Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 22/09/2005 @ 01:21:34, in media, visitato 1828 volte)
dalla BBC (che ha ancora la TV dei ragazzi!)
Consonella e Costel mostrano i loro diplomi per aver aiutato a girare un film sulla loro vita.
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Un gruppo di giovani Zingari, o Rom, Rumeni, che vivono in Gran Bretagna hanno contribuito a girare un film sulla loro vita. Il titolo è "Questo è ciò che io sono".
Girato col contributo fattivo della Children's Society, sono 30 minuti di video dedicati a insegnanti ed agenti di polizia per una migliore comprensione dei bambini rom.
Costel e Consonella raccontano perché hanno voluto girare il video.
"Vogliamo aiutare gli altri Rom a non avere gli stessi problemi che ci capitano in Romania. Lì le cose erano differenti e c'erano molti problemi con la polizia. Eravamo presi in giro e picchiati a scuola e ci insultavano, solo perché eravamo Rom.
Da quando tre anni fa siamo arrivati a Nottingham, non ci è successo più niente del genere. Ora voglio essere felice e vivere meglio
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Come tutti gli altri
Faccio quello che fanno gli altri ragazzi della mia età; come andare a scuola e fare i compiti.
[...] Mi piace il computer e giocare a pallone. Mi piace anche scrivere. Quando non sono a scuola, gioco al parco, leggo libri, oppure gioco al computer o guardo la TV.
Mi mancano le mie sorelle
Vivo in una appartamento con quattro fratelli, mia madre e mio padre. Tre mie sorelle sono rimaste in Romania. Mi mancano molto.
Regista
Girando il film mi sono divertito. Adoperavo la telecamera e intervistavo la gente sulla scuola e su cosa succede in Romania."
Costel, 11, Nottingham
"Mi sono divertita ad intervistare la gente a casa mia per il film.
La mia famiglia
Sono arrivata a Londra quattro anni fa e vivo in un appartamento con mamma, papà, mia sorella e quattro fratelli.
Mi piace tutto della scuola. A casa mi piace curare mia nipote e giocare al computer.
Consonella, 12, London
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Se conoscete qualcuno che sia interessato ad una copia del CD Rom, può contattare Heather Ureche di The Children Society - 020 7 639 1466 oppure per email: heather.ureche@childrenssociety.org.uk
riportato in British_Roma sullo stesso argomento anche qui:
Di Fabrizio (del 22/09/2005 @ 00:10:39, in Italia, visitato 2113 volte)
Segnalo da INFORM:
MIGRANTI
Corso per volontari promosso da Caritas di Roma, Arci e Comunità di Capodarco
“Zingari: il futuro è nell’oggi”
ROMA - La realtà degli zingari è complessa sia per le differenze sostanziali dei vari gruppi che per il rapporto esistente con il territorio, i cittadini, le istituzioni. Con una situazione sospesa tra il mantenimento della propria identità ed una reale integrazione sociale.
La Caritas diocesana di Roma, in collaborazione con ARCI e Comunità di Capodarco, organizza un corso di formazione - “Zingari: il futuro è nell’oggi”- per volontari, operatori ed insegnanti interessati ad approfondire la realtà degli zingari e ad impegnarsi a loro favore.
“E’ fondamentale avere la consapevolezza che entrare in relazione significa innanzitutto stabilire un rapporto con un popolo, che ha caratteristiche e cultura proprie e vive forme di disagio e di emarginazione. E’ il rispetto di una diversità, di una minoranza”. Così mons. Guerino Di Tora, direttore della Caritas di Roma, ha illustrato l’iniziativa.
“Il 26 settembre ricorreranno i quaranta anni dello storico incontro di Paolo VI con i Rom e Sinti di tutta Europa avvenuto a Roma. Oggi più che mai abbiamo la consapevolezza che solo un impegno pastorale attento può offrire un contributo determinante per dare soluzioni adeguate ai problemi dei popoli zingari. La formazione, la conoscenza ed il volontariato sono essenziali per superare la fase dell’assistenza materiale ed episodica ed iniziare un impegno costante e qualificato, in un rapporto reciproco di rispetto culturale e di incontro solidale”.
I seminari, tenuti da esperti del settore, verteranno su: Le politiche sociali e la questione zingara, Il ruolo della donna rom nella quotidianità, Educazione sanitaria e prevenzione nelle comunità rom, Scolarizzazione dei bambini rom, Formazione e politiche del lavoro. Al termine del corso verrà rilasciato un attestato e, per chi lo desidera, potrà iniziare una fase di tirocinio al volontariato presso i servizi di Caritas, ARCI e Comunità di Capodarco.
Il corso, gratuito, si svolgerà con un ciclo di sette seminari dal 20 ottobre al 1 dicembre. (Inform)
Di Fabrizio (del 21/09/2005 @ 14:55:29, in Italia, visitato 2155 volte)
Cominciava così un commento del 7 settembre scorso ad alcune foto dal Montenegro.
Un rapido scambio di email e abbiamo scoperto che tutti e due avevamo cose interessanti da raccontarci.
Qui studio: passo la linea a Barbara -
Ti scrivo da Napoli, più precisamente da Scampia come ti dicevo la volta scorsa, qui le cose non funzionano meglio che altrove per quanto riguarda i Rom, ma un po’ per tutto il quartiere.
Noi siamo un gruppo di persone che attraverso lo scambio di energie con chi vive in modo meno fortunato di noi, riesce a portare avanti pratiche pedagogiche con bambini rom e napoletani del quartiere, e attivare dei percorsi di partecipazione attiva alla vita politica e sociale della città con gli adulti, senza percepire alcuna remunerazione economica, sostenendoci con l’autofinanziamento.
Un lavoro basato sulla relazione, intesa come modalità d’interazione con l’altro, che da grande forza a chi la pratica, fa nascere con le persone momenti di dialogo e di confronto molto profondi, belli e di grande ricchezza, ma che purtroppo non riesce ad incidere nelle dinamiche politiche che condizionano e influenzano la vita politica e sociale napoletana, ma questo riguarda un altro piano d’azione.
Mi riferisco all’operato dell’amministrazione comunale, provinciale e regionale della città, in relazione al quartiere di Scampia, e in particolare ai Rom che li vivono.
A Scampia esistono due grossi insediamenti di Rom, uno autorizzato e l’altro abusivo, il primo costruito circa 5 anni fa, è stato realizzato a ridosso di un carcere, su di una strada a scorrimento veloce, dove è impossibile camminare a piedi (immaginerai cosa ciò voglia dire per donne e bambini) per l’assenza di autobus, marciapiedi, negozi. In questo spazio desolante, vivono circa 900 persone provenienti dalla ex-Yugoslavia, in particolare dalla Serbia e qualche nucleo dalla Bosnia, raggruppati in piccoli container in base a nessun criterio, senza alcuna modalità di coinvolgimento, di partecipazione, secondo la legge della confusione e della forza di chi allora era più prepotente. Chi allora tra i gruppi lavorava ai campi, si oppose alla costruzione prima e al trasferimento poi dei Rom in quel luogo estraniante e di esclusione, si inimicò prima l’amministrazione e poi i Rom stessi. Abituati a prendere qualsiasi cosa, senza alcuna modalità organizzata di rivendicazione dei diritti fondamentali, di autonomia, i rom si piegarono per l’ennesima volta alla logica dell’assistenzialismo e della dipendenza dalle amministrazioni pubbliche e dalle grossi lobbie del sociale come l’opera nomadi per lo meno questa napoletana. La situazione al campo nuovo è triste, grosse tensioni sociali, tra i nuclei residenti non esistono grossi legami di parentela ne di aggregazione spontanea, perché la condivisione e la comunanza si basa unicamente sulla condivisione su di uno spazio, che tra l’altro è sentito ostile, di esclusione di negazione, rispetto alla possibilità di interagire con il resto del quartiere. È di qualche anno fa l’episodio di una grossa lite fra i due nuclei più forti del campo, terminata con una sparatoria in cui fu colpito un bambino, la sua famiglia si è allontanata dal campo, ora fortunatamente stanno tutti bene.
L’altro insediamento rom è costituito da circa 4 campi abusivi così suddivisi in base alla provenienza geografica e ai legami di parentela. I rom qui presenti da circa 15 anni, chi da 20, provengono dalla Macedonia, più precisamente da Scutca Orizare, un quartiere rom di Skopje, dove un anno fa trascorsi un po’ di tempo, altri dalla Serbia da Novi Sad e altre città , una minoranza da Kossovo, altri dalla Croazia.
Qui la situazione per quanto riguarda i beni di prima necessità è all’ordine dell’emergenza, mancano acqua, luce, servizi igienici, cassonetti per i rifiuti, e per di più la strada che costeggia i campi è utilizzata come una discarica a cielo aperto da parte della comunità indigena. Si deve inoltre considerare che i campi si inseriscono in quartiere dove è alto il rischio di devianza sociale e criminale che non risparmia neanche i rom e i bambini di entrambe le comunità, la droga e la mancanza di lavoro sono due piaghe forti del quartiere che non vogliono essere affrontate dalla politica locale, ma neanche quella nazionale ci presta particolare attenzione non fosse altro per la massiccia presenza di militari e forze dell’ordine schierate come parate di festa nei momenti di tensione più particolari.
A diversi mesi dalle stragi di camorra che a Scampia hanno fatto registrare più di 40 morti in pochi mesi, per la maggior parte giovani, la situazione torna quella di sempre, latitanza della politica, scetticismo e pessimismo da parte della gente. È dell’ultima ora la decisione di costruire un muro alto 10 m. tra una scuola elementare e il campo situato a ridosso della stessa, la dirigente dell’istituto ha denunciato finanche alla procura della Repubblica la situazione d’invivibilità dei bambini della scuola a causa dei fumi prodotti dai rom con le stufe, per bruciare l’immondizia non ritirata, per riscaldare l’acqua, per procurarsi il rame dai fili di ferro. Come se la situazione d’invivibilità non riguardasse tutti i bambini, e nel loro quotidiano vivere, ma solo a scuola , come se quei bambini nelle classi non fossero gli stessi a tornare al campo e respirare le esalazioni tossiche dei fumi, quegli stessi fumi necessari alla loro sopravvivenza. Così il comune nell’ottica di mettere a tacere i dissidi, la scomodità rappresentata dalla dirigente tenace nella difesa dei bambini o della sua posizione di buon borghese chissà, non adotta misura per risolvere il problema alla radice, eliminando la causa dei fumi, sarà la mancanza di acqua e luce ad alimentare questa situazione???
Ma una misura meschina e di oltraggio alla dignità umana,un muro alto 10 m che non risolve certamente il problema, ma in compenso fa stare tutti tranquilli meno i rom e chi con loro resiste.
Domani abbiamo un incontro al campo per discutere sul da farsi e decidere che posizione assumere in merito alla situazione, il comune sfrutta la situazione di ricattabilità in cui i rom si trovano mercanteggiando diritti e dignità umana.
Ti racconterò l’evoluzione della storia.
Ciao e a presto Barbara.
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con Sergio Franzese a fare da Virgilio!
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Patrick Saussois: chitarra
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Dominique Vernehs: fisarmonica e clarinetto
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Youenn Derrien: chitarra
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Victorine Martin: chitarra
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Lorenzo Muccio: chitarra
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Jean Clode Beneteau: chitarra
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Aperitivo Musicale:
e se avete già mangiato, il digestivo è dei Manomanouche Quartet:
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SEGNALAZIONE:
Rom e Sinti in Piemonte - A dodici anni dalla Legge Regionale 26/93 "interventi a favore della popolazione zingara" scaricabile qui in formato PDF (1145 Kb)
autori della ricerca: Sergio Franzese e Manuela Spadaro (ASGI)
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Di Fabrizio (del 20/09/2005 @ 16:59:38, in media, visitato 2205 volte)
Nuova azione legale promossa da European Roma Rights Centre (ERRC), assieme al Moscow Helsinki Group (MHG).
Il 16 settembre hanno chiesto al Procuratore Generale, di procedere per incitamento al razzismo nei confronti della stazione televisiva nazionale (NTV). La rete televisiva aveva mandato in onda il 10 febbraio 2004 un documentario sui "Rom trafficanti" nella città di Kimry (regione di Tver - circa 150 km. NE da Mosca ndr). Durante la trasmissione, tale padre Andrey Lazarev, un prete ortodosso molto noto nella comunità locale, aveva più volte incitato a bruciare le case dei Rom, in quanto colpevoli di aver reso la città uno dei nodi principali del traffico di droga. Un tossicodipendente, identificato soltanto col nome di "Sasha" ha aggiunto che "il problema con i trafficanti Rom, si risolve solo col napalm".
L' Unione dei Concili per gli Ebrei Russi (UCSJ) riporta che la notte del 25 agosto scorso un gruppo di giovani ha attaccato la casa abitata di una famiglia Rom, a Belgorod, nella Russia sud- occidentale. La ricostruzione degli avvenimenti fatta dalla UCSJ è stata pubblicata il 13 settembre sul quotidiano Meridian. Armati di coltelli e tubi di metallo, un gruppo di 12 uomini mascherati aveva anche piazzato sentinelle agli angoli della strada, per evitare che qualche automobilista potesse interferire coi loro piani. Al grido di "Picchiamoli!" il gruppo ha iniziato a lanciare fumogeni e molotov contro le finestre della casa della famiglia Nikolaenko. Ivan Nikolaenko è stato il primo ad uscire dalla casa in fiamme. Fortunatamente, nell'appartamento c'erano anche degli ospiti. Quando anche loro sono usciti, il gruppo di assalitori, che non si aspettava così tanti potenziali difensori, ha preferito scappare. Eccetto uno, che è stato raggiunto e, quando gli è stata tolta la maschera, si è rivelato un giovane del posto. La signora Nikolaenko ha avuto il braccio rotto in più punti dalle bastonate, ed è stata ricoverata in ospedale. La polizia ha arrestato diversi sospetti. (Dzeno Association)
Ritorno al futuro
di Karin Waringo
Nel dibattito sul futuro del Kossovo, il passato gioca un ruolo preminente
La chiesa del Cristo Salvatore nel centro di Pristina sembra una rimanescenza del passato. Costruita in uno stile che ricorda le chiese bizantine del Medio Evo, domina una vasta distesa, che d'altra parte è occupata solo dall'università. Il portone della chiesa è cintato da filo spinato, che gira tutta intorno all'edificio. La barriera è arrugginita dal tempo e non sarebbe di nessuna protezione se qualcuno volesse attaccare.Le finestre non hanno più vetri e anche le pietre che le contenevano sono sparse attorno. Nel corso degli anni la chiesa, che non è mai stata completata dopo la fuga dei Serbi da Pristina, è stato il bersaglio di ricorrenti attacchi e vandalismi. E' così diventato un simbolo delle relazioni tra la maggioranza Albanese, che ora determina il futuro nella provincia, e la minoranza Serba.
Raramente si sente la lingua serba a Pristina. A volte sono un paio di vecchi che lo parlano al riparo delle mura di un albergo, a volta un gruppetto per strada, come se stesse cospirando. Quasi nessuno più lo capisce, una volta era insegnato a scuola ma oggi per le strade di Pristina è una lingua tabù. I Serbi che fanno parte di organizzazioni internazionali, tra loro parlano in inglese. I giovani Rom vogliono passare per Inglesi o Americani, persino "Zingari Americani", tutto tranne ciò che sono realmente, abitanti da secoli di questa regione martoriata dalla guerra.
La capitale del Kossovo è stracolma di simboli, che ricordano l'eroica battaglia "dell'Armata di Liberazione del Kossovo", l'UÇK, contro "l'occupante Serbo". Nel centro della città, di fronte al Grand Hotel, si staglia la statua di un combattente albanese per la libertà, morto nel 1999. Sulla facciata semidistrutta del Palazzo della Gioventù e dello Sport, c'è la fotografia di un altro eroe di guerra, bardato in uniforme da battaglia. Ha un aspetto abbastanza irreale, come se emergesse da una fiction. Anche lui è morto nella guerra contro i Serbi.
Inoltrandosi nel centro, quasi accanto alla sede della delegazione EU, il monumento a Skenderbeg, anche lui un eroe, ma di tempi più remoti: Fermò l'invasione dei Turchi in Albania, ed è considerato un popolare eroe albanese. Più modesta, nella stessa strada che ne porta il nome, il ritratto di un'altra albanese, Nëna Terezë, fondatrice di un ordine religioso, che appare dappertutto nei poster in città.
Un giornalista occidentale afferma che il Kossovo si dividerà nei prossimi anni, con la sua parte settentrionale che cadrà sotto la Serbia e quella meridionale sotto l'Albania. Oggi i Serbi del Kossovo vivono quasi esclusivamente nelle enclavi, qualche migliaia in quelle più piccole come Gnjilane e Gorazdovac, qualche altro migliaio nella cosiddetta mezzaluna attorno a Pristina e forse 70.000 a nord del fiume Ibar, un'area prossima al confine con la Serbia.
Ci sono innumerevoli leggende attorno al Kossovo: i Serbi considerano il Kossovo la culla della cultura e della civilizzazione serba. Nel 1389 il principe serbo Lazar Hrebeljanovic patì in questa terra una tremenda sconfitta contro i Turchi, e questo divenne negli anni un importante elemento della coscienza nazionale serba. Fu a Kosovo Polje in serbo o Fushë Kosovë in albanese dove, nell'aprile 1987, l'allora presidente serbo Slobodan Milosevic fece il suo storico discorso, che avrebbe sancito la fine dell'ex Yugoslavia: "Nessuno sconfiggerà ancora questo popolo".
"Se vuoi capire questo odio, devi comprendere la Storia" mi spiega l'interlocutore albanese. Lo incontro la prima volta sulla terrazza di un caffè di Pec/Pejë, dove mi ero trovata con un amico. Quando ci sente discorrere in inglese, vuole unirsi all'argomento. Era coordinatore delle lezioni in francese, parla sei lingue, tra cui spagnolo e italiano. Quando lo incontro nuovamente il giorno seguente a Pristina, non posso rifiutare oltre il suo invito.
Pieno di orgoglio, passa dall'inglese al francese e poi al tedesco e insiste che dovremmo parlare anche in spagnolo. Ma a causa della Storia, rifiuta di parlare serbo, l'ultimo linguaggio che abbiamo in comune. Per lui la Storia inizia al principio del XX secolo. Nel 1918 il Kossovo fu incorporato nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. "Dopo la guerra eravamo un povero popolo di confine, con pochi di noi che si erano laureati", mi dice.
Tutto ciò sarebbe cambiato rapidamente negli anni a venire. Nel 1968 il Kossovo ricevette la sua prima università. "L'Università di Pristina era la terza in Yugoslavia", mi dice Muzaref orgogliosamente. Con la nuova Costituzione yugoslava al Kossovo fu garantito lo status di provincia autonoma e questo fu l'inizio dell'epoca d'oro che terminerà nel 1989. "Naturalmente i Serbi possono fare ritorno. A seguito degli inviti di popolare la regione, molti di loro nella seconda metà degli anni '80 si costruirono la casa. Questi Serbi possono tornare." - "E le altre minoranze, ad esempio i Rom?", gli chiedo. "Nobody likes the Gypsies.", mi risponde Muzafer con un largo sorriso. E con questo, l'argomento è chiuso.
"Jonegociata. Vetevendosje.", "Nessun negoziato. Indipendenza". Fine di agosto, è lo slogan che appare sui muri di Pristina. Si dice che dietro ci sia un giovane studente albanese. Durante i mesi estivi l'inviato speciale del Segretario dell'ONU Kofi Anan, Kai Eide, è stato in Kossovo e a Belgrado, per fare il punto della situazione. Le prime dichiarazioni di Kai Eide indicano che il suo rapporto, che sarà sottoposto al giudizio del Consiglio di Sicurezza dell'ONU a ottobre, sarà meno ottimista di quelli trimestrali del Rappresentante Speciale dell'ONU in Kossovo, Soren Jessen Petersen. Kai Eide è preoccupato particolarmente per la situazione delle minoranze e le condizioni per il loro ritorno.
Mi spiega un incaricato di un'organizzazione internazionale in Kossovo, che Eide ha viaggiato più in Europa che in questa regione. Lo scopo della sua visita era non solo di avere un'idea delle differenti posizioni, ma se possibile di cercare di mediare tra le diverse opinioni. Quando il rapporto verrà vagliato dal Consiglio di Sicurezza, la decisione su come procedere in futuro sarà già ampiamente determinata. Per esempio, un'indipendenza condizionata, dove alle istituzioni locali spettano la maggior parte delle competenze di uno stato indipendente, ma che rimanga sotto il controllo di un mandatario internazionale, sembra oggi l'ipotesi più gradita.
Nella comunità internazionale la posizione da assumere sulle minoranze è il punto di rottura. L'argomento venne affrontato soltanto due anni fa, in occasione della proclamazione del piano di sviluppo del Kossovo, che avrebbe dovuto stabilire le condizioni concrete per la fine del mandato ONU. Gli stessi rappresentanti della comunità internazionale rimproverano all'UNMIK, l'amministrazione civile dell'ONU, di essere corresponsabile dell'attuale situazione. Si accusa l'UNMIK di avere rapporti troppo stretti con l'Auto Governo Provvisorio. Mancano indicazioni esplicite se il futuro del Kossovo appartenga a tutti gli abitanti o esclusivamente alla minoranza albanese.
La notte tra il 27 e il 28 agosto è stato aperto il fuoco contro quattro giovani Serbi che stavano lasciando l'enclave di Strpce sulla loro auto. Due di loro sono morti sul colpo. I giorni seguenti la notizia è circolata nell'enclave come un incendio. Probabilmente per questo alle festività di Gracanica c'erano così poche persone. Prima della guerra, quello che è uno dei più vecchi monasteri serbi della regione attraeva decine di migliaia di Rom e Serbi. Oggi sono soprattutto Rom musulmani provenienti da Gracanica.
"Perché partecipate, se siete Musulmani?" chiedo a Safet, un Rom del Kossovo. "Dio è uno", mi risponde con un ghigno maligno. Sua suocera offre una spiegazione più prosaica: "Dopo la fine della guerra, è l'unica cosa che ci permettono di fare." Un'opportunità per incontrare parenti ed amici e scambiarsi informazioni. I venditori di strada che vendono giocattoli di plastica a buon mercato, non sembrano fare grandi affari. Giusto i soldi per ripagarsi il vitto e le spese.
Il rappresentante con cui ho parlato, che insiste per rimanere anonimo, chiame le enclavi "comunità di affamati". Su oltre 200.000 appartenenti alle minoranze etniche, cacciati dal Kossovo nel giugno 1999, solo qualche migliaio ha fatto ritorno. Sono soprattutto anziani senza ulteriori possibilità.
Attacchi come quelli del marzo 2004, quando più di 4.000 Serbi, Rom ed Askali sono stati cacciati dalle loro case e proprietà, portano a successive ondate migratorie verso le enclave più grandi e la Kosovska Mitrovica. Ovunque, ci sono rovine bruciate, ma soprattutto case saccheggiate, accanto alle nuove costruzioni.
Nelle enclavi c'è paura di nuovi attacchi durante questa rincorsa ai negoziati sullo status futuro del Kossovo. Alla fine di luglio Adem Demachi, presidente dell'Associazione degli Scrittori Kossovari, ha affermato al giornale belgradese "Blic" che rimandare l'indipendenza potrebbe sfociare in nuove azioni peggiori di quelle del marzo dell'anno scorso.
Cosa c'è dietro questa strategia? Il compimento di un'operazione, iniziata nel giugno 1999 sotto gli occhi della comunità internazionale, che consegnerà il Kossovo alla maggioranza albanese? Gli abitanti dell'enclave attorno Gracanica accusano gli Shiptare, il nome che danno agli Albanesi, di nutrire ambizioni territoriali su Laplje Selo, che fa parte della "mezzaluna" a sud di Pristina. Laplje Selo lambisce la strada principale che unisce Pristina a Skopje. Lungo quel percorso sono spuntati come funghi distributori di benzina. Un diplomatico straniero sottolinea che la strada ha importanza strategica, come via di comunicazione verso Pec, o Pejë in albanese. Averne il controllo renderebbe possibile dividere l'enclave e togliere l'ossigeno ai suoi abitanti.
"Slobodnost kretenje", libertà di movimento in lingua serba. Una parola usata e ri-usata dai non-Albanesi, per rimarcare che per loro la libertà di movimento non esiste. Al momento di attraversare il ponte sul fiume Ibar, per raggiungere la sponda sud, uno dei miei accompagnatori mi rammenta di smettere di parlare in serbo. Immediatamente i nostri discorsi si spengono, per tramutarsi poi in un bisbiglio irrequieto e sospettoso.
I divieti valgono anche sull'altra sponda: il Nord Kossovo sotto il controllo di Belgrado. Stiamo parlando delle cosiddette strutture parallele o dell'ostruzionismo dei Serbi kossovari. Solo recentemente i rappresentanti serbi hanno definitivamente deciso di lasciare i loro seggi nel parlamento del Kossovo. I Serbi del Kossovo hanno boicottato le ultime elezioni, col risultato che le altre minoranze, come i Rom che vivono nelle stesse enclave, non hanno votato e sono tagliati fuori dai processi politici.
Dal 29 agosto Kosovoska Mitrovica è sotto stadio di assedio. Tutti i punti nevralgici sono presidiati dal mezzi della KFOR. L'edificio dell'OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe) nella parte settentrionale della città, appare come una fortezza. Invece i soldati che compongono la Forza Internazionale di Pace sembrano più annoiati che sotto tensione. La manifestazione dei Serbi sul ponte sull'Ibar si è mantenuta pacifica e si è sciolta alle due verso la parte settentrionale della città.
La sostituzione delle targhette numerate che sul ponte indicano il punto dove fermarsi o dei bollini che attestano la nazionalità della vettura e il suo diritto ad accedere a un parcheggio riservato, è pratica quotidiana. Gli scambi commerciali avvengono in dinari. La musica, che risuona dappertutto, è serba. Mitrovica si presenta come un baluardo contro gli Albanesi a sud.
Nel centro di Mitrovica "giace" la Mahala dei Rom, che era uno dei più estesi e più antichi insediamenti dei Rom nell'Europa del Sud-Est. Oggi i suoi abitanti sono dispersi in ogni direzione, qualcuno in Serbia e Montenegro, altri nei paesi EU. Della Mahala rimangono scheletrici i muri delle case, che si stagliano all'orizzonte. La Fabricka Mahala è andata distrutta e saccheggiata, i suoi abitanti cacciati il 16 giugno 1999, sotto gli occhi di un inattivo contingente francese della KFOR. Lo scorso aprile, l'UNMIK e l'amministrazione comunale hanno siglato un accordo per la ricostruzione della Mahala. Celebrato come una vittoria e un passo verso la normalizzazione dei relazioni interetniche, l'accordo sta rivelandosi un regalo a due facce.
L'ultimo episodio di quella che appare un infinito intrigo politico, è la richiesta che una ONG internazionale ha fatto a Kofi Anan di sospendere l'immunità diplomatica per quegli ufficiali NATO responsabili della sistemazione e della sicurezza degli ex abitanti della Mahala. 700 di loro vivono nei campi per IDP (rifugiati interni) nel Kossovo settentrionale. In tre di questi campi sono stati registrati livelli di avvelenamento del sangue dei rifugiati, svariate volte superiori a qualsiasi standard internazionale. Un giornalista americano ha attribuito 27 morti avvenute in questi campi, molti bambini tra questi, agli effetti dell'inquinamento del suolo e dell'ambiente. I campi sono posti nelle immediate vicinanze delle miniere di Trepca, chiuse dall'amministrazione NATO nel 2000, a causa del pericolo costituito per le persone e l'ambiente.
Il caso ha sollevato l'attenzione dei media internazionali e i visitatori spuntano ogni giorno. Il leader del campo ha attaccato al muro dell'ufficio i biglietti da visita dei giornalisti e dei visitatori che sono passati di lì. Dietro al computer sulla scrivania, assomiglia ad un manager. Nello stesso giorno in cui sono andata lì, l'ufficiale dell'UNMIK gli sta promettendo una luna a cui non crede più: "All'inizio, ho dato fede a tutti, ma adesso non credo più a nessuno."
C'è chi ritiene sia sintomatica l'attenzione sviluppatasi attorno ai casi di avvelenamento del sangue, a pochi mesi dall'inizio dei negoziati sulla possibile indipendenza del Kossovo. Con la dimostrazione che l'amministrazione civile internazionale non è in grado di salvaguardare gli interessi degli abitanti non Albanesi del Kossovo.
La Mahala stessa è sulla linea del fronte. Collocata una volta nel centrodi Mitrovica, oggi si trova proprio sul confine tra l'area serba e quella albanese, ma nel territorio di quest'ultima, a sud dell'Ibar. Questo può spiegare perché i capi non siano particolarmente impazienti di tornare nel luogo d'origine dei loro antenati: se il Kossovo finisse per essere diviso, i Rom, tradizionalmente più vicini ai Serbi, si ritroverebbero improvvisamente dal lato sbagliato. Inoltre, il ritorno nella Mahala significherebbe la fine di un sogno accarezzato a lungo: la possibilità di chiedere la risistemazione in una nazione terza, che a molti appare l'unica salvezza da una storia di povertà e persecuzione.
"Non si parla più di Kossovo multietnico", dice un rappresentante di un'organizzazione internazionale che opera qui, "ma soltanto di coesistenza pacifica". "Se verranno risolti i problemi economici, lo saranno anche quelli politici", dice il mio poliglotta compagno di discussione. Considera un dovere patriottico per gli Albanesi della diaspora kossovara investire nel futuro del paese.
Chiedo al portiere del Grand Hotel cosa si aspetti dall'indipendenza. "Non lo so" è la sua risposta. Il suo collega dell'hotel Illiaria ha preoccupazioni differenti: I due alberghi, che appartengono allo stesso gruppo, saranno privatizzati. Oggi impiegano 700 persone, che dopo la privatizzazione di sicuro non saranno più di 250, così lui ritiene. Potrebbe significare la fine di una carriera durata 31 anni.
All'aeroporto di Slatina incontro degli Albanesi con passaporti tedeschi, ma soprattutto americani. I bambini parlano tra loro in inglese e quando si rivolgono agli anziani, usano l'albanese. Sulla valigia leggo l'etichetta Bronx, New York. Qui in Kossovo sono considerati a pieno titolo tra i pochi fortunati, quanti hanno avuto la possibilità di andarsene.
Di Fabrizio (del 19/09/2005 @ 21:05:56, in scuola, visitato 2085 volte)
segnala Janette Grönfors la
recente pubblicizzazione di:
The Rroma, di Lev Tcherenkov e Stéphane Laederich
2004. 2 Bände mit zusammen 1100 Seiten. 24 teilweise farbige Abbildungen und Karten, 44 Tabellen. Englisch. Broschiert.
Fr. 98.- / EUR 68.50
ISBN 3-7965-2090-1 -che può essere acquistato online su http://www.schwabe.ch
Il libro prova a fornire un panorama unitario dei vari gruppi Rrom, della
loro storia e cultura. Il libro fa ampio uso del Rromanès nelle sue diverse
variazioni, e spazia dalle origine indiane ai giorni nostri.
GUIDA PER ATTIVISTI ROM
CLUJ-NAPOCA - Il dipartimento risorse per le comunità Rom, con sede a Budapest
ha recentemente presentato la traduzione in lingua rumena della guida "Cum sa iti
cunosti drepturile si sa lupti pentru ele" (Come conoscere i tuoi diritti e
lottare per loro).
La guida è uno strumento per quanti siano coinvolti nelle tematiche rom e
nelle sfide quotidiane per ottenere pari diritti.
La prima parte è intitolata "Cum sa intelegem drepturile omului"
(Capire
i diritti umani) e presenta alcune nozioni base attraverso esempi ed esercizi.
La seconda "Exercitarea si protejarea drepturilor" (Come esercitare e
proteggere i diritti umani) si focalizza sulle capacità di attivisti e
organizzazioni nello sviluppare la loro attività.
Centrul de Resurse pentru Comunitatile de Romi
400305 Cluj Napoca, Romania
str. Tebei, nr.21
tel. +(40) 264 420474
fax. +(40) 264 420470
web: www.romacenter.ro
email: info@romacenter.osf.ro
Altre segnalazioni librarie, nella Piazza
Affari della Mahalla, orario continuato e niente code
La giornalista e ricercatrice Karin Waringo è tornata da un viaggio in Kossovo e Macedonia, per documentare la condizione dei Rom nei due paesi.
Ho appena terminato di tradurre in italiano il suo racconto di viaggio dal Kossovo, che pubblicherò quando saranno disponibili le versioni nelle altre lingue. Nell'area documenti è intanto disponibile il rapporto (in inglese, formato .doc) sulla situazione in Macedonia.
Come molti di voi già sapranno, c'è preoccupazione per gli accordi intercorsi tra l'UNMIK in Kossovo e alcuni stati europei per il rimpatrio forzati dei richiedenti asilo dal Kossovo. La Macedonia ha iniziato i rimpatri "obbligati" già da tempo, per diversi motivi:
- la Macedonia non ha mai firmato alcun accordo sui rifugiati da paesi esteri;
- coinvolta nel 2001 in azioni militari dalla guerriglia albanese, ha dovuto ovviare da sola anche ai propri rifugiati interni; le prime notizie su questo conflitto dimenticato mi arrivarono da un Rom, Asmet Elezovsky, che praticamente mi scriveva con i colpi di mortaio che lambivano il Centro Culturale Rom di Kumanovo (alcune foto)
- fu il primo punto d'arrivo dei profughi dal Kossovo, già nel 1999, e in seguito la Comunità Europea promise il suo sostegno economico, promesse rinnovate al tempo della crisi di due anni fa. Nessun sostegno a favore dei rifugiati interni o esteri è mai arrivato, anzi la stessa Comunità ha invece iniziato a rimpatriare forzatamente i rifugiati (QUI l'ultimo aggiornamento)
Insomma, dal punto di vista formale, la posizione della Macedonia è limpida. Il paese ha ospitato sino a 22.000 sfollati, spesso in condizione di deprivazione estrema. Poco più di 1.000 Rom hanno ottenuto un permesso di soggiorno che permettesse loro di rimanere in Macedonia e circa lo stesso numero sta aspettando che venga vagliata la loro richiesta.
Nel 2003 ci fu un altro punto di crisi: la situazione nei campi profughi era spaventosa e d'improvviso intervennero le forze di polizia a sgomberarli di forza. I Rom manifestarono per le vie della capitale, chiesero solidarietà all'Europa che invece continuava a chiudere loro le porte in faccia e alla fine, presi dalla disperazione, con furgoni e pullmini si incamminarono verso il confine greco. Dove in pieno luglio rimasero bloccati in una pietraia in montagna, alle spalle i corpi speciali della polizia macedone e di fronte i carri armati greci. In quel periodo, durato un mese e mezzo, Asmet Elezovsky rimase ferito negli scontri di piazza, lui che con i rifugiati non c'entrava se non per la solidarietà che mostrava loro. Tramite lui e un primo tentativo di network informativo, continuavano ad arrivarmi notizie, mentre imparavo quanto fosse difficile raccontare un conflitto in diretta alle porte di casa. L'indifferenza dei media nostrani, stese per la seconda volta il velo su quei Rom, di cui si perse notizia ai bordi della pietraia sul confine. Forse, qualcuno riuscì a scappare in Grecia, più probabilmente ora sono in qualche campo profughi in Kossovo o in Serbia.
Qualcuno ha riacquistato la libertà, e non è stato facile. Mi ricordo che nel 2003 avevo pubblicato la prima parte di quella storia in un sito che oggi non c'è più e dopo due anni di silenzio sapere che quella persona è in salvo, rende quel pugno di speranza per continuare a scrivere storie simili.
Asmet Elezovsky è vivo, l'anno scorso ho anche trovato in rete una foto di questo corrispondente che è per me in questo tempo è diventato una presenza forte quanto virtuale. Cittadino macedone, non è stato espulso e a questo punto, condivido con chi mi ha letto sin qui l'ultima mail ricevuta.
Ma prima, vi chiedo nuovamente attenzione all'appello di cui lui, con Karin Waringo e tanti altri (ci sono anch'io, a questo punto è ovvio!) vi chiediamo di fare tutto il possibile (e anche di meno, basta aderire alla petizione) perché l'Europa interrompa il rimpatrio forzato dei richiedenti asilo dal Kossovo. Ancora una volta, con la COLPEVOLE disattenzione di noi italiani, ci sono più adesioni dal Lussemburgo che dall'Italia!
Cari amici,
Mi rivolgo a voi, perché ho bisogno delle vostre opinioni, documenti, foto... Sinora ho ricevuto risposte dalla Danimarca, Kossovo, Bosnia, Olanda... Dopo parecchio tempo che mi occupo di questo argomento, ho bisogno di coordinare gli sforzi sulla situazione dei profughi dal Kossovo.
Assistiamo a meetings, conferenze, seminari... Ma ora è più importante, alla scadenza dello status di richiedenti asilo e sulla definizione della regione del Kossovo, di diventare anche noi parte del processo decisionale: sinora i nostri sforzi sono stati minimi, così come Rom non abbiamo voce in capitolo.
Siamo sicuramente in ritardo, ma dobbiamo provare lo stesso, a congiungere il nostro sforzo a quanti si sono già mobilitati: TERF, IRU, ODIHR, COE...
Ho bisogno di conoscere il nome dei campi, il numero dei rifugiati, i profughi interni e altre informazioni. Potete contattarmi via email, nel frattempo raccoglierò tutto il vostro materiale, in vista della prossima Conferenza di Varsavia. Spero nel vostro aiuto, perché senza le vostre risposte dovrò abbandonare questo compito.
[...]
Asmet Elezovski elezovski.asmet@drom.org.mk aelezovski@hotmail.com
Tel/fax: +389 31 427 558
Di Fabrizio (del 17/09/2005 @ 23:16:51, in Regole, visitato 2217 volte)
Rispolvero una lettura domenicale dall'archivio di Pirori: Nascita di una nazionePubblicato (in inglese) su Roma in the UKGary YoungeMonday July 31, 2000The GuardianL'interprete al Congresso dell'Unione Romani Internazionale che aveva luogo a Praga non ce la faceva più. Tradurre tutti quei dialetti Rom in inglese l'aveva lasciato esausto e aveva i lavori. Così, quando un delegato di un paese dell'Est Europa è salito sul palco a proporre una nuova Costituzione nella sua parlata nativa, Charlie Smith, segretario del British Gypsy Council, era andato alla toilette. Josie Lee, presidente dei lavori, sedeva e osservava il dibattito senza capire di cosa si parlasse. Improvvisamente, con sua grande sorpresa, un ampio gruppo di Rom dalla repubblica Ceca, si era alzato in piedi applaudendo. Nel frattempo Charlie ritornava dalla toilette e la nuova Costituzione era stata approvata. Era nata una nuova nazione. Charlie e Josie, che speravano di proporre alcuni loro emendamenti, ormai ne sono parte. "Nell'Europa dell'Est non c'è ancora il concetto di come lavora la democrazia", ha detto Charlie. "Hanno un'idea e la spingono. E' veramente frustrante". Se il processo può sembrare oscuro, l'aspirazione è chiara. Al loro 5° Congresso, la maggior parte dei delegati rappresentante i 12 paesi europei, si sono dichiarati nazione "non-territoriale". Una "nazione" che vanta bandiera e inno, ma non ha né confini né esercito. Entità con un Parlamento nomade, che si riunisce ogni tre mesi e un "network" di ambasciate, definito non dal territorio ma dalla etnia. Una nazione senza stato. in molti sono convinti che questa idea rifletta non solo l'interesse dei Rom, ma le domande e la direzione dell'europa del 21° secolo. "Lo stato nazione è diventato meno importante e i confini andranno perdendo di significato" afferma Paolo Pietrosanti, delegato dall'Italia. "Se uno è tedesco, può vivere in Amsterdam e votare tanto per il sindaco di Amsterdam che per il cancelliere tedesco. Non è indispensabile vivere in Germania per essere tedesco. Si è tedeschi e contemporaneamente cittadini europei che vivono all'estero. Lo stesso vale per un rom che viva a Londra o Parigi." Sean Nazerali, uno degli organizzatori della conferenza, aggiunge che la nazione-Rom è ovunque: "Abbiamo un'identità collettiva a livello europeo e il nostro popolo vanta una rete di connessione attraverso l'intero continente." E' una nozione intrigante che mutua la fluidità in identità nazionale europea, e le caratteristiche di un gruppo considerato svantaggiato in un vantaggio. Ma il tutto non è scevro di problemi. Ogni nazione per ottenere e mantenere credibilità internazionale, deve avere una legittimazione democratica. Per questo deve avere rappresentanti eletti, capaci di scegliere e legiferare. Le decisioni adottate devono essere attuabili. Tra le proposte emerse durante i lavori, una riguarda la costituzione di un tribunale contro il razzismo e la pressione verso quei governi che discrimino i Rom, il tutto finanziato attraverso una tassazione della comunità Rom stessa. ma chi potrebbe amministrare queste legittime e ragionevoli, senza polizia, giudici, agenti delle tasse e funzionari pubblici? E cosa formano queste figure, se non le basi di uno stato? La storia delle nazioni che hanno l'etnia come punto focale, mostra che esistono problemi altrettanto gravi di quelle basate sul territorio. Liberia, Sud Africa, Israele o Irlanda del Nord, dove la cittadinanza è data dall'appartenenza all'identità religiosa o razziale, mostrano di avere problemi di instabilità politica, o di tensioni etniche o siano logisticamente inattuabili - quando non si tratta di tutti e tre insieme i casi. L'inclusione per motivi di origine etnica richiede parimenti l'esclusione per motivi di origine etnica. occorre quindi stabilire chi appartenga ai Rom/Sinti/Kalò e chi no. Da quando i loro antenati lasciarono l'India circa un millennio fa, si sono sparsi per tutto il globo, portando con loro influenze e imprestiti i più diversi. Nella conferenza erano presenti invitati di pelle scura e altri "funzionalmente" bianchi. Alcuni reclamavano la crucialità dell'approccio a internet, altri suggerivano che la letteratura e le arti fossero più importanti. Mostravano un linguaggio comune, ma i dialetti si sono evoluti in maniera differente da richiedere l'impiego di un traduttore. Nell'Europa dell'est la situazione è talmente degenerata che non ha nessuna importanza essere chiamati Zingari o Rom. In Gran Bretagna il termine "Zingaro" viene rifiutato come dispregiativo, allo stesso modo che le parole "nero" o "frocio" hanno assunto per altre minoranze. E, come dimostra l'appunto di Smith, non esiste tra loro una tradizione alla politica. Non è una critica, ma il riconoscimento delle caratteristiche di base portate da ogni diaspora. Ma se la loro identità può essere fratturata, sono maggiori le cose che li uniscono di quelle che li dividono. Molti delegati di congresso sarebbero emersi dalle discussioni riscaldate nei corridoi per dire quanto meraviglioso fosse stato "essere uniti tra loro". Ma codificare quegli elementi che li uniscono come nazione è molto più problematico del individuare le necessarie formalità. Vi qualifichereste come membro della nazione Rom se uno dei vostri antenato fosse un Rom di prima generazione o se foste un Rom adottato? Si può discutere circa dove la linea è disegnata, ma non se non è disegnata affatto. Se il percorso solleva dei dubbi, lo spirito guida rimane vitale. Questo popolo ha la possibilità di guadagnare una visibilità a livello internazionale. Sono la maggiore minoranza etnica e quella con il più alto tasso di natalità. La loro popolazione equivale la somma degli abitanti di Svizzera, Lussemburgo e Norvegia, e in alcuni stati, come in Romania e in Slovacchia, la percentuale sulla popolazione globale è simile a quella degli Afro-Americani nei confronti degli Statunitensi. Le loro condizioni di base sono simili a livello internazionale, non hanno voce a nessun tavolo internazionale e la discriminazione nei loro confronti è diffusa in scala, brutale nell'intensità e globale in natura. Nella Repubblica Ceca il 62% dei bambini Rom frequenta scuole per ritardati mentali, nel Kossovo 10.000 di loro sono stati costretti ad abbandonare le loro case, in Slovacchia due villaggi hanno proibito il loro ingresso o passaggio per il paese. Quanti di loro chiedono rifugio in Gran Bretagna, si vedono trattati dalla stampa e dal Ministero per gli Interni come i "cosiddetti nomadi" , accattoni, ladri e vandali. Se il Canada ha accettato il 70% delle richieste di asilo, La Gran Bretagna ha adottato la politica di non accettarne nessuna. E' in questo concreto contesto di oppressione, più che sull'astratta nozione di nazionalità, che l'IRU deve operare. La chiave per ottenere il riconoscimento a livello internazionale non è nel riconoscimento come nazione, ma su tutto ciò che può unire le disparate popolazioni Rom, rappresentarle e difenderle democraticamente. Per ottenere questo, ricordiamo che ancora nessuna struttura è stata approntata.
Di Fabrizio (del 16/09/2005 @ 15:53:39, in Europa, visitato 2413 volte)
Segnalo un articolo in inglese di Valeriu Nicolae (purtroppo adesso non ho il tempo per tradurlo). Noto spesso anche negli ambienti antirazzisti, piuttosto che da parte degli interessati stessi, una sorta di doppia morale, per cui il razzismo è male, ma quelle stesse affermazioni che ci danno fastidio riferite (ad esempio) a Ebrei, Musulmani... o qualsiasi altro popolo, religione o minoranza, diventano giustificate se fatte su Rom, Sinti, Gitani nel loro complesso.Cominciando dalla definizione stessa di "nomadi", mentre per la grande maggioranza sono da definire "sfollati", per arrivare a un lungo elenco di stereotipi, che vanno dal lavoro, alla famiglia, ad una supposta attitudine criminale.Oggi la differenza tra razzismo e antiziganismo viene discusse nelle elite intellettuali rom, ma l'antiziganismo, come l'antiebraismo, è stata anche la prima forma di razzismo endogeno che si è sviluppata in Europa, sin dal formarsi degli stati nazionali. Di fronte alle difficoltà di definire in termini plurinazionali l'Unione Europea e agli episodi che hanno caratterizzato la storia recente dell'Europa Orientale, il tema secondo me è d'interesse comune.
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