C'è una questione urgente per i Rom in Ungheria, dove è possibile fornire un
sostegno pratico reale!
Vi prego di leggere l'articolo qui sotto e pensare se potete aiutare in
qualche modo, scrivere ai vostri media locali o a IndyMedia, o venire in
Ungheria ed unirvi al gruppo di attivisti nel villaggio rom!
Circa 25 di noi sono andati la scorsa notte a Gyöngyöspata - la città che è
stata recentemente "assediata" dalle cosiddette forze locali di sicurezza, o
Gárda - che stanno minacciando e molestando la locale comunità rom - circa 450
persone alla periferia della città.
La polizia c'è, m in realtà non sta facendo molto. Non entrano nella parte
rom della città, dove la Gárda è in marcia, a volte nel mezzo della notte,
gridando ed armata di asce ed altre armi.
Quando siamo arrivati, tutti gli adulti erano in piedi fuori dalle loro case,
a guardia del posto, spaventati, arrabbiati, stufi. Circa 30' prima del nostro
arrivo, la Gárda marciava ancora per la strada principale, armata e lanciando
parole di odio. I genitori hanno buttato giù i figli dal letto (erano circa le
22.00) e sono scappati dai parenti nelle strade adiacenti.
Naturalmente, quando siamo arrivati non era presente la Gárda, eccetto per un
gruppo fuori da un negozio, che come ci ha visto ci ha subito seguito.
Siamo rimasti sino alle 3 di mattina, parlando con la gente, che non dormiva
da settimane, e che ci ha raccontato come stavano le cose. I bambini hanno paura
di andare a scuola e qualcuno è assente da 2 settimane - di conseguenza lo stato
può riprendersi gli aiuti alle famiglie. Anche insegnanti e preside della scuola
stanno minacciando i bambini, dicendo morirete, vi uccideremo, chiameremo la
Gárda se vi comportate male. La Gárda è entrata a scuola e all'asilo [...]. I
bambini non dormono, molti si fanno la pipì addosso; i bambini corrono a casa,
piangono e non vogliono più uscire dopo che vengono inseguiti dalla Gárda.
L'intera comunità è terrorizzata.
La scuola è segregata. 2/3 degli studenti sono rom e devono studiare su un
piano separato. In una classe, ci sono i bambini di prima, seconda e quinta, in
una classe! Hanno circa 2-3 argomenti tutti assieme [...]. Ai bambini rom non è
permesso andare nei locali palazzetto dello sport e piscina.
La Gárda segue i Rom dovunque vadano - a far compere, dal dottore, a scuola,
DOVUNQUE, molestandoli costantemente. Molti estraggono il loro pene in mezzo
alla strada, per spaventare i bambini. La polizia osserva senza intervenire.
Quando eravamo là, la polizia presidiava la fine della strada principale, ma
la Gárda per lo più entrava dal lato opposto, circa 5' a piedi. E' al limite
cittadino, ci sono alberi e cespugli, così possono nascondersi e saltare fuori
quando vogliono. Nessuno li ferma. Gli abitanti vanno dai poliziotti che
rispondono loro - comportatevi bene e non succederà nulla.
La gente è spaventata, arrabbiata e soprattutto stufa. Sono oggi due
settimane e niente è cambiato. Ormai è questione di giorni e qualcuno non ne
potrà più e reagirà allo stesso modo della Gárda, ed inizierà la violenza...
Probabilmente, è esattamente ciò che Gárda sta aspettando... Provocano
costantemente la gente.
La polizia non fa niente, a meno che (!) non vi sia reale violenza.
Per farla breve, sembra che l'unica cosa che si possa fare (dopo la petizione
al ministero degli interni non è cambiato niente), è andare a passare lì la
notte - vedere quanto la polizia è disposta a proteggerci, il che è ridicolo.
Occorrono 20 non-Rom perché la Gárda sparisca e la polizia intervenga. Per
quanto ridicolo, questo è l'unico strumento che abbiamo ora.
Così siamo tornati indietro a gruppi. I residenti hanno detto che oggi e
domani probabilmente ci sarebbe stata abbastanza gente, ma non sabato e
domenica, così abbiamo bisogno di persone! In sostanza, per tutte le 5 notti.
Attualmente possiamo contare su un nucleo di 30 persone.
Se volete unirvi a no, fatemelo sapere e vi metterò in lista. Inoltre, fateci
sapere se avete un'auto e potete caricare persone. Porteremo con noi da
mangiare, perché i locali hanno paura di andare al negozio e stanno ospitando,
di tasca loro, ogni singolo gruppo che arriva lì...
Quindi venite, portate da mangiare e i vostri amici!
Questa è solo la mia personale impressione - basata su quello che han detto i
residenti, ma non esitate a postare, inoltrare quanto sapete e spargere la voce!
Di Fabrizio (del 19/03/2011 @ 09:32:13, in conflitti, visitato 1781 volte)
Da
Czech_Roma. PREMESSA: Il mese scorso il sindaco della città di Nový Bydžov,
per motivi di ordine pubblico, aveva ventilato l'uso di polizia privata da
adoperare nel quartiere zingaro della città. Ne era nato un dibattito che aveva
coinvolto diversi settori della società civile, in città e a livello nazionale.
All'inizio del mese il Partito della Giustizia Sociale dei Lavoratori (Dìlnická
strana sociální spravedlnosti DSSS) di estrema destra, aveva indetto settimana
scorsa una
manifestazione nella cittadina. In casi simili queste manifestazioni si erano
risolte con pestaggi di Rom ed incendi alle loro case da parte dei manifestanti.
Alcuni gruppi antirazzisti cechi avevano indetto una contromanifestazione. La
giornata ha visto assalti contro famiglie rom indifese, cariche della polizia,
ma poca eco sui media cechi. Comincio con la testimonianza di un giornalista rom che
era presente
ROMEARoma commentator Patrik Banga on the Nový Bydžov demonstrations
Nový Bydžov, 13.3.2011 16:06
Siamo arrivati a Nový Bydžov attorno alle 9 di mattina. Negli ultimi 20 km. del
nostro viaggio, io e il mio collega Ivan Kratochvíl abbiamo cercato invano i
poliziotti che avrebbero dovuti essere di pattuglia. I primi poliziotti li
abbiamo incontrati ai margini della città, che stava per diventare punto
d'incontro per diverse centinaia di estremisti e per quanti avevano indetto la
contromanifestazione. Nessuno ci ha fermato. Invece la polizia ha prestato
attenzione ad una Fabia gialla che trainava un rimorchio.
Siamo andati alla stazione di polizia, che ricordavo dalla precedente visita
in città. Sul marciapiede abbiamo incontrato l'addetto stampa, che ci ha
consegnato l'indispensabile cartellino "stampa" che sarebbe dovuto diventare il
nostro lasciapassare verso il centro degli eventi nelle ore a venire. Dopo una
breve consultazione con i colleghi della regione, siamo andati a lavoro.
Abbiamo cercato i Rom in via U Hřiště, che doveva diventare il
centro di una riunione, ma non c'era nessuno. Dopo diverse telefonate, abbiamo
capito che erano a diversi metri di distanza. Quando siamo arrivati sul luogo,
abbiamo visto circa 40 persone ed una ventina di vetture, da cui abbiamo capito
che erano tutti del posto ed il resto stava per arrivare.
Ho intravisto alcuni volti familiari e salutato le persone che conoscevo.
Dopo di che, altre telefonate. Altri media riprendevano la scena.
Rapidamente la gente ha iniziato ad arrivare con le loro auto, da cui
tiravano fuori gli striscioni. Poi gli organizzatori hanno dato il via
all'evento. Dopo un'ora di attesa ci siamo avvicinati allo spazio di fronte al
locale stadio di calcio, dove il parcheggio era abbastanza grande da contenerci
tutti, assieme ad un bus che stava portando altri manifestanti. Gli ex ministri
per i diritti umani Michael
Kocáb e Džamila Stehlíková si sono alzati. In quel momento il gruppo contava
circa 160 persone.
Quando tutti sono stati pronti per marciare, un attivista ha preso la parola
e ha annunciato che la marcia prevista era stata annullata e che era stata
variata in processione religiosa, che come tale non era soggetta all'obbligo di
dichiarazione e che aveva precedenza su tutte le marce annunciate. Era stata
scelta come leader una sacerdotessa della chiesa hussita. Ha annunciato che
sarebbe stata una marcia pacifica e nonviolenta, e, colma di preghiera, ha
chiamato tutti gli attivisti a prendervi parte.
Il corteo è partito dal parcheggio di via Na Šarlejích, ma la polizia aveva
sbarrato la strada in via Havlíčková. Sono iniziati i negoziati. Gli
attivisti sostenevano che la loro marcia era legale e la polizia ha fatto del
suo meglio per verificarlo. Si faceva vivo anche un rappresentante del comune.
Nel frattempo il gruppo recitava il "Padre Nostro".
clicca sull'immagine per vedere le foto della giornata
Da una casa vicina è uscito un pensionato, e attraverso il recinto ha urlato che
"le puttane nere devono andare via da qui", seguendo con molte altre maledizioni
rivolte ai Rom. La polizia guardava mentre i giornalisti si avvicinavano a casa
sua. Il pensionato continuava a bestemmiare e Richard Samko, giornalista della
televisione ceca, ha cercato di intervistarlo. All'improvviso il pensionato si è
rivolto verso casa sua e ha gridato "Non sei d'accordo con me?" ed è rientrato.
Abbiamo udito un forte rumore ed il pensionato è scomparso alla vista. "E'
morto," hanno iniziato a dire i giornalisti - ed in quel momento ho pensato che
anche se pensavo che quel pensionato era un razzista, avrei dovuto saltare il
recinto per aiutarlo, come credo abbia pensato la maggior parte dei giornalisti
presenti. Comunque, presto è riapparso - Eureka!
I rappresentanti cittadini e la polizia alla fine hanno riconosciuto gli
argomenti degli attivisti ed il corteo ha proseguito per via Na Šarlejích e poi
lungo Revoluční třída verso la chiesa. Lì non c'erano più preghiere e
si sono alternati diversi interventi. La strada era fiancheggiata da poliziotti
in tenuta antisommossa, che separavano la processione dai gruppi estremisti. Un
estremista reggeva in mano una sorta di barra, che sicuramente non era né un
treppiede né un'asta da microfono. Ho chiesto ai poliziotti anti-conflitto cosa
intendevano fare al riguardo, e la risposta è stata che avrebbero dovuto
confiscare qualsiasi cosa fosse un'arma ovi assomigliasse, ma che non erano in
grado di spiegarmi perché a quella data persona fosse permesso di portare la
barra che avevo notato.
Diverse dozzine di sostenitori del DSSS stazionavano a pochi metri dai
contro-manifestanti. Le bandiere erano in vista, ma al momento i gruppetti erano
calmi. Durante il ritorno sono iniziate le provocazioni. I sostenitori del DSSS
hanno chiesto ai Rom che portavano striscioni: "Perché porti quello striscione?
Hai un lavoro? Sei a carico dell'assistenza sociale?"
Tuttavia, il gruppo è tornato nel modo in cui era venuto, fermandosi in via Na Šarlejích.
Nel contempo diverse decine di sostenitori del movimento Antifa si erano unite
al gruppo. Gli attivisti discutevano in mezzo alla strada se rimanere lì per
bloccare la marcia degli estremisti o tornare al punto di partenza. La
sacerdotessa ha dichiarato concluso ufficialmente l'evento ed ha preso le
distanze dal bloccare la strada.
Allora il gruppo contava tra le 200 e le 250 persone. I più radicali
intendevano rimanere ad ogni costo e bloccare la strada, mentre i più moderati
volevano dimostrare a 100 metri di distanza in uno spazio che non avrebbe
bloccato l'annunciata marcia del DSSS.
Alla fine, gli Antifa più attivi ed hanno convinto gli altri a rimanere,
alcuni di loro seduti per terra. Dopo alcuni minuti, non era più possibile
tornare verso il centro, perché la polizia aveva bloccato l'accesso. Sono
iniziate nuove trattative.
In quel momento il gruppo non aveva alcuna autorizzazione a bloccare la
marcia annunciata. I poliziotti ci hanno avvertito del fatto, come pure la
squadra anti-conflitto. Nel frattempo era arrivata l'informazione che Vandas
aveva iniziato a parlare e che in città c'erano diverse centinaia di estremisti.
I negoziati erano giunto ad un punto morto e la polizia aveva annunciato che
sarebbe intervenuta se i dimostranti non se ne fossero andati. Si lanciò lo
slogan "Neri, bianchi, uniamo le forze". Ora i manifestanti rom mostravano
preoccupazione. In testa c'era un piccolo gruppo che intendeva fare qualcosa,
tra cui Martin Šimáček, Ondřej
Liška, rappresentanti dei Rom locali e, per quel che può valere, io stesso.
Vennero date alcune istruzioni, tra cui quella che i Rom si dovessero ritirare
una volta che la polizia avesse invitato i manifestanti ad andarsene.
Improvvisamente sembrò aprirsi una speranza. Un capo della polizia aveva
convinto Ondřej Liška a depositare una denuncia contro la marcia del DSSS,
che si stava svolgendo con modalità completamente estranee a quelle annunciate.
Alcuni dimostranti indossavano i simboli del bandito Partito dei Lavoratori,
altri issavano lo striscione dell'organizzazione (sempre bandita) Resistenza
Nazionale. L'intera manifestazione era stata addirittura annunciata sul loro
sito, odpor.org.
Siamo andati alla stazione di polizia. Dopo alcuni minuti di "trattative",
abbiamo avuto l'informazione che la polizia aveva caricato i
contro-manifestanti.
Siamo corsi fuori dalla stazione di polizia verso via Na Šarlejích. Lì ho
visto soltanto candelotti fumogeni esplosi ed alcuni furgoni della polizia sul
lato destro. I Rom affacciati alle finestre mi gridavano che era stato un
massacro, che i cavalli avevano calpestato le persone. Allora capii cosa era
successo. La polizia aveva attirato distante i "politici" per poter intervenire
con durezza.
Ho trovato i manifestanti a decine di metri di distanza in via Havlíčková.
Erano stati caricati da otto poliziotti antisommossa a cavallo. Ho cercato di
capire se erano feriti, soprattutto i miei amici. Grazie a dio erano tutti sani.
Tramite frammenti di discorso ho ricostruito gli eventi. La polizia
antisommossa aveva aperto la strada a quella a cavallo per caricare i
dimostranti, picchiati con manganelli. Alcuni erano stati arrestati, diversi
erano stati feriti. Ognuno usava le parole "brutale" e "massacro". Poi la
polizia aveva spinto i dimostranti diversi metri indietro, perché gli estremisti
avessero la strada libera.
Così gli estremisti hanno potuto trarre pieno vantaggio dal corridoio
liberato. In diverse centinaia hanno marciato lanciando slogan come "Boemia ai
Cechi". Voci isolate scandivano "Venite qui, puttane nere" e "Antifa, ha, ha,
ha" agli antifascisti. Quando i contro-manifestanti hanno iniziato a cantare,
per un momento ho avuto l'impressione di essere ad una partita di calcio tra
Sparta e Ostrava.
Sono rimasto sconcertato anche da qualcos'altro: avevo saputo dalla polizia
che c'era il divieto di indossare maschere, ma molti estremisti erano a volto
coperto. La polizia non ha agito contro di loro, sicuramente non nel modo che ha
agito attaccando la contro-manifestazione.
Un volta che gli estremisti se ne erano andati, la situazione si calmò un
poco, e sono potuto tornare alla mia macchina. Nel parcheggio ho incontrato Michael
Kocáb, che si era allontanato dagli eventi alle 15.00 circa.
Quando sono ritornato in città, non c'era più traccia dei
contro-manifestanti. Ho fatto alcune chiamate e ho capito che erano di fronte
alla stazione di polizia. Stavano andandosene e mi sono accodato a loro.
Era ora di tornare a Praga. Lungo la strada ho incontrato molte squadre - non
della polizia - ma di estremisti che stavano bighellonando nei villaggi vicini,
fumando appoggiati alle loro macchine. Pensavo che tutto fosse finito.
Un'ora dopo, un collega mi ha chiamato sul cellulare. Gli estremisti avevano
aggredito tre Rom e ferito uno di loro. Poco dopo il portavoce della polizia mi
spiegava che gli estremisti erano tanti e 13 di loro erano stati arrestati. La
polizia era riuscita a contenere la marcia, ma a quanto pare non le sue
conseguenze.
Patrik Banga, translated by Gwendolyn Albert
Dalla Repubblica Ceca mi scrive un amico:
(fonte: Ctk) Un attivista Rom, sabato a Novy Bydzov, è finito all’ospedale
privo di conoscenza dopo una rissa con alcuni attivisti di estrema destra. Nella
cittadina della Boemia centrale si sono radunati nel fine settimana circa 500
esponenti ultranazionalisti della Delnicka strana e 200 attivisti di opposta
estrazione politica. Poliziotti in assetto anti sommossa hanno provato a stento
a tenere separate le due fazioni.
BalkanInsight - La polizia albanese criticata dopo un attacco al campo romBy Besar Likmeta Famiglia rom a Laprake. Photo by: UNHCR
Tirana, 11/03/2011 - La polizia albanese è stata accusata di razzismo dai
media locali, dopo che tre giorni fa un campo rom alla periferia di
Tirana è stato bruciato, da attentatori che non sono ancora stati trovati.
Alcuni residenti del campo, che ospitava circa 40 famiglie, hanno detto ai
media locali che gli assalitori arrivavano di notte e li malmenavano con dei
bastoni, mentre appiccavano il fuoco alle loro baracche; questo per diversi
giorni, spingendoli a sloggiare.
I residenti dicono che la polizia non è riuscita ad impedire gli attacchi e
fornire protezione alle famiglie, che ora si sono trasferite a vivere in altri
insediamenti a Tirana e altrove.
Rimane dubbio se l'attacco è stato il risultato del razzismo, oppure è stato
istigato da interessi finanziari immobiliari di chi cerca di costruire
nell'area.
Venerdì la polizia ha negato di aver violato le leggi anti discriminazione
sulle minoranze e la protezione dei bambini, mentre il caso rimane sotto esame.
Secondo il comunicato della polizia, i Rom "hanno dato inizio al conflitto"
coi loro vicini, da cui l'escalation.
"Abbiamo chiesto ai Rom riguardo al fuoco che ha travoltole loro abitazioni,
ma si sono rifiutati di testimoniare," si legge nel comunicato.
Secondo l'Unione dei Rom Albanesi, una OnG di Tirana, vivono in Albania sino
a 150.000 Rom, parte di una comunità che lotta contro le discriminazioni, bassi
tassi di alfabetizzazione e disoccupazione di massa.
Già nel 2003 l'Unmik e il Tpi erano in possesso di testimonianze dettagliate su
presunti rapimenti e uccisioni di civili kosovari (soprattutto serbi) operati in
territorio albanese dall'Uck, anche per espiantare organi da "piazzare" sul
mercato. E' quanto emerge da documenti "riservati e sensibili" pubblicati la
settimana scorsa. Un nuovo tassello che rende sempre più urgenti indagini
approfondite
Non si trattava di semplici sospetti. Dal 2003 la missione delle Nazioni Unite
in Kosovo, Unmik, e il Tribunale penale internazionale per i crimini nella ex
Jugoslavia con sede all'Aia (Tpi), erano in possesso di testimonianze
dettagliate, rilasciate da persone direttamente coinvolte, sui presunti
trasferimenti e soppressioni di prigionieri civili, principalmente serbi, messo
in campo in territorio albanese dall'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck),
dopo la fine del conflitto contro Belgrado, il 12 giugno 1999. Scopo di buona
parte di questi omicidi sarebbe stato quello di espiantare organi da "piazzare"
sul mercato internazionale dei trapianti.
E' quanto emerge da un documento Unmik "riservato e sensibile" che è stato
pubblicato – oscurato nelle parti riconducibili all'identità dei testimoni – il
16 febbraio scorso dalla tv France 24 e l'agenzia di stampa italiana, Tmnews. La
stampa locale ed internazionale ha ampiamente ripreso la notizia.
Questa la pista investigativa esplicitata nei documenti emersi, datati fine
2003: "i rapiti (in Kosovo), poi trasferiti in Albania centrale, sono stati
spostati ancora, in piccoli gruppi, in una casa privata a sud di Burrel
convertita in una clinica improvvisata. Qui equipaggiamento e personale medico
venivano usati per estrarre organi dai prigionieri, che poi morivano. I resti
venivano sepolti nelle vicinanze. Gli organi trasferiti all'aeroporto Rinas nei
pressi di Tirana e imbarcati per l'estero".
Come emerso a seguito dell'interesse sollevato dalla pubblicazione del 16
febbraio, una copia del documento era stata in realtà già pubblicata dal
quotidiano serbo 'Press', sul proprio sito web, il 28 gennaio 2011.
Dunque quasi venti giorni – un'era geologica per i tempi giornalistici – durante
i quali una notizia di tale peso resta inspiegabilmente 'congelata': fatti salve
due riprese dell'altro quotidiano serbo Politika e dell'agenzia Tanjug, non vi è
traccia dello scoop di Press, tanto nella stampa locale che extra regionale. Il
perché è solo uno degli interrogativi legati alla pubblicazione del documento.
Il contenuto dei documenti Unmik trapelati Il documento Unmik non si può definire propriamente un report: sfogliandolo, si
comprende che si tratta, piuttosto, di un collage di parti di diverse
documentazioni, sottratte al medesimo dossier, e riunite in un corpo unico di 30
pagine, la cui numerazione è infatti ricostruita manualmente a penna, invece che
seguire quella informatica di un unico file.
Il 30 ottobre 2003, l'allora capo missione del Tpi a Skopje e Pristina, Eamonn
Smyth, trasmette all'Aia - al collega Patrick Lopez Terres, capo della sezione
Indagini - una serie di informazioni "confidenziali, non circolabili" che ha
appreso, a sua volta, il giorno precedente da Paul Coffey, direttore del
dipartimento Giustizia Unmik. Date, orari, tragitti, nomi e cognomi di vittime
e presunti carnefici.
E luoghi. Dal documento emerge infatti che nel 2003 gli investigatori non erano
solo in possesso delle coordinate Gps, ormai di pubblico dominio, della
tristemente nota 'casa gialla', presunto luogo materiale degli espianti che più
testimoni riconoscono, anche se ridipinta di bianco, tra dieci fotografie: "era
pulito è c'era un odore molto forte di medicinale. Mi ha ricordato quello di un
ospedale, dolciastro e mi ha dato fastidio", racconta un testimone (pag. 10/30).
Le descrizioni raccolte vanno ben oltre, consentendo agli inquirenti di
localizzare almeno tre siti in territorio albanese di presunte fosse comuni
delle vittime (pagg. 15 e 16/30).
"Parliamo anche dei dispersi, delle indicazioni che vi sarebbero fosse comuni in
tre aree dell'Albania settentrionale", scrive nel 2008 l'ex procuratore capo Tpi,
Carla Del Ponte, nel suo libro denuncia 'La caccia. Io e i criminali di guerra'
(Milano, Feltrinelli, 2008, pag.297). "Così, alla fine – riferisce Del Ponte del
buco nell'acqua a cui portò nel 2004 il sopralluogo in Albania del Tpi – i
procuratori e gli investigatori sui casi dell'Uck decidono che le prove per
procedere sono insufficienti. Senza le fonti e senza un modo per identificarle e
rintracciarle, senza i corpi, e senza prove che colleghino indiziati di alto
livello a questi atti, tutte le strade di indagine sono sbarrate".
Eppure in queste pagine ci sono fonti e sono identificate, anche se gli autori
vi si riferiscono sempre, per ragioni di sicurezza, attraverso numeri e lettere
e precisano che "la loro credibilità non è testata" e che "non hanno mai
assistito alle operazioni chirurgiche" (pag 29/30).
Ci sono i corpi. "Questa volta ho visto i corpi avvolti in coperte grigie
dell'esercito. Ho sentito l'odore del sangue, dunque so che erano freschi. (...)
Le fosse erano già scavate quando siamo arrivati. Due corpi per ogni fossa. Ho
impiegato un'ora e mezza per finire" è il drammatico resoconto di un
trasferimento di cadaveri dal Kosovo in Albania (pag. 7/30).
Ci sono le vittime. "Erano civili, serbi, paesani (...) Ho pensato che sarebbero
stati uccisi, ma vi erano ordini rigorosi di non trattare male i prigionieri, di
non picchiarli e dare loro cibo e acqua" (pag. 11/30). O ancora, "anche delle
ragazze furono portate nella casa (la casa/clinica) e usate come 'pezzi di
ricambio'. Ricordo di essere stato molto triste perché erano ragazze albanesi"
(pag 10/30).
Ci sono i medici, tra i quali viene riconosciuto da più fonti "un arabo". I
campioni di sangue, le cartelle cliniche.
Ci sono gli organi. "Dalla prima coppia di serbi vennero estratti solo due reni
e poi vennero uccisi. L'intenzione era di lanciarsi sul mercato. In seguito si
erano organizzati molto meglio e incassavano 45.000 dollari a persona",
riferisce un testimone. "Normalmente – prosegue – volavano (gli organi) su voli
di linea per Istanbul il lunedì e il mercoledì ". Lo scalo di partenza era
quello tiranese di Rinas, dove "alle persone che vi lavoravano venivano dati dei
soldi per chiudere gli occhi e stessa storia a Istanbul" (pag. 25/30).
Ci sono nomi e cognomi: "Ramush e Daut Haradinaj" - l'ex premier kosovaro e il
fratello - insieme ad almeno altre tre persone, vengono infatti indicati da un
testimone come architetti del macabro crimine. "L'operazione è stata sostenuta
da un uomo legato alla polizia segreta albanese operativa del precedente governo
di Sali Berisha", ricostruisce inoltre, nel suo sommario, l'allora capo missione
del Tpi a Skopje e Pristina, Smyth (pag. 2/30). Così, Del Ponte aveva riferito
nel suo libro del "possibile coinvolgimento di servizi segreti albanesi" (p.
297).
Reazioni e domande in cerca di risposta Il nome che non compare mai è invece quello di Hashim Thaci, neo riconfermato
premier di Pristina, il quale sarebbe invece implicato secondo
il rapporto
pubblicato lo scorso dicembre dal senatore svizzero presso il Consiglio
d'Europa, Dick Marty. "No – ha confermato a France24 - non conoscevo il
documento e non l'avevo mai visto. D'altra parte mi erano noti i fatti
descritti". Perché mai in oltre due anni di indagini, nessuno ha condiviso con
Marty queste informazioni? "Siamo in diritto di interrogarci sull'efficacia
della cooperazione internazionale", risponde lui stesso.
Tra tante domande, infatti, c'è una certezza: "Unmik ovviamente conosceva il
documento perché lo ha generato, è in corso una indagine sulla fuga di notizie",
ha confermato l'ambasciatore Zannier a Tmnews. Ma il capo di Unmik precisa anche
che "la missione Eulex dispone del documento che è stato trasmesso al Capo
dipartimento Giustizia EULEX dell'epoca (Alberto) Perduca ed al procuratore capo
di EULEX dr Jacobs, nel marzo 2009". Pertanto, "gli elementi contenuti nel
rapporto del 2009 non sono stati nascosti", conclude il diplomatico italiano che
guida la missione Onu in Kosovo.
"E' vero che Unmik trasmise nel 2009 la documentazione sui crimini di guerra che
venne a sua volta inoltrata alla Procura speciale del Kosovo (Spkr, mista
Eulex-magistrati locali, competente esclusiva per crimini di guerra e altre
fattispecie, ndr)", conferma a Osservatorio Perduca, oggi Procuratore aggiunto a
Torino. "Sulla base di quelle informazioni, nel luglio 2009 Eulex chiese ed
ottenne dal magistrato autorizzazione ad avviare un'indagine sul traffico
d'organi: l'indagine è partita, resta aperta la questione dei risultati a cui ha
condotto".
Servono prove, servono i corpi e il solo posto dove cercare è l'Albania. Un
Paese membro della Nato, che ambisce al suo posto nell'Unione europea, ma da cui
la Comunità internazionale non è mai riuscita ad ottenere l'autorizzazione a
scavare nei presunti siti delle fosse comuni. O, invece, non ha mai voluto, non
con la forza e le pressioni necessarie perlomeno? Al di là degli adempimenti
formali, è lecito pensare che sia ancora in piedi quel 'muro di gomma'
sostanziale denunciato dalla Del Ponte nel suo libro?
Lo stesso che ha impedito ieri al Tribunale dell'Aia, oggi alla missione Eulex
di cercare un riscontro probatorio di informazioni tanto preziose, quanto vane
ai fini giudiziari finché resteranno nient'altro che pezzi di carta
'confidenziali'? Lo stesso dietro cui si nasconde Tirana, giustificandosi di non
essere stata né parte, né teatro dei conflitti balcanici degli anni novanta?
Al
MedFilm Festival 2010
Tony Gatlif
vince uno dei due premi più importanti, ovvero Amore e Psiche "Menzione
speciale" con la pellicola di produzione francese "Korkoro" (Liberté),
sulla tragedia di cui furono vittime le popolazioni sinte e rom durante il
nazismo e il fascismo.
Il film racconta le vicende di una famiglia probabilmente sinta manouche che
vaga in Francia nel 1940. Sono gli anni dell’inizio del Porrajmos. Dal 1940 al
1945, infatti, almeno 500.000 rom e sinti furono internati e sterminati nei
campi di concentramento e nei campi di sterminio, insieme a ebrei, handicappati
e omosessuali.
Il film di Gatlif ci mostra nella sua crudezza la storia di alcuni di loro. Si
potevano salvare i nostri protagonisti, grazie ad un francese che lottava contro
il nazismo. Ma loro scelgono la libertà e quindi andranno verso morte sicura.
Il regista ci porta in un mondo dove sinti e non sinti possono vivere insieme e
lottare per gli stessi ideali di libertà. Il tutto è visto con gli occhi
innocenti del piccolo Claude, orfano francese, che trova tra i sinti una nuova
famiglia e soprattutto uno zio pazzo di nome Taloche. Č un film assolutamente
attuale che speriamo arrivi presto nelle sale italiane con una distribuzione
all’altezza dell’importanza della pellicola.
Le reazioni al verdetto di Vítkov (vedi
QUI ndr) e la lunghezza della sentenza non hanno sorpreso. Quanti
concordano con quella la trovano giustificata, e quelli che non sono d'accordo
si pongono delle domande. Oltre alle legittime opinioni sulla lunghezza della
condanna in relazione al crimine in questione, ci sono anche opinioni
(soprattutto su internet) che ripetono all'infinito le aperte invenzioni, le
bugie e gli stereotipi sulle vittime.
Tali ripetizioni evidentemente aiutano qualcuno ad evitare il doloroso
riconoscimento che siamo capaci della peggior sorte di atrocità, inclusa mandare
a fuoco un'intera famiglia. Questo vale per tutti quanti, che pur non
approvando le atrocità, tentano nei fatti di giustificarle riferendosi alle
"malefatte degli zingari" nel loro complesso. Sono guidati a ciò dall'antiziganismo,
che nella Repubblica Ceca si basa sulla nostra classica invidia. Durante le loro
generalizzazioni, gli antiziganisti spesso spandono bugie e calunnie sui Rom
[...]. Amano prendere esempi dai media sui Rom coinvolti in crimini. A loro non
importa che anche i non-Rom commettano i medesimi crimini, perché non è il
crimine in sé che loro importa - sono gli "zingari". I loro interlocutori in
queste discussioni su internet includono, naturalmente, neonazisti, razzisti, e
sociopatici incapaci di empatia. E' sintomatico che tutti si riferiscano agli
incendiari razzisti come ai "ragazzi di Vítkov".
C'è, tuttavia, un segno di speranza. Persone comuni e ragionevoli hanno
iniziato a partecipare a queste discussioni sempre più spesso. Questa gente non
si fa prendere dal gioco a chi grida più forte, e dai suoi soliti trucchi, e
sembra sentire un bisogno di esprimersi più forte che nel passato.
Tutto ciò sta avvenendo sulla pagina Facebook "Non sono d'accordo con la
condanna per i Ragazzi di Vítkov", o durante "eventi" in Facebook come quello
chiamato "Nel caso di Vítkov chiediamo la stessa punizione per i genitori di
Natálka!"
"I genitori che lasciano bruciare il loro figlio non meritano milioni di
corone, ma la prigione". Questa è la richiesta di Petra Ramešová, František Fanz
e Bára Pertlová, fondatori dell'evento Facebook intitolato "Nel caso di Vítkov
chiediamo la stessa punizione per i genitori di Natálka!" Tutti e tre, e non
sono soli, stanno ovviamente commettendo il reato di diffamazione ma, ancora più
importante, stanno cinicamente mentendo per parlare male dei Rom e giustificare
il tentato assassinio della famiglia rom.
Le testimonianze rese in tribunale dai genitori e dai nonni di Natálka
differiscono tra loro in alcuni dettagli, ma ci sono diverse possibili ragioni
per questo: la commozione per il fuoco stesso, il fatto che gli eventi accaddero
più di un anno fa, ed altre ragioni naturali. In nessuna circostanza la loro
testimonianza o quella di chiunque altro ha portato alla conclusione che abbiano
"lasciato bruciare la loro bambina". Al contrario, sono stati loro che hanno
portato via Natálka dal fuoco. Non ci sono neppure indicazioni, come sostenuto
da qualcuno, che durante l'assalto non fossero a casa ma nel pub, o che avessero
in casa merce rubata, a cui tenevano più della loro figlia. Tutto ciò è pura
diffamazione inventata da chi odia i Rom nel loro complesso. Molti di loro
presentano anonimamente le loro opinioni.
Il comportamento di questi antiziganisti, neonazisti e razzisti porta
tensioni sociali e violenza come gli incendi ed altri attacchi violenti commessi
contro i Rom. Il tentato omicidio di Vítkov è stato solo uno dei tanti. Dal
punto di vista dei media, ci ha mostrato solo la cima dell'iceberg della
crociata anti-Rom. Dove finirà, nessuno lo sa - e per questo è un bene che i
"Ragazzi di Vítkov" siano stati condannati dal sistema giudiziario (la sentenza
non ha ancora avuto effetto). Attraverso il tribunale, la società ha fatto
sapere che l'antiziganismo, il razzismo e le violenze ad essi collegate sono
fenomeni completamente inaccettabili.
Petr Hájek, vice capo dell'ufficio di presidenza di Václav Klaus, intende
prendersela con la Televisione Ceca. E' dispiaciuto per la copertura programmata
dall'emittente pubblica sulle fasi finali del processo ai quattro accusati
dell'assalto incendiario a Vítkov. Secondo Hájek, costituisce una "pressione" ed
un attacco all'indipendenza della corte. Purtroppo, non ho l'opportunità di
chiedere ad Hájek se davvero ha così poca fiducia nel sistema giudiziario.
Vorrei chiedergli se farebbe le stesse critiche se suo figlio fosse stato
mutilato nell'attacco.
Il processo in corso non riguarda ladri di metallo o una rissa da bar. Si
processano quattro razzisti che hanno lanciato delle molotov in una casa dove
c'era gente che dormiva, tra cui dei bambini. Questo cocktail mortale non volava
per aria perché i ragazzi volevano divertirsi o vedere cosa potesse fare una
molotov. Erano lì con l'intenzione di uccidere degli "zingari", come approvato
dalla loro ideologia disgustosa e mostruosa.
Questo processo ci riguarda tutti. Potevano essere mia figlia o la vostra a
rimanere ustionate. E' per questo motivo che merita questa attenzione dai media,
a ragione,secondo me. Non si tratta di "isteria". Parlando per me, voglio
vedere, in televisione, i volti di chi ha tentato di uccidere una bambina di due
anni e voglio vederli ricevere la pena che meritano.
Nessuno può realmente credere che questa merda sull'interesse dei media possa
realmente influenzare la corte. Se un giudice sotto la pressione dei media non è
in grado di prendere decisioni secondo la legge, questa persona non dovrebbe
essere un giudice. Penso anzi che l'effetto di trasmettere le udienze sia stato
esattamente l'opposto. Al pubblico è stata data l'opportunità di seguire il
lavoro di tutti i soggetti coinvolti. Il signor
Hájek ritiene che il pubblico di massa non sia interessato a come il sistema
giudiziario si avvicina a questo caso?
Soprattutto, ho l'impressione che qualcuno in questo paese stia perdendo il
lume della ragione. Tramite il mio lavoro al news server iDNES.cz posso
praticamente vedere la materia prima che diventa notizia, così come vedo i
contributi dei lettori alle pagine di discussione. Negli ultimi giorni stanno
diventando nauseanti. E' stupefacente come spesso la gente elogi il mancato
omicidio di Vítkov, quanto spesso la gente scriva di come la piccola Natálka
crescendo sarebbe diventata una "puttana" con 20 bambini oziosi a carico dello
stato, di come la stessa gente scriva che gli"zingari" se la meritavano perché
non erano proprietari della casa in cui vivevano e che per questo quei ragazzi
non hanno fatto niente di così cattivo. Dopo tutto, l'uccisione dei criminali
non è omicidio - non è così?
In nome di Dio, cosa scriverebbero queste persone se i nazisti avessero dato
fuoco ai loro figli? Avrebbero approvato? Avrebbero scritto commenti come i
seguenti?
"Quei coraggiosi - approvo completamente ciò che hanno fatto e NON mi spiace
per Natálie".
"Neanch'io, avrebbe solo partorito altri 20 di loro".
"Esattamente, approvo qualsiasi metodo per prevenire la diffusione di questa
gente inadattabile. Danno solo problemi".
No, non è la pena del pensiero, non riesco a vedere in loro la coscienza. Non
importa chi siano realmente gli attentatori, proprio come non importa che si
dica che il padre di Natálie sia stato in prigione. Niente da a qualcuno il
diritto di prendere una bottiglia molotov e cercare con essa di uccidere
un'intera famiglia. Questo è il senso di questo processo - e molti, compreso il
signor
Hájek, non lo capiscono.
Salve, mi chiamo Margarita Meza e vi scrivo da Città del Messico. Lavoro per
il Museo della Tolleranza del Messico, che sarà inaugurato ad ottobre. In questo
museo affrontiamo la tematica della Tolleranza e dei genocidi per questioni
etnico-razziali, che si son suscitati nella storia.
Il motivo della mia comunicazione è che, dentro la nostra esibizione
permanente, c'è uno spazio dedicato alla persecuzione, perpetrata dai nazisti,
ai gitani durante l'Olocausto. Per questo vorremmo esibire alcuni pezzi
originali che sostengano visualmente questo tema, abbiamo pensato di esporre un
violino, meglio se utilizzati da qualche gitano che sia stato vittima dei
campi di sterminio, o semplicemente un violino dell'epoca che sia stato
utilizzato in Europa e che sia appartenuto a persone gitane. Non so se voi
possiate mettermi in contatto con qualcuno che avesse un pezzo con queste
caratteristiche.
Vi ringrazio per la vostra attenzione e rimango in attesa delle vostre
risposte, invitandovi a visitare la nostra pagina web per ottenere più
informazioni sul nostro museo. Cordiali saluti.
Di Fabrizio (del 28/07/2010 @ 09:24:30, in conflitti, visitato 2499 volte)
Un fatto avvenuto una decina di giorni fa, che ha avuto eco anche nei
media
italiani. Tra l'altro, la Francia non è nuova a
tensioni simili. Non ho avuto tempo per le traduzioni, rimedio adesso. La prima
segnalazione viene da
Roma_Francais sul clima di questi giorni in Francia
IrishTime.comLa polizia pattuglia il quartiere L'Arlequin di Grenoble la
settimana scorsa. Foto Quadrini Rolland/Reuters
RUADHÁN MAC CORMAIC in Paris - Sabato 24 luglio 2010
HA PREVALSO LA CALMA a Grenoble dopo il funerale di
un sospetto rapinatore armato, ucciso la settimana scorsa dalla polizia,
mitigando i timori che la sua sepoltura potesse riaccendere le violenze che lo
scorso fine settimana hanno scosso la città del sud-est francese.
L'uccisione di Karim Boudouda (27 anni), nel corso di una sparatoria seguita
ad una rapina in un casinò, ha scatenato tre notti di disordini nella periferia
di Villeneuve, dove sono stati esplosi colpi contro la polizia e dozzine di auto
sono state date alle fiamme.
Giovedì notte e nel primo mattino di ieri (venerdì 23 luglio ndr) sono
state bruciate due auto e sono state lanciate bottiglie contro la polizia, ma un
appello alla calma del locale imam e della famiglia di Boudouda sembra essere
stato ascoltato dai più.
Anche se l'ordine è ritornato nelle strade, il crimine continua a dominare
l'agenda politica, dopo una settimana in cui sono avvenuti seri disordini in una
tranquilla città nella valle della Loira.
Domenica (18 luglio ndr) tumulti sono scoppiati a Saint-Aignan,
cittadina di appena 3.400 abitanti, dopo che membri della comunità nomade hanno
reagito alla morte di un giovane trattenuto dalla polizia, con violenti attacchi
alla locale stazione di polizia.
I disordini a Grenoble e Saint-Aignan hanno indotto il presidente Nicolas
Sarkozy a dichiarare che lo stato era impegnato in una "guerra contro
trafficanti e delinquenza" e che lo stato non sarebbe indietreggiato nella sua
"implacabile lotta" contro i criminali.
Ha poi esautorato il prefetto dell'Isère, il dipartimento che include
Grenoble, rimpiazzandolo con Eric Le Douaron, alto funzionario di polizia che
Sarkozy conosce da quando era ministro degli interni. E' la seconda volta in tre
mesi che Sarkozy nomina un funzionario di polizia a prefetto. Ad aprile, nominò
Cristian Lambert, ex capo di un gruppo di elite stile-commando, come prefetto di
Seine-Saint-Denise, che include alcuni dei quartieri più poveri della capitale
francese.
L'ultima mossa è stata criticata dall'opposizione: il deputato Manuel Valls
del partito socialista ha detto che il linguaggio belligerante di Sarkozy
sancisce il "fallimento abbastanza patente" delle sue politiche di sicurezza.
Daniel Vaillant, ministro degli interni sotto il primo ministro socialista
Lionel Jospin, ha criticato duramente Sarkozy per "essersi assunto dei poteri
che non ha" sostituendo due prefetti, dato che è il primo ministro o quello
degli interni che possono nominarli.
Prefetti, che agiscono come i massimi rappresentanti dello stato nel
dipartimento, sono normalmente dipendenti pubblici di carriera.
Anche i gruppi antirazzisti e per i diritti umani sono stati critici verso il
presidente, dopo le osservazioni svolte sulla scia delle violenze di
Saint-Aignan, circa "i problemi posti dal comportamento di certe persone nelle
comunità Rom e Viaggianti".
La Lega per i Diritti Umani ha accusato il presidente di "stigmatizzare" Rom
e Viaggianti e di renderli "capri espiatori" dei più vasti problemi di
sicurezza.
Il termine generico francese gens du voyage, o Viaggianti, include
zigani le cui famiglie arrivarono in Francia nel corso dei secoli;
manouches, arrivati dalla Germania nel XIX secolo; gitani spagnoli e
più recentemente i rom.
Il Presidente della Repubblica ha dichiarato guerra alla gens du voyage
ed ai Rrom. Gli Zigani intendono rispondere con una dichiarazione di pace per
evitare un'esplosione sociale.
L'organizzazione il 28 luglio di una riunione all'Eliseo sui "problemi" posti
dagli Zigani, per la prima volta dalla Liberazione.
Come troppo spesso nello loro storia, gli Zigani sono una volta di più il
capro espiatorio preferito di una classe dirigente invischiata in scandali
politico-finanziari.
Se Nicolas Sarkozy dovesse reiterare la sua dichiarazione di guerra, il
Collettivo delle Associazioni Zigane sarebbe costretto ad intraprendere azioni
legali per incitamento all'odio razziale e chiedere ai parlamentari di
interrogarsi sulla necessità di riunire l'Alta Corte.
La prevalenza del razzismo anti-zigano nella società francese è tale che il
primoluglio2010 è passata totalmente inosservata la conferma in Corte d'Appello
della condanna di France Télévisions per incitamento all'odio razziale, in
ragione del contenuto della trasmissione "C dans l'air" intitolata "Delinquenza:
la via dei Rom" (vedi
QUI ndr).
Mentre la Francia è stata oggetto di numerose condanne da parte delle
autorità europee e rischia di trovarsi bandita dall'Europa, nessuno sforzo è
stato fatto dai poteri pubblici per lottare contro la moltiplicazione degli atti
e delle dichiarazioni razzisti contro gli Zigani.
Il 18 luglio 2010,
la Francia, tramite un discorso pronunciato dal segretario di stato agli ex
combattenti, ha finalmente riconosciuto ufficialmente il dramma
dell'internamento e della deportazione dal 1940 al 1946
Dieci giorni dopo, Nicolas Sarkozy prende l'iniziativa di una politica di
natura razziale che, se dovesse essere attuata, rischierebbe fortemente di
costituire una nuova pagina nera della storia francese, com'è vero che gli
Zigani, al di là delle profonde differenze esistenti tra Rrom e gens
du voyage, siano sottomessi in Francia ad un vero regime d'apartheid in
ragione di una legislazione d'emergenza indegna di un paese democratico.
Il Collettivo delle Associazioni Zigane chiede di essere ricevuto dal capo
dello stato per discutere i problemi alla base delle proposte razziste di alcuni
ministri e parlamentari dell'UMP.
Il Collettivo delle Associazioni Zigane chiede l'abrogazione di tutte le
leggi discriminatorie ed un'azione risoluta ai più alti livelli dello stato per
lottare contro il razzismo anti-zigano.
Per la salvaguardia dei valori universali che hanno fatto grande la Francia,
il Collettivo delle Associazioni Zigane lancia un appello riprendendo le parole
esatte utilizzate venticinque anni fa da Georges Guingouin, primo partigiano di
Francia, liberatore di Limoges, nel suo appello lanciato in occasione del 41°
anniversario della battaglia del Mont Gargan:
"Nel 1985, mi appello agli uomini e alle donne dall'animo generoso perché
un soprassalto morale, una nuova Resistenza comincino e la Francia resti il
paese dei Diritti dell'Uomo. La fiamma della Libertà non deve spegnersi!"
Il Collettivo delle Associazioni Zigane organizzerà una conferenza stampa
mercoledì 28 luglio alle 11.00 a Chope des Puces 122 rue des Rosiers à
Saint-Ouen.
Association "La voix des Rroms" 50, rue des Tournelles
75003 PARIS
tél. & fax: 01.80.60.06. 58 http://www.lavoixdesrroms.org
Domenica sera tardi nel nord est dell'Ungheria una casa unifamiliare abitata
da Rom è stata data alle fiamme. Secondo l'agenzia MTI non ci sono stati feriti.
Negli ultimi anni i Rom in Ungheria sono diventati il bersaglio di diversi
attacchi durante i quali sono morte almeno otto persone, tra cui un bambino di
cinque anni (vedi
QUI ndr).
Una donna ed il suo bambino stavano dormendo nella loro casa nel villaggio di
Olaszliszka quando è avvenuto l'attacco. La donna dice di essere stata svegliata
da tre forti colpi. I proiettili hanno colpito il muro della facciata.
L'incidente di sabato è avvenuto non lontano da un'altro villaggio dove,
nell'ottobre 2006, un non-Rom investì e ferì una ragazza rom. I suoi genitori si
vendicarono picchiandolo a morte sul posto. In seguito a ciò otto Rom vennero
condannati a diversi anni di carcere. Riporta MTI che László Fercsák,
rappresentante dell'auto-governo della minoranza locale, ha rilasciato domenica
una dichiarazione, dicendo che i residenti della casa assalita a Olaszliszka non
hanno collegamento con i fatti di quattro anni fa.
I recenti attacchi a Rom sono avvenuti soprattutto di notte, mentre
dormivano. L'agosto scorso, una donna rom di 45 anni fu colpita a morte nel
villaggio di Kisléta, nell'est del paese; nell'attacco venne seriamente ferita
anche sua figlia di 13 anni. A novembre 2008, gli assalitori uccisero una coppia
romanì con una bomba a mano nella città meridionale di Pécs. Lo stesso mese, due
Rom nel villaggio di Nagycsécs, nel nord est Ungheria, persero la vita, quando
gli assalitori gettarono delle molotov nelle loro case e poi gli spararono con
dei fucili mentre scappavano dalle fiamme.
La comunità rom è la più grande minoranza in Ungheria, tra il cinque e il
sette per cento dei 10 milioni di abitanti. Con la crescita della disoccupazione
e dei problemi economici nel paese, sempre più frequentemente i Rom sono
bersaglio di attacchi sediziosi dei partiti estremisti, come il Movimento per
un'Ungheria Migliore (Jobbik), che dopo le recenti elezioni ora hanno loro
rappresentanti in Parlamento.
Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert
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