quanti di loro hanno un genitore
all’estero, più della metà dei circa venticinque bambini alza la mano, la
maggior parte ha la mamma lontana; nel villaggio questa è la normalità.
Ileana stessa è tornata in paese solo per alcuni mesi, in realtà lavora in
Italia già da due anni e a breve ritornerà lì per accudire una persona anziana.
"Nel 2009 c'è stato un' ulteriore riduzione degli stipendi per coloro che
lavorano nel pubblico, tutti gli stipendi sono stati ridotti del 25%, se prima
prendevo circa 300 euro dopo il 2009 lo stipendio è arrivato a 250. Ho una
figlia che sta studiando a Iaşi al liceo, solo per il vitto e l'alloggio devo
pagare 100 euro al mese più tutte le altre spese. Mio marito lavora la terra,
non ha un salario fisso e trovare lavoro qui è molto difficile. Semplicemente se
io non fossi partita non ce l'avremmo fatta".
Cerco un posto dove potermi risciacquare le mani. Maria, una ragazza di 14 anni,
mi sorride e si offre di aiutarmi. Mi guida verso il pozzo azzurro proprio di
fronte alla scuola; il villaggio infatti non è dotato di acqua corrente. Maria
stringe forte la catenella del secchio alla corda e con movimenti decisi inizia
a calare. Maria è molto curata e sembra essere serena nonostante l'assenza del
padre e la distanza della madre partita per lavorare in Italia quando lei aveva
otto anni. Vive con gli zii e i cugini, sembra capire i motivi per cui la madre
è lontana, ma parlando con lei hai l'impressione di rivolgerti ad un' adulta
responsabile più che ad un'adolescente.
Quando la crisi fa migrare le donne
Spesso sono le mamme a partire perché in questo periodo è più facile per una
donna trovare lavoro. Dopo l'entrata della Romania nell'Unione Europea (2007),
il flusso migratorio femminile è andato aumentando, mentre in seguito alla crisi
economica sono stati molti gli uomini a rimanere senza lavoro e a tornare in
Romania. A Liteni ci sono diverse donne che lavorano principalmente in Spagna ma
anche nel sud Italia. Maria parte per circa 3-4 mesi all'anno, non vuole
prolungare di più la sua assenza perché ha due bambini di 7 e 9 anni. Suo marito
aveva lavorato per un periodo in Germania ma negli ultimi anni non è più
riuscito a trovare lavoro.
Come lui anche Vasile, un 42 enne di Liteni, e rientrato dopo aver perso il
lavoro all'estero. Ha lavorato come manovale a Torino per ben 7 anni, ma
ultimamente faceva fatica a trovare lavoro ed inoltre spesso i datori di lavoro
non lo pagavano: "Succede spesso, lavori per mesi e poi il datore non ti paga e
quindi alla fine ho cercato un posto per mia moglie come badante. Adesso lei è
lì".
Vasile e la moglie hanno quattro figlie: sei, otto, dieci e quattordici anni.
Attualmente è lui a prendersene cura; ha dato la sua terra in affitto per poter
seguire le figlie e le faccende di casa. A breve però desidera tornare a Torino
dove spera di trovare nuovamente lavoro e lascerà le figlie in custodia alla
sorella.
La sua idea è quella un giorno di rientrare definitivamente in Romania, ma non
riesce ad immaginare quando: "Fino a quando le figlie non saranno grandi saremo
costretti a lavorare all’estero. Qui la gente vive di ciò che produce la terra,
non ci sono posti di lavoro, sarebbe necessario andare in città ma anche lì è
difficile e un salario medio, di circa 250 euro, non è comunque sufficiente a
far sopravvivere una famiglia". Vasile alza lo sguardo e mi mostra con orgoglio
la casa che stanno costruendo attraverso le rimesse, anche se non è finita a
breve potrà trasferirsi lì a vivere con le figlie. In lontananza la sua casa non
intonacata si confonde con le pareti grige di numerose altre case. Ma sarà
possibile per gli abitanti di Liteni tornare un giorno a vivere stabilmente nel
loro paese?
Ancora bambini con la "chiave al collo"?
Come spiega lo psicologo Catalin Luca, direttore dell'associazione Alternativa
sociale, la prima in Romania ad occuparsi dei bambini soli a casa, il fenomeno
non è nuovo in Romania: "Durante il comunismo ci sono state diverse generazioni
di bambini che sono cresciuti da soli, poiché ambedue i genitori lavoravano
tutto il giorno. Questi bambini sono conosciuti come la generazione dei "bambini
con la chiave al collo", perché passavano le giornate davanti al block con la
chiave di casa appesa al collo, in attesa che i genitori rientrassero. Questa
stessa generazione è quella che oggi emigra e lascia i figli a casa pensando
che, così come è stato per loro in passato, il compito del genitore sia quello
di sostenere i figli da un punto di vista materiale, proprio perché anche loro
sono stati abituati alla distanza emotiva e a volte anche fisica dai genitori".
L'Associazione Alternative Sociale di Iaşi ha iniziato ad occuparsi di questo
fenomeno impegnandosi attraverso campagne di sensibilizzazione e di informazione
per i genitori, attività di prevenzione e counseling per i minori e proposte di
legge per la tutela dei minori rimasti soli a casa.
Catalin Luca ha recentemente concluso la sua ricerca di dottorato in cui ha
indagato le conseguenze causate dalla lontananza dei genitori, utilizzando un
approccio che tiene in considerazione il punto di vista del bambino: "Dal loro
punto di vista non sono le cose materiali di cui hanno bisogno ma la presenza
dei genitori, la possibilità di discutere con loro. Spesso i bambini non vengono
coinvolti nella decisione dei genitori di partire; la loro impressione è che non
possono chiedere aiuto a nessuno per risolvere i loro problemi".
Drammatiche conseguenze
I bambini vengono accuditi dal genitore rimasto o da una zia, altre volte dai
nonni, nei casi più gravi da un vicino o da un fratello maggiore. La mancanza di
supervisione da parte dei genitori spesso pregiudica lo stato di salute del
minore che tende a non nutrirsi regolarmente, peggiora l'apprendimento
scolastico e può determinare soprattutto tra gli adolescenti la frequentazione
di entourage negativi. Dal punto di vista psicologico le conseguenze possono
andare da una disposizione alla depressione fino ad arrivare nei casi più
estremi al suicidio.
Lo scorso settembre ad Arad, Romania occidentale, è morta Monica, una bambina di
dieci anni che a causa della nostalgia della madre, che lavora in Spagna, ha
smesso di alimentarsi fino a che i suoi organi non hanno più retto.
Il caso di Monica, ha creato un grande scandalo. La madre è stata demonizzata
assieme a tutte le madri che partono "senza preoccuparsi abbastanza dei loro
figli". Davanti a questo caso anche i politici hanno mostrato un cenno
d'interesse tanto che il parlamentare Petru Callian ha proposto un disegno di
legge che prevede una multa per i genitori che lasciano il Paese senza aver
affidato i figli ad un legale rappresentante.
Come spiega Alex Gulei, assistente sociale di Alternativa Sociale, in Romania
esiste già una legge che obbliga i genitori a nominare un tutore legale prima di
partire per l'estero, ma poiché non è prevista nessuna sanzione, quasi nessuno
si preoccupa di farlo.
E' il caso di Nicu un ragazzino di nove anni, che partecipa al programma del
centro diurno Don Bosco della Caritas di Iaşi. La mamma è partita per l'Italia
quattro anni fa e quindi vive con la nonna settantenne e la sorellina di sei
anni. Da anni Nicu dovrebbe sostenere un'operazione chirurgica molto delicata,
ma non può farlo perché per questo sarebbe necessaria la firma della madre che è
la legale rappresentante del figlio, ma che è da anni che non si mette in
contatto con loro. La nonna sta pensando di far togliere per abbandono la
rappresentanza legale alla madre per ottenerla lei, cosicché il piccolo Nicu
possa essere operato, la sua paura è però che non le restino molti anni di vita
e che se lei morisse il nipotino sarebbe affidato ai servizi sociali.
Le conseguenze psicologiche ed emotive della privazione dell'affetto materno e
paterno sono un prezzo altissimo pagato dai minori romeni le cui famiglie sono
coinvolte nel processo migratorio. Purtroppo spesso anche per chi segue i
genitori nel Paese di accoglienza il processo di adattamento è lungo e non
sempre facile. In molti casi tra l'altro accade che il minore rientri in patria
con o senza la famiglia subendo un ulteriore fase di adattamento.
La tutela dei diritti dei minori coinvolti in processi di migrazione è complessa
e non può che passare attraverso un approccio che coniughi il livello locale a
quello nazionale ed europeo. Un primo passo in questa direzione è l'analisi
delle loro condizioni di vita e l'individuazione di buone prassi per ridurre la
loro vulnerabilità.
Dopo i recenti avvenimenti che hanno coinvolto i Rom che abitano nella Cascina
Continassa di Torino, occorre aiutare e supportare in questo tragico momento le
famiglie che hanno perso l'unica casa che conoscevano.
Superata la prima emergenza, è prioritario ridare dignità e speranza a uomini,
donne e bambini che, in pochi istanti, hanno visto andare a fuoco tutta la loro
vita e che ora si trovano ad affrontare il freddo e la disperazione di non avere
più niente.
Di grande aiuto sono stati, in questi primi giorni, coloro che hanno portato la
loro solidarietà e che hanno contribuito a migliorare le condizioni materiali in
cui si sono ritrovate a sopravvivere le vittime dell'attacco razzista: le
associazioni di volontariato, le autorità politiche e religiose, i funzionari
pubblici e, soprattutto, i tantissimi cittadini fra i quali molti residenti nel
quartiere da cui si è mosso il corteo che ha assaltato il campo nomadi.
Adesso è però necessario dare un indirizzo alla spontanea solidarietà dei tanti
che ancora vorrebbero manifestare concretamente la loro solidarietà.
Le famiglie rimaste nella cascina hanno una enorme, principale, necessità:
un'ABITAZIONE VERA nella quale poter vivere dignitosamente.
Per questo motivo facciamo un appello ai cittadini, alle associazioni, agli enti
religiosi e alle istituzioni affinché si adoperino per l'unica vera soluzione
alla gran parte dei problemi innescati dalla presenza di campi nomadi nelle
città: un'abitazione per le poche famiglie costrette a restare nel luogo in cui
sono state aggredite e messe in pericolo di vita.
Si tratta di 3 famiglie, 7 persone in tutto, quelle che hanno finora trovato il
coraggio di rivolgersi alla Magistratura per ottenere quella giustizia che gli
aggressori hanno tentato d'oltraggiare durante il linciaggio.
Chi vuole dare il suo sostegno può:
- mettere a disposizione locali per l'ospitalità delle famiglie;
- offrire un lavoro;
- versare un contributo economico al Centro Studi Sereno Regis di Torino
specificando la causale AIUTO FAMIGLIE ROM INCENDIO CONTINASSA:
- con bonifico sul conto corrente postale 23135106 intestato a Centro Studi Sereno
Regis – via Garibaldi 13 – 10122 Torino - IBAN IT 67 G 076 0101 0000 0002 3135
106
- con vaglia postale
- in contanti presso la segreteria del Centro Studi (sarà rilasciata ricevuta)
I fondi raccolti saranno consegnati direttamente alle famiglie per provvedere
alle necessità materiali e alle spese per le abitazioni che speriamo di poter
reperire. Sarà data completa trasparenza alla gestione dei contributi.
FEDERAZIONE ROMANI'
Via Altavilla Irpina n. 34 – 00177 Roma - fax +39.0664829795
http://federazioneromani.wordpress.com
federazioneromani@libero.it
IDEA ROM ONLUS
c/o Centro Studi Sereno Regis
Via Garibaldi 13 - 10122 Torino - fax +39.01182731123
www.idearom.it - Fb
IdeaRom
idea.rom@gmail.com
CENTRO STUDI SERENO REGIS
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Di Fabrizio (del 19/12/2011 @ 09:49:15, in Regole, visitato 1402 volte)
15 Dicembre 2011
Spett. le Procura della Repubblica di Torino,
Egregi dott. Caselli, dott. Bornia e dott.ssa Longo,
Il Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC)1, la Federazione Romanì2 e Idea
Rom Onlus (Idea Rom)3 Vi scrivono per esprimere preoccupazione per il violento
attacco incendiario del campo Rom, avvenuto a Torino lo scorso 10 Dicembre.
Secondo quanto riportato all'ERRC dai nostri partner locali, centinaia di
persone hanno fatto incursione nel campo informale di via Continassa e hanno
dato fuoco a baracche, camper e macchine. L'attacco è stato scatenato
dall'accusa di stupro rivolta a due Rom. Successivamente la presunta vittima ha
dichiarato di non essere stata violentata. L'intero campo è andato distrutto
inclusi le case e i beni di proprietà di 46 Rom che vivevano li. Testimoni
dicono che alcuni manifesti affissi prima dell'attacco incitavano i residenti a
'ripulire' l'area dai Rom. Mass media e testimoni confermano che un pubblico
ufficiale, il presidente della V circoscrizione era presente alla manifestazione
che ha preceduto la violenza4.
L'ERRC, la Federazione Romanì e Idea Rom chiedono alle forze dell'ordine e alla
Procura della Repubblica di Torino di investigare immediatamente ed
imparzialmente e di considerare la connotazione razziale dell'atto.
Le vittime dell'attacco sono membri della minoranza Rom e date le circostanze è
possibile che si sia trattato di un atto di matrice razzista o di un crimine
d'odio. Dunque, l'indagine dell'incidente e il perseguimento dei colpevoli
riguarda la protezione dei diritti umani, sia degli individui che della comunità
Rom. L'investigazione e la risoluzione del caso renderà giustizia alle vittime
sulla base di quanto stabilito dall'articolo 13 della Convezione Europea per la
Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà
Fondamentali secondo cui ogni persona i cui diritti e le cui libertà
riconosciuti dalla Convenzione (inclusi il diritto alla libertà e alla sicurezza
e il divieto di tortura) sono stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo
davanti ad un'istanza nazionale.
Data l'importanza dell'incidente di cui sopra, le organizzazioni firmatarie
della presente lettera, in accordo con la legge italiana per l'accesso agli atti
amministrativi5, chiedono gentilmente ai Vostri uffici di provvedere per iscritto
le seguenti informazioni:
- E' stata aperta un'indagine per tale incidente e quali misure
investigative sono state adottate dal Vostro ufficio al fine di identificare
i colpevoli?
- Quali misure saranno prese dai Vostri uffici per accertare le
responsabilità e dare piena
protezione alle vittime?
- Oltre le due persone identificate subito dopo l'attacco, sono stati
individuati altri individui
sospetti che hanno organizzato o partecipato all'incidente?
- Qualcuno è stato accusato per questo incidente e quali accuse sono
mosse contro di loro?
Rimaniamo in attesa di una Vostra risposta e Vi ringraziamo per gli sforzi
compiuti nel condurre una giusta e rapida indagine del caso.
Distinti saluti,
Dezideriu Gergely Direttore esecutivo European
Roma Rights Centre
Nazzareno Guarnieri Rappresentante Legale Federazione
Romanì
Snezana Vuletic Rappresentante Legale Idea Rom Onlus
1 Il Centro Europeo per I Diritti dei Rom (ERRC) è
un'organizzazione giuridica internazionale di interesse pubblico impegnata in
una serie di attività volte a combattere il razzismo contro Rom e Sinti e
l'abuso dei diritti umani attraverso contenziosi strategici nell'ambito del
diritto, ricerca e sviluppo di politiche, advocacy e formazione di attivisti Rom
e Sinti.
2 La
Federazione Romanì è una
federazione nazionale formata da 18 organizzazioni Rom e da attivisti e singoli
aderenti di tutta Italia. La mission della Federazione è l'auto-determinazione
della popolazione Romanì attraverso la promozione di una rappresentatività
qualificata delle comunità Rom
3
Idea Rom Onlus è una ONG formata da donne
Rom basata a Torino. Essa promuove la diretta rappresentanza dei Rom ed è membro
della Federazione Romanì.
4 Vedere:
http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/434502/
5 Il diritto all'accesso agli atti amministrativi nella l.
241/1990 e nel DPR184/2006
Di Fabrizio (del 19/12/2011 @ 09:16:34, in Italia, visitato 1520 volte)
Richiesta intervento urgente per emergenza
umanitaria campo Rom Via Idro
Dedichiamo molto del nostro tempo all'impegno civile e sociale e al
miglioramento della qualità della vita nei quartieri di Crescenzago Adriano
Gobba, sia a titolo personale che in qualità di rappresentanti di associazioni e
comitati.
Con la presente, denunciamo che la situazione del Campo Rom di Via Idro si è
aggravata a tal punto da raggiungere un vero e proprio livello di emergenza
umanitaria.
Giorno dopo giorno, le condizioni del campo peggiorano in modo allarmante: manca
la corrente elettrica da mesi, i frigoriferi non possono funzionare, le fogne
straripano, la strada si allaga. Le persone vivono al freddo. La salute è
seriamente a rischio. Le prime vittime sono i bambini e gli anziani, i più
deboli ed indifesi.
I responsabili dell'amministrazione comunale sono informati, ma inspiegabilmente
non provvedono.
Per i Rom Harvati, cittadini italiani che risiedono da oltre 30 anni in Via
Idro, si sono ulteriormente ridotte le possibilità di lavorare non solo per la
crisi generale, ma soprattutto perché sono vittime - come altri nomadi e
minoranze etniche - di politiche centrali e locali di discriminazione ed
ingiustizia sociale.
Infatti la sentenza del Consiglio di Stato del 16 novembre 2011 ha cancellato il
Piano Maroni che prevedeva, oltre a misure lesive della dignità delle persone,
il finanziamento di un campo di transito in Via Idro e la chiusura entro il 31
dicembre 2011 di quello attuale, regolare e storico.
Si vuole da parte anche della nuova amministrazione di Milano insistere sul
campo di transito in Via Idro, rifiutato sia dalla comunità rom sia da
cittadini, comitati, associazioni, partiti e dal Consiglio di zona 2?
Perchè non si provvede con urgenza a garantire agli abitanti il ripristino delle
condizioni di vita umane e ad approntare un piano di riqualificazione da
inserire in un progetto di valorizzazione del patrimonio ambientale (Lambro,
Martesana, costituendo Parco della Media Valle del Lambro) e della comunità rom,
i cui membri già nel passato hanno dimostrato di potere mettere a disposizione
esperienza e competenza (cooperative per la cura del verde e di lavori diversi)?
Nel ribadire la richiesta ai destinatari della presente ad intervenire
tempestivamente per ripristinare le condizioni di vita normali e rispettose
della dignità e della salute delle persone che vivono nel villaggio di via Idro,
confermiamo la nostra disponibilità a farci promotori di un progetto generale di
riqualificazione e valorizzazione dell'intera area allo scopo di migliorare la
qualità ambientale e urbana e le relazioni tra i rom e gli abitanti dei
quartieri interessati.
I bambini di Via Idro si stanno ammalando. Fate presto, prima che sia
troppo tardi!
In attesa di un positivo riscontro, i migliori saluti.
Carlo Bonaconsa, Comitato Vivere Zona 2
Fabrizio Casavola, redazione di Mahalla
Laura Coletta, Associazione "Elementare Russo"
Gabriella Conedera, Scuola Elementare di via Russo
Cesare Moreschi, Comitato Vivere Zona 2
Giuseppe Natale, Anpi Crescenzago
Antonio Piazzi, Anpi Crescenzago
Paolo Pinardi, Martesanadue
Lettera aperta a:
- Sindaco di Milano, Giuliano Pisapia
- Assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino
- Assessore alla Sicurezza e coesione sociale, Marco Granelli
- Presidente del Consiglio di Zona 2, Mario Villa
QUI invece trovate la lettera scritta al sindaco dalla scuola elementare
Russo
Nel frattempo, ricevo da Alberto Ciullini:
Strage, stragi, ed emergenze umanitarie nell'indifferenza
Questo l'intervento
che a nome del gruppo di SEL ho letto ieri sera in Consiglio di Zona 2.
Presidente, consiglieri,
avremmo voluto intervenire perché questi giorni sono
giorni particolari: le date che vanno dal 12 al 15 dicembre, sono giorni densi
di significato per Milano, la sua storia ma anche per la storia e la coscienza
di tutto il Paese. Sono i giorni in cui è indispensabile fermarsi e ricordare
uno degli eventi che hanno caratterizzato la storia recente del questo Paese:
una strage, la strage di piazza Fontana, con cui 42 anni fa si avviava la
strategia della tensione e delle stragi di Stato. Bene ha fatto il Consiglio
comunale a riunirsi in seduta straordinaria per commemorare le 17 vittime
innocenti e a proporre l’istituzione della Giornata della memoria cittadina per
"conservare una viva memoria del nostro passato, soprattutto a vantaggio di
quanti non erano presenti: un segno di grande maturità democratica, che permette
di offrire alle giovani generazioni la possibilità di conoscere ciò che accadde
e di partecipare in maniera responsabile alla diffusione di una coscienza
civile". Una strage, 17 vittime e 88 feriti cui vanno aggiunti Giuseppe Pinelli,
la 18° vittima innocente come ha detto giustamente il Presidente Napolitano, e
gli ulteriori tre feriti: Licia Pinelli e le sue due figlie. Una strage rimasta
giuridicamente impunita, costituendo uno schiaffo vergognoso alla memoria di
quelle vittime e al dolore dei loro famigliari, ma non senza colpevoli: perché
la verità storica su quella strage e su quelle che ahinoi si susseguirono negli
anni successivi è ormai acclarata e certa: manovalanza neofascista e regia degli
apparati deviati dello Stato.
Di questo avremmo voluto parlare e ricordare. Ma
la cronaca degli ultimi giorni ci ha purtroppo portato all’attenzione fatti di
una gravità inaudita per un paese che vuole essere democratico e civile. Prima a
Torino e poi a Firenze due episodi apparentemente diversi ma uniti dallo stesso
filo conduttore: l’intolleranza verso il "diverso".
A Torino abbiamo assistito a
quello che molti osservatori hanno giustamente definito un pogrom, che non è
sfociato in tragedia solo per fortuna e casualità. La caccia al Rom perché non
può che essere il Rom a commettere certi atti, non importa se addirittura
inventati: la caccia al Rom è "a prescindere".
A Firenze la strage c’è stata,
due morti e un ferito gravissimo, anche per il ritardo, dobbiamo dirlo, con cui
il criminale è stato intercettato. Un cittadino italiano, bianco, ha sparato
uccidendo due senegalesi e ferendone molto gravemente un terzo. Non soddisfatto
dopo due ore circa ha riaperto il fuoco contro altri cittadini senegalesi per
poi spararsi suicidandosi. Ora qualcuno tenta maldestramente di derubricare il
fatto a pura follia, ma sappiamo invece che se di follia si tratta, stiamo
parlando di lucida follia xenofoba, razzista, neo-nazista. Del resto agli
ambienti che si rifanno e ispirano a queste reiette ideologie il criminale senza
alcun dubbio apparteneva.
Due episodi apparentemente diversi, lontani, separati
ma che trovano ahimè un comune denominatore: quel mix di ignoranza e
sottocultura, che negli ultimi venti anni è stato coltivato, coccolato, aizzato,
alimentato con cinica e fredda volontà da tutti quelli che hanno parlato e
parlano di invasione, calata dei barbari, supremazia culturale, pulizia etnica
ecc.
Due episodi che ci devono far riflettere per fare in modo che il terreno di
coltura di queste folli ideologie non venga alimentato anche solo dalla fatica,
dalla ignavia, dalla pigrizia che ci possono anche involontariamente cogliere.
E
allora dobbiamo evitare che nel nostro territorio, quello della nostra zona, si
consumi un’emergenza umanitaria nell’indifferenza dei cittadini e delle
istituzioni, solo perché stiamo parlando degli ultimi fra gli ultimi. Stiamo
parlando del campo di via Idro, nel quartiere di Crescenzago. Il campo, giorno
dopo giorno, si sta sempre più degradando: manca la corrente elettrica da mesi,
gli abitanti del campo vivono al freddo, non funzionano i frigoriferi, le fogne
straripano, la strada si allaga, mancano il lavoro e una prospettiva per il
futuro.
E le vittime sono prima di tutto i bambini, le donne, gli anziani, i
soggetti più deboli e indifesi.
I rom che abitano in Via Idro vi risiedono da
anni, sono cittadini italiani e hanno il diritto come tutti che venga trovata
assieme una soluzione dignitosa, sia per quelli che intendono trovare altrove
una sistemazione sia per quelli che ci vogliono rimanere.
Questa grave e
insostenibile situazione ci viene segnalata dai cittadini del campo ma anche
dalle associazioni, dai gruppi, dalle organizzazioni, dai partiti e dai semplici
cittadini che negli ultimi anni hanno cercato di trovare concordemente strade e
percorsi per uscire dalla perenne precarietà ed emergenza.
Chiediamo che si
intervenga subito perché lasciare abbandonata al degrado una struttura che,
ricordiamolo, è di proprietà comunale, può solo favorire l’instaurarsi di
fenomeni e derive pericolose e rischiose, come purtroppo le cronache di questi
giorni ci dimostrano. Non governare le situazioni di difficoltà e criticità è il
miglior modo per farle degenerare con il fondato rischio di non controllarle
più.
In questo momento non ci interessa neppure, paradossalmente, ragionare
sulla sentenza del Consiglio di Stato che ha dichiarato illegittimo il decreto "emergenza nomadi" e i successivi decreti attuativi che hanno determinato per
migliaia di nomadi l’esposizione a gravi violazioni dei diritti umani, come
denunciato da organismi regionali e internazionali negli ultimi anni e da un
recentissimo documento redatto da Amnesty International. Non ci interessa
ragionare ora come affrontare definitivamente la questione, anche se è
indispensabile e non prorogabile una di discussione serena e seria su questo
tema.
Oggi chiediamo "solo" che si intervenga subito a garantire condizioni di
vita civili, trovando una soluzione rapida almeno alla fornitura della corrente
elettrica! Perché vorremmo essere convinti di vivere ancora in una città civile
dove non devono passare 6 mesi perché si riesca ad attivare un’utenza elettrica.
Gruppo SEL in Consiglio di Zona 2
Di Fabrizio (del 18/12/2011 @ 09:14:50, in media, visitato 2278 volte)
Filippo Facci come scrivevo
più di un anno fa, è uno scribacchino atipico: voltagabbana, a tratti
servile, e con un ego sovradimensionato, ma ammettevo che quando scrive del
tormentato rapporto tra rom, popolazioni autoctone e razzismo lo fa con una
lucidità rara.
Un suo nuovo scritto pubblicato da
Il Post mi conferma questa impressione, e vi invito a leggerlo con
attenzione.
Ma qua, partono i necessari distinguo:
- Neanche a me piace l'abitudine, tutta italiana, di schierarsi per forza
tra guelfi e ghibellini. Però... se nell'arco di pochi giorni le
piccole, quotidiane violenze che segnano il NOSTRO rapporto con chi
percepiamo come straniero, hanno due picchi violenti come quelli di Torino e
Firenze, è doveroso interrogarsi sulle cause politiche di quel titolo:
Siamo razzisti? Sì. I vari Berlusconi, Borghezio e
compagnia, avranno pure delle responsabilità nel cambiamento antropologico
in senso razzista dell'Italia. Provo a spiegarmi meglio: il razzismo non può
essere una scusa per giustificare le colpe di chi ha avuto ruoli di
responsabilità negli ultimi decenni, casomai ne è una delle cause.
- Non si tratta del gesto di un folle: che sia un corteo di incendiari
(come a Torino, a Ponticelli, a Opera), o si tratti di responsabilità singole (Carreri a Firenzi,
Breivik a Oslo). Si è formato in tutta Europa un quadro che giustifica la
follia, la noia, il bisogno di distinguersi, ad esprimersi in atti violenti
verso determinate categorie, guardacaso Rom, Sinti, stranieri, portatori di
handicap.
- Facci scrive "la ragazzetta di Torino è una mitomane che sconfina
nel cretinismo: il contesto disegnatelo voi." Chi reggeva le torce
accese, chi minacciava i giornalisti a Torino, gente matura magari, faceva
parte dello stesso contesto di quella ragazzina. Per comodità li
classifichiamo come mostri, ma i mostri veri sono la camorra, che per
liberare un'area edilizia appetibile ha mandato
in riformatorio senza prove una ragazza madre, e dato fuoco a rifugi di
poveracci. Mostro è chi a Opera aizzò la folla già scalmanata di suo, e
l'anno dopo incassò la carica di sindaco.
-
Essere zingari è un'aggravante? Ho paura di sì. Facci ha il coraggio di
ricordare come l'immagine della zingara rapitrice di bambini sia una
colossale bufala storica. Se di coraggio di uno scrittore vogliamo parlare,
in fondo non gli costa niente, ma di sicuro non è una posizione comoda per
chi si rivolge a lettori di destra.
- Smontato uno stereotipo, però ricade (preso dal suo eccesso di realismo)
in un altro: quello dello zingaro ladro. Si dimentica che di ladri in
circolazione abbiamo un vasto campionario, e che senza scomodare i suoi
compari di casta/classe (non di schieramento, il fenomeno riguarda tanto destra che
sinistra), c'è chi lo fa in maniera
più o meno furba. Sfugge a Facci, come a tanti altri, che non è l'etnia,
ma la condizione di vita. Nel comodo delle nostre case con porte blindate ed
antifurto, siamo pronti ad idealizzare la Palestina, l'Egitto, il Sud Africa
o la Colombia... un giro in quegli slum ci mostrerebbe un'umanità dolente e
piene di speranze che ruba, figlia, si ammala e muore con
percentuali del tutto simili ai Rom e Sinti nostrani. Ma senza andare nel
"terzo mondo", un giro in qualche quartiere USA del "primo mondo"
restituirebbe la medesima realtà. Ma quelli, sono i poveri lontani, i loro
odori e le loro grida diventano innocuo esotismo.
- Allora, quello che scandalizza il benpensante, di destra e di sinistra,
non è il furto, ma la sua necessità (che deve anche essere prossima,
altrimenti non se ne accorge). Perché tutti amiamo crederci buoni,
democratici, autosufficienti. Ma il pensionato beccato al supermercato con
due scatolette di tonno nascoste nella giacca, ci porta la miseria allo
specchio, chi ruba per fame in un mondo di prosperità lo fa perché ha sua
volta è stato deprivato (derubato) dei valori occidentali di vita, compreso
il pieno accesso ad istruzione, casa, lavoro, sanità. Invece, fiduciosi nel
NOSTRO progresso, non solo vogliamo essere ricchi, ma pure amati dai poveri, perché così la NOSTRA coscienza (di classe?) non ci pone domande scomode.
Paradossalmente, diventiamo cattivi quando questo ci è negato.
- Facci cita il Porrajmos, un olocausto dimenticato e tutto particolare.
Lo fa, sapendo quanto la nostra sia una bontà di facciata, per cui VOGLIAMO
DIMENTICARE i nostri antenati che fecero del Porrajmos, della Shoa, ma anche
dei massacri in Africa e nelle Americhe: non un isolato episodio di
razzismo, ma un sistema pianificato di arricchimento, sterminio e terrore. Ci stupiamo
che qualcuno sia sopravvissuto, emigri perché non abbia più di che vivere e
soprattutto abbia l'ardire di presentare il conto. Cosa che possono fare gli
Israeliani, forti di uno stato e di un esercito mica male, non i Rom e Sinti
che vivono tuttora in eterno dopoguerra. E allora, dagli allo zingaro!
- VOGLIAMO DIMENTICARE, e l'abbiamo fatto, come eravamo nel dopoguerra o
quando si emigrava, perché nuovamente ci vergogniamo della povertà. Razzismo
ha tanti significati e radici, questo è quello attuale. Ma ricorda un
articolo del
Corriere (uscito in concomitanza con quello di Facci) che c'è un
ulteriore differenza: il nomadismo. Che secondo il Corriere
può aprire le porte dei cieli (spero che qualche zingaro si sia fregato la
chiave per tempo) e secondo il più realista Facci non ha più ragione di
essere. Il Corriere ricorda come furono nomadi anche gli Ebrei, ma
dimentica che tutti i popoli che diedero vita agli stati moderni lo sono
stati, finché non fecero a botte per trovare una terra dove potersi fermare.
Potersi fermare, non dimentichiamolo, significa avere la possibilità di
cacciare qualcun altro. Non chiamiamolo NOMADE, allora, chiamiamolo
SGOMBERATO. Se ci intendiamo sulle parole, forse saremo già in grado di
intravedere le soluzioni.
Cliccare sull'immagine. Quello che riporto qui sotto, è la
necessaria sintesi
Il Dirigibile di Daniele Barbieri
In poche ore Torino e poi Firenze. Ho provato a scrivere quel che penso in forma
di poesia: mi sono ispirato a Martin Niemöller (chi non lo conoscesse troverà,
alla fine, una breve nota biografica).
«Prima venne la Lega contro gli immigrati
ma io non dissi nulla
perché non sono un migrante.
Poi dichiararono clandestini persino i bambini e le donne incinte
io non dissi nulla
perché mia moglie e mio figlio sono italiani.
Poi accaddero cose terribili a Novi Ligure, a Erba, a Ponticelli....
e io non dissi nulla
perché abitavo altrove e dunque non sono affari miei.
Poi peggiorarono le condizioni di vita e di lavoro nelle fabbriche
ma perché avrei dovuto dire qualcosa?
io non sono un operaio.
Poi tassarono solo chi aveva pochi soldi
forse avrei potuto dire qualcosa
ma speravo lo facesse qualche altro.
Nello stesso periodo spesero montagne di soldi in armi
di nuovo pensai che avrei potuto dire qualcosa
ma ero quasi sicuro che questo compito spettasse ad altri.
Poi bruciarono il campo rom di Torino
e io non dissi nulla
perché non sono un rom.
Poi ammazzarono due senegalesi a Firenze
e io non dissi nulla
perché non sono senegalese.
Poi vennero ad arrestarmi.
Non so neanche perché,
avevo solo mugugnato.
Sperai che molti mi difendessero
però nessuno lo fece.
Forse nessuno di quelli rimasti si chiama Daniele».
Martin Niemöller era un pastore protestante che all'inizio si fece sedurre
da Hitler ma poi capì e divenne un coerente e coraggioso oppositore del nazismo.
I suoi sermoni infastidirono il regime ma per qualche anno ebbe relativamente
pochi guai: di certo gli giovò l'avere amicizie influenti ed essere uomo di
Chiesa. Nel 1937 la relativa tolleranza verso Niemöller (e altre/i) finì. Venne
arrestato dalla Gestapo. Rimase sino alla fine della guerra in vari lager (fra
cui Dachau) ma si salvò. Nel dopoguerra si impegnò nella riconciliazione ma
chiedendo che il popolo tedesco non chiudesse gli occhi sulle radici
dell'orrore, sulle complicità, sui silenzi. Proprio una sua poesia sull'apatia,
sul silenzio divenne famosa. I versi di «Prima vennero» furono letti (persino
cantati) in molte versioni e diverse occasioni. Come capita spesso vennero
attribuiti per errore ad altre persone (in questo caso a Bertolt Brecht). Quando
chiesero a Niemöller quale fosse il testo originale disse di non ricordarlo.
Forse era vero oppure intese significare che in fondo era importante il senso
della poesia non le parole esatte. Per questo anche io (come alcuni anni fa
Lorenzo Guadagnucci, a proposito del decreto «anti lavavetri» di Firenze) mi
sento autorizzato a darne una mia interpretazione.
Di Fabrizio (del 16/12/2011 @ 09:11:47, in Italia, visitato 1459 volte)
Segnalazione di Maria Derossi
di Lidia Ravera
Dunque la fatale membrana ancora miete vittime. Ancora si investe sulla
verginità delle figlie. Perché così vuole la Chiesa. Perché così vuole il futuro
acquirente, il marito d'una volta, quello che ci teneva a infilarsi per primo
nell'angusto orifizio femminile, a scopo di libidine o di procreazione. Un tuffo
nel modernariato, di cui si potrebbe anche sorridere se non fosse diventato così
frequente, fra le adolescenti, la scelta di cavarsi dai guai, accusando gli
extracomunitari.
Dieci anni fa a Novi Ligure la sedicenne Erika caricò su due innocenti albanesi
il fardello di un duplice delitto. I due rischiarono il linciaggio. Tre giorni
fa a Torino l'adolescente "Sandra", ha caricato sui Rom la sua prima esperienza
sessuale. Erika voleva evitare la galera, Sandra l'ira di una madre bacchettona,
repressiva, arretrata.
Qual è l'unico modo accettabile di perdere la verginità? Dichiarare che te
l'hanno rubata. E qual è il ladro più gradito? Lo zingaro. Accusa lo zingaro e i
tuoi amichetti avranno un'occasione per scaricare il testosterone in eccesso. La
comunità in cui sei cresciuta non ti espellerà. Tua madre potrà girare a testa
alta: una figlia violata da uno zingaro, vale quanto una figlia illibata. Anzi
di più. Mette d'accordo i precetti della Chiesa e quelli di Telepadania.
il Fatto Quotidiano, 14 dicembre 2011
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