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La redazione
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\\ Mahalla : VAI : conflitti (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 21/03/2011 @ 09:36:36, in conflitti, visitato 2305 volte)

Da Hungarian_Roma

Carissimi,

C'è una questione urgente per i Rom in Ungheria, dove è possibile fornire un sostegno pratico reale!

Vi prego di leggere l'articolo qui sotto e pensare se potete aiutare in qualche modo, scrivere ai vostri media locali o a IndyMedia, o venire in Ungheria ed unirvi al gruppo di attivisti nel villaggio rom!

Maria Morozova - maria.morozova@aegee.org

Budapest, Ungheria


Lmv.hu

[...]

Circa 25 di noi sono andati la scorsa notte a Gyöngyöspata - la città che è stata recentemente "assediata" dalle cosiddette forze locali di sicurezza, o Gárda - che stanno minacciando e molestando la locale comunità rom - circa 450 persone alla periferia della città.

La polizia c'è, m in realtà non sta facendo molto. Non entrano nella parte rom della città, dove la Gárda è in marcia, a volte nel mezzo della notte, gridando ed armata di asce ed altre armi.

Quando siamo arrivati, tutti gli adulti erano in piedi fuori dalle loro case, a guardia del posto, spaventati, arrabbiati, stufi. Circa 30' prima del nostro arrivo, la Gárda marciava ancora per la strada principale, armata e lanciando parole di odio. I genitori hanno buttato giù i figli dal letto (erano circa le 22.00) e sono scappati dai parenti nelle strade adiacenti.

Naturalmente, quando siamo arrivati non era presente la Gárda, eccetto per un gruppo fuori da un negozio, che come ci ha visto ci ha subito seguito.

Siamo rimasti sino alle 3 di mattina, parlando con la gente, che non dormiva da settimane, e che ci ha raccontato come stavano le cose. I bambini hanno paura di andare a scuola e qualcuno è assente da 2 settimane - di conseguenza lo stato può riprendersi gli aiuti alle famiglie. Anche insegnanti e preside della scuola stanno minacciando i bambini, dicendo morirete, vi uccideremo, chiameremo la Gárda se vi comportate male. La Gárda è entrata a scuola e all'asilo [...]. I bambini non dormono, molti si fanno la pipì addosso; i bambini corrono a casa, piangono e non vogliono più uscire dopo che vengono inseguiti dalla Gárda. L'intera comunità è terrorizzata.

La scuola è segregata. 2/3 degli studenti sono rom e devono studiare su un piano separato. In una classe, ci sono i bambini di prima, seconda e quinta, in una classe! Hanno circa 2-3 argomenti tutti assieme [...]. Ai bambini rom non è permesso andare nei locali palazzetto dello sport e piscina.

La Gárda segue i Rom dovunque vadano - a far compere, dal dottore, a scuola, DOVUNQUE, molestandoli costantemente. Molti estraggono il loro pene in mezzo alla strada, per spaventare i bambini. La polizia osserva senza intervenire.

Quando eravamo là, la polizia presidiava la fine della strada principale, ma la Gárda per lo più entrava dal lato opposto, circa 5' a piedi. E' al limite cittadino, ci sono alberi e cespugli, così possono nascondersi e saltare fuori quando vogliono. Nessuno li ferma. Gli abitanti vanno dai poliziotti che rispondono loro - comportatevi bene e non succederà nulla.

La gente è spaventata, arrabbiata e soprattutto stufa. Sono oggi due settimane e niente è cambiato. Ormai è questione di giorni e qualcuno non ne potrà più e reagirà allo stesso modo della Gárda, ed inizierà la violenza... Probabilmente, è esattamente ciò che Gárda sta aspettando... Provocano costantemente la gente.

La polizia non fa niente, a meno che (!) non vi sia reale violenza.

Per farla breve, sembra che l'unica cosa che si possa fare (dopo la petizione al ministero degli interni non è cambiato niente), è andare a passare lì la notte - vedere quanto la polizia è disposta a proteggerci, il che è ridicolo. Occorrono 20 non-Rom perché la Gárda sparisca e la polizia intervenga. Per quanto ridicolo, questo è l'unico strumento che abbiamo ora.

Così siamo tornati indietro a gruppi. I residenti hanno detto che oggi e domani probabilmente ci sarebbe stata abbastanza gente, ma non sabato e domenica, così abbiamo bisogno di persone! In sostanza, per tutte le 5 notti. Attualmente possiamo contare su un nucleo di 30 persone.

Se volete unirvi a no, fatemelo sapere e vi metterò in lista. Inoltre, fateci sapere se avete un'auto e potete caricare persone. Porteremo con noi da mangiare, perché i locali hanno paura di andare al negozio e stanno ospitando, di tasca loro, ogni singolo gruppo che arriva lì...

Quindi venite, portate da mangiare e i vostri amici!

Questa è solo la mia personale impressione - basata su quello che han detto i residenti, ma non esitate a postare, inoltrare quanto sapete e spargere la voce!

Dodo (contact: kdodee@gmail.com)

FaceBook

 
Di Fabrizio (del 19/03/2011 @ 09:32:13, in conflitti, visitato 1781 volte)

Da Czech_Roma. PREMESSA: Il mese scorso il sindaco della città di Nový Bydžov, per motivi di ordine pubblico, aveva ventilato l'uso di polizia privata da adoperare nel quartiere zingaro della città. Ne era nato un dibattito che aveva coinvolto diversi settori della società civile, in città e a livello nazionale. All'inizio del mese il Partito della Giustizia Sociale dei Lavoratori (Dìlnická strana sociální spravedlnosti DSSS) di estrema destra, aveva indetto settimana scorsa una manifestazione nella cittadina. In casi simili queste manifestazioni si erano risolte con pestaggi di Rom ed incendi alle loro case da parte dei manifestanti. Alcuni gruppi antirazzisti cechi avevano indetto una contromanifestazione. La giornata ha visto assalti contro famiglie rom indifese, cariche della polizia, ma poca eco sui media cechi. Comincio con la testimonianza di un giornalista rom che era presente

ROMEA Roma commentator Patrik Banga on the Nový Bydžov demonstrations
Nový Bydžov, 13.3.2011 16:06


Siamo arrivati a Nový Bydžov attorno alle 9 di mattina. Negli ultimi 20 km. del nostro viaggio, io e il mio collega Ivan Kratochvíl abbiamo cercato invano i poliziotti che avrebbero dovuti essere di pattuglia. I primi poliziotti li abbiamo incontrati ai margini della città, che stava per diventare punto d'incontro per diverse centinaia di estremisti e per quanti avevano indetto la contromanifestazione. Nessuno ci ha fermato. Invece la polizia ha prestato attenzione ad una Fabia gialla che trainava un rimorchio.

Siamo andati alla stazione di polizia, che ricordavo dalla precedente visita in città. Sul marciapiede abbiamo incontrato l'addetto stampa, che ci ha consegnato l'indispensabile cartellino "stampa" che sarebbe dovuto diventare il nostro lasciapassare verso il centro degli eventi nelle ore a venire. Dopo una breve consultazione con i colleghi della regione, siamo andati a lavoro.

Abbiamo cercato i Rom in via U Hřiště, che doveva diventare il centro di una riunione, ma non c'era nessuno. Dopo diverse telefonate, abbiamo capito che erano a diversi metri di distanza. Quando siamo arrivati sul luogo, abbiamo visto circa 40 persone ed una ventina di vetture, da cui abbiamo capito che erano tutti del posto ed il resto stava per arrivare.

Ho intravisto alcuni volti familiari e salutato le persone che conoscevo. Dopo di che, altre telefonate. Altri media riprendevano la scena.

Rapidamente la gente ha iniziato ad arrivare con le loro auto, da cui tiravano fuori gli striscioni. Poi gli organizzatori hanno dato il via all'evento. Dopo un'ora di attesa ci siamo avvicinati allo spazio di fronte al locale stadio di calcio, dove il parcheggio era abbastanza grande da contenerci tutti, assieme ad un bus che stava portando altri manifestanti. Gli ex ministri per i diritti umani Michael Kocáb e Džamila Stehlíková si sono alzati. In quel momento il gruppo contava circa 160 persone.

Quando tutti sono stati pronti per marciare, un attivista ha preso la parola e ha annunciato che la marcia prevista era stata annullata e che era stata variata in processione religiosa, che come tale non era soggetta all'obbligo di dichiarazione e che aveva precedenza su tutte le marce annunciate. Era stata scelta come leader una sacerdotessa della chiesa hussita. Ha annunciato che sarebbe stata una marcia pacifica e nonviolenta, e, colma di preghiera, ha chiamato tutti gli attivisti a prendervi parte.

Il corteo è partito dal parcheggio di via Na Šarlejích, ma la polizia aveva sbarrato la strada in via Havlíčková. Sono iniziati i negoziati. Gli attivisti sostenevano che la loro marcia era legale e la polizia ha fatto del suo meglio per verificarlo. Si faceva vivo anche un rappresentante del comune. Nel frattempo il gruppo recitava il "Padre Nostro".

clicca sull'immagine per vedere le foto della giornata

Da una casa vicina è uscito un pensionato, e attraverso il recinto ha urlato che "le puttane nere devono andare via da qui", seguendo con molte altre maledizioni rivolte ai Rom. La polizia guardava mentre i giornalisti si avvicinavano a casa sua. Il pensionato continuava a bestemmiare e Richard Samko, giornalista della televisione ceca, ha cercato di intervistarlo. All'improvviso il pensionato si è rivolto verso casa sua e ha gridato "Non sei d'accordo con me?" ed è rientrato. Abbiamo udito un forte rumore ed il pensionato è scomparso alla vista. "E' morto," hanno iniziato a dire i giornalisti - ed in quel momento ho pensato che anche se pensavo che quel pensionato era un razzista, avrei dovuto saltare il recinto per aiutarlo, come credo abbia pensato la maggior parte dei giornalisti presenti. Comunque, presto è riapparso - Eureka!

I rappresentanti cittadini e la polizia alla fine hanno riconosciuto gli argomenti degli attivisti ed il corteo ha proseguito per via Na Šarlejích e poi lungo Revoluční třída verso la chiesa. Lì non c'erano più preghiere e si sono alternati diversi interventi. La strada era fiancheggiata da poliziotti in tenuta antisommossa, che separavano la processione dai gruppi estremisti. Un estremista reggeva in mano una sorta di barra, che sicuramente non era né un treppiede né un'asta da microfono. Ho chiesto ai poliziotti anti-conflitto cosa intendevano fare al riguardo, e la risposta è stata che avrebbero dovuto confiscare qualsiasi cosa fosse un'arma ovi assomigliasse, ma che non erano in grado di spiegarmi perché a quella data persona fosse permesso di portare la barra che avevo notato.

Diverse dozzine di sostenitori del DSSS stazionavano a pochi metri dai contro-manifestanti. Le bandiere erano in vista, ma al momento i gruppetti erano calmi. Durante il ritorno sono iniziate le provocazioni. I sostenitori del DSSS hanno chiesto ai Rom che portavano striscioni: "Perché porti quello striscione? Hai un lavoro? Sei a carico dell'assistenza sociale?"

Tuttavia, il gruppo è tornato nel modo in cui era venuto, fermandosi in via Na Šarlejích. Nel contempo diverse decine di sostenitori del movimento Antifa si erano unite al gruppo. Gli attivisti discutevano in mezzo alla strada se rimanere lì per bloccare la marcia degli estremisti o tornare al punto di partenza. La sacerdotessa ha dichiarato concluso ufficialmente l'evento ed ha preso le distanze dal bloccare la strada.

Allora il gruppo contava tra le 200 e le 250 persone. I più radicali intendevano rimanere ad ogni costo e bloccare la strada, mentre i più moderati volevano dimostrare a 100 metri di distanza in uno spazio che non avrebbe bloccato l'annunciata marcia del DSSS.

Alla fine, gli Antifa più attivi ed hanno convinto gli altri a rimanere, alcuni di loro seduti per terra. Dopo alcuni minuti, non era più possibile tornare verso il centro, perché la polizia aveva bloccato l'accesso. Sono iniziate nuove trattative.

In quel momento il gruppo non aveva alcuna autorizzazione a bloccare la marcia annunciata. I poliziotti ci hanno avvertito del fatto, come pure la squadra anti-conflitto. Nel frattempo era arrivata l'informazione che Vandas aveva iniziato a parlare e che in città c'erano diverse centinaia di estremisti.

I negoziati erano giunto ad un punto morto e la polizia aveva annunciato che sarebbe intervenuta se i dimostranti non se ne fossero andati. Si lanciò lo slogan "Neri, bianchi, uniamo le forze". Ora i manifestanti rom mostravano preoccupazione. In testa c'era un piccolo gruppo che intendeva fare qualcosa, tra cui Martin Šimáček, Ondřej Liška, rappresentanti dei Rom locali e, per quel che può valere, io stesso. Vennero date alcune istruzioni, tra cui quella che i Rom si dovessero ritirare una volta che la polizia avesse invitato i manifestanti ad andarsene.

Improvvisamente sembrò aprirsi una speranza. Un capo della polizia aveva convinto Ondřej Liška a depositare una denuncia contro la marcia del DSSS, che si stava svolgendo con modalità completamente estranee a quelle annunciate. Alcuni dimostranti indossavano i simboli del bandito Partito dei Lavoratori, altri issavano lo striscione dell'organizzazione (sempre bandita) Resistenza Nazionale. L'intera manifestazione era stata addirittura annunciata sul loro sito, odpor.org.

Siamo andati alla stazione di polizia. Dopo alcuni minuti di "trattative", abbiamo avuto l'informazione che la polizia aveva caricato i contro-manifestanti.

Siamo corsi fuori dalla stazione di polizia verso via Na Šarlejích. Lì ho visto soltanto candelotti fumogeni esplosi ed alcuni furgoni della polizia sul lato destro. I Rom affacciati alle finestre mi gridavano che era stato un massacro, che i cavalli avevano calpestato le persone. Allora capii cosa era successo. La polizia aveva attirato distante i "politici" per poter intervenire con durezza.

Ho trovato i manifestanti a decine di metri di distanza in via Havlíčková. Erano stati caricati da otto poliziotti antisommossa a cavallo. Ho cercato di capire se erano feriti, soprattutto i miei amici. Grazie a dio erano tutti sani.

Tramite frammenti di discorso ho ricostruito gli eventi. La polizia antisommossa aveva aperto la strada a quella a cavallo per caricare i dimostranti, picchiati con manganelli. Alcuni erano stati arrestati, diversi erano stati feriti. Ognuno usava le parole "brutale" e "massacro". Poi la polizia aveva spinto i dimostranti diversi metri indietro, perché gli estremisti avessero la strada libera.

Così gli estremisti hanno potuto trarre pieno vantaggio dal corridoio liberato. In diverse centinaia hanno marciato lanciando slogan come "Boemia ai Cechi". Voci isolate scandivano "Venite qui, puttane nere" e "Antifa, ha, ha, ha" agli antifascisti. Quando i contro-manifestanti hanno iniziato a cantare, per un momento ho avuto l'impressione di essere ad una partita di calcio tra Sparta e Ostrava.

Sono rimasto sconcertato anche da qualcos'altro: avevo saputo dalla polizia che c'era il divieto di indossare maschere, ma molti estremisti erano a volto coperto. La polizia non ha agito contro di loro, sicuramente non nel modo che ha agito attaccando la contro-manifestazione.

Un volta che gli estremisti se ne erano andati, la situazione si calmò un poco, e sono potuto tornare alla mia macchina. Nel parcheggio ho incontrato Michael Kocáb, che si era allontanato dagli eventi alle 15.00 circa.

Quando sono ritornato in città, non c'era più traccia dei contro-manifestanti. Ho fatto alcune chiamate e ho capito che erano di fronte alla stazione di polizia. Stavano andandosene e mi sono accodato a loro.

Era ora di tornare a Praga. Lungo la strada ho incontrato molte squadre - non della polizia - ma di estremisti che stavano bighellonando nei villaggi vicini, fumando appoggiati alle loro macchine. Pensavo che tutto fosse finito.

Un'ora dopo, un collega mi ha chiamato sul cellulare. Gli estremisti avevano aggredito tre Rom e ferito uno di loro. Poco dopo il portavoce della polizia mi spiegava che gli estremisti erano tanti e 13 di loro erano stati arrestati. La polizia era riuscita a contenere la marcia, ma a quanto pare non le sue conseguenze.

Patrik Banga, translated by Gwendolyn Albert


Dalla Repubblica Ceca mi scrive un amico:

(fonte: Ctk) Un attivista Rom, sabato a Novy Bydzov, è finito all’ospedale privo di conoscenza dopo una rissa con alcuni attivisti di estrema destra. Nella cittadina della Boemia centrale si sono radunati nel fine settimana circa 500 esponenti ultranazionalisti della Delnicka strana e 200 attivisti di opposta estrazione politica. Poliziotti in assetto anti sommossa hanno provato a stento a tenere separate le due fazioni.


Molte altre notizie sul gruppo Czech_Roma

 
Di Fabrizio (del 18/03/2011 @ 09:20:10, in conflitti, visitato 3078 volte)

Da Roma_Shqiperia

BalkanInsight - La polizia albanese criticata dopo un attacco al campo rom By Besar Likmeta
Famiglia rom a Laprake. Photo by: UNHCR

Tirana, 11/03/2011 - La polizia albanese è stata accusata di razzismo dai media locali, dopo che tre giorni fa un campo rom alla periferia di Tirana è stato bruciato, da attentatori che non sono ancora stati trovati.

Alcuni residenti del campo, che ospitava circa 40 famiglie, hanno detto ai media locali che gli assalitori arrivavano di notte e li malmenavano con dei bastoni, mentre appiccavano il fuoco alle loro baracche; questo per diversi giorni, spingendoli a sloggiare.

I residenti dicono che la polizia non è riuscita ad impedire gli attacchi e fornire protezione alle famiglie, che ora si sono trasferite a vivere in altri insediamenti a Tirana e altrove.

Rimane dubbio se l'attacco è stato il risultato del razzismo, oppure è stato istigato da interessi finanziari immobiliari di chi cerca di costruire nell'area.

Venerdì la polizia ha negato di aver violato le leggi anti discriminazione sulle minoranze e la protezione dei bambini, mentre il caso rimane sotto esame.

Secondo il comunicato della polizia, i Rom "hanno dato inizio al conflitto" coi loro vicini, da cui l'escalation.

"Abbiamo chiesto ai Rom riguardo al fuoco che ha travoltole loro abitazioni, ma si sono rifiutati di testimoniare," si legge nel comunicato.

Secondo l'Unione dei Rom Albanesi, una OnG di Tirana, vivono in Albania sino a 150.000 Rom, parte di una comunità che lotta contro le discriminazioni, bassi tassi di alfabetizzazione e disoccupazione di massa.

 
Di Fabrizio (del 01/03/2011 @ 09:42:19, in conflitti, visitato 1949 volte)

Osservatorio Balcani e Caucaso - di Isotta Galloni 21 febbraio 2011

Già nel 2003 l'Unmik e il Tpi erano in possesso di testimonianze dettagliate su presunti rapimenti e uccisioni di civili kosovari (soprattutto serbi) operati in territorio albanese dall'Uck, anche per espiantare organi da "piazzare" sul mercato. E' quanto emerge da documenti "riservati e sensibili" pubblicati la settimana scorsa. Un nuovo tassello che rende sempre più urgenti indagini approfondite

Non si trattava di semplici sospetti. Dal 2003 la missione delle Nazioni Unite in Kosovo, Unmik, e il Tribunale penale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia con sede all'Aia (Tpi), erano in possesso di testimonianze dettagliate, rilasciate da persone direttamente coinvolte, sui presunti trasferimenti e soppressioni di prigionieri civili, principalmente serbi, messo in campo in territorio albanese dall'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), dopo la fine del conflitto contro Belgrado, il 12 giugno 1999. Scopo di buona parte di questi omicidi sarebbe stato quello di espiantare organi da "piazzare" sul mercato internazionale dei trapianti.

E' quanto emerge da un documento Unmik "riservato e sensibile" che è stato pubblicato – oscurato nelle parti riconducibili all'identità dei testimoni – il 16 febbraio scorso dalla tv France 24 e l'agenzia di stampa italiana, Tmnews. La stampa locale ed internazionale ha ampiamente ripreso la notizia.

Questa la pista investigativa esplicitata nei documenti emersi, datati fine 2003: "i rapiti (in Kosovo), poi trasferiti in Albania centrale, sono stati spostati ancora, in piccoli gruppi, in una casa privata a sud di Burrel convertita in una clinica improvvisata. Qui equipaggiamento e personale medico venivano usati per estrarre organi dai prigionieri, che poi morivano. I resti venivano sepolti nelle vicinanze. Gli organi trasferiti all'aeroporto Rinas nei pressi di Tirana e imbarcati per l'estero".

Come emerso a seguito dell'interesse sollevato dalla pubblicazione del 16 febbraio, una copia del documento era stata in realtà già pubblicata dal quotidiano serbo 'Press', sul proprio sito web, il 28 gennaio 2011.

Dunque quasi venti giorni – un'era geologica per i tempi giornalistici – durante i quali una notizia di tale peso resta inspiegabilmente 'congelata': fatti salve due riprese dell'altro quotidiano serbo Politika e dell'agenzia Tanjug, non vi è traccia dello scoop di Press, tanto nella stampa locale che extra regionale. Il perché è solo uno degli interrogativi legati alla pubblicazione del documento.

Il contenuto dei documenti Unmik trapelati
Il documento Unmik non si può definire propriamente un report: sfogliandolo, si comprende che si tratta, piuttosto, di un collage di parti di diverse documentazioni, sottratte al medesimo dossier, e riunite in un corpo unico di 30 pagine, la cui numerazione è infatti ricostruita manualmente a penna, invece che seguire quella informatica di un unico file.

Il 30 ottobre 2003, l'allora capo missione del Tpi a Skopje e Pristina, Eamonn Smyth, trasmette all'Aia - al collega Patrick Lopez Terres, capo della sezione Indagini - una serie di informazioni "confidenziali, non circolabili" che ha appreso, a sua volta, il giorno precedente da Paul Coffey, direttore del dipartimento Giustizia Unmik. Date, orari, tragitti, nomi e cognomi di vittime e presunti carnefici.

E luoghi. Dal documento emerge infatti che nel 2003 gli investigatori non erano solo in possesso delle coordinate Gps, ormai di pubblico dominio, della tristemente nota 'casa gialla', presunto luogo materiale degli espianti che più testimoni riconoscono, anche se ridipinta di bianco, tra dieci fotografie: "era pulito è c'era un odore molto forte di medicinale. Mi ha ricordato quello di un ospedale, dolciastro e mi ha dato fastidio", racconta un testimone (pag. 10/30).

Le descrizioni raccolte vanno ben oltre, consentendo agli inquirenti di localizzare almeno tre siti in territorio albanese di presunte fosse comuni delle vittime (pagg. 15 e 16/30).

"Parliamo anche dei dispersi, delle indicazioni che vi sarebbero fosse comuni in tre aree dell'Albania settentrionale", scrive nel 2008 l'ex procuratore capo Tpi, Carla Del Ponte, nel suo libro denuncia 'La caccia. Io e i criminali di guerra' (Milano, Feltrinelli, 2008, pag.297). "Così, alla fine – riferisce Del Ponte del buco nell'acqua a cui portò nel 2004 il sopralluogo in Albania del Tpi – i procuratori e gli investigatori sui casi dell'Uck decidono che le prove per procedere sono insufficienti. Senza le fonti e senza un modo per identificarle e rintracciarle, senza i corpi, e senza prove che colleghino indiziati di alto livello a questi atti, tutte le strade di indagine sono sbarrate".

Eppure in queste pagine ci sono fonti e sono identificate, anche se gli autori vi si riferiscono sempre, per ragioni di sicurezza, attraverso numeri e lettere e precisano che "la loro credibilità non è testata" e che "non hanno mai assistito alle operazioni chirurgiche" (pag 29/30).

Ci sono i corpi. "Questa volta ho visto i corpi avvolti in coperte grigie dell'esercito. Ho sentito l'odore del sangue, dunque so che erano freschi. (...) Le fosse erano già scavate quando siamo arrivati. Due corpi per ogni fossa. Ho impiegato un'ora e mezza per finire" è il drammatico resoconto di un trasferimento di cadaveri dal Kosovo in Albania (pag. 7/30).

Ci sono le vittime. "Erano civili, serbi, paesani (...) Ho pensato che sarebbero stati uccisi, ma vi erano ordini rigorosi di non trattare male i prigionieri, di non picchiarli e dare loro cibo e acqua" (pag. 11/30). O ancora, "anche delle ragazze furono portate nella casa (la casa/clinica) e usate come 'pezzi di ricambio'. Ricordo di essere stato molto triste perché erano ragazze albanesi" (pag 10/30).

Ci sono i medici, tra i quali viene riconosciuto da più fonti "un arabo". I campioni di sangue, le cartelle cliniche.

Ci sono gli organi. "Dalla prima coppia di serbi vennero estratti solo due reni e poi vennero uccisi. L'intenzione era di lanciarsi sul mercato. In seguito si erano organizzati molto meglio e incassavano 45.000 dollari a persona", riferisce un testimone. "Normalmente – prosegue – volavano (gli organi) su voli di linea per Istanbul il lunedì e il mercoledì ". Lo scalo di partenza era quello tiranese di Rinas, dove "alle persone che vi lavoravano venivano dati dei soldi per chiudere gli occhi e stessa storia a Istanbul" (pag. 25/30).

Ci sono nomi e cognomi: "Ramush e Daut Haradinaj" - l'ex premier kosovaro e il fratello - insieme ad almeno altre tre persone, vengono infatti indicati da un testimone come architetti del macabro crimine. "L'operazione è stata sostenuta da un uomo legato alla polizia segreta albanese operativa del precedente governo di Sali Berisha", ricostruisce inoltre, nel suo sommario, l'allora capo missione del Tpi a Skopje e Pristina, Smyth (pag. 2/30). Così, Del Ponte aveva riferito nel suo libro del "possibile coinvolgimento di servizi segreti albanesi" (p. 297).

Reazioni e domande in cerca di risposta
Il nome che non compare mai è invece quello di Hashim Thaci, neo riconfermato premier di Pristina, il quale sarebbe invece implicato secondo il rapporto pubblicato lo scorso dicembre dal senatore svizzero presso il Consiglio d'Europa, Dick Marty. "No – ha confermato a France24 - non conoscevo il documento e non l'avevo mai visto. D'altra parte mi erano noti i fatti descritti". Perché mai in oltre due anni di indagini, nessuno ha condiviso con Marty queste informazioni? "Siamo in diritto di interrogarci sull'efficacia della cooperazione internazionale", risponde lui stesso.

Tra tante domande, infatti, c'è una certezza: "Unmik ovviamente conosceva il documento perché lo ha generato, è in corso una indagine sulla fuga di notizie", ha confermato l'ambasciatore Zannier a Tmnews. Ma il capo di Unmik precisa anche che "la missione Eulex dispone del documento che è stato trasmesso al Capo dipartimento Giustizia EULEX dell'epoca (Alberto) Perduca ed al procuratore capo di EULEX dr Jacobs, nel marzo 2009". Pertanto, "gli elementi contenuti nel rapporto del 2009 non sono stati nascosti", conclude il diplomatico italiano che guida la missione Onu in Kosovo.

"E' vero che Unmik trasmise nel 2009 la documentazione sui crimini di guerra che venne a sua volta inoltrata alla Procura speciale del Kosovo (Spkr, mista Eulex-magistrati locali, competente esclusiva per crimini di guerra e altre fattispecie, ndr)", conferma a Osservatorio Perduca, oggi Procuratore aggiunto a Torino. "Sulla base di quelle informazioni, nel luglio 2009 Eulex chiese ed ottenne dal magistrato autorizzazione ad avviare un'indagine sul traffico d'organi: l'indagine è partita, resta aperta la questione dei risultati a cui ha condotto".

Servono prove, servono i corpi e il solo posto dove cercare è l'Albania. Un Paese membro della Nato, che ambisce al suo posto nell'Unione europea, ma da cui la Comunità internazionale non è mai riuscita ad ottenere l'autorizzazione a scavare nei presunti siti delle fosse comuni. O, invece, non ha mai voluto, non con la forza e le pressioni necessarie perlomeno? Al di là degli adempimenti formali, è lecito pensare che sia ancora in piedi quel 'muro di gomma' sostanziale denunciato dalla Del Ponte nel suo libro?

Lo stesso che ha impedito ieri al Tribunale dell'Aia, oggi alla missione Eulex di cercare un riscontro probatorio di informazioni tanto preziose, quanto vane ai fini giudiziari finché resteranno nient'altro che pezzi di carta 'confidenziali'? Lo stesso dietro cui si nasconde Tirana, giustificandosi di non essere stata né parte, né teatro dei conflitti balcanici degli anni novanta?

 
Di Sucar Drom (del 24/11/2010 @ 09:52:36, in conflitti, visitato 2486 volte)

 Link per chi legge da Facebook


Al MedFilm Festival 2010 Tony Gatlif vince uno dei due premi più importanti, ovvero Amore e Psiche "Menzione speciale" con la pellicola di produzione francese "Korkoro" (Liberté), sulla tragedia di cui furono vittime le popolazioni sinte e rom durante il nazismo e il fascismo.

Il film racconta le vicende di una famiglia probabilmente sinta manouche che vaga in Francia nel 1940. Sono gli anni dell’inizio del Porrajmos. Dal 1940 al 1945, infatti, almeno 500.000 rom e sinti furono internati e sterminati nei campi di concentramento e nei campi di sterminio, insieme a ebrei, handicappati e omosessuali.

Il film di Gatlif ci mostra nella sua crudezza la storia di alcuni di loro. Si potevano salvare i nostri protagonisti, grazie ad un francese che lottava contro il nazismo. Ma loro scelgono la libertà e quindi andranno verso morte sicura.

Il regista ci porta in un mondo dove sinti e non sinti possono vivere insieme e lottare per gli stessi ideali di libertà. Il tutto è visto con gli occhi innocenti del piccolo Claude, orfano francese, che trova tra i sinti una nuova famiglia e soprattutto uno zio pazzo di nome Taloche. Č un film assolutamente attuale che speriamo arrivi presto nelle sale italiane con una distribuzione all’altezza dell’importanza della pellicola.

 
Di Fabrizio (del 27/10/2010 @ 09:31:43, in conflitti, visitato 1759 volte)

Da Czech_Roma

Le reazioni al verdetto di Vítkov (vedi QUI ndr) e la lunghezza della sentenza non hanno sorpreso. Quanti concordano con quella la trovano giustificata, e quelli che non sono d'accordo si pongono delle domande. Oltre alle legittime opinioni sulla lunghezza della condanna in relazione al crimine in questione, ci sono anche opinioni (soprattutto su internet) che ripetono all'infinito le aperte invenzioni, le bugie e gli stereotipi sulle vittime.

Tali ripetizioni evidentemente aiutano qualcuno ad evitare il doloroso riconoscimento che siamo capaci della peggior sorte di atrocità, inclusa mandare a fuoco un'intera famiglia. Questo vale per tutti quanti, che pur non approvando le atrocità, tentano nei fatti di giustificarle riferendosi alle "malefatte degli zingari" nel loro complesso. Sono guidati a ciò dall'antiziganismo, che nella Repubblica Ceca si basa sulla nostra classica invidia. Durante le loro generalizzazioni, gli antiziganisti spesso spandono bugie e calunnie sui Rom [...]. Amano prendere esempi dai media sui Rom coinvolti in crimini. A loro non importa che anche i non-Rom commettano i medesimi crimini, perché non è il crimine in sé che loro importa - sono gli "zingari". I loro interlocutori in queste discussioni su internet includono, naturalmente, neonazisti, razzisti, e sociopatici incapaci di empatia. E' sintomatico che tutti si riferiscano agli incendiari razzisti come ai "ragazzi di Vítkov".

C'è, tuttavia, un segno di speranza. Persone comuni e ragionevoli hanno iniziato a partecipare a queste discussioni sempre più spesso. Questa gente non si fa prendere dal gioco a chi grida più forte, e dai suoi soliti trucchi, e sembra sentire un bisogno di esprimersi più forte che nel passato.

Tutto ciò sta avvenendo sulla pagina Facebook "Non sono d'accordo con la condanna per i Ragazzi di Vítkov", o durante "eventi" in Facebook come quello chiamato "Nel caso di Vítkov chiediamo la stessa punizione per i genitori di Natálka!"

"I genitori che lasciano bruciare il loro figlio non meritano milioni di corone, ma la prigione". Questa è la richiesta di Petra Ramešová, František Fanz e Bára Pertlová, fondatori dell'evento Facebook intitolato "Nel caso di Vítkov chiediamo la stessa punizione per i genitori di Natálka!" Tutti e tre, e non sono soli, stanno ovviamente commettendo il reato di diffamazione ma, ancora più importante, stanno cinicamente mentendo per parlare male dei Rom e giustificare il tentato assassinio della famiglia rom.

Le testimonianze rese in tribunale dai genitori e dai nonni di Natálka differiscono tra loro in alcuni dettagli, ma ci sono diverse possibili ragioni per questo: la commozione per il fuoco stesso, il fatto che gli eventi accaddero più di un anno fa, ed altre ragioni naturali. In nessuna circostanza la loro testimonianza o quella di chiunque altro ha portato alla conclusione che abbiano "lasciato bruciare la loro bambina". Al contrario, sono stati loro che hanno portato via Natálka dal fuoco. Non ci sono neppure indicazioni, come sostenuto da qualcuno, che durante l'assalto non fossero a casa ma nel pub, o che avessero in casa merce rubata, a cui tenevano più della loro figlia. Tutto ciò è pura diffamazione inventata da chi odia i Rom nel loro complesso. Molti di loro presentano anonimamente le loro opinioni.

Il comportamento di questi antiziganisti, neonazisti e razzisti porta tensioni sociali e violenza come gli incendi ed altri attacchi violenti commessi contro i Rom. Il tentato omicidio di Vítkov è stato solo uno dei tanti. Dal punto di vista dei media, ci ha mostrato solo la cima dell'iceberg della crociata anti-Rom. Dove finirà, nessuno lo sa - e per questo è un bene che i "Ragazzi di Vítkov" siano stati condannati dal sistema giudiziario (la sentenza non ha ancora avuto effetto). Attraverso il tribunale, la società ha fatto sapere che l'antiziganismo, il razzismo e le violenze ad essi collegate sono fenomeni completamente inaccettabili.

František Kostlán, translated by Gwendolyn Albert

 
Di Fabrizio (del 14/10/2010 @ 09:34:52, in conflitti, visitato 1712 volte)

Da Czech_Roma (il caso dall'archivio della Mahalla)

Petr Hájek, vice capo dell'ufficio di presidenza di Václav Klaus, intende prendersela con la Televisione Ceca. E' dispiaciuto per la copertura programmata dall'emittente pubblica sulle fasi finali del processo ai quattro accusati dell'assalto incendiario a Vítkov. Secondo Hájek, costituisce una "pressione" ed un attacco all'indipendenza della corte. Purtroppo, non ho l'opportunità di chiedere ad Hájek se davvero ha così poca fiducia nel sistema giudiziario. Vorrei chiedergli se farebbe le stesse critiche se suo figlio fosse stato mutilato nell'attacco.

Il processo in corso non riguarda ladri di metallo o una rissa da bar. Si processano quattro razzisti che hanno lanciato delle molotov in una casa dove c'era gente che dormiva, tra cui dei bambini. Questo cocktail mortale non volava per aria perché i ragazzi volevano divertirsi o vedere cosa potesse fare una molotov. Erano lì con l'intenzione di uccidere degli "zingari", come approvato dalla loro ideologia disgustosa e mostruosa.

Questo processo ci riguarda tutti. Potevano essere mia figlia o la vostra a rimanere ustionate. E' per questo motivo che merita questa attenzione dai media, a ragione,secondo me. Non si tratta di "isteria". Parlando per me, voglio vedere, in televisione, i volti di chi ha tentato di uccidere una bambina di due anni e voglio vederli ricevere la pena che meritano.

Nessuno può realmente credere che questa merda sull'interesse dei media possa realmente influenzare la corte. Se un giudice sotto la pressione dei media non è in grado di prendere decisioni secondo la legge, questa persona non dovrebbe essere un giudice. Penso anzi che l'effetto di trasmettere le udienze sia stato esattamente l'opposto. Al pubblico è stata data l'opportunità di seguire il lavoro di tutti i soggetti coinvolti. Il signor Hájek ritiene che il pubblico di massa non sia interessato a come il sistema giudiziario si avvicina a questo caso?

Soprattutto, ho l'impressione che qualcuno in questo paese stia perdendo il lume della ragione. Tramite il mio lavoro al news server iDNES.cz posso praticamente vedere la materia prima che diventa notizia, così come vedo i contributi dei lettori alle pagine di discussione. Negli ultimi giorni stanno diventando nauseanti. E' stupefacente come spesso la gente elogi il mancato omicidio di Vítkov, quanto spesso la gente scriva di come la piccola Natálka crescendo sarebbe diventata una "puttana" con 20 bambini oziosi a carico dello stato, di come la stessa gente scriva che gli"zingari" se la meritavano perché non erano proprietari della casa in cui vivevano e che per questo quei ragazzi non hanno fatto niente di così cattivo. Dopo tutto, l'uccisione dei criminali non è omicidio - non è così?

In nome di Dio, cosa scriverebbero queste persone se i nazisti avessero dato fuoco ai loro figli? Avrebbero approvato? Avrebbero scritto commenti come i seguenti?

"Quei coraggiosi - approvo completamente ciò che hanno fatto e NON mi spiace per Natálie".

"Neanch'io, avrebbe solo partorito altri 20 di loro".

"Esattamente, approvo qualsiasi metodo per prevenire la diffusione di questa gente inadattabile. Danno solo problemi".

No, non è la pena del pensiero, non riesco a vedere in loro la coscienza. Non importa chi siano realmente gli attentatori, proprio come non importa che si dica che il padre di Natálie sia stato in prigione. Niente da a qualcuno il diritto di prendere una bottiglia molotov e cercare con essa di uccidere un'intera famiglia. Questo è il senso di questo processo - e molti, compreso il signor Hájek, non lo capiscono.

Patrik Banga, translated by Gwendolyn Albert

 
Di Fabrizio (del 03/10/2010 @ 09:26:47, in conflitti, visitato 1909 volte)

Da Roma_Daily_News

Salve, mi chiamo Margarita Meza e vi scrivo da Città del Messico. Lavoro per il Museo della Tolleranza del Messico, che sarà inaugurato ad ottobre. In questo museo affrontiamo la tematica della Tolleranza e dei genocidi per questioni etnico-razziali, che si son suscitati nella storia.

Il motivo della mia comunicazione è che, dentro la nostra esibizione permanente, c'è uno spazio dedicato alla persecuzione, perpetrata dai nazisti, ai gitani durante l'Olocausto. Per questo vorremmo esibire alcuni pezzi originali che sostengano visualmente questo tema, abbiamo pensato di esporre un violino, meglio se utilizzati da qualche gitano che sia stato vittima dei campi di sterminio, o semplicemente un violino dell'epoca che sia stato utilizzato in Europa e che sia appartenuto a persone gitane. Non so se voi possiate mettermi in contatto con qualcuno che avesse un pezzo con queste caratteristiche.

Vi ringrazio per la vostra attenzione e rimango in attesa delle vostre risposte, invitandovi a visitare la nostra pagina web per ottenere più informazioni sul nostro museo. Cordiali saluti.

http://www.memoriaytolerancia.org

Lic. Margarita Meza Ghenno
Curadora
Museo Memoria y Tolerancia
Luis Moya # 12, Centro, C, P. 06010, México D. F.

(55) 5130 5555 EXT. 4119

 
Di Fabrizio (del 28/07/2010 @ 09:24:30, in conflitti, visitato 2499 volte)

Un fatto avvenuto una decina di giorni fa, che ha avuto eco anche nei media italiani. Tra l'altro, la Francia non è nuova a tensioni simili. Non ho avuto tempo per le traduzioni, rimedio adesso. La prima segnalazione viene da Roma_Francais sul clima di questi giorni in Francia

IrishTime.com La polizia pattuglia il quartiere L'Arlequin di Grenoble la settimana scorsa. Foto Quadrini Rolland/Reuters

RUADHÁN MAC CORMAIC in Paris - Sabato 24 luglio 2010

HA PREVALSO LA CALMA a Grenoble dopo il funerale di un sospetto rapinatore armato, ucciso la settimana scorsa dalla polizia, mitigando i timori che la sua sepoltura potesse riaccendere le violenze che lo scorso fine settimana hanno scosso la città del sud-est francese.

L'uccisione di Karim Boudouda (27 anni), nel corso di una sparatoria seguita ad una rapina in un casinò, ha scatenato tre notti di disordini nella periferia di Villeneuve, dove sono stati esplosi colpi contro la polizia e dozzine di auto sono state date alle fiamme.

Giovedì notte e nel primo mattino di ieri (venerdì 23 luglio ndr) sono state bruciate due auto e sono state lanciate bottiglie contro la polizia, ma un appello alla calma del locale imam e della famiglia di Boudouda sembra essere stato ascoltato dai più.

Anche se l'ordine è ritornato nelle strade, il crimine continua a dominare l'agenda politica, dopo una settimana in cui sono avvenuti seri disordini in una tranquilla città nella valle della Loira.

Domenica (18 luglio ndr) tumulti sono scoppiati a Saint-Aignan, cittadina di appena 3.400 abitanti, dopo che membri della comunità nomade hanno reagito alla morte di un giovane trattenuto dalla polizia, con violenti attacchi alla locale stazione di polizia.

I disordini a Grenoble e Saint-Aignan hanno indotto il presidente Nicolas Sarkozy a dichiarare che lo stato era impegnato in una "guerra contro trafficanti e delinquenza" e che lo stato non sarebbe indietreggiato nella sua "implacabile lotta" contro i criminali.

Ha poi esautorato il prefetto dell'Isère, il dipartimento che include Grenoble, rimpiazzandolo con Eric Le Douaron, alto funzionario di polizia che Sarkozy conosce da quando era ministro degli interni. E' la seconda volta in tre mesi che Sarkozy nomina un funzionario di polizia a prefetto. Ad aprile, nominò Cristian Lambert, ex capo di un gruppo di elite stile-commando, come prefetto di Seine-Saint-Denise, che include alcuni dei quartieri più poveri della capitale francese.

L'ultima mossa è stata criticata dall'opposizione: il deputato Manuel Valls del partito socialista ha detto che il linguaggio belligerante di Sarkozy sancisce il "fallimento abbastanza patente" delle sue politiche di sicurezza.

Daniel Vaillant, ministro degli interni sotto il primo ministro socialista Lionel Jospin, ha criticato duramente Sarkozy per "essersi assunto dei poteri che non ha" sostituendo due prefetti, dato che è il primo ministro o quello degli interni che possono nominarli.

Prefetti, che agiscono come i massimi rappresentanti dello stato nel dipartimento, sono normalmente dipendenti pubblici di carriera.

Anche i gruppi antirazzisti e per i diritti umani sono stati critici verso il presidente, dopo le osservazioni svolte sulla scia delle violenze di Saint-Aignan, circa "i problemi posti dal comportamento di certe persone nelle comunità Rom e Viaggianti".

La Lega per i Diritti Umani ha accusato il presidente di "stigmatizzare" Rom e Viaggianti e di renderli "capri espiatori" dei più vasti problemi di sicurezza.

Il termine generico francese gens du voyage, o Viaggianti, include zigani le cui famiglie arrivarono in Francia nel corso dei secoli; manouches, arrivati dalla Germania nel XIX secolo; gitani spagnoli e più recentemente i rom.


E ancora, da Roma_Benelux

Dichiarazione di pace

Il Presidente della Repubblica ha dichiarato guerra alla gens du voyage ed ai Rrom. Gli Zigani intendono rispondere con una dichiarazione di pace per evitare un'esplosione sociale.

L'organizzazione il 28 luglio di una riunione all'Eliseo sui "problemi" posti dagli Zigani, per la prima volta dalla Liberazione.

Come troppo spesso nello loro storia, gli Zigani sono una volta di più il capro espiatorio preferito di una classe dirigente invischiata in scandali politico-finanziari.

Se Nicolas Sarkozy dovesse reiterare la sua dichiarazione di guerra, il Collettivo delle Associazioni Zigane sarebbe costretto ad intraprendere azioni legali per incitamento all'odio razziale e chiedere ai parlamentari di interrogarsi sulla necessità di riunire l'Alta Corte.

La prevalenza del razzismo anti-zigano nella società francese è tale che il primoluglio2010 è passata totalmente inosservata la conferma in Corte d'Appello della condanna di France Télévisions per incitamento all'odio razziale, in ragione del contenuto della trasmissione "C dans l'air" intitolata "Delinquenza: la via dei Rom" (vedi QUI ndr).

Mentre la Francia è stata oggetto di numerose condanne da parte delle autorità europee e rischia di trovarsi bandita dall'Europa, nessuno sforzo è stato fatto dai poteri pubblici per lottare contro la moltiplicazione degli atti e delle dichiarazioni razzisti  contro gli Zigani.

Il 18 luglio 2010, la Francia, tramite un discorso pronunciato dal segretario di stato agli ex combattenti, ha finalmente riconosciuto ufficialmente il dramma dell'internamento e della deportazione dal 1940 al 1946

Dieci giorni dopo, Nicolas Sarkozy prende l'iniziativa di una politica di natura razziale che, se dovesse essere attuata, rischierebbe fortemente di costituire una nuova pagina nera della storia francese, com'è vero che gli Zigani, al di là delle profonde differenze esistenti tra Rrom e gens du voyage, siano sottomessi in Francia ad un vero regime d'apartheid in ragione di una legislazione d'emergenza indegna di un paese democratico.

Il Collettivo delle Associazioni Zigane chiede di essere ricevuto dal capo dello stato per discutere i problemi alla base delle proposte razziste di alcuni ministri e parlamentari dell'UMP.

Il Collettivo delle Associazioni Zigane chiede l'abrogazione di tutte le leggi discriminatorie ed un'azione risoluta ai più alti livelli dello stato per lottare contro il razzismo anti-zigano.

Per la salvaguardia dei valori universali che hanno fatto grande la Francia, il Collettivo delle Associazioni Zigane lancia un appello riprendendo le parole esatte utilizzate venticinque anni fa da Georges Guingouin, primo partigiano di Francia, liberatore di Limoges, nel suo appello lanciato in occasione del 41° anniversario della battaglia del Mont Gargan:

"Nel 1985, mi appello agli uomini e alle donne dall'animo generoso perché un soprassalto morale, una nuova Resistenza comincino e la Francia resti il paese dei Diritti dell'Uomo. La fiamma della Libertà non deve spegnersi!"

Il Collettivo delle Associazioni Zigane organizzerà una conferenza stampa mercoledì 28 luglio alle 11.00 a Chope des Puces 122 rue des Rosiers à Saint-Ouen.

Association "La voix des Rroms"
50, rue des Tournelles
75003 PARIS
tél. & fax: 01.80.60.06. 58
http://www.lavoixdesrroms.org

 
Di Fabrizio (del 14/07/2010 @ 09:55:30, in conflitti, visitato 1564 volte)

Da Czech_Roma

Domenica sera tardi nel nord est dell'Ungheria una casa unifamiliare abitata da Rom è stata data alle fiamme. Secondo l'agenzia MTI non ci sono stati feriti. Negli ultimi anni i Rom in Ungheria sono diventati il bersaglio di diversi attacchi durante i quali sono morte almeno otto persone, tra cui un bambino di cinque anni (vedi QUI ndr).

Una donna ed il suo bambino stavano dormendo nella loro casa nel villaggio di Olaszliszka quando è avvenuto l'attacco. La donna dice di essere stata svegliata da tre forti colpi. I proiettili hanno colpito il muro della facciata.

L'incidente di sabato è avvenuto non lontano da un'altro villaggio dove, nell'ottobre 2006, un non-Rom investì e ferì una ragazza rom. I suoi genitori si vendicarono picchiandolo a morte sul posto. In seguito a ciò otto Rom vennero condannati a diversi anni di carcere. Riporta MTI che László Fercsák, rappresentante dell'auto-governo della minoranza locale, ha rilasciato domenica una dichiarazione, dicendo che i residenti della casa assalita a Olaszliszka non hanno collegamento con i fatti di quattro anni fa.

I recenti attacchi a Rom sono avvenuti soprattutto di notte, mentre dormivano. L'agosto scorso, una donna rom di 45 anni fu colpita a morte nel villaggio di Kisléta, nell'est del paese; nell'attacco venne seriamente ferita anche sua figlia di 13 anni. A novembre 2008, gli assalitori uccisero una coppia romanì con una bomba a mano nella città meridionale di Pécs. Lo stesso mese, due Rom nel villaggio di Nagycsécs, nel nord est Ungheria, persero la vita, quando gli assalitori gettarono delle molotov nelle loro case e poi gli spararono con dei fucili mentre scappavano dalle fiamme.

La comunità rom è la più grande minoranza in Ungheria, tra il cinque e il sette per cento dei 10 milioni di abitanti. Con la crescita della disoccupazione e dei problemi economici nel paese, sempre più frequentemente i Rom sono bersaglio di attacchi sediziosi dei partiti estremisti, come il Movimento per un'Ungheria Migliore (Jobbik), che dopo le recenti elezioni ora hanno loro rappresentanti in Parlamento.

Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert

 
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