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La redazione
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\\ Mahalla : VAI : Italia (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Sucar Drom (del 23/05/2013 @ 09:03:18, in Italia, visitato 2072 volte)

TRENTOTODAY

Inchiesta esclusiva di Mattia Pelli* sul recente sgombero avvenuto nella zona di Trento Nord (ex Sloi) da parte delle forze dell'ordine e del personale dell'azienda sanitaria. Le immagini e il video girato dall'unico giornalista presente sul posto - 20 Maggio 2013

Cadenti costruzioni in cemento, simbolo passato di una fede mortifera nel progresso; fitta vegetazione dal verde inquietante, debordante dai vecchi muri; una strana processione guidata da uomini con mascherina seguiti da un piccolo drappello di miserabili. Questo avrebbero visto coloro che si fossero trovati a passare davanti alla ex Sloi di via Maccani a Trento lo scorso mercoledì 15 maggio. E appena girato l'angolo, due ambulanze e un piccolo concentramento composto da assistenti sociali del comune, polizia in borghese, personale sanitario, vigili urbani. E poi loro: 40 Rom rumeni, uomini e donne, giovani e anziani (ma non minori), che da anni ormai vivono nell'area che fu un tempo sede della produzione di piombo tetraetile, ancora presente in pericolose quantità nel terreno. Ma alle cinque di mattina di passanti in via Maccani ce ne sono proprio pochi e gli stessi organi di stampa non erano stati avvertiti dell'operazione coordinata dalla Questura.(Guarda il video di Mattia Pelli).

I Rom accampati all'ex Sloi sono stati svegliati verso le cinque del mattino da poliziotti in borghese che - coadiuvati dagli assistenti sociali del Comune di Trento, dal personale sanitario, dai vigili urbani e da una mediatrice culturale (circa 25 persone in tutto) - hanno convinto nove di loro a recarsi all'ospedale S. Chiara per sottoporsi ad esami radioscopici e verificare se erano affetti da tubercolosi, malattia estremamente pericolosa e - in alcune fasi - molto infettiva, in grado di mettere a rischio la salute del portatore e di chi gli sta intorno.

Una donna è risultata positiva al test radiografico, ma ulteriori esami hanno mostrato come la malattia non fosse in fase contagiosa e quindi la Rom è stata lasciata andare. Gli altri sono stati tutti portati in Questura e identificati. Ventisette di loro sono stati colpiti da un provvedimento di allontanamento, come prevede la legislazione italiana nei confronti di cittadini comunitari che dopo tre mesi non abbiano richiesto e ottenuto un certificato di residenza e non possano dimostrare di possedere i mezzi di sostentamento necessario. Dovranno quindi lasciare l'Italia e se trovati nonostante questo sul territorio del nostro paese potranno essere puniti con la reclusione da uno a sei mesi e con un'ammenda da 200 a 2000 euro.

L'operazione, presentata dalla Questura come necessaria per preservare la salute non solo dei Rom ma di tutta la cittadinanza e prevenire la microcriminalità solleva però alcuni dubbi: per quale motivo un'iniziativa volta alla tutela della salute pubblica è stata portata a termine attraverso l'intervento delle forze dell'ordine e non - come succede solitamente - dal personale dei servizi sociali del comune di Trento e dai sanitari dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari? Perché al termine dell'operazione 40 persone sono state identificate e 27 di esse hanno ricevuto un'ordinanza di allontanamento? Quale efficacia può avere un'operazione volta a risolvere un potenziale problema di salute pubblica condotta con l'intervento della Polizia di Stato e conclusasi con severe misure repressive?

Rispondere a queste domande riveste una certa importanza, dal momento che la recrudescenza dell'infezione da Tbc (che colpisce al 50% italiani e stranieri) desta allarme nelle istituzioni sanitarie e l'operazione svolta dalla polizia mercoledì scorso appare assolutamente inedita a livello nazionale, rappresentando un significativo precedente. In questo articolo si cercherà di ricostruire i contorni della vicenda grazie a fonti ben informate e alla presenza diretta sul luogo dell'operazione, unico giornalista testimone dei fatti.

Il precedente
Tutto ha inizio qualche settimana fa, quando all'Ospedale S. Chiara di Trento arriva un Rom al quale i medici diagnosticano la Tbc. L'uomo viene curato per due settimane, poi se ne va, probabilmente ritorna in Romania, ma intanto il caso di tubercolosi - come succede per tutte le malattie epidemiche contagiose - viene segnalato all'Azienda sanitaria, che si attiva per rintracciare tutti coloro che possono essere venuti a contatto con il malato. Viene trovato il figlio dell'uomo, al quale viene proposto il test per verificare se è stato contagiato dalla malattia, che risulta negativo.

La notizia giunge a conoscenza della Questura, la quale aveva già intenzione - secondo fonti ben informate - di portare a termine un'operazione di sgombero all'area ex Sloi, che non era però attuabile senza una denuncia del proprietario, dal momento che si tratta di una proprietà privata. In assenza di denuncia si decide allora di porre tutta l'operazione sotto il segno della prevenzione, sanitaria e di sicurezza pubblica.

Sul posto mercoledì scorso l'atmosfera era tranquilla, quasi rilassata, almeno a prima vista: sorrisi sui visi degli assistenti sociali e degli agenti della polizia; indifferenza di chi è abituato ad essere al centro dell'attenzione delle forze dell'ordine di tutta Europa sul viso dei Rom, raggruppati prima di essere portati in questura per essere identificati.

Nonostante l'evidente intento di tenere il più possibile celata la vicenda, come prova l'orario dell'operazione, tipica da sgombero, sul posto sono arrivati una decina di militanti del centro sociale Bruno, che hanno dato vita a una sorta di improvvisato presidio democratico a garanzia dei diritti dei Rom. Con loro anche Antonio Rapanà, operatore del centro Astalli per i rifugiati politici, noto per il suo impegno a favore dei diritti degli immigrati.

La sostanziale assenza di tensione che si respirava mercoledì scorso solleva una prima domanda: era proprio necessario mobilitare la Polizia di stato per affrontare una questione relativa alla salute? Questo modo di intervenire è quello più efficace per proporre a persone con un retroterra culturale tanto diverso una visita medica e - semmai - una cura contro la Tbc della durata di sei mesi che necessità di continuità e di reciproca fiducia tra istituzioni sanitarie e paziente?

Colpisce poi il fatto che gli operatori dell'Unità di strada, il cui compito è dare assistenza a bassa soglia a persone in difficoltà e che hanno spesso avuto a che fare con i Rom accampati all'ex Sloi, non erano stati avvertiti dell'operazione e non erano dunque presenti sul posto. "Conosco e apprezzo il lavoro dell'Unità di strada - spiega il Questore di Trento Giorgio Iacobone - ma mi pare che si occupino soprattutto del problema della tossicodipendenza".

Il coordinatore Christian Gatti spiega di avere troppi pochi elementi per valutare la bontà dell'operazione di mercoledì scorso ma alla domanda se all'Unità di strada sia mai successo di intervenire congiuntamente alle forze di polizia dice: "Di solito il nostro intervento si svolge prima".

Andrea Galli, medico di strada e volontario del Naga di Milano, associazione di volontariato nata nel 1987 e volta a promuovere e tutelare i diritti di tutti i cittadini stranieri e di Rom e Sinti, abituato a lavorare nei campi nomadi del capoluogo lombardo e a confrontarsi con i problemi sanitari di Rome e Sinti spiega: "Arrivare con la Polizia di Stato in un campo nomadi non aiuta certo a costruire un rapporto di fiducia con coloro ai quali si deve proporre una cura". Il medico milanese sottolinea anche di non aver mai avuto in precedenza notizia di operazioni di questo tipo portate a termine dalla Polizia di Stato: "Di solito qui a Milano sono svolte da personale sanitario accompagnato da assistenti sociali e dai vigili urbani, che rappresentano il Comune". E Milano - insieme a Roma - è la città in cui si riscontra ogni anno il maggior numero di casi di tubercolosi.

Tra l'altro i Rom dell'area ex Sloi non sono degli sconosciuti e i Servizi sociali hanno altre volte organizzato degli interventi senza il coinvolgimento delle forze dell'ordine. Antonio Rapanà, presente sul posto durante l'operazione non ha dubbi sulla sua natura: "L'azione di prevenzione sanitaria, che mai prevede la mobilitazione delle forze dell'ordine, era in realtà il pretesto per mascherare l'ennesima operazione di controllo del territorio - certamente concordata con le autorità di governo della città - con accompagnamento ed accertamenti in Questura da concludere con l'adozione di provvedimenti di allontanamento."

La selezione e gli accertamenti
Anche dal punto di vista sanitario l'intervento di mercoledì scorso solleva molti dubbi. Secondo quali criteri sono stati individuati i nove Rom poi convinti a recarsi in ospedale per sottoporsi agli esami? Spiega il Questore: "Le persone accompagnate in ospedale sono quelle che hanno dichiarato al momento dell'operazione di essere state a contatto con il malato". Se così fosse, significherebbe che l'individuazione dei soggetti da visitare non ha seguito il protocollo stabilito dal Ministero della Salute, spiegato dall'Azienda sanitaria provinciale in un documento rintracciabile sul suo sito web: "Se trattasi di una forma polmonare contagiosa, l'Azienda Sanitaria rintraccia le persone che sono state a contatto stretto con il malato (familiari, conviventi, colleghi di ufficio, compagni di scuola, ecc) per accertare, mediante dei test, se vi è stata trasmissione dell'infezione; il test più frequentemente usato è il test cutaneo tubercolinico di Mantoux." Questo consiste in un'iniezione intradermica sull'avambraccio di una piccola quantità di tubercolina. Dopo circa 72 ore viene eseguita la lettura del test da parte di personale sanitario e soltanto in caso di test positivo il paziente viene sottoposto a ulteriori analisi, tra cui quella radiologica, che presenta comunque un certo grado di invasività.

Il test di Mantoux, però, non è stato svolto: per quale motivo? "Il dubbio - spiega una fonte medica bene informata - è che le forze dell'ordine non cercassero di stabilire veramente chi potesse essere stato contagiato, ma solo chi era infettivo, mettendo così in evidenza non una preoccupazione per lo stato di salute dei Rom, ma soltanto la necessità di escludere le possibilità del contagio". La positività al test di Mantoux rende certa l'avvenuta trasmissione dell'infezione tubercolare e impone successivi test, così come un eventuale intervento terapeutico, ma non determina se l'infezione è nello stadio contagioso, cioè trasmissibile ad altre persone. Questo significa che tra le nove persone visitate - e anche tra gli altri Rom identificati - è possibile (e probabile) che ve ne fossero altre contagiate dall'infezione che però non era a uno stadio tale da venire identificata attraverso una radiografia. Anche nei loro confronti i medici avrebbero quindi dovuto valutare la necessità di una presa in cura. Ma così non è stato.

Inoltre, secondo quanto stabilito dal Ministero della Salute nelle sue Linee guida per il controllo della malattia tubercolare, "È molto importante utilizzare il verificarsi di un caso per incidere in situazioni particolarmente difficili; la ricerca attiva dell'infezione, pertanto, va estesa anche ai contatti non stretti, se questi ultimi appartengono a gruppi a rischio che hanno difficoltà ad accedere ai servizi sanitari". Quindi, restando nell'ottica della prevenzione di una possibile diffusione dell'infezione, il test di Mantoux avrebbe dovuto essere proposto a tutti i Rom presenti al momento dell'operazione.

Altro aspetto sul quale riflettere relativo al "blitz" condotto mercoledì scorso e sottolineato dalla nostra fonte sta nel fatto che con tutta probabilità gli organizzatori dell'operazione avevano escluso di trovare qualcuno di effettivamente contagioso. I malati infetti e contagiosi richiedono infatti particolari accorgimenti per la loro ospedalizzazione: devono essere posti in stanza singola e in isolamento respiratorio.

E' quindi probabile che sarebbe stato molto difficile convincere eventuali malati contagiosi rilevati tra i Rom visitati a sottoporsi alle cure, rendendo necessario il ricorso al Tso (Trattamento sanitario obbligatorio), che comporta che l'ammalato venga piantonato per almeno le due settimane necessarie ad eseguire la prima parte della terapia, della durata totale di sei mesi, con il rischio che una interruzione prematura delle cure possa dare vita a ceppi di Tbc ancora più forti e resistenti ai medicamenti.

Le strutture sanitarie e le forze dell'ordine erano pronte all'eventualità che vi fossero magari due, tre malati in questa condizione da sorvegliare per due settimane 24 ore su 24? Su questo la nostra fonte esprime seri dubbi e giunge anch'essa alla conclusione che - in realtà - la minaccia di una potenziale diffusione di Tbc non fosse che una scusa per nascondere uno sgombero vero e proprio.
In effetti tra i Rom accompagnati in Ospedale per il test radiologico una donna è risultata affetta dalla malattia. Le è stato quindi chiesto di rimanere in ospedale per ulteriori accertamenti, cosa alla quale lei si è opposta, chiedendo di potersene andare.

A quel punto i toni si sono accessi e alcuni testimoni parlano di un'aggressione verbale da parte di un agente della polizia nei confronti della Rom, circostanza negata dal capo della squadra mobile Roberto Giacomelli, coordinatore dell'operazione, che ha dichiarato: "Non mi risulta nulla del genere, si è cercato invece di convincere la donna". La Rom è stata quindi sottoposta a un'ulteriore analisi, quella del catarro, per stabilire se la malattia era a uno stadio infettivo, ma in questo caso l'esito è stato negativo e la donna è stata quindi lasciata andare via, ben sapendo che difficilmente si sarebbe sottoposta alla cura.

Assenti in Ospedale gli assistenti sociali del Comune, presenti solo all'area ex Sloi: Forse il loro intervento per convincere e rassicurare le persone portate in ospedale sarebbe stato importante, anche per dare seguito all'intervento del Comune su questa questione.

Gli allontanamenti
Nel corso dell'operazione di mercoledì il capo della squadra mobile Giacomelli rassicurava i presenti sul carattere non repressivo dell'azione della polizia, cercando di sdrammatizzare. Richiesto di spiegare i motivi del trasferimento dei Rom in questura per essere identificati e se essi si fossero resi colpevoli di un qualche reato, Giacomelli spiegava trattarsi di una normale procedura non legata ad infrazioni di legge di alcun tipo: "Così cominciamo a conoscerli". Secondo quanto detto dal capo della squadra mobile, gli identificati sarebbero stati subito rilasciati e avrebbero potuto tornare sull'area ex Sloi se lo avessero voluto, cosa che si è rivelata solo in parte vera, dal momento che 27 di loro hanno ricevuto un'ordinanza di allontanamento, che impone loro di lasciare l'Italia.
Nessun reato, quindi. E allora perché la polizia ha bisogno di "conoscere" questi Rom (tra l'altro cittadini europei) e perché alcuni dei Rom identificati hanno ricevuto un'ordinanza di allontanamento? In che modo l'identificazione e il successivo allontanamento erano legati all'obiettivo primario conclamato dell'operazione, cioè quello di curare le persone malate e di prevenire un possibile problema di salute pubblica?

Il Questore di Trento, Giorgio Iacobone, difende questa scelta, motivandola con il ruolo di prevenzione che compete alla Questura e alla Polizia di Stato, sia sul piano della salute pubblica, sia su quello della sicurezza. Iacobone si è detto preoccupato non solo della presenza di un possibile focolaio di Tbc, ma anche della possibilità che la presenza dei Rom possa portare a un aumento della microcriminalità e che dietro ad essi - impegnati quotidianamente a chiedere la carità in città - vi siano organizzazioni criminali che controllano la raccolta del danaro e gestiscano il loro arrivo in Italia. Alla domanda se si tratti - in quest'ultimo caso - di un sospetto o di una certezza, il Questore ammette di non avere prove ma aggiunge: "Proprio per questo è necessario conoscere chi sono queste persone, che cosa fanno e dove finisce il danaro che raccolgono".

Iacobone lancia anche un appello a non fare la carità ai Rom presenti a Trento e sottolinea la sua preoccupazione per persone che paiono refrattarie a qualsiasi tentativo di intervento dei servizi sociali. Eppure chiedere la carità non è un reato e - anche ammesso che dietro ai Rom vi siano organizzazioni criminali - appare dubbio che misure repressive come quelle dell'allontanamento, che colpiscono solo le vittime di un presunto racket, possano avere qualche efficacia ed equità.

Così, se un'intervento era sicuramente auspicabile (ma non certamente da parte della polizia e con ben altri presupposti sanitari), le argomentazioni fornite per giustificare i provvedimenti repressivi contro i Rom paiono piuttosto fumose e la presenza di possibili casi di Tbc suonano più come una scusa per giustificare un intervento preparato da tempo.

Anche l'identificazione dei Rom in quanto gruppo come possibile fonte di contagio, sia di malattie sia di microcriminalità, risponde a quei meccanismi discriminatori ben descritti dalle scienze sociali: gli "zingari", i nomadi, vengono presentati come soggetto alieno, portatore di disordine che va espulso dalla "comunità".

Ma uno sgombero e un provvedimento di allontanamento non fanno che occultare un problema che riemergerà, ancora e ancora. Difficilmente infatti le persone colpite dal provvedimento di allontanamento se ne andranno: con tutta probabilità ritorneranno all'ex Sloi e continueranno a fare la carità in città, solo ancora un po' più deboli di prima. Fino alla prossima "operazione".

Quello che è certo è che la commistione tra intervento per cause di salute pubblica e intervento repressivo è negativa allo scopo di un buon successo della prima: quale fiducia nel personale sanitario e negli assistenti sociali possono avere i Rom se questi sbarcano tra le loro baracche accompagnati da poliziotti in borghese? Così, prima di lamentarsi della sostanziale refrattarietà di queste persone agli interventi proposti dai servizi sociali, sarebbe forse utile interrogarsi sulle modalità con le quali questi interventi vengono portati a termine.

In questo senso la scelta del Comune, attraverso i suoi Servizi sociali, di avallare un'operazione repressiva della polizia mascherata da intervento sanitario è assolutamente criticabile e pericolosa, perché rischia di depotenziare l'efficacia dei servizi stessi, ai quali ci si deve poter rivolgere senza paura di eventuali ripercussioni dal punto di vista legale.

Questo vale anche per le autorità sanitarie e il loro personale, che hanno l'obbligo di fornire a tutti i malati o potenziali tali il massimo delle opportunità di cura e per farlo devono cercare di costruire un rapporto di fiducia con i propri pazienti, che di certo mercoledì scorso ha ricevuto un duro colpo.

Ma - forse - quello che colpisce di più in questa vicenda è che le esigenze sanitarie dei 40 Rom al centro dell'operazione probabilmente interessavano a pochi. In fondo si tratta pur sempre di zingari, i più miseri, denigrati, discriminati, nostri concittadini europei.

La conclusione alla quale giunge Antonio Rapanà, operatore del centro Astalli per i rifugiati politici e tra i pochi presenti all'operazione di mercoledì scorso apre alla necessità di un diverso modo di intendere la sicurezza: "Se è vero che non ci sono risposte semplici né soluzioni certe alla domanda di sicurezza che viene dalla comunità, proprio per questo la strategia per la città sicura - che -si-cura- deve essere finalmente riportata al centro di uno spazio pubblico di analisi e di discussione collettiva che non si arrenda alle facili e fallimentari suggestioni del pensiero unico che riduce la questione complessa della sicurezza urbana a mero problema di ordine pubblico."

    L'autore. Mattia Pelli
    Giornalista professionista, ha lavorato per Radio Dolomiti e per il quotidiano "l'Adige" di Trento. Laureato in Storia contemporanea all'Università di Bologna è ricercatore presso la Fondazione Museo Storico del Trentino e collabora con la Fondazione Pellegrini Canevascini di Bellinzona. Ha pubblicato nel 2005 il volume "Dentro le montagne: cantieri idroelettrici, condizione operaia e attività sindacale in Trentino negli anni cinquanta del Novecento".
 
Di Fabrizio (del 22/05/2013 @ 09:03:29, in Italia, visitato 1489 volte)

19 maggio 2013 | di Clelia Bartoli

Sono un vero egoista, né buono, né tantomeno buonista,
e direi anche un po' qualunquista,

E per questo vi avviso: per carità, abroghiamo il reato di clandestinità,
lo voglio cancellare perché intasa i tribunali e non fa perseguire i veri criminali.
Poiché il gratuito patrocinio costa assai alla collettività
e preferisco che le mie tasse paghino a mio figlio la borsa di studio all'università.

Sono un vero egoista, né buono, né tantomeno buonista,
Sono pure impaurito, a tratti perfino atterrito.

E proprio per questo non voglio aree ghetto, campi rom, una degradata periferia,
perché l'emarginazione alimenta disperazione, devianza e anarchia.
In virtù del mio egoismo voglio città includenti, direi addirittura accoglienti,
dove l'angoscia è sopita, la rabbia gestita,
dove a fregarmi ci pensi se viviamo a fianco, se sediamo allo stesso banco.

Sono un vero egoista, né buono, né tantomeno buonista,
e lo dico con orgoglio che penso al mio portafoglio.

Per tale motivo vi dico: non siate contrari, regolarizziamo tanti extra-comunitari.
Se del lavoro nero c'è l'emersione, riuscirò a finanziare la mia pensione.
E poi vi faccio presente che questi CIE costano assai e servono a niente.
Soggiorni in custodia a spese del contribuente, la gente marcisce e le procedure son lente.

Sono un vero egoista, né buono, né tantomeno buonista,
la crisi mi ha avvilito e ho bisogno che qualcun altro muova un dito.

Ho pensato che si potrebbe dare ai figli di immigrati la cittadinanza,
che cos'è questa disuguaglianza?
Sono giovani e in forze, il paese è allo stallo. Che "nuovi italiani" si mettano in ballo.
Sono stanco, sfibrato, frustrato voglio passare il testimone ad altre persone,
e non me ne frega se loro nonno era di Marrakesh o di Pordenone.

Sono un vero egoista, né buono, né tantomeno buonista,
bado molto al mio orto, ma non ho lo sguardo corto
.
Non voglio più che arrivino straccioni e barconi,
date fondi veri alla cooperazione, ma soprattutto basta far confusione nei paesi di emigrazione.
Dove ci sono i conflitti non vendete armamenti, non fatte patti con despoti presidenti,
non inquinate i fiumi e i mari dei pescatori e smettete di rubare le terre agli agricoltori,
perché ve lo dovete aspettare che qualche giorno verranno da queste parti ad elemosinare.

E, poi, se nei paesi "in via di sviluppo" ci sarà libertà e prosperità
avrò un bel posto dove emigrare se le cose qui si mettono male.

 
Di Fabrizio (del 19/05/2013 @ 09:03:52, in Italia, visitato 1439 volte)

Un recente fatto di cronaca nella mia città ha rinfocolato una mai sopita sequela di luoghi comuni. Difficile seguire tutti i rivoli di un dibattito che è diventato SOCIAL (come si dice adesso), e dove il problema non è tanto la supposta ignoranza della lingua italiana dei leghisti-razzisti ecc. (che magari, salvo qualche eccezione, parlano quasi come fosse la madrelingua), quanto l'uso disinvolto (o ideologico) di concetti attribuiti al vocabolario italiano.

Vediamone alcuni:

CLANDESTINO

A cercare su internet, quasi non si trova più il significato originario della parola. Letteralmente: "sprovvisto di documenti". Il prefisso "CLAN" aggiunto al misterioso "DESTINO" evoca comunque, al di là delle interpretazioni di legge, l'immagine di una banda segreta con oscuri scopi. A partire dall'inizio degli anni '90, che corrispondono ai primi picchi di emigrazione di massa verso l'Occidente, le varie leggi europee si conformano sanzionando una condizione temporanea (la mancanza di documenti) come un reato che può portare ad un isolamento penale anche di anni. Dato che una gran parte degli immigrati presente in occidente dalla prima metà degli anni '90, è arrivata come clandestina e si è poi regolarizzata (senza dare fastidio alcuno), ecco che per la legge (del contrappasso) un altra buona parte che vive da anni con noi, diventa clandestina in caso di perdita di lavoro; per non parlare delle cosiddette II generazioni, che italiane sino a 17 anni e passa, possono diventarlo al compimento dei 18 anni.

CACCIA ALL'IMMIGRATO

Ci fu un sindaco a 3VISO, credo che gli piacesse il soprannome di sceriffo, che propose di travestire gli immigrati (regolari o meno per lui non faceva differenza) da leprotti, per sollazzare i cacciatori locali. Non credo che le leggi nostrane possano permetterlo, ma qualche "pazzo" che prende sul serio le parole di un sindaco lo si trova sempre. Uno di questi si chiama(va) Carreri e stava a Firenze. Pazzo, così dicono; ha agito da solo, anche se era da anni legato a movimenti politici inquietanti. Se un Ghanese, probabilmente con un concetto personale del termine integrarsi (un concetto, questi sì, pazzoide), agisce (da solo) con modalità simili, la responsabilità smette di essere personale, per trasferirsi in automatico a clandestini o a ghanesi (a scelta).

NON POSSIAMO ACCOGLIERLI TUTTI

Non so quale sia il concetto di ACCOGLIENZA a casa vostra... ma umanamente (da New York alle comunità beduine) quando si accoglie qualcuno gli si offre quanto si ha a disposizione, come se fosse un fratello; sarà poi l'ospite a sdebitarsi e contraccambiare. NOI NON ABBIAMO ACCOLTO NESSUNO (chiedo scusa per la generalizzazione): abbiamo cercato braccia a basso costo da racchiudere in baracche, cantine, ghetti, magazzini, quando non erano produttive. E poi abbiamo fatto dell'accoglienza, della carità, del soccorso, un business per arricchirci ulteriormente.

PERIFERIE (NON CE LA FACCIAMO +)

Certamente, le contraddizioni sono nelle periferie, perché è lì che si (con)vive, che si lavora. Insomma, si accumulano i problemi non risolti. E lo capisco che ad un certo punto le contraddizioni diventino insopportabili. Ma, proviamo (per chi non ci vive) ad immaginarcela questa periferia, senza alberi, file di palazzoni identici... Come pretendiamo che possano integrarsi gli altri, quando siamo noi per primi a non amarle? Al posto di rimpiangere un tempo mai esistito in cui le cose andavano tutte bene, non sarebbe il caso di cercare aiuto, solidarietà, forza, anche dai nuovi arrivati (che siano benvoluti o meno)?

NOI e VOI

Citavo di recente "... rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese." e mi rimangono i dubbi di settimana scorsa: DI CHI è compito? Quella "Repubblica" fisicamente da chi è composta? Ecco, i dibattiti di questi giorni mi hanno risollevato il problema anche dal punto di vista linguistico: folle che usano il NOI di continuo, ma non osano mettersi in gioco, sottintendendo che quel NOI significa QUALCUNO, BASTA CHE NON SIA IO. Gli altri, i tanto bistrattati altri, sono quelli che devono darsi fare, attorniati da spettatori che non aspettano altro che un errore per ripartire con le medesime litanie.

Termino qua questo piccolo dizionario, sperando che qualcuno si diverta a continuarlo.

 
Di Fabrizio (del 17/05/2013 @ 09:06:44, in Italia, visitato 1256 volte)

Piacenzasera

Si è appena conclusa l'adunata festosa degli alpini, e c'è già chi si preoccupa dell'arrivo, in città, di numerosi zingari sinti nell'ultima settimana di maggio. a questo proposito ecco quanto scrive il sindaco di Piacenza Paolo Dosi sul proprio profilo Facebook.

Le leggende metropolitane sono inaffondabili. Da qualche settimana si é sparsa la voce che, alla fine del mese, Piacenza ospiterà un grande raduno di Sinti. Mi arrivano messaggi del tipo: "Bene gli alpini, ma i sinti...". Oppure: "Ma dove li metterete i 10.000 zingari del raduno? Li farete arrivare in città? Rinforzate il servizio di polizia?"
Ho già avuto diverse occasioni per chiarire di che cosa stiamo parlando, ma ci provo ancora, nella speranza di essere chiaro.

Il raduno é organizzato da una Chiesa Evangelica, una delle tante del mondo protestante, che da otto anni organizza un incontro di preghiera nella nostra città.
Come mai nei sette anni precedenti nessuno si é mai accorto di nulla? Perché non é mai successo niente. Il numero oscilla tra le 400 e le 500 unità, il luogo dell'incontro é in un parcheggio periferico della zona del Montale. Gli organizzatori hanno versato, come sempre, una cauzione di 5.000 euro e il comune non dá nessun contributo. Fintanto che riusciremo a vivere in uno stato di diritto, proveremo a garantire il libero esercizio di un diritto semplice e fondamentale: quello di riunirsi.

 
Di Sucar Drom (del 15/05/2013 @ 09:04:26, in Italia, visitato 1756 volte)

Da Sinti Italiani in viaggio per il Diritto e la Cultura

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL'EVENTO:
22 MAGGIO ALLE ORE 12.00 A PALAZZO MARINO

SALUTI ISTITUZIONALI, PRESENTAZIONE CAMPAGNA DOSTA! E PROIEZIONE DELLO SPOT: MODERA DAVID MESSINA. DIRETTORE GENERALE UNAR CONS. MARCO DE GIORGI - COMUNE DI MILANO ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI E CULTURA DELLA SALUTE PIER FRANCESCO MAIORINO - ASSESSORE ALLA SICUREZZA E COESIONE SOCIALE, POLIZIA LOCALE, PROTEZIONE CIVILE, VOLONTARIATO MARCO GRANELLI - PRESIDENTE PROV.LE ACLI MILANO PAOLO PETRACCA - DIRETTORE CARITAS AMBROSIANA MONS. ROBERTO D'AVANZO - INTERVENTI PRESIDENTI ASSOCIAZIONI E FEDERAZIONI ROM E SINTI ITALIANE: DAVIDE CASADIO E DIJANA PAVLOVIC FEDERAZIONE ROM E SINTI INSIEME - VOJKAN STOJANOVIC FEDERAZIONE ROMANI' - RADAMES GABRIELLI ASSOCIAZIONE NEVO DROM - SANTINO SPINELLI FEDERARTE ROM - OSPITI D'ECCEZIONE MARCO FERRADINI, MASSIMO PRIVIERO E IL REGISTA DEL FILM "MIRACOLO ALLA SCALA" CLAUDIO BERNIERI.

23 MAGGIO 2013 MATTINA
CAMPAGNA DOSTA! PRESSO OFFICINE CREATIVE ANSALDO.

  • ORE 10.30 - PRESENTAZIONE CAMPAGNA DOSTA! E PROIEZIONE DELLO SPOT. APERTURA ISTITUZIONALE EVENTO MODERA DAVID MESSINA: DIRETTORE GENERALE UNAR CONS. MARCO DE GIORGI - COMUNE DI MILANO ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI E CULTURA DELLA SALUTE PIER FRANCESCO MAIORINO - ASSESSORE ALLA SICUREZZA E COESIONE SOCIALE, POLIZIA LOCALE, PROTEZIONE CIVILE, VOLONTARIATO MARCO GRANELLI - PRESIDENTE PROV.LE ACLI MILANO PAOLO PETRACCA - DIRETTORE CARITAS AMBROSIANA MONS. ROBERTO D'AVANZO - INTERVENTI PRESIDENTI ASSOCIAZIONI E FEDERAZIONI ROM E SINTI ITALIANE: DAVIDE CASADIO E DIJANA PAVLOVIC FEDERAZIONE ROM E SINTI INSIEME - VOJKAN STOJANOVIC FEDERAZIONE ROMANI' - RADAMES GABRIELLI ASSOCIAZIONE NEVO DROM - SANTINO SPINELLI FEDERARTE ROM.
    - "MIRACOLO ALLA SCALA" CON MUSICHE DEL GRUPPO SINTO "THE GIPSYES VAGANES" - A SEGUIRE DIBATTITO CON GLI ALUNNI DELLE SCUOLE E GLI STUDENTI UNIVERSITARI PARTECIPANTI ALLA PRESENZA DEI SEGUENTI OSPITI PROTAGONISTI DEL FILM: IL REGISTA CLAUDIO BERNIERI; LA PROTAGONSITA DEL FILM LOREDANA BADEANU; DAVIDE PARENZO - CONDUTTORE DE "LA ZANZARA" RADIO 24 (da confermare); ROSSELLA CICERO - DELLA SCUOLA DI DANZA DI FLAMENCO DELLA SCALA DI MILANO; IL GRUPPO MUSICALE ROM "UNZA".
  • ORE 13.30 - CHIUSURA EVENTO

23 MAGGIO POMERIGGIO
CAMPAGNA DOSTA! PRESSO OFFICINE CREATIVE ANSALDO.

  • ORE 16.00 - PRESENTAZIONE CAMPAGNA DOSTA! E PROIEZIONE DELLO SPOT; INTERVENTI DI SALUTO DEI RAPPRESENTANTI DELLE ASSOCIAZIONI E FEDERAZIONI ROM E SINTI, MODERA MARCO LIVIA.
    ORE 1630 - APERTURA EVENTO MUSICALE A CURA DEL GRUPPO SINTO "THE GIPSYES VAGANES"
  • ORE 18.00 - SFILATA DI MODA ROM CON MUSICHE ROMANI' A CURA DI JOVICA JOVIC MAESTRO BAL VAL E LETTURE DI POESIE A CURA DI DIJANA PAVLOVIC.
  • ORE ORE 19.00 - APERIROM, APERITIVO A BUFFET CON PRODOTTI TIPICI DELLE COMUNITA' ROM E SINTI, INTERVENTI MUSICALI A CURA DI MARCO FERRADINI E MASSIMO PRIVIERO, IL VIOLINISTA EDUARD ION E JOVICA JOVIC PRESENTAZIONE DEL LIBRO "BUTTATI GIU' ZINGARO" DI ROGER REPPLINGER CON LA PRESENZA DELL'AUTORE E DEL PUGILE ROM MICHELE DI ROCCO. IL LIBRO RACCONTA LA STORIA DI JOHANN TROLLMANN, PUGILE SINTO, CHIAMATO IL PUGILE DANZANTE PER IL SUO STILE CHE VENNE PRIVATO DAI NAZISTI DEL TITOLO DI CAMPIONE E UCCISO IN UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO.
  • ORE 20.30 - CHIUSURA Campagna Dosta!
 

Frontierenews | 10 MAGGIO 2013

E' notizia di questi giorni che la Corte Suprema della Cassazione ha sancito definitivamente la fine del periodo di "emergenza nomadi" che ha generato le schedature (anche dei minori), la costruzione di campi rom, gli sgomberi forzati ecc.

Abbiamo intervistato Emil Costache, romeno di origine rom che vive in uno dei campi della Capitale, per comprendere quali sono le conseguenze concrete di questa sentenza e approfondire la conoscenza della vita nei campi rom.

Emil, mediatore culturale ed educatore, potrebbe essere definito un "nomade" soltanto perché per diversi anni ha girato l'Europa in cerca di lavoro, prima di stabilirsi in Italia, 13 anni fa. In Romania e in altri Paesi dove è vissuto precedentemente, faceva una vita da stanziale, aveva un lavoro e una casa. Intervista di Simona Hristian

Cosa significa concretamente questa sentenza per i rom? Quale cambiamento porterà, secondo te?
Dichiarare lo stato d'emergenza in un Paese europeo nel XXI secolo dove vivono 150mila rom (dei quali più della metà lavora, abita in case e non fa parte di alcun programma di assistenza sociale) non ha portato nessun cambiamento né ai rom, né alle istituzioni e neanche agli Italiani. E' stata solamente una manovra politica che non ha fatto né bene, né male. Così come questa sentenza non porterà dei cambiamenti. Si continuerà a vivere da esclusi. Un decreto di emergenza viene emesso solo in caso di calamità naturale, di una malattia contagiosa ecc. invece l'emergenza rom esiste da mille anni e durerà per ancora molto tempo.

Tu vivi in un campo rom a Roma mentre i tuoi fratelli che abitano a Bologna, vivono in una casa. Come spieghi questa differenza tra le varie zone d'Italia?
A Roma, come in altre grandi città italiane, la politica che riguarda i rom è fondata sulla premessa che i rom siano nomadi, ma la realtà è diversa. Sia prima di arrivare in Italia che dopo aver avuto l'opportunità di uscire dal campo, i rom vivono da stanziali. A Roma ci sono famiglie che hanno affittato delle case, ma per poter fare questa scelta devi avere lavoro. Inoltre, devi rinunciare alla tua appartenenza e presentarti come romeno per non avere dei problemi. Devi rinunciare ad ascoltare la musica rom, di indossare i vestiti tradizionali e molte volte non basta. Ad esempio, anni fa quando avevo uno stipendio, ho trovato un appartamento, ma i vicini si sono opposti quando hanno saputo le nostre origini e siamo dovuti ritornare al campo. Invece, i miei fratelli vivono a Bologna, lavorano come autisti e abitano in appartamenti. Il Comune li ha sostenuti per un periodo per poter pagare l'affitto e poi sono stati messi in condizione di poter provvedere da soli. Nelle città più piccole, i comuni investono sull'inserimento dei rom nel tessuto sociale, mentre nelle grandi città, i fondi vengono dati alle associazioni che gestiscono i campi rom. Inoltre, i miei fratelli non hanno avuto problemi per trovare lavoro, nonostante la loro origine, perché a Bologna guardano soltanto la motivazione per il lavoro.

Come si vive in un campo rom? Quali sono gli aspetti positivi e quali quelli problematici?
Nel campo dove vivo manca l'acqua potabile da circa un anno, nonostante sia un campo autorizzato per il quale il Comune di Roma paga un affitto. Per il mio camper si spendono circa 1900 € e ogni mese io pago 50€ per l'elettricità al gestore che dovrebbe mettere a disposizione tutto il necessario. Succede invece che i ritardi nel pagamento da parte del Comune o altri problemi si ripercuotono sulle condizioni di vita degli abitanti del campo, di cui la maggioranza sono bambini. Con questi soldi si potrebbero pagare tre affitti: uno per la famiglia rom e due per le famiglie italiane. Sarebbe anche un modo di integrarsi, di socializzare con la popolazione italiana mentre adesso viviamo in un ghetto, isolati dal resto della società. Però non tutti i campi sono situati in zone marginali, così come la gestione è diversa da un campo all'altro. Alcuni gestori responsabilizzano i rom ospitati, coinvolgendoli nella gestione, ma esistono anche campi dove l'organizzazione e le condizioni non permettono l'autonomia e la responsabilizzazione dei rom. Per esempio, non possiamo portare personalmente i nostri figli a scuola. L'accompagnamento dei bambini a scuola con il bus toglie l'opportunità ai genitori di svolgere il loro ruolo e di relazionarsi con la scuola, con gli insegnanti, dato che sono gli operatori del campo a farlo al loro posto. Nei piccoli paesi e nelle cittadine dove i rom sono inseriti nel tessuto sociale, la situazione è diversa. Sono i genitori a curarsi degli aspetti pratici, burocratici ecc.

Tu li chiami ghetti ma la maggioranza delle persone pensa che siano luoghi adatti al modo di vivere rom.
Nel campo dove vivo non si può entrare senza una liberatoria del Comune di Roma e non c'è neanche la possibilità di ricevere visite (neanche i famigliari), mentre in alcuni campi ci sono degli orari quando è possibile ricevere ospiti. C'è un controllo all'ingresso del campo, dove l'ospite si presenta nell'orario di visita e chi lo ospita deve venire a firmare per conferma. La maggior parte dei rom vorrebbe uscire dal campo, ma ci sono anche dei rom a cui conviene vivere lì. Purtroppo per lasciare il campo devi avere un lavoro che ti permetta di pagare l'affitto.

Nell'immaginario collettivo, i rom stanno in questi campi sporchi che non puliscono, non lavorano, vanno a chiedere elemosina o a rubare. Come si svolge la tua giornata tipo?
Nei campi vivono tutti i tipi di persone, ci sono anche quelli che rubano o che non lavorano, ma la maggioranza dei rom lavora, svolgono soprattutto l'attività di raccolta del ferro vecchio. Ultimamente, è nato un problema burocratico dovuto al fatto che una direttiva europea impedisce la raccolta di ferro senza il permesso della Regione e senza avere una cooperativa. La licenza per la raccolta del ferro viene data soltanto a 20 persone all'anno. Io mi alzo alle 6 o alle 7, in base alla giornata e al programma che ho. Lavoro anche nel fine settimana perché il lavoro precario di mediatore non mi permette di mantenere la famiglia e, per arrotondare, lavoro come giardiniere.

Molti pensano che i rom non vogliono mandare i figli a scuola. Tu lavori nel progetto di scolarizzazione, qual è la tua opinione?
Il progetto è iniziato 25 anni fa e pochissimi ragazzi arrivano a fare le superiori, al massimo le scuole professionali. Come si fa a continuare un progetto quando i risultati sono questi?

Secondo te, a cosa è dovuto questo fallimento?
Il progetto è sbagliato. Ci sono gli operatori che fanno tutto, negando così la genitorialità. Le responsabilità sono attribuibili alle istituzioni che hanno sempre fatto dei progetti senza considerare i bisogni e le esigenze dei rom. Non c'è una progettazione a lungo termine. Non si considera la possibilità di formare i rom in modo di trovare un lavoro che gli permetta di lasciare il campo. Basterebbe aiutarli a trovare un lavoro perché dopo penserebbero da soli a trovare casa e a gestirsi da soli. Poi c'è il fatto che i bambini non hanno la possibilità di inserirsi a scuola, arrivando sempre in ritardo e uscendo prima, non hanno modo di socializzare con i compagni. Dopo la scuola stanno insieme agli altri rom, non possono uscire o giocare insieme ai loro compagni di scuola perché i campi sono lontani dai centri abitati. Non possono neanche fare i compiti con gli altri bambini del campo perché non si possono riunire in una roulotte dove vivono 8-10 persone. Ci sono tante difficoltà. Quindi sono visti come diversi, sono messi in fondo alla classe e abbandonati a loro stessi. Molti non sanno né leggere né scrivere; arrivano alle medie senza conoscere neanche le tabelline. I compagni quindi li emarginano e li temono. Alla fine rinunciano, finite le medie. Si disperdono perché non si sentono appoggiati e rinunciano. Inoltre, le donne si sposano presto.

Perché le donne si sposano presto?
Ti faccio l'esempio della mia famiglia: mia figlia grande - che è cresciuta in Romania e Francia - si è sposata tardi, invece la piccola - che è cresciuta nel campo - è scappata a 15 anni con un ragazzo, nonostante fosse brava a scuola e conoscesse tante lingue. Nel campo si subisce l'influenza della tradizione.

Quale sarebbe la soluzione?
Da una parte la cultura, l'educazione e dall'altra uscire dal campo, trovando la casa e il lavoro. Altre soluzioni non esistono. Con l'aiuto delle associazioni italiane e rom, prima o poi troveremo le soluzioni.

In futuro dove ti vedi?
In una casa, facendo una vita normale. Non rimarrò nel campo. Probabilmente tornerò in Romania, ma anche se rimarrò qui, starò in una casa e avrò un lavoro.

Grazie! Nais!

 
Di Fabrizio (del 05/05/2013 @ 09:09:53, in Italia, visitato 1750 volte)

(immagine da GialloZafferano)

Quanto segue è uno dei miei soliti minestroni, messo per iscritto tentando di dar ordine a diverse idee senza un'orbita precisa. Ribollita, che è un minestrone da mangiarsi freddo, a qualche giorno dalla cronaca. Insomma, sfogo e (forse) ragionamento, dove ai classici ingredienti della ribollita aggiungerò quel tanto necessario di piccante, come si addice alla cucina della MAHALLA.

I prezzemolini

All'inizio erano le vallette, poi furono le veline, infine le prezzemoline. Trent'anni e passa di storia televisiva, di un paese dove la politica si è fatta televisione. Prezzemoline erano quelle star (tarde o acerbe) di cui nessuno ha mai capito bene la funzione, ma che spuntavano fuori ad ogni trasmissione, a volte per un balletto, talvolta solo per ridere o sorridere, altre (ahinoi!) per fornire il loro parere su qualsiasi cosa passasse in mente al conduttore. Parabola di persone assolutamente inutili e fuori contesto, che non si rassegnano a stare lontano dai riflettori. Ma si sa, se una cosa funziona per il mondo femminile, zitti zitti i maschi se ne appropriano.

L'ascaro

Avrebbe dovuto capirlo da tempo (quando passò da editorialista del Corriere a firma del Giornale) che i tempi stavano cambiando. Era convinto di aver trovato un suo ruolo, remunerato, nella nostra società: giornalista ben visto negli ambienti "giusti", parlamentare europeo, con una marea di confratelli immigrati da linciare (almeno virtualmente, visto l'impossibilità di farlo fisicamente). Il suo capolavoro: la conversione (fatto estremamente privato) al cattolicesimo, vissuta come un vero e proprio evento mediatico.

E poi, una triste china discendente verso l'oblio. Provò a far parlare nuovamente di sé, quando annunciò urbi et orbi che visto che non gli piaceva il nuovo papa, non giocava più a fare il convertito. La risposta altrettanto urbi et orbi, destre ecclesiali comprese, fu "Magdi chiiii?"

Lo sapevamo (non ditemi di no...) che alla nomina di un ministro all'integrazione, il nostro avrebbe rimesso fuori la testolina, per dare la sua opinione, sprezzante e credo non richiesta. Non richiesta, non decisiva (chi mai gli ha dato retta?), giusto per ricordarci della sua tutto sommato inutile esistenza.

I crociati

Ma l'ascaro è il caso (estremo) di altoparlante, e la voce? La troviamo nelle persone di Salvini (il pragmatico) e Borghezio (il fattone) di un partito che in 20 e passa anni ha promesso e minacciato di tutto:

  • dalle carrozze riservate ai milanesi, al portare un maiale (suppongo leghista) ad urinare dove si potevano edificare le moschee. Un partito di massa e governo che tra una promessa e una minaccia, s'è quasi dissolto per un rapporto molto creativo con le finanze (altrui) e poi s'è risolidificato, ma i due punti fondanti, autonomia fiscale e politica, non ha mai cercato nemmeno di realizzarli.

Pragmatico e fattone a minacciare, come sempre, sfracelli, contro questo povero ministro: "i governatori del nord faranno argine..." Me li immagino, questi coraggiosi governatori, e mi sorge un dubbio, ma se non li ho visti, schierati a falange, neanche quando il governo era loro, cosa vogliono adesso? L'immigrazione, gli sbarchi dei "clandestini" è storia loro, adesso che ci sono (con tanti problemi che è inutile negare), ragionare sull'integrazione mi pare la cosa più logica.

Perché, come nel Medio Evo, i crociati in questi 20 (ricordo: 20) anni e passa, hanno fatto una figura da cioccolatai: la gente, i famosi migranti, arrivavano qualsiasi cosa, qualsiasi rito scaramantico si inventassero. Che gli si appioppasse l'etichetta di clandestini, che ci fossero CIE o CPT, che si affondassero le loro zattere o si perseguissero i pescatori che li soccorrevano (un respiro di umanità, infine), che ci fossero sgomberi e retate... Sono arrivati lo stesso, sono in mezzo a noi, e con noi lavorano, mangiano, figliano.

Che, la figura di cioccolataio, l'han fatta in tanti, mica solo a destra: Livia Turco e Giorgio Napolitano vi ricordano qualcosa? Eppure, entrambe lamentano che la loro stessa legge (che probabilmente non li sente ed è ancora lì) non la riproporrebbero. Man mano che tra destra e sinistra politiche crescevano gli steccati, si confondevano le acque tra destra e sinistra sociale, a partire dai sindacati, per arrivare alle galassie dei non-garantiti, degli incazzati, dei senza bandiera. E, mentre i buonisti rifluivano nel virtuale, il "cattivismo reale" di ogni declinazione politica prendeva le leve del potere.

Chi c'era e chi c'è

Vi risulta che qualcuno abbia valutato, anche minimamente, come serie le invettive (perché di proposte, credo non si possa parlare) di Salvini e Borghezio?

Lo sanno loro per primi, hanno fallito e si sono coperti di ridicolo tra i loro stessi sodali di un tempo, che fanno finta di non conoscerli. Così son passati dal "scendi il porco che lo piscio" al "pisciare loro come cani randagi per marcare il territorio", d'improvviso diventato estraneo e smemorato. Sindrome da prezzemolino di ritorno.

Ma, uscendo dalla metafora e dalla puzza, dopo la sinistra qualcosista, la destra populista, quella tecnica ed il papocchio attuale, siamo fermi a 20 anni fa. Le politiche "cattiviste" forse sono state messe in castigo, ma quella attuale non mi sembra una squadra di passisti da montagna capace di recuperare il ritardo.

C'è da rimediare con urgenza, e il nuovo ministro dell'integrazione potrebbe essere la persona giusta, soprattutto quando esordisce: CHIUSURA DEI CIE e RICONOSCIMENTO DELLA CITTADINANZA. E' il minimo, è il dovuto, ma ci vuole ancora coraggio per dirlo in Italia.

La casalinga

Borghezio, e non solo lui, probabilmente non se n'è reso conto, ma dare della "casalinga" ad una stimata professionista finita a fare il ministro, è un complimento. Abbiamo avuto nelle cronache, in Parlamento e al governo il fior fiore delle vallette, delle veline, delle prezzemoline e dei prezzemolini, attente/i ad alternare una commissione parlamentare con l'appuntamento dal parrucchiere... e i risultati li abbiamo visti!. Finalmente, la faccia della mia vicina, di una collega, di una persona che intravedi reale.

Che Cécile, reale e presente lo è veramente (e spero continui ad esserlo). Quasi tutti quanti in Italia da anni hanno operato sui temi del razzismo e dell'immigrazione possono dire di averla conosciuta, di aver scambiato una chiacchiera o un caffè assieme. Leggo una sua quasi-biografia di tempi non sospetti (pagg. 27-36) ed è la storia, dura, di studi all'università, rapporti col mondo cattolico, il lavoro, la politica, le radici. C'è poco di inquietante, c'è determinazione e volontà. Determinazione e volontà che sino a ieri ci facevano paura, le avremmo rinchiuse nei CIE o a pulire i cessi. Saperla ministro non è solo soddisfazione, è guardarsi allo specchio e vedere una parte bella di se stessi.

Una bella immagine, circondata da squali vecchi e nuovi.

Lo specchio non è (ancora) la realtà

Leggevo, sempre su Corriere Immigrazione, di una soddisfazione simile, e della consapevolezza di sapere chi è l'attuale ministro degli interni. Vallacapì chi ha più potere... Anzi no, forse lo sappiamo.

In questi giorni Cécile Kashetu Kyenge ha incassato apprezzamenti e solidarietà, dovuti certo, ma le belle parole non cambiano i 20 anni di ritardo, non accorciano la strada da fare. Purtroppo, i supereroi esistono solo nei fumetti, o nella realtà virtuale in cui a molti piace crogiolarsi. Cécile Kashetu Kyenge non ha alcuna possibilità di farcela da sola, visti i suoi compagni di cordata.

Però, CHIUSURA DEI CIE e RICONOSCIMENTO DELLA CITTADINANZA (e del resto, ne parliamo tra pochissimo), prima ancora che essere proposte giuste o sbagliate sono proposte, ripeto NECESSARIE. Necessarie a smontare l'impianto, razzista e classista insieme, degli ultimi 20 anni, che ci ha consegnato l'immagine dell'immigrato come una persona aliena, da isolare e rinchiudere. Alla base di quelle due proposte c'è quello che possiamo (dobbiamo) fare da subito: creare le condizioni per agire, per giocare, per discutere assieme, NOI E GLI ALTRI. Partendo dalle proprie realtà, di quartiere, comunali, magari riprendendo il senso di FEDERALISMO che è diventato una parolaccia di destra, ma è uno dei tanti patrimoni dispersi della sinistra che fu.

Perché (vorrei terminare, prima che non ce la facciate più), c'è l'ultimo ingrediente di questa ribollita: resto ancora convinto che politica non è una cosa sporca, non è neanche un recinto dove rinchiudere stimati professionisti o poveri idealisti: è lavorare assieme, e soprattutto immaginare, costruire, difendere il mondo in cui agiremo.

Altrimenti, ancora una volta, avremo "sacrificato" chi avrebbe potuto, UNA FACCIA DA CASALINGA COME NOI.

 
Di Barbara Breyhan (del 30/04/2013 @ 09:02:15, in Italia, visitato 1693 volte)

CORRIEREIMMIGRAZIONE 28 aprile 2013 | di Clelia Bartoli

Le forme del razzismo sono tante e diverse: ve ne sono di chiassose e sfacciate, ma anche di pudicamente ipocrite, alcune utilizzano la forza bruta, altre si avvalgano dell'insulto o del semplice sguardo, altre ancora impiegano strumenti di oppressione più subdoli e sottili.

Tra i razzismi che amano mascherarsi, a mio avviso, va annoverato l'assistenzialismo: tale agire appare generoso, benevolo, preoccupato di soddisfare i bisogni dei deboli, ma esso in realtà è offensivo, dannoso e perfino razzista.

È razzista perché ripropone il mito coloniale del buon selvaggio, del quale l'uomo bianco deve "prendersi cura", senza che il selvaggio venga però invitato al tavolo delle decisioni che riguardano la sua vita. L'assistenzialismo dunque infantilizza l'assistito: lo reputa minore, lo tratta da minore, lo abitua alla minorità. E ciò, come spiega Kant, reca vantaggio al narcisismo degli aspiranti tutori e foraggia l'inclinazione umana alla pigrizia e alla delega. Una perfetta rappresentazione iconografica dell'assistenzialismo l'ha fatta il regista che ha firmato uno spot (...) per un programma di solidarietà verso le donne africane Un mese per la vita, promosso dalla fondazione Rita Levi-Montalcini insieme all'acqua Lete.

Lo spot – alquanto discutibile a sostegno di un progetto probabilmente meritorio – mostra la mano di una donna nera che iniziava a scrivere con un gesso su una lavagna la parola "futuro", quando arrivava la mano di un'anziana donna bianca a guidarla nella scrittura di tale parola. La donna africana è così paragonata ad una bambina di scuola elementare che l'insegnante europea deve guidare dirigendo la progettazione del futuro dell'assistita. Viene ad istaurarsi un rapporto fortemente asimmetrico tra chi guida e chi è guidato, tra chi è autore del proprio futuro e chi è eterodiretto nel proprio progetto di vita.

L'assistenzialismo ha inoltre un elevato costo per l'intera comunità e questo fa sì che i "beneficiati", visti come parassiti, non attirino su di sé troppe simpatie. Ma ciò non sarebbe un vero problema se davvero soggetti svantaggiati acquisissero un vantaggio e dunque una maggiore uguaglianza. Il problema è che l'assistenzialismo (cosa diversa da una giusta solidarietà sociale) non reca grandi benefici ai "beneficiati". Dijana Pavlovic, in un articolo dal titolo appunto Dall'assistenza alla responsabilità apparso sull'ultimo numero di "Near" (p. 27), scrive:

"Il mio amico attivista rom Giorgio Bezzecchi mi racconta che nel suo villaggio di 50 persone (una famiglia allargata) non ci sono particolari problemi. Tutti sono autonomi e si occupano di se stessi da anni. Lavorano, sono cittadini italiani, accedono ai servizi come tutti gli altri. Da qualche anno quel campo è affidato in gestione a una cooperativa. Ci sono alcuni operatori che vengono al campo per "assistere" le persone. La conseguenza è che i rom che hanno bisogno di fare una fotocopia o andare in un ufficio per compilare un modulo adesso si fanno accompagnare dagli operatori. Oltre ai costi materiali di questa operazione da non sottovalutare e che pesano su tutti i cittadini, il costo più grande lo pagherà per intero quella comunità rom: sempre più deresponsabilizzata e sempre meno autonoma".

L'assistenzialismo è una forma di aiuto che tarpa le ali, che non cede potere, che parte dall'assunto dell'incapacità del debole di risolvere le cose da sé, che anchilosa la forza e le abilità, che abitua alla dipendenza e alla deresponsabilizzazione, che produce apatia e fatalismo, che foraggia l'autocompiacimento di chi vuole controllare per mezzo di un aiuto interessato. Esso umilia obbligando ad una gratitudine che facilmente si converte in rabbia verso il solerte salvatore. La rabbia, infatti, si scatena puntualmente verso quei genitori, insegnanti, operatori sociali, ecc. che "dandoci" in realtà "ci rubano" la possibilità di essere autori delle nostre vite.

 
Di Fabrizio (del 25/04/2013 @ 09:07:24, in Italia, visitato 1566 volte)

direfarebaciare - luogo di sconfinamenti di Giovanni Giovannetti

Il nuovo fascismo di chi A Pavia ha creato ad arte una emergenza umanitaria all'unico scopo di favorire una speculazione immobiliare. Affaristi senza scrupoli e alcuni politicanti loro lacché, irresponsabilmente volti a manipolare l'etica pubblica al punto da elevare a cultura prevalente il nuovo fascismo e il suo portato di razzismo e xenofobia che ormai - senza più ostacoli o freni inibitori - a Pavia come nel resto d'Italia ha contaminato il senso comune.

Il nuovo fascismo di chi ha spacciato per interesse collettivo il tornaconto illecito dei loro sodali immobiliaristi e faccendieri, come se la «minaccia al decoro urbano» fossero i mendicanti invece dei rapaci speculatori che, benedetti dalla malapolitica, sistematicamente andavano violentando delicati equilibri urbani e ambientali nonché la stabilità sociale di città e campagne.

Il nuovo fascismo di chi ha mantenuto e mantiene esseri umani nel degrado più assoluto sopra terreni che si vogliono rendere edificabili, o in edifici vincolati che si desidera abbattere. Quel triste copione che l'ex sindaco di Pioltello Mario De Gaspari (centrosinistra) ha acutamente definito la «finanziarizzazione degli zingari».

Il nuovo fascismo nascosto dietro leggi come la "Bossi-Fini", la "Fini-Giovanardi", la "ex-Cirielli". Sono leggi che criminalizzano la povertà, la precarietà, la marginalità; leggi populiste volte a eludere problemi sociali - come le tossicodipendenze - da affrontare fuori dalle aule dei tribunali, o dinamiche mondiali come la globalizzazione degli umani (l'80 per cento dei detenuti mantiene un basso indice di pericolosità).

Il nuovo fascismo di chi ha fatto della cattiveria una rendita economica, e lo sanno bene i Governi che, negli ultimi vent'anni, hanno sostenuto l'ascesa del loro Prodotto interno lordo con le spese militari e con l'indebitamento di milioni di famiglie attratte dal miraggio della New Economy - la truffa del secolo - mentre intanto i profitti migravano dall'industria verso il sistema finanziario e lorsignori drenavano il denaro dei piccoli risparmiatori, indotti a indebitarsi.

Il nuovo fascismo di chi ha fatto della cattiveria soprattutto una rendita politica, e lo sa bene la Lega nord, che - ha scritto Ilvo Diamanti - raccoglie le paure degli uomini spaventati e le moltiplica. Capta la xenofobia e la riproduce.

Il nuovo fascismo di chi sulla cattiveria ha costruito rendite elettorali e fortune politiche. E lo sa bene il sistema dei partiti, di destra e di pseudosinistra, sempre più attratti dalle semplificazioni del populismo e della demagogia - queste sì "antipolitiche" - scorciatoie che ignorano la verità.

Il nuovo fascismo delle mafie sociali politiche e finanziarie che, dismesse coppola e lupara, oggi operano in Borsa: sommerso e mafie sommati fanno un fiume di denaro - circa il 40 per cento del Pil - che preme sull'economia legale e condiziona il libero mercato. Le mafie fatturano 175 miliardi di euro - l'11,1 per cento del Pil - frutto di attività criminali, denaro che viene reinvestito nell'edilizia e nelle attività commerciali, o in operazioni finanziarie attraverso banche compiacenti. Nelle sole regioni del Nord, oltre 8.000 negozi sono gestiti direttamente dalle mafie inabissate dei colletti bianchi. In Italia, una moltitudine di esercizi commerciali è sottoposta all'usura, con tassi di interesse in media del 270 per cento: un movimento di denaro di 12,6 miliardi che va ad aggiungersi al ricavato delle estorsioni (circa 250 milioni di euro), della droga (59 miliardi di euro), delle armi (5,8 miliardi), della contraffazione (6,3 miliardi), dei rifiuti (16 miliardi), dell'edilizia pubblica e privata (6,5 miliardi) delle sale gioco e scommesse (2,4 miliardi), della compravendita di immobili, della ristorazione, dei locali notturni, ecc. Uomini cerniera mantengono i collegamenti con il mondo dell'economia, della politica e della finanza. Le mafie condizionano l'intera filiera agroalimentare (7,5 miliardi) interagendo con segmenti della grande distribuzione.

Il nuovo fascismo celato dietro le "morti bianche" sul lavoro, una vera emergenza: nel 2007 in Italia se ne sono avute 1.170 di cui 170 sono immigrati: una strage. Nel 2008 i morti sul lavoro sono stati "solo" 1.120, uno ogni otto ore, quasi il doppio della media europea.

Il nuovo fascismo delle false bonifiche - quelle in danno della salute dei cittadini - e dei veri bonifici sui conti cifrati esteri di persone già ricche eppure ostinatamente venali.

Il nuovo fascismo criminale di chi lascia morire esseri umani, come è ormai norma al largo di Lampedusa.

Il nuovo fascismo dei cementificatori, degli asfaltatori e di chi - mafie e speculatori - non smette di speculare sul consumo del territorio vergine, che è un bene non riproducibile.

Il nuovo fascismo di chi vuole trasformare l'acqua in una merce su cui lucrare, con rincari fino a cinque volte il prezzo attuale.

Il nuovo fascismo dei "cattolici senza fede", digiuni dei Vangeli che esibiscono una croce senza più Cristo né carità.

Il nuovo fascismo di chi... (continua tu)

Il nuovo fascismo di chi non dà da mangiare nelle mense delle scuole elementari ai bambini più bisognosi provenienti da famiglie indigenti. (Lorella Pelizzoni)

Il nuovo fascismo di chi devia il denaro pubblico verso la scuola privata distruggendo il concetto di scuola stabilito dall'art.33 della Costituzione. (Lorella Pelizzoni)

 
Di Fabrizio (del 20/04/2013 @ 09:00:05, in Italia, visitato 1339 volte)

Pubblicato da Anna_MiM il 19 aprile 2013.

E' in corso in queste ore lo sgombero del campo rom di via Dione Cassio, a Milano.

Lo sgombero, che era stato annunciato entro la fine del mese, ha subito una forte accelerata in seguito alle minacce e alle aggressioni di stampo marcatamente fascista avvenute nei giorni scorsi da parte di gruppi organizzati di estrema destra tra cui Fiamma Tricolore.

Gli abitanti del campo che, stando agli accordi con il Comune, dovrebbero essere ospitati presso una struttura della Sogemi ad ora in ristrutturazione in viale Lombroso, saranno provvisoriamente trasferiti in via Barzaghi, in strutture container. Ma i posti disponibili in tali strutture sono fortemente inferiori rispetto alle necessità: solo una parte degli abitanti del campo troverà infatti sistemazione nei container messi a disposizione dalle istituzioni. E gli altri?

Secondo quanto riferisce Stefano Nutini, del Gruppo di Sostegno Forlanini, proprio in queste ore gli attori coinvolti nella vicenda stanno vagliando alcune ipotesi di soluzione. Ma ci chiediamo: possibile che si sia arrivati al giorno dello sgombero senza una soluzione per queste famiglie?

L'escalation di violenze razziste dei giorni scorsi aveva portato gli abitanti del campo ad accogliere con favore la proposta di una collocazione provvisoria avanzata dal Comune. I rom di via Dione Cassio sentivano infatti minata la propria sicurezza anche in seguito a una gestione quantomeno approssimativa della vicenda da parte delle forze dell'ordine.

Secondo la testimonianza di Fausto del Naga si è assistito in questi giorni ad una “mancanza di coordinazione tra la polizia locale, che era presente sul territorio, e la polizia statale”, che ha ampiamente consentito lo svolgersi di manifestazioni spiccatamente violente. Ci chiediamo quali siano le ragioni che portano la polizia ad usare due pesi e due misure: la sicurezza dei rom non è una priorità?

Forse, banalmente, la maggior parte dei milanesi fatica ad accettare che spesso i rom abbiano a che fare con la sicurezza non perché la minacciano, ma perché ne sono privati.

Crediamo sia necessario ragionare con serietà sui temi dell'integrazione, dei campi rom e della c.s. sicurezza a maggior ragione oggi, giornata in cui dietro all'accelerazione di uno sgombero si cela nemmeno troppo velatamente la presenza e l'influenza di gruppi organizzati e violenti di estrema destra.

 

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