Tiscali: sociale
BOLOGNA – "Mi piace andare a trovare i Rom. Di solito non è un'esperienza
piacevole, perché non scelgo mai le comunità più floride. Vado nelle cloache.
Non per il gusto perverso della miseria, al contrario. Semplicemente perché in
Europa ce ne sono troppe ed è giunto il momento di fare qualcosa. Sono posti in
cui la miseria è allucinante. Mi viene da dire, fuori dal mondo. Sono posti
fuori dal mondo". Queste paroole sono del fotografo Alain Keler, che ha
attraversato l'Europa sulla sua Skoda per visitare i campi Rom di diversi Paesi,
compresa l'Italia. Al suo ritorno ha raccontato le sue esperienze all'amico
disegnatore Emmanuel Guibert che, insieme a Frédéric Lemercier, ne ha fatto un
reportage a fumetti e fotografie uscito a puntate in Francia sulla rivista XXI e
poi in Italia nel volume "Alain e i Rom" (Coconino Press). "Alain tornava dai
suoi viaggi e me li raccontava – spiega Guibert – è un momento cruciale quello
del ritorno, pieno di storie e aneddoti e del bisogno di raccontarli e, se non
c'è una pubblicazione immediata, il calore si perde". E rispetto ai recenti
fatti di cronaca, commenta: "Quello che è successo a Torino fa paura, ma non è
un caso isolato, il mio amico Alain mi ha raccontato episodi simili accaduti in
Repubblica Ceca, purtroppo l'odio cresce nelle situazioni di crisi". Ecco
perché, continua, "dobbiamo parlare, non lasciare che le cose avvengano nel
silenzio e mostrare gli esempi di persone che fanno qualcosa a livello locale:
la risposta è qui".
Il libro "Alain e i Rom" si apre con una prefazione di don
Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e di Libera, in cui si legge: "Le foto
di Alain Keler ci aiutano a gettare luce su quella che spesso sentiamo
etichettare come ‘emergenza', ma è invece una situazione ormai consolidata di
degrado e marginalizzazione". I Rom, insomma, fanno "notizia" solo nel caso di
eventi drammatici, come nel caso di Torino di qualche giorno fa, altrimenti
nessuno si ricorda di loro e delle condizioni in cui vivono. Lo dimostra anche
il caso del fotografo Alain Keler che ha girato il mondo, lavorando per le
agenzie di stampa, ma quando ha smesso e ha deciso di occuparsi di ciò che lo
interessava, non ha più venduto nemmeno una fotografia. Perché si tratta di
soggetti difficili. "Ai quotidiani interessano i fatti drammatici – dice Guibert
– mentre il ruolo delle riviste e dei libri è diverso, si prendono il tempo e lo
spazio per raccontare le cose: è anche l'ambizione di questo libro, dare l'idea
di un posto, delle persone che ci abitano, far sentire le loro voci, mostrare i
loro volti". Conoscerli, in una parola. "Non abbiamo fatto altro che ripetere
cose che tutti sanno – continua Guibert – che la maggior parte dei Rom non è più
nomade e che, quando se ne va da un posto, è per l'impossibilità di viverci".
Il libro di Keler, Guibert e Lemercier ha anche questo pregio, di mostrarci i
campi Rom a poca distanza dalle nostre case, alle periferie delle nostre città,
di farci incontrare le persone che ci vivono e quelle che con loro lavorano per
cambiare le cose. "Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, Alain aveva già
fatto la maggior parte dei suoi viaggi, ma l'ho accompagnato a Parigi – racconta Guibert – e sono entrato in posti di cui conoscevo l'esistenza ma in cui non mi
ero mai fermato, ho conosciuto le persone che ci vivono e i volontari che
lavorano per cambiare la situazione". Tra loro c'è anche Ivan Akimov, slovacco
che ha vissuto per molti anni in Francia e che, insieme alla moglie Helena, ha
creato i Kesaj Tchavé, un gruppo di giovani musicisti, ballerini e cantanti Rom.
Come racconta Alain Keler nel sesto capitolo del libro, ogni giorno, Ivan,
insieme alla moglie Helena, fa il giro dei villaggi e delle baraccopoli di
Kežmarok in Slovacchia per portarli a suonare e ballare. Grazie a Ivan Akimov, i
Kesaj Tchavé hanno suonato anche in Francia, a Parigi. "Ho assistito a uno di
quei concerti e fa un bene incredibile" dice Guibert.
Ivan è una di quelle persone che cercano di cambiare le cose. E racconta Guibert,
"anche se il suo lavoro non durerà per sempre, almeno è riuscito a modificare la
prospettiva del mondo esterno per quei ragazzi". Ma non è l'unico. Insieme a lui
ci sono Jeanne, Colette, Antonio e altri di cui veniamo a conoscenza leggendo
"Alain e i Rom". "Ho un'ammirazione senza limiti per loro – dice Guibert – Sono
persone che non fanno un discorso convenzionale sui Rom, che parlano con voce
franca senza nascondere i problemi, che, dopo generazioni di pregiudizi,
violenza e sfiducia, cercano di cambiare la situazione, dedicando la loro vita,
o solo una parte, a lavorare con queste persone". Ed è quello che ha fatto con i
suoi reportage Alain Keler. "Alain ha deciso di raccontare come vivono i Rom
d'Europa perché ha origini ebree e i suoi nonni sono morti nei campi di
sterminio nazisti – spiega Guibert – Per questa ragione non può sopportare la
discriminazione e il razzismo che colpisce i Rom: per lui è un dovere e anche io
ho sentito di dovermi mettere a sua disposizione per far conoscere il lavoro
paziente e segreto che fa, come si dice in Francia, contro il vento".
15 dicembre 2011 - di Redattore Sociale