In un commento al mio terzo articolo sull'intolleranza fra tzigani e gadje' in
Ungheria, mi e' stato chiesto di spiegare qualcosa di piu' riguardo
all'Autogoverno Nazionale Rom di cui, appunto, parlo. Non smentendomi mai quando
qualcosa mi prende e sento di essere in grado di dare un piccolo contributo - ed
avendo un po' di tempo libero - avevo preso la tastiera e iniziato a
scrivere, salvo accorgermi alla fine che la mia risposta era venuta talmente
lunga da avere la struttura non piu' di un semplice commento, ma di un nuovo
articolo che avrebbe potuto benissimo integrare gli altri tre gia' scritti
sull'argomento. Ecco dunque, per chi fosse interessato, di cosa si tratta quando
si parla di sistema di autogoverno nazionale per le minoranze.
Creato nel 1993, il sistema di autogoverno avrebbe dovuto permettere ad ognuna
delle centotrentadue minoranze riconosciute in Ungheria di stabilire forme
locali, regionali e nazionali di autogoverno. L'Autogoverno Nazionale Rom (Országos
Roma Önkormányzat oppure Országos Cigány Önkormányzat), dunque, non si
differenzia da ogni altro autogoverno nazionale delle minoranze, come ad esempio
quello rumeno o tedesco che formalmente e sostanzialmente hanno identiche
funzioni.
Questi organi elettivi, che sono paralleli alle principali istituzioni, ma non
ne sostituiscono le funzioni, hanno soprattutto il compito di prendere decisioni
in materia di istruzione locale, sulla protezione delle tradizioni e della
cultura, e sulla lingua da utilizzare nelle istituzioni pubbliche e nei mezzi di
comunicazione stampati ed elettronici.
"Il nostro obiettivo e' quello di rappresentare i Rom ed aiutare il governo
locale a costruire ed operare in linea con quelle che sono le necessita' della
comunita'. E' importante per noi la legalita', la professionalita' e la
moralita'. Il nostro interesse comune e' quello di preservare i nostri valori e
la nostra identita', concorrendo allo sviluppo rurale e alla creazione di nuovi
posti di lavoro. Crediamo che in molti casi lo sviluppo vada oltre gli interessi
specifici delle comunita' locali, i comuni, le province, perche' in tutto il
paese, operando insieme, possiamo rafforzarci a vicenda."
Questo e' cio' che sta scritto nei propositi e nelle intenzioni, e i
rappresentanti dell'Autogoverno Nazionale Rom tentano di farlo contribuendo a
tutte le questioni che riguardano la minoranza Rom locale attraverso l'accesso
garantito alle riunioni del consiglio comunale, oppure tramite altre funzioni
speciali che vengono stabilite dallo stato centrale a seconda delle esigenze
contingenti del momento.
Oggi ci sono oltre 1.100 Autogoverni Rom locali in Ungheria e perche' un
autogoverno sia formato trenta persone, appartenenti ad un gruppo di minoranza e
residenti nello stesso comune, devono registrarsi e partecipare alle elezioni.
Fin dall'inizio, giuristi, studiosi e politici vari hanno espresso
preoccupazione per un sistema di governo separato in grado di deliberare sulle
questioni delle minoranze. Cio' anche a causa di vari ed evidenti problemi
procedurali. Nel 1997, in una conferenza a tre (il Consiglio d'Europa, l'Ufficio
del premier ungherese, e i rappresentanti degli autogoverni nazionali) che aveva
lo scopo di valutare il funzionamento del sistema, sono stati individuati molti
problemi: competenze poco chiare, mancanza di differenziazione tra i bisogni
delle varie minoranze, carenze di finanziamento, nonche' una scarsa
emancipazione degli elettori, indipendentemente dall'appartenenza etnica.
Quest'ultimo problema, combinato al fatto dei molti candidati che cercavano di
rappresentare gruppi di minoranza a cui non appartenevano, ha portato a casi,
come quello nella comunita' di Jászladány, di non rom (eletti da elettori non
rom), che in realta' avevano come finalita' quella di limitare l'efficacia
dell'Autogoverno Nazionale Rom locale.
Per risolvere alcuni di questi problemi, nel 2005, dopo anni di negoziati, il
Parlamento ungherese ha approvato una serie di modifiche al sistema di
autogoverno. I cambiamenti riguardano una piu' chiara definizione delle
competenze, il rapporto con il governo locale, e l'istituzione di meccanismi di
maggiore trasparenza per supervisionare i fondi destinati alle varie minoranze.
Queste modifiche hanno anche corretto parzialmente il problema che
nell'autogoverno fossero eletti cittadini non appartenenti a quel gruppo di
minoranza, esigendo che i candidati fossero nominati solo dagli appartenenti
alla minoranza stessa e che gli elettori registrati per eleggerli dovessero
ufficialmente dichiarare la loro etnia.
Ma anche se le modifiche hanno prodotto dei miglioramenti, non hanno affrontato
i problemi inerenti al modo in cui il sistema e' stato progettato, cioe' la
tendenza a marginalizzare le questioni delle minoranze, depositandole su una
struttura semi-governativa parallela molto limitata nelle sue funzioni,
piuttosto che affrontarle con veri e propri strumenti istituzionali.
Percio', seppur il sistema sia chiamato "autogoverno", tale termine e' improprio
in quanto la gamma delle sue competenze e' ben lungi da quelle che dovrebbe
avere un vero autogoverno. L'Autogoverno Nazionale Rom non ha, infatti, l'autorita'
di agire al di fuori di un ambito molto limitato di funzioni ed assomiglia piu'
ad una ONG che ad un organo elettivo. L'uso del termine "autogoverno", dunque,
non e' solo impreciso, ma in realta' danneggia la credibilita' e la legittimita'
dell'intero sistema tra i rom, in quanto suscita aspettative irrealistiche che
non vengono quasi mai realizzate nei fatti.
Tutto il difetto sta nel modo stesso in cui il sistema e' stato progettato che
gli impedisce di avere un impatto significativo sui temi di maggiore interesse
per la maggioranza dei rom e ne ostacola subdolamente l'integrazione politica.
Cio' e' dovuto al fatto che non era una vera integrazione politica l'intento
iniziale del governo quando lo ha creato. Piuttosto, il vero obiettivo era
quello di dare alle minoranze una salvaguardia per preservare le diverse
tradizioni culturali e linguistiche, ma soprattutto - secondo l'opinione di
molti – era un modo per incoraggiare i paesi vicini a fare la stessa cosa, cosi'
da permettere alle comunita' di minoranza ungherese lo stesso privilegio.
Gli Autogoverni Nazionali Rom, in ogni caso, non sono adeguatamente finanziati.
Soprattutto a livello locale mancano finanziamenti sufficienti per svolgere
entrambe le funzioni che erano l'intento originario del sistema: quella
socio-culturale, e quella di promuovere ulteriori progetti per migliorare le
condizioni di vita dei membri della comunita'. Con un budget bassissimo, di
appena tremila dollari l'anno, destinato ad ogni "cellula", senza che vengano
considerate le dimensioni della citta' o della popolazione, un Autogoverno
Nazionale Rom da solo non puo' coprire che un modesto stipendio per un
dipendente a tempo parziale incaricato di coordinare il lavoro dei suoi
rappresentanti eletti. Per tale motivo, i fondi stanziati dallo stato vengono
spesso integrati anche con aiuti che giungono a sostegno, come finanziamenti da
parte di privati e enti religiosi.
Gli Autogoverni Nazionali Rom sono autorizzati a distribuire tali fondi
sottoforma di aiuti a imprese, sostegno a famiglie oppure come borse di studio,
e cio' puo', in molti casi, essere fonte di manipolazione e uso improprio di
questi soldi. Ovviamente, come si puo' ben capire, tutto cio' crea contrasti e
conflitti all'interno della stessa comunita' rom.
Il mio parere - e non solo il mio - espresso piu' volte in varie occasioni, e'
che pur riconoscendo le carenze inerenti alla progettazione iniziale del
sistema, gli Autogoverni Nazionali Rom debbano innanzi tutto favorire una
maggiore partecipazione (ed inclusione) politica degli appartenenti alla
comunita'. Cosa che non puo' avvenire se non si allarga la base di persone
istruite. Il rischio, infatti, e'che a gestire gli autogoverni e ad essere
eletti siano in fondo sempre le stesse persone, per questo necessitano maggiori
fondi a sostegno dell'educazione e dell'istruzione. Oltre a cio', Autogoverni
Nazionali Rom e ONG, insieme, dovrebbero svolgere non solo un ruolo piu'
importante nel monitoraggio delle politiche dei governi locali e nazionali,
soprattutto per cio' che riguarda la trasparenza nei criteri con i quali vengono
assegnati e ripartiti i fondi, ma anche una funzione istituzionale di
monitoraggio ed eventuale denuncia laddove venga ravvisata una violazione dei
diritti umani.
Si registreranno incidenti razzisti e xenofobi al fine di combatterli
Il Ministro degli Interni creerà un registro per i casi verificatisi
Durante l'ultimo Consiglio dei Ministri il governo ha approvato un documento
a lungo sostenuto dalle OnG che lottano contro il razzismo. Il documento,
che offriamo ai nostri amici e lettori, si intitola "Strategia Integrata contro
il Razzismo, la Discriminazione e la Xenofobia." Prevede la creazione di un
registro sugli incidenti razzisti e discriminanti e chiede la modifica del
Codice penale, per punire qualsiasi atto di incitamento all'odio. Per questo
andrebbero aboliti gli articoli 510 e 607 del Codice Penale, al fine di
eliminare le differenti interpretazioni dei tribunali riguardo a questi delitti.
Si ritiene così di articolare e stimolare le azioni che sviluppano i poteri
pubblici e la società civile nella loro lotta contro il razzismo e la xenofobia
per cercare di dare una risposta più efficace di fronte a queste situazioni, con
strumenti simili a quelli di altri paesi europei.
La strategia è rivolata a tutta la società, anche se contempla situazioni
specifiche di gruppi specifici come i gitani o quei cittadini che si trovano in
situazione di maggiore vulnerabilità. E tutto perché si riconosce che sono
presenti nella società spagnola atteggiamenti e manifestazioni discriminatorie,
come i fatti di violenza ed odio di origine etnica o razziale.
Come Unión Romaní è nostra intenzione che tutte le persone di buona volontà,
tutti i democratici, ricevano questa notizia con la fondata speranza che possa
contribuire al consolidamento di una società migliore.
Dale Farm ha monopolizzato i titoli dei giornali negli ultimi mesi. Ma
come prova Alex Turner, ci sono innumerevoli esempi di Traveller che lavorano
con successo assieme ai proprietari terrieri
I titoli nei giornali degli ultimi mesi hanno reso una triste immagine per le
comunità zingare e viaggianti in GB.
I 10 anni di lotta contro lo sgombero tra i residenti a Dale Farm ed il
consiglio di Basildon, giunto ad un violento epilogo il mese scorso, ha portato
l'attenzione pubblica sul conflitto tra i Traveller ed i consigli locali, col
diritto ad una sistemazione decente al centro dell'argomentare. Si aggiunga a
ciò la proposta dell'inizio dell'anno di Eric
Pickles, segretario alle comunità, per dare ai consigli maggiori poteri nello
sgomberare gli zingari dai siti illegali, e potrete immaginare i Traveller di
fronte ad una costante battaglia contro le autorità.
La situazione reale è spesso più armoniosa di quanto la recente copertura
mediatica potrebbe farci credere. Presso il sito per zingari e viaggianti di Cemetery Road,
a Silverdale non lontano da Newcastle-under-Lyme - 19 piazzole, Housing Aspire
ha portato notevoli miglioramenti dopo la consultazione con i residenti.
Secondo Chris Whitwell, direttore dell'associazione caritativa "Friends, Families and
Travellers", questo tipo di approccio positivo verso la gestione del sito, può
alla lunga impedire frizioni occasionali tra comunità viaggiante e stanziale.
Dice: "Girando in lungo e in largo per il paese, l'esperienza mostra che siti
zingari e viaggianti ben gestiti non causeranno problemi con la comunità
locale."
Il lavoro, finanziato da 200.000 sterline dalla Homes and Communities Agency and Aspire,
ha incluso nuovi bagni e cucine, ed anche il rinnovamento dell'impianto luce e
riscaldamento. Nel sito è stato anche rinnovato e allargato il centro
comunitario, che ospita un'aula scolastica per i figli di alcuni residenti.
Come qualsiasi altro
Il direttore del distretto Aspire, Kevin Davies, che ha responsabilità operative
per il sito di Cemetery Road, conferma le impressioni di Whitwell. "I
bambini frequentano le scuole locali, e non ci sono grandi questioni tra la
popolazione zingara e viaggiante ed i residenti nell'area circostante," dice.
"Trattiamo i nostri residenti a Cemetery Road, come tutti gli altri delle nostre
8.500 proprietà."
Il sito è gestito dal consiglio di
Newcastle-under-Lyme, che l'ha aperto nel 1993, fino a trasferirvi le sue azioni
nel 2000. Quando è subentrata Aspire, il lavoro da svolgere a Cemetery Road
equivaleva a zero.
"C'era da migliorare alcuni servizi," ricorda Davies. "Come parte del lavoro,
abbiamo anche aumentato il numero delle piazzole da 17 a 19."
Le due nuove piazzole beneficiano di accesso per disabili - un vantaggio in
una comunità delle età più diverse - ed il programma di investimento, ritagliato
sulle necessità individuali, si è dimostrato sorprendentemente popolare tra i
residenti.
"Questo sito è incantevole ed ora ha tutto ciò che si vuole," dice Rose*,
che ha vissuto a Cemetery Road sin dalla sua apertura. "La mia roulotte ha una
propria zona giorno, cucina e doccia, e c'è sempre acqua calda e fredda. Sono
arrivata con la mia famiglia, e ora qui ho anche tre figlie."
Legami famigliari
Avere la famiglia in loco è uno dei criteri per essere rialloggiati a Cemetery
Road, in base al contratto di gestione tra Aspire ed il consiglio di Newcastle-under-Lyme.
Attualmente le condizioni di licenza stanno per essere rivedute, per portare i
diritti di successione in linea con gli altri contratti di locazione di Aspire -
a cui si ispirano sotto molti aspetti.
"I candidati ci approcciano direttamente - ovviamente devono essere
Traveller," dice Davies. "Li mettiamo in lista d'attesa e contemporaneamente
come priorità nel caso ci fossero esigenze particolari - mediche, connessioni
locali ecc. - secondo la politica che applichiamo con tutti i richiedenti.
La popolarità di Cemetery Road ha significato scarso turnover di residenti
negli ultimi anni. Come risultato: una lunga lista d'attesa per i richiedenti,
anche se la funzionaria Carol Yeardley tende a sottolineare i benefici di questa
stabilità.
"I problemi di gestione sono simili a quelli di molte altre tenute di Aspire,"
ci dice. "I nuovi incaricati devono impiegare tempo nel farsi conoscere, ma la
gente ha fiducia in noi. Siamo spesso nell'ufficio in loco ed i residenti sono
contenti di parlare con noi. Sotto un certo aspetto il sito è autogestito.
Storia del gestore del sito
Derek Mincher, 64 anni, è responsabile dei compiti giornalieri, come anche
delle piccole manutenzioni e della raccolta degli affitti, vive e lavora a Cemetery Road
sin dall'apertura nell'agosto 1993.
"La popolazione è aumentata con i figli ed i matrimoni e siamo cresciuti
assieme," dice. "Sei coinvolto nella loro vita sin dalla nascita."
"Si va ai battesimi, ai matrimoni e ai funerali, vedendo le cose buone e
quelle cattive."
Inoltre Mincher aiuta i residenti ad essere coinvolti nelle attività dentro e
fuori dal sito. Aggiunge: "Anche il consiglio ricreativo di Newcastle and North Staffs
è stato regolarmente coinvolto."
"Abbiamo castelli gonfiabili, tendoni e presto ci sarà un narratore zingaro.
Alcuni residenti hanno difficoltà nel leggere e scrivere, così se è necessario
raccolgo le loro lettere e gliele leggo."
Il personale neo assunto è invitato a visitare Cemetery Road, ed anche i
residenti della comunità stanziale, per incoraggiare una maggior integrazione
tra il sito ed il quartiere circostante.
"Ci sono ancora pregiudizi," dice Mincher. "Ci fu un caso in cui volevano
sposarsi ed avevano prenotato in un pub - ma quando lì hanno scoperto che si
trattava di un matrimonio zingaro, la prenotazione è stata annullata. Abbiamo
contattato Citizens Advice e la situazione si è risolta."
Mincher è orgoglioso della relazione di Aspire con i residenti di Cemetery Road.
Dice: "Sono qua a tempo pieno e se qualcuno ha bisogno, gli basta venie a
trovarmi."
Ho l'appoggio [dell'amministratore delegato] Sinead Butters - un visitatore
assiduo - di dirigenti, funzionari ed altri che mi sostengono nell'offrire
questo servizio."
Di Fabrizio (del 17/11/2011 @ 09:21:42, in media, visitato 1496 volte)
Internazionale 8 novembre 2011 14.40 - Le celebri immagini di Josef
Koudelka sono state pubblicate in un nuovo libro aggiornato e ampliato.
Christian Caujolle ha incontrato il fotografo.
Dato che non c'è più un direttore nell'ufficio parigino della Magnum e che
l'agenzia fotografica, a causa della crisi, ormai sta tutta su un piano, Josef
Koudelka si accomoda nella poltrona del capo: "Ho sbagliato tutto nella vita,
non sono mai stato né direttore né presidente", dice ridendo. I capelli e la
barba arruffata sono diventati bianchi, ma è un eterno ragazzo, a volte serio a
volte spiritoso, costretto a dedicarsi a un esercizio che non ama: parlare di
sé. Teme sempre di essere frainteso (dà degli esempi) e cerca, nonostante le
digressioni, di essere preciso. Lo aiuta uno schemino con le cose da fare,
diviso per fasce orarie di colori diversi. A quasi 75 anni, Koudelka non si
ferma mai, ha sempre bisogno di fare, guardare e dare forma. Oggi tocca al
Mediterraneo, che attraversa e fotografa da vent'anni. Entro il 2013 porterà a
termine il progetto "Marsiglia, capitale della cultura".
Guardare al futuro, produrre, far emergere le immagini non gli impedisce di
tornare incessantemente su quello che ha fatto. Continua a inseguire quello che
potrebbe aver dimenticato, o sopravvalutato, nei lavori passati. La prossima
tappa è l'incredibile presentazione a Mosca del suo progetto sull'invasione
dell'armata rossa a Praga. Una grande rivincita, accompagnata da mille copie del
libro, in russo, pubblicato da Torst, il grande editore ceco suo complice. Anche
se è sempre riservato, Koudelka è chiaramente emozionato.
Ma è per un altro ritorno al passato che ci incontriamo: Zingari, il libro che
l'ha fatto conoscere, è stato ripubblicato in sette paesi in una nuova edizione
ampliata. La storia del volume è istruttiva, quasi esemplare. Il giovane Koudelka, che comincia la sua carriera a Praga come fotografo in un teatro, fa
dei ritratti espressionisti e compone immagini molto grafiche.
Quello che c'è tra noi
Tra il 1962 e il 1971 comincia a sviluppare un lavoro a lungo termine su quelli
che all'epoca sono chiamati zingari. Nel 1968, con il sostegno di Anna Farova,
lavora insieme al grafico Milan Kopriva al progetto di un libro. "Non sapevo
niente di libri di foto. Sapevo solo che volevo somigliasse alla vita, al mio
rapporto con gli zingari, a quello che succedeva tra noi".
Il volume dovrebbe uscire a Praga nel 1970 ma, nel frattempo, Koudelka lascia la
Cecoslovacchia occupata. Le sue foto dei carri armati e della rivolta fanno il
giro del mondo e, attraverso Henri Cartier-Bresson, incontra Robert Delpire, il
mitico editore di Robert Frank, di molti fotografi della Magnum e di tanti
altri. Delpire vuole pubblicare il libro, ma in un'altra versione: 60 foto (di
cui 50 tratte dal progetto originale) escono nel 1975 con il titolo Gitans, la
fin du voyage (Aperture si aggiudica la versione statunitense). Un'edizione
speciale è pubblicata anche dal Moma di New York per accompagnare la mostra
fotografica. Il libro diventa subito un classico, una delle opere più ricercate
della fotografia del novecento.
La nuova edizione torna oggi in gran parte al progetto originale, anche se con
109 immagini, un formato più grande e un ritmo più narrativo rispetto alla
prima, rigorosa selezione. "Non volevo solo una collezione di belle foto. E
volevo che, anche se sono tutti scatti fatti tra gli zingari, il libro andasse
oltre". Nell'edizione francese Robert Delpire spiega che la scelta editoriale
non è sua, ma che la pubblica per amicizia, stima e rispetto. Si avverte
chiaramente uno di quei conflitti che possono esserci tra un autore e un editore
molto esigenti. E Koudelka non vuole parlare di come sono andate le cose per
"ammirazione, rispetto e amicizia per Bob. E poi sono così contento che l'abbia
pubblicato come lo volevo io".
Č la sua creatura: "Un progetto che ho portato con me, anche fisicamente, per
quattro anni. Ho avuto il tempo di capire cosa andava e cosa no. Ho lasciato la
Cecoslovacchia con 154 foto sugli zingari. L'essenziale del libro era già lì. Č
una storia, una storia di persone, di me con queste persone la cui musica mi ha
attirato e m'incanta tutt'ora. Erano le stesse persone di cui si diceva
‘chiudete le porte, arrivano gli zingari e ruberanno le galline'".
La maggior parte degli scatti sono verticali: "Questo ha avuto un peso
importante nell'organizzazione del libro, nel ritmo che il grafico Milan Kopriva
ha saputo inventare. L'altra persona fondamentale per questo progetto è stata
Anna Farova. Č lei che mi ha aiutato a strutturare le immagini, e a non
dimenticare niente". Sono le due persone a cui il libro è dedicato.
La giusta distanza
A Koudelka non piace commentare il suo lavoro. Non ha un punto di vista, dice,
sulle sue incredibili inquadrature dal respiro naturale, dalla giusta distanza.
Ammette però che "ci vuole un obiettivo da 24 millimetri perché tutto sia nitido
in spazi spesso molto ristretti e con poca luce. Poi ho cambiato, non volevo
ripetermi. L'obiettivo ti dice come fare".
Ma non dice niente sulla grana delle immagini, spesso così particolare e
sensuale, sui negativi difficili, sviluppati senza prendere troppe precauzioni.
Non ripetersi, è anche la ragione per cui non ci sono foto recenti di zingari.
"Č una generazione che non esiste più. Quando sono tornato a Praga nel 1991,
sono andato a vedere. Sono sempre lì, le condizioni in cui vivono sono un po'
migliorate, ma poco, e la maggior parte di quelli che conoscevo sono morti. Ho
pensato che non avrebbe avuto senso ricominciare. Oggi è un altro mondo e prima
o poi qualcuno farà un lavoro formidabile a colori su di loro". L'importante è
"continuare a fotografare, perché ho la fortuna di averne ancora voglia e di
poterlo fare". Ma il libro rimane fondamentale. Ben più delle mostre che sono
"effimere".
Farà vedere il libro agli zingari, come faceva con le foto ("Mandavano baci e
ballavano per mostrare il loro apprezzamento")? "Certo, appena posso". Possiamo
immaginare che sfogliando le pagine, dietro l'elegante copertina bianca con il
sobrio titolo nero Cikáni, si ritroveranno, ameranno, balleranno e manderanno
baci.
Zingaridi Josef Koudelka contiene 109 fotografie scattate nell'ex
Cecoslovacchia (Boemia, Moravia e Slovacchia), in Romania, in Ungheria, in
Francia e in Spagna tra il 1962 e il 1971. Il volume è la versione aggiornata di
Cikáni (zingari in ceco), un libro che non fu mai pubblicato perché Koudelka
lasciò la Cecoslovacchia nel 1970. Le foto sono accompagnate da un testo del
sociologo Will Guy.
Dopo aver accusato la Moratti di razzismo per anni, Pisapia supera De
Corato i nomadi: a Milano li chiudono in un recinto
«Abbracciamo i nostri fratelli rom e musulmani». L'invito era stato urlato in
piazza dal leader di Sel, Niki Vendola, il giorno della vittoria alle Comunali
di Giuliano Pisapia. Sei mesi dopo i fratelli sono già diventati nemici. Dopo
aver ricevuto consulte di nomadi a Palazzo Marino, annunciato liste di attesa
per le case popolari e preparato progetti per l'acquisto di cascine in provincia
di Pavia, la giunta ha deciso di alzare un muro fra gli zingari e la città. Un
muro che nelle intenzioni dovrebbe impedire ai rom di accamparsi sotto le volte
del ponte Bacula, ma che simbolicamente mette a nudo l'ipocrisia di chi da
sempre si professa amico dei nomadi.
Il ponte ferroviario di piazzale Lugano dal 2008 è diventato il rifugio di
decine di disperati. La giunta Moratti lo ha più volte sgomberato fino a
realizzare nell'estate del 2009 - su proposta dell'allora vice sindaco Riccardo
De Corato - una cancellata in acciaio per impedire la costruzione di tende e
casupole di fortuna a due passi dai binari. Dopo mesi di tregua, gli zingari
sono tornati. Complice il clima di "tolleranza" e la decisione di revocare alla
polizia locale il compito di vigilare sul territorio. Subissato di lettere di
protesta, il Comune ha deciso di intervenire. Nessuno sgombero all'orizzonte.
Palazzo Marino intende costruire un muro che impedisca ai rom di accamparsi
sotto il cavalcavia, come ha annunciato l'assessore alla Sicurezza Marco
Granelli.
«L'ipocrisia di questo annuncio è sotto gli occhi di tutti – tuona De Corato -.
Questa giunta prima accoglie i rom nella sede del Comune promettendo cascine e
case popolari e poi pensa di risolvere un problema grave come questo con un
muro». Che, fra l'altro, potrebbe dimostrarsi assolutamente inutile. «I rom sono
ottimi muratori. Se si costruisse un muro loro praticherebbero un buco nel giro
di qualche giorno, e lo attraverserebbero – prosegue l'ex numero due di Palazzo
Marino -. Per risolvere il problema del ponte Bacula bisogna chiedere
l'immediato intervento delle Ferrovie dello Stato, che hanno l'obbligo di
mettere in sicurezza l'area. E realizzare un cancello di acciaio inossidabile,
da far pagare alle stesse Ferrovie. Questa severità di facciata, con la quale
questa amministrazione pensa di prendere in giro i cittadini, non potrà
attaccare».
Ne è convinto anche il capogruppo della Lega a Palazzo Marino, Matteo Salvini.
«Questa giunta non è credibile – conferma -. Parla adesso di un muro, dopo che
la Lega ha fatto tre sopralluoghi per denunciare la situazione del ponte». E poi
ci sono i dissidi interni, perché se da una parte il Comune pensa al muro,
dall'altra il consiglio di Zona 8 – maggioranza di centrosinistra – ha appena
approvato un documento che prevede di integrare quei nomadi offrendo loro una
casa. «Credo che sia il caso che si mettano d'accordo – conclude Salvini -.
Questa maggioranza è allo sbando, mentre il piano Maroni resta fermo. Fra
l'altro, l'unica soluzione per il cavalcavia è la recinzione che avevamo
realizzato noi. Non certo un muro».
di Daniela Uva - 16/11/2011
Commenti: Mettete un bel cancello in acciaio così dopo dieci minuti ve lo hanno già
fregato, ridotto a pezzi e rivenduto ai ferrivecchi. Quanto patetici siete a
Milano. Una bella grata attraversata da 20.000 Volt non sarebbe meglio?
Pensateci. di Alvit
Dalla redazione di Mahalla:
Direi che quei casinisti di Libero stavolta hanno centrato
in pieno.
Se proprio devo trovare un difetto, l'introduzione mi sembra confusa
come al solito, ma la cronaca non sbaglia: a Milano c'è una giunta che
(quatta quatta, zitta zitta) sta portando avanti la stessa politica che nei
loro tempi d'oro De Corato e Salvini conducevano con rulli di tamburo. Ovvio
che i due siano quantomeno agitati: pensavano che il copyright fosse loro,
non di un
Granelli ultimo arrivato!
Un appunto al simpatico commentatore: secondo me il cancello
d'acciaio andrebbe benissimo; ormai con la crisi che c'è, si parte la
mattina col furgone a raccogliere metallo, si gira tutto il giorno, e la
sera si torna a casa distrutti avendo guadagnato 10 euro (se va bene). Mi
sembra però che metterci la corrente a 20.000 volt sia un po' dispendioso
(per non parlare dei pericoli per ponte, ferrovia ecc.), costerebbe di meno
un comunissimo allaccio per la corrente civile. O forse ho capito male io le
intenzioni???
Rom e Sinti manifestano per la prima volta a Montecitorio. 22 associazioni
che hanno radunato almeno 200 persone con striscioni e bandiere. Negli scorsi
giorni, durante le alluvioni che hanno funestato il nord-ovest dell'Italia,
l'on. della Lega Nord Davide Cavallotto, manifestava sollievo perché le
alluvioni erano riuscite nell'impresa di sgomberare il campo nomadi abusivo sul
Lungo Stura a Torino. Oggi dinnanzi la Camera dei Deputati, la protesta dei
Sinti e Rom italiani rispondono alle dichiarazioni del deputato del
Carroccio, ma chiedono anche maggiori diritti, come: una tassazione meno dura
per i giostrai, case popolari al posto dei campi attrezzati e chiedono anche
l'istituzione di un giorno della memoria. "Chiediamo di essere riconosciuti come
popolazione, chiediamo il dono della memoria, perché anche noi siamo caduti in
tempo di guerra e l'Italia – dicono – è rimasta l'unica nazione a non
riconoscerci".
Presidio Sinti: 'Commercializziamo ferro in nero ma vorremmo essere
legalizzati'
C6.tv
Roma. Sono arrivati da tutta Italia per far sentire la propria voce. Sono i
Sinti delle diverse regioni del paese che ai piedi di Montecitorio chiedono a
gran voce il riconoscimento, come minoranza, dello status di Sinti. 'La seconda
cosa che noi chiediamo allo Stato è di essere legalizzati' ci racconta un
manifestante 'soprattutto nel lavoro. Noi compriamo e vendiamo ferro dalle
scuole e dai cantieri, ma lo facciamo in nero. In questo lo Stato ci deve
aiutare.' Servizio di Angela Nittoli
Di Fabrizio (del 16/11/2011 @ 09:05:09, in Italia, visitato 1529 volte)
...dagli insediamenti siti nel Comune di Milano, promossa dal Naga
(Associazione Volontaria di Assistenza Socio-Sanitaria e per i Diritti di
Cittadini Stranieri, Rom e Sinti).
Al Sindaco di Milano
Al Prefetto di Milano
L'associazione Naga si dichiara contraria ad ogni sgombero di insediamenti
abitativi di cittadini Rom nel Comune di Milano, in particolare di quelli che
non siano accompagnati da politiche di accoglienza e alternative valide, sia
in termini di migliori e più stabili condizioni abitative che di concrete
possibilità di integrazione scolastica e lavorativa, con il preventivo
coinvolgimento delle famiglie stesse.
Riteniamo che, a maggior ragione con l'arrivo delle basse temperature e di
avverse condizioni atmosferiche, vi debba essere la cessazione immediata di
qualsiasi sgombero.
Le motivazioni addotte dall'amministrazione per gli sgomberi effettuati
nell'ultimo periodo - vale a dire che si tratterebbe di insediamenti nuovi - non
possono essere un alibi per questo tipo di azioni. Come abbiamo più volte
sottolineato, gli sgomberi riguardano da tempo, nella maggior parte dei casi,
gli stessi gruppi familiari e non hanno altra conseguenza che aggravare le
condizioni di vita di queste persone e spostare il “problema” in altre zone. Né
possono essere un alibi generiche “esigenze di sicurezza” che, se fossero
veramente esistenti, andrebbero affrontate non con i soli sgomberi, ma con la
messa in sicurezza delle aree e la ricerca di soluzioni alternative.
Segnali allarmanti arrivano anche da insediamenti come quello di Chiaravalle
che, pur nel degrado e nelle serie difficoltà in cui versa, si può considerare
uno dei campi stabili e di lunga durata dell'area di Milano, dove abitano -
forse grazie alla sua stabilità - un buon numero di persone con un lavoro e
molti bambini con un'esperienza scolastica e formativa.
Chiediamo perciò all'Amministrazione comunale chiarimenti e garanzie in merito
alla salvaguardia delle condizioni di vita degli abitanti del campo.
Sulla base di queste premesse, con la presente petizione si chiede :
1. La sospensione immediata di ogni sgombero nel Comune di Milano che non sia
accompagnato da un serio e concreto sforzo di accoglienza alternativa per i
gruppi familiari.
2. La comunicazione pubblica del piano del Comune riguardo alle condizioni
abitative di cittadini Rom e Sinti presenti in aree dismesse e campi autorizzati
e del finanziamento degli interventi attuati e ancora da attuare.
Il tempo per pensare e per osservare non manca, fino a quando resto qui,
accanto al letto 14 dell'Unità Spinale. I giornali sul letto, la televisione in
sottofondo, il computer acceso per sfogliare il web. Ammetto di aver gioito in
silenzio, ieri sera, senza crudeltà e senza rabbia, ma giusto con quel tanto di
fiduciosa speranza in un cambiamento possibile, e quasi epocale, che non poteva
non accompagnarsi alle immagini delle faticose quanto ineluttabili
dimissioni di Silvio Berlusconi da presidente del Consiglio. A parte il giudizio
su di Lui, di cui si è scritto e detto anche troppo, ho pensato subito al
disfacimento di una innumerevole e costosa corte dei miracoli, governativa e
paragovernativa, che, specialmente negli ultimi anni, cioè in questa disperante
legislatura, ha dato prova talmente scarsa, in fatto di competenze e di
attendibilità delle decisioni, da meritare un rapido silenzio, un definitivo
oblio, senza ritorno.
Ecco perché stando qui, con le mie ossa in esposizione, adagiate su teche di
resina, come reliquie di una fragilità umana della quale dovrò finalmente e
stabilmente tener conto, non riesco ad appassionarmi al sangue, un po' vigliacco
e scontato, che si accompagna alle scene peraltro prevedibili e ovvie di giubilo
e di scherno nei confronti di Silvio. Il mio pensiero corre all'improvviso e
ormai quasi certo cambio di scena, come quando in teatro, tra un atto e l'altro,
si spostano le quinte, si cambiano gli arredamenti, entrano sul palco nuovi
protagonisti. Il volto di Monti è rasserenante. Dà la sensazione di avere già in
mente non soltanto le prime mosse, ma anche i dettagli, le strategie, i
collaboratori ai quali affidare, con metodo sperimentato in anni di lavoro in
alta quota, le politiche immediate, le misure congiunturali, gli scenari a breve
termine. La scelta dei ministri e dei sottosegretari, se corrisponderà al suo
profilo, e se i partiti glielo consentiranno (ma in questo senso un ruolo
decisivo lo sta giocando sicuramente il presidente Napolitano) ci porterà
improvvisamente a fare i conti con persone competenti nei singoli settori,
prevalentemente di estrazione universitaria, ma già fortemente connotati per una
lunga consuetudine al confronto programmatico con pezzi della società civile ed
economica del Paese.
Qui dal letto 14 avverto perciò un rischio tutt'altro che banale. Ossia temo che
il mondo del sociale, non solo della disabilità che ben conosco, ma più in
generale quella parte di società che ogni giorno vive su di sé e interpreta al
tempo stesso il welfare, il volontariato, la cooperazione sociale, la
sussidiarietà, la gestione dei servizi sul territorio, arrivi a questo
appuntamento con la Storia in una situazione paradossale, di massima stanchezza,
di logoramento, di sfiducia quasi rassegnata nel funzionamento delle istituzioni
pubbliche, specialmente statali.
E' invece adesso che dobbiamo, tutti quanti, trovare la forza e la lucidità
delle proposte migliori. Non solo la difesa, ovvia, dell'esistente, quando
riguarda i diritti essenziali delle persone più deboli (disabili, anziani,
vecchi e nuovi poveri, giovani, disoccupati, donne, immigrati, e così via), ma
anche l'attacco, ossia la proposta attiva di pezzetti di riforma possibile, di
miglioramento della qualità della spesa, di individuazione dei percorsi
virtuosi, di azzeramento di tavoli di discussione ridicoli (penso alla legge
delega sulla riforma dell'assistenza).
Dobbiamo cioè sforzarci di evitare che l'agenda di un governo tecnico di
emergenza sia dettata solo dagli euroburocrati che hanno messo in un angolo
Berlusconi e soci. Il modo per farlo è inserirsi attivamente, robustamente, in
modo visibile e forte, in questa fase di ripensamento del welfare, non delegando
ai poteri forti, alla finanza, alle banche, alle grandi imprese, agli opinion
makers che spesso sono totalmente sprovveduti o addirittura male informati
rispetto ai temi che ci stanno a cuore.
Mi piace immaginare che ci sia un parallelo tra la mia convalescenza lenta ma
costante e la cura ri-costituente di un governo che dovrà di volta in volta
conquistare sui singoli provvedimenti il più vasto e inedito consenso nel
Parlamento e nel Paese. In un certo senso a Roma può accadere adesso ciò che a
Milano stiamo sperimentando, fra mille fatiche e difficoltà, e anche
incomprensioni: un'alleanza creativa e operosa fra la parte più riformatrice
della società e la borghesia laica e cattolica che sa dove mettere le mani e la
testa. In questo modo, se avremo un po' di fortuna, potremo perfino aver voglia
di nuovo di far politica, nel senso più nobile e corretto del termine.
Una cosa è certa: in queste ore mi cresce la voglia di tornare a casa, di
riprendere il cammino, per quel che poco che potrò fare, da giornalista e da
cittadino. Speriamo.
Di Fabrizio (del 15/11/2011 @ 09:12:13, in Europa, visitato 1651 volte)
DA PS, IL 10 NOVEMBRE 2011
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha emesso una sentenza contro lo Stato
della Slovacchia nel caso della presunta sterilizzazione forzata di una donna
rom nell'ospedale di Presov nel 2000, ha informato ieri il Centro di consulenza
per i diritti civili e umani con un comunicato a tutti gli organi di stampa.
«Accogliamo con favore il verdetto. La Corte ha confermato ciò che il Centro di
consulenza andava sostenendo sin dalla sua costituzione un anno fa: donne rom
hanno subito una sterilizzazione forzata negli ospedali senza il loro consenso
informato», ha dichiarato Vanda Durbakova, avvocato di Barbara Bukovsky, la
donna rom che ha fatto la denuncia.
La Bukovsky avrebbe presumibilmente firmato un modulo di consenso per la
sterilizzazione nel reparto maternità dopo che, alla nascita del suo bambino, le
sarebbe stato detto che lei o il prossimo figlio rischiavano la morte se non si
fosse proceduto alla sterilizzazione. La donna ha affermato che all'epoca non
sapeva cosa si intendesse con il termine "sterilizzazione".
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha respinto l'affermazione che la
sterilizzazione si sarebbe dovuta fare a causa di "motivi di salute", dato che
questo tipo di procedura non è classificata come "salva-vita". La Corte ha anche
assegnato alla donna il compenso di 31.000 euro oltre ad altri 12.000 per
coprire le spese relative al processo.
(La Redazione)
NdR: il
comunicato
(.pdf in inglese) di Poradňa pre občianske a ľudské práva che sollevò il caso
VENERDI' 18 NOVEMBRE 2011 alle ore 18 presso la Sala delle Colonne – Banca Popolare di Milano (via san Paolo
12, Milano)
I ROM DI VIA RUBATTINO Una scuola di solidarietà
Elisa Giunipero e Flaviana Robbiati (a cura di)
Presentazione di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio
Collana Libroteca Paoline ISBN 88-315-4055-1
Milano, 19 novembre 2009: la baraccopoli di via Rubattino, occupata da circa
trecento rom, viene sgomberata dalle forze dell'ordine. Un'operazione gonfiata
ad arte per rassicurare i cittadini milanesi circa la presenza, guardata con
diffidenza e con sospetto, dei Rom. Questa operazione crea una reazione
inaspettata: i cittadini si mobilitano in favore dei rom. Famiglie milanesi
aprono la porta della propria casa per dare ospitalità ad alcune famiglie che
non avrebbero alternative reali alla strada. Tutto questo è avvenuto perché i
pregiudizi alimentati da una informazione tendenziosa hanno lasciato il posto
alla conoscenza reciproca.
Rom fa rima ancora oggi con allarme sociale e l'unica cosa che sembra restare è
il dovere di schierarsi. Sui rom ci si scontra senza mai fare una proposta o
indicare una possibile soluzione. Questo libro ha il grande vantaggio di
guardare in faccia la realtà così com'è, senza aggiunte né proclami, allo scopo
di provare a identificare una via da percorrere, pur consapevoli che non si
tratta di un cammino in discesa, ma certamente, per tanti motivi, in salita.
(dalla presentazione di Marco Impagliazzo)
Questo libro racconta la straordinaria avventura di incontro, solidarietà,
amicizia tra un quartiere di Milano e i Rom, avventura iniziata con l'iscrizione
a scuola di 36 bambini rom da parte della Comunità di Sant'Egidio. La scuola si
è rivelata così il primo luogo di un'integrazione, non facile ma possibile.
La rete di simpatia, buon senso, generosità, voglia di cambiare che ha
circondato i Rom di via Rubattino ha molto da dire al clima di antigitanismo che
sembra crescere in Europa. Gli autori di questo libro sono tanti: maestre,
genitori e alunni delle scuole, volontari, cittadini, giornalisti. Scritto come
cronaca diventa testimonianza di percorsi possibili e stimolo a cercare strade
di integrazione, unico futuro possibile.
A due anni esatti dallo sgombero e in occasione della Giornata dei diritti
dell'infanzia, il libro viene presentato dalla Comunità di Sant'Egidio e dalle
Mamme e maestre di Rubattino
Intervengono:
Maria Grazia Guida – Vicesindaco di Milano; Giangiacomo Schiavi – Corriere della
Sera; Gianni Zappa – Arcidiocesi di Milano; Corrado Mandreoli – CGIL; Garofita
Durusan – donna rom sgomberata da via Rubattino; Bianca Zirulia – Mamme e
maestre di Rubattino.
Musiche di Jovica Jovic.
Le Curatrici
Elisa Giunipero, della Comunità di Sant'Egidio, è impegnata nelle attività a
favore dei rom a Milano. Flaviana Robbiati, maestra elementare, da trentacinque anni insegna nella scuola
vicina a via Rubattino, a Milano.
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