Rom e Sinti da tutto il mondo

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La redazione
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\\ Mahalla : VAI : Kumpanija (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 12/05/2012 @ 09:02:59, in Kumpanija, visitato 2054 volte)

Capita, di sentire paragonare la situazione di Rom e Sinti in Europa a quella dei nativi americani. Una delle cose che può unirli, è la conoscenza dell'erboristeria tradizionale, conoscenza che col tempo sta sparendo tra le comunità romanì. Non conosco approfonditamente la situazione dei nativi americani, ma vedo che tra loro questa memoria viene tramandata come identità culturale.

Indian country By ICTMN Staff May 4, 2012 RSS - Pat Gwin, direttore alle Risorse naturale della Nazione Cherokee, discute sulle piante con Cathy Monholland, storica delle tribù e specialista del curriculum culturale, in preparazione della seconda conferenza annuale etnobotanica  della Nazione Cherokee. La conferenza si terrà il 24-25 maggio. (Courtesy of Cherokee Nation)

Imparare come i Cherokee usavano le piante tradizionale come medicina, cibo, riparo, armi e altro ancora prima del Trail of Tears (l'esodo forzato dalle terre native ndr.) e di come alcuni componenti delle tribù stanno operando per preservare le tradizionali conoscenze ecologiche, e coltivare giardini con queste piante  importanti per gli Cherokee. Poi si andrà a piedi verso Rocky Ford, a nord di Tahlequah, Oklahoma, per osservare queste antiche piante crescere nel loro ambiente naturale e ascoltare come iniziare il proprio giardino cherokee.

La seconda conferenza annuale etnobotanica  della Nazione Cherokee si terrà il 24-25 maggio. Il primo giorno, gli oratori condivideranno alcune conoscenze tradizionali riguardo le piante della Riserva Cherokee del complesso tribale W.W. Keeler a Cherokee, Oklahoma. La conferenza si concluderà con la visita guidata a Rocky Ford.

"Scopo della nostra conferenza è far crescere la consapevolezza e l'apprezzamento per le piante cherokee, che ci fornivano non solo da mangiare ma anche medicina," dice Cathy Monholland, storica delle tribù e specialista del curriculum culturale per la Nazione Cherokee, in un comunicato stampa. "In molti hanno interesse ma non la competenza riguardo a queste piante, quindi vogliamo insegnare di più su queste piante che ancora sono importanti nella vita dei Cherokee, ed il nostro cammino nella natura ha lo scopo di permettere alle persone di osservare alcune di queste piante nel loro habitat naturale."

Clint Carroll (Courtesy of the University of Minnesota)

Il primo giorno l'oratore ospite Clint Carroll, della Nazione Cherokee, evidenzierà le diverse sfide contemporanee che il suo popolo deve affrontare nel preservare la conoscenza ambientale degli indiani americani e le sue pratiche, col discorso: "Cosa sappiamo su ciò che vive nel mondo selvatico: la conoscenza ambientale cherokee attraverso le epoche". Carroll è dottore associato in studi degli indiani americani all'università di Minnesota–Twin Cities ed ha lavorato come tecnico all'ambiente e alle risorse naturali per la Nazione Cherokee.

Dopo il discorso di Carroll, i maestri giardinieri Tony e Carra Harris presenteranno alle 13.30 "Se le piante potessero parlare: una relazione cherokee". La coppia ha coltivato una delle più grandi collezioni nella nazione di piante significative per i Cherokee. Tony illustrerà come le piante erano usate per medicina, cibo, ripaqro, armi, strumenti e a scopo cerimoniale, prima del Trail of Tears. Carra presenterà idee e risorse per iniziare un proprio giardino cherokee.

La giornata conclusiva vedrà una passeggiata guidata di due ore nella natura, durante la quale i relatori della conferenza ed i rappresentanti del dipartimento alle Risorse Naturali illustreranno alcune delle piante presentate nella conferenza.

"Portiamo i partecipanti dove possono vedere crescere le piante, cosa che normalmente non è proponibile in un ambiente suburbano," ha detto Pat Gwin, guida alla camminata e direttore alle Risorse Naturali della Nazione Cherokee. "L'ambiente naturale dell'altopiano di Ozark assomiglia all'ambiente più a est dove vivevano i Cherokee."

La conferenza è gratuita ed aperta al pubblico. Per la passeggiata nella natura, verrà data precedenza ai primi arrivati. Informazioni sulla Conferenza Etnobotanica della Nazione Cherokee, contattare Monholland (001) 918-453-5389.

 
USA
Di Fabrizio (del 04/05/2012 @ 09:31:54, in Kumpanija, visitato 1630 volte)

Da Hungarian_Roma

Roma Buzz Monitor Autoemancipazione di una donna rom ungherese di Laura Rahman

Non molti conoscono la differenza tra razza, nazionalità ed etnia. Molti di noi considerano queste tre parole come similari. Sono nata e cresciuta all'interno di un ghetto zingaro urbano in Ungheria. Nacqui che mia madre aveva 16 anni. Mio padre era un giovane delinquente. I suoi genitori erano scomparsi ad Auschwitz e lui crebbe in affido. Non si è curato troppo della sua origine etnica. Aveva adottato la vita dei Rom dove aveva famiglia e amici. In Ungheria, parlavo ungherese e non avevo religione, causa il periodo comunista. Ho frequentato le scuole ungheresi, imparato la letteratura e la storia degli Ungheresi, ma vivevo nel ghetto zingaro di Budapest. Attorno a me c'erano povertà e crimini, ma anche amore e molta arte in forma di musica e balli. A 20 anni, emigrai negli USA. All'inizio, ero persa. Non parlavo inglese, non avevo famiglia, e neanche una religione che mi collegasse a qualche gruppo. Andai a scuola per imparare l'inglese. Con me frequentava gente di tutti i tipi, ognuno parlava la sua lingua e frequentava la propria gente. Mi chiedevano da dove venissi. Dall'Ungheria, rispondevo. Poi mi chiedevano dov'è l'Ungheria. Nell'Europa dell'Est. Volevano anche sapere che lingua parlavamo. Dicevo loro che in Ungheria si parlava ungherese, e sentivo un orgoglio nazionale perché la gente voleva conoscere il mio paese. Non mi è mai maturato di poter essere di altra nazionalità che ungherese. Cinque anni dopo sono diventata cittadina naturalizzata USA. Vivo a New York, sposata con un Indiano musulmano, con mio marito ed i miei figli parliamo inglese, seguiamo l'Islam, vivendo come qualsiasi ordinario cittadino USA. Americani medi, con una casa in periferia, che guidano sempre per andare al negozio di alimentari, all'ufficio postale, a fare la spesa settimanale nei grandi supermercati, che mangiano hamburger ed inzuppano ciambelle. Mi sono pienamente adeguata alla nuova vita negli Stati Uniti. Ora i bambini sono cresciuti e non richiedono più la mia totale attenzione. La mia vita sociale ruotava attorno a loro. Andavo alle riunioni scolastiche, li portavo alle attività extracurriculari come corsi artistici, nuoto e tennis, incontrandomi e socializzando coi genitori dei loro amici. Ora che ho tempo per me stessa, mi sto facendo domande sullo spirito. Mi sono trovata in crisi d'identità. Così sono tornata al college, cercando di diventare una persona importante, in grado di fare la differenza. E lì ho imparato alcune cose importanti. Ho imparato che apparteniamo tutti ad un'unica razza umana, che in qualche modo siamo tutti interconnessi, e che la nazionalità e l'etnia sono fattori secondari della nostra identità umana.

Cosa significa essere zingaro? E' natura o educazione ("nature or nurture?" nella versione originale ndr.)? Nasciamo per essere zingari o lo diventiamo per fattori sociali ed ambientali? C'è molta speculazione sul patrimonio ereditario zingaro. Non è di questo che voglio discutere. Il mio dilemma è cosa sia essere uno zingaro nel mondo d'oggi. Sono necessari determinati requisiti? Quali? E chi è l'autorità che ci dice se siamo zingari o no? Essere zingari per fattori genetici non basta. Alcuni di noi hanno solo una percentuale di sangue rom nelle vene, ma rimaniamo zingari. Noi popolo romanì siamo in viaggio da 1000 anni. Questo significa che abbiamo viaggiato nel mondo e ci siamo mischiati con tutti i popoli incontrati per strada. Inoltre, un fatto impopolare è che in Europa siamo stai schiavi per circa 500 anni. Significa, che le zingare erano violentate, usate come schiave del sesso. Anche i bambini nati in quest'ambiente diventavano schiavi. Se proveniamo dall'India, perché tra di noi ci sono Rom biondi e con gli occhi azzurri?

Gli zingari sono una razza? La risposta è no. C'è soltanto una razza Umana, cioè l'Homo sapiens. La razza è un trucco della genetica. La popolazione umana mondiale condivide il 99,9% della genetica. La razza è natura e l'etnia è educazione; cioè, caratteristiche di nascita contro patrimonio culturale. Lo 0,1% di variazione genetica è responsabilità delle differenti caratteristiche umane, come il colore dei capelli e la struttura del corpo, il colore degli occhi e della pelle. Ma lo stesso colore della pelle è fortemente influenzato da fattori ambientali, quali la somma delle radiazioni solari. Ci sono tre distinte razze umane e trenta sottorazze. I Rom appartengono alla categoria degli Ariani, perché discendono dagli Indiani e parlano una lingua indo-europea.

  1. Razze caucasiche; Ariani che parlano lingue indo-europee
    Camiti, discendenti dalla progenia di Noè
    Semiti-Ebrei, Arabi
  2. Razze mongole; Mongoli nordici, Cinesi ed Indo-Cinesi
    Giapponesi, Coreani, Tibetani, Malesi, Polinesiani, Maori Micronesiani
    Eschimesi, Indo-Americani
  3. Razze negroidi; Africani, Ottentotti, Papua/Melanesiani, "Negritos"
    Australiani, Dravidi

Queste razze hanno sviluppato considerevoli variazioni fisiche tra una popolazione e l'altra. Le caratteristiche fisiche di popolazioni ed individui sono un prodotto dell'interazione tra geni ed ambiente. Per esempio: i propri geni predispongono ad un particolare tono di pelle, ma il colore della pelle di ognuno è fortemente influenzato da fattori ambientali quali la quantità di radiazioni solari. La razza definisce anche le relazioni sociali. Tutti gli esseri umani possono accoppiarsi tra di loro e mischiarsi, quindi siamo una sola razza. Ho sentire dire degli zingari che vivono in mezzo a chi non lo è, che è come mettere un asino in una mandria di zebre, all'asino no cresceranno le strisce. Certo che no! Un giorno morirà, nessuna zebra si prenderà cura di lui, sarà preso a calci e cacciato. Sarà respinto dal branco di zebre, perché l'asino non è uno di loro. L'asino è di una razza differente dalla zebra.

L'etnia si riferisce all'identificazione sociale degli individui basata sul loro patrimonio culturale e su caratteristiche comuni. I gruppi etnici possono condividere antenati, lingua, cultura, nazionalità o religioni comuni, o un misto di questi fattori. Per esempio, ci sono due tribù in Ruanda - gli Hutu e i Tutsi. I componenti di entrambe le tribù si assomigliano, parlano lo stesso gergo... Ma il governo belga etichettò i Tutsi (che allevavano bovini) come superiori agli Hutu (che erano agricoltori), e questo ha portato a scontri sanguinosi. Il punto è che gente della stessa razza ma con differenzi culturali può dirsi appartenente a differenti etnie. Ecco un altro esempio: quando gli Indiani migrano negli USA per studio o lavoro, sono etichettati tutti come "Indiani", anche se provengono da parti differenti dell'India, con tutte le differenze culturali e fisiche (per esempio: i nati nell'India del Nord hanno caratteristiche fisiche differenti dai nati nell'India del Sud - e anche se sono di etnie differenti, negli USA sono tutti etichettati semplicemente come "Indiani"). Lo stesso succede al popolo romanì, anche se sembrano, agiscono, parlano differentemente, anche se vengono da retroterra etnico diverso, sono tutti etichettati solo come "zingari". La razza non si può cambiare. Ma l'etnia, sì. Inoltre, l'etnia è influenzata da fattori culturali ed anche dalla geografia. Abbiamo visto sopra  come gli Indiani, che in India sono differenziati etnicamente, siano considerati un popolo della medesima etnia in un altro paese. Lo stesso nel caso degli zingari. Un gruppo etnico ha una sua propria cultura separata. Chi appartiene ad una razza, lo è indipendentemente da quali possano essere le sue differenze culturali. L'etnia è principalmente per "cultura similare", mentre la razza è tutto quanto va riferito a caratteristiche fisiche/biologiche.

Nazioni e Stati-Nazione

La nazionalità si riferisce semplicemente al paese dove sei nato. La nazioni sono gruppi di persone culturalmente omogenee, più grandi di una sola tribù o comunità. Condividono lingua, istituzioni, religione ed esperienze storiche.

Quando una nazione di persone ha uno stato o un paese proprio, viene chiamato stato-nazione. Francia, Egitto, Germania, Giappone sono eccellenti esempi di stati-nazione. Ci sono alcuni stati che hanno due nazioni, come il Canada e il Belgio. Anche una società multiculturale come gli Stati Uniti sono uno stato-nazione.

Stati e paesi indipendenti

Iniziamo col definire uno stato o un paese indipendente. Uno stato indipendente:

  • Ha spazio o territorio i cui confini sono internazionalmente riconosciuti (possono esserci controversi e di confini).
  • Ha popolazione che ci vive su base continuativa.
  • Ha attività economica ed un'economia organizzata. Commercio nazionale regolato, sia interno che estero. Emette moneta.
  • Gestisce l'ingegneria sociale, come l'istruzione.
  • Ha un sistema di trasporti per trasferire merci e persone.
  • Ha un governo che fornisce servizi e ordine pubblico.
  • Ha sovranità. Nessun altro stato può esercitare l'autorità sul territorio del paese.
  • Ha riconoscimento esterno. Un paese "votato nel club" dagli altri paesi.

Nel mondo ci sono attualmente 196 stati indipendenti. Territori all'interno di un paese o parti individuali di un paese, non sono paesi a sé stanti. Ci sono nazioni senza stato come i Curdi. Per i Rom essere una nazione non è proprio possibile a causa della loro dispersione nel mondo. I Rom non sono un popolo omogeneo come i Curdi. I Rom non condividono le stessa storia, lingua, costumi, cultura. Ogni suo gruppo etnico ha la propria identità culturale, di ciò che chiamano la loro cultura.

Altre temi caldi tra Rom e non-rom sono l'assimilazione e l'integrazione. Assimilazione significa assorbire le minoranze, che devono adottare lingua, costumi e "valori" della maggioranza.

L'integrazione, invece, richiede l'accettazione delle leggi di un paese, dei diritti umani come la libertà di parola, e dei diritti democratici fondamentali, ma non richiede lo sradicamento di tutte le differenze culturali o identità di gruppo: si concepisce come un processo a due vie, in cui si influenzano e si modificano l'un l'altra tanto la maggioranza che la minoranza, ed in cui le differenze possono convivere pacificamente fintanto esiste un comune impegno a vivere assieme. La maggior parte dei Rom è già assimilata, molti i Rom integrati persino nei loro paesi d'origine. Per molti, assimilazione ed integrazione sono ancora una lotta. Una manciata di leader rom si oppongono ad entrambe. Se i Rom vogliono sopravvivere nel prossimo millennio, assimilazione ed integrazione sono un dovere. I Rom devono prendere un posto nella loro comunità, essere parte del tessuto vitale del paese ospitante. Senza, saranno sempre vulnerabili ai conflitti tra paesi ospitanti e stati confinanti.

Io, Laura Rahman, nata in Ungheria, cittadina naturalizzata degli Stati Uniti, dichiaro che, io, appartengo alla razza Umana e sono di etnia Rom. La conoscenza mi ha emancipato dall'avere qualsiasi dubbio sulla mia identità. Dopo questa ricerca, chiaramente vedo le differenze tra nazionalità, etnia e razza.

 
Di Fabrizio (del 30/04/2012 @ 09:39:18, in Kumpanija, visitato 1778 volte)

Da Roma_Daily_News

Mykawartha.com Presentazione della storia degli zingari del luogo. L'istallazione sulle Storie Dimenticate dell'artista JoEllen Brydon: gli zingari a Bethany nel 1909

[...] (BETHANY) Grazie ad Hollywood, la maggior parte della gente vede gli zingari come romantici lettori di sfere di cristallo o ladri criminali. La premiata artista JoEllen Brydon sa che non è così.

L'arte della residente di Mount Pleasant racconta le storie delle persone che incontra - amici, vicini, stranieri - delle radici dei suoi antenati a County Tyrone, Irlanda del Nord, e della gente nelle amate Cavan hills.

Nei suoi lavori ha anche ritratto con uno sguardo unico gli zingari, che verranno presentati durante l'incontro annuale della Manvers Township Historical Society, sabato 21 aprile nella sala da tea di Laura a Bethany.

La presentazione mette in mostra la sua installazione su larga scala, Storie Dimenticate: Gli zingari nel 1909, illustrata con immagini dei suoi dipinti e con fotografie storiche.

[Alcuni zingari] presero parte ad una migrazione di massa in Nord America alla fine del 1800 ma non ricevettero un caldo benvenuto, nota la signora Brydon. Forestieri dalla strana lingua, spesso venivano cacciati dai negozi, anche quando avevano i soldi. Molti furono costretti a rubare, aggravando la loro "cattiva reputazione".

Un gruppo poi emigrato negli USA ed in Messico, si trovò a passare la frontiera a Sault Ste. Marie, arrivando alle Kawarthas nelle 1909.

"Inizialmente finirono a Bobcaygeon," dice la signora Brydon, notando che presto venne chiesto loro di andarsene, e allora presero la strada per Peterborough.

Le autorità li intercettarono a Fowlers Corners. Gli uomini vennero arrestati. Donne e bambini si accamparono a Morrow Park mentre gli uomini andavano in tribunale. In seguito il gruppo lasciò Peterborough, seguendo la ferrovia e la linea del telegrafo verso Pontypool, dove si sistemarono in un grande insediamento in quella che oggi è Telecom Road. Brydon non saprebbe niente di tutto ciò, se non avesse trovato una foto nell'archivio del museo di Peterborough. Volendo saperne di più, si rivolse ai giornali. Alla fine contattò Ronald Lee, Rom di nascita, autorità sulla cultura rom ed oggi professore in pensione dall'università di Toronto.

"C'è voluto un anno per mettere tutto assieme," dice Brydon, che ha molto apprezzato il suo aiuto. "E' stato così interessante. C'è stata una grande copertura mediatica. Raramente si vede qualcosa emergere in questa maniera."

Lee  ha poi introdotto Brydon ad alcuni dei discendenti di quel gruppo sotto assedio.

Lei poi sviluppò l'installazione su larga scala che include 22 dipinti.

Brydon spera che quanti parteciperanno all'evento possano ottenere una migliore comprensione dei Rom.

"Ho imparato tutto. Prima del progetto non sapevo niente," dice. "Spero che la gente possa avere una migliore comprensione del mio lavoro e della cultura rom."

[...] Il sito di JoEllen Brydon.

 
Di Fabrizio (del 16/04/2012 @ 09:34:24, in Kumpanija, visitato 2884 volte)

La provincia pavese - Casteggio, sinti da tutto il Nord Italia per i funerali del leader di Piazzale Europa di Anna Ghezzi

CASTEGGIO. Sinti ce n'erano almeno ottocento a riempire la piazza della chiesa di Casteggio, ma tra loro anche i pavesi - e non solo - che con Paolo Casagrande hanno lavorato, condiviso un pezzo di strada, progettato nuove sfide per far vivere il campo di piazzale Europa e l'integrazione con la città. Le serate di conoscenza, i progetti per i più piccoli, lui era il contatto con istituzioni e le associazioni.

Settanta corone di fiori rossi, bianchi, gialli, viola, arancio da cui, nel corteo lunghissimo, verso il cimitero, sono stati tolti i fiori, e gettati per terra, secondo la tradizione. Cappelli tradizionali,secchi di petali che le ragazze gettavano in terra al passaggio del feretro di paolo Casagrande, 52 anni, diretto successore della regina Mafalda e leader del campo nomadi di piazzale Europa. È morto potando un albero pericolante sopra la roulotte della suocera, lasciando nello sconforto tutta la comunità.

La chiesa piena, i bambini del campo vestiti da chierichetti sull'altare a cantare sulle note della chitarra dell'amico Davide Gabrieli di Trento. Sull'altare c'era don Vittorio Pisotti, parroco del Sacro Cuore: «È il nostro parroco - spiega Aurora Casagrande, la decana della famiglia, sorella di Paolo - ci vuole bene. Ha celebrato tutti i nostri funerali». Da lui un saluto commosso: «Era una persona così attenta, così piena di fede. Lascia un ricordo speciale, era sempre disponibile ad aiutare prima di tutto la sua comunità, ma non solo». A fianco di fra Franco Marocchi di Canepanova anche padre Rafaelangel Radice: «Con Paolo, chiunque arrivasse al campo era accolto come un fratello», ricorda il frate, che ora è a Busto Arsizio ma spesso tornava a Pavia. C'era anche don Massimo Mostioli, una figura di riferimento: «È uno di noi, parla la nostra lingua», raccontano amici e parenti. All'uscita dalla chiesta un corteo di fiori e canti, la musica della banda di Noceto (Parma) che scandiva il ritmo con canzoni funebri alternati a canti popolari come "Rose rosse per te". Fino al cimitero: davanti alla bara la foto di Paolo con Papa Benedetto XVI, la lettera di saluto inviata al campo dopo l'incontro a Roma. E poi la corona di rose screziate con il nome con cui lo conoscevano tutti i sinti: Zito.

 
Di Sucar Drom (del 11/04/2012 @ 09:03:25, in Kumpanija, visitato 1440 volte)

E' venuta a mancare prematuramente Giuseppina "Rumanì" Ciarelli, romnì italiana tra le prime a Milano a diventare mediatrice culturale e attivista per i diritti dei rom e dei sinti. Rumanì ha iniziato il suo impegno come mediatrice a favore delle donne e dei minori rom e sinti nei consultori famigliari, insieme ai mediatori e alle mediatrici di Sucar Drom alla fine degli Anni Ottanta. E' stata una delle prime mediatrici sanitarie italiane, ci mancherà il suo sorriso e ci mancheranno le sue capacità. Pubblichiamo il ricordo della Consulta Rom e Sinti di Milano a firma di Giorgio Bezzecchi, Dijana Pavlovic e Paolo Cagna Ninchi

"Noi siamo belli", questo diceva Rumanì di noi rom, questo è quello che sentiva, che pensava e che diceva quando incontrava, anche in incontri ufficiali i "gagi". Questo ci ha insegnato Rumani, a credere che i rom sono belli, perché liberi, perché portano qualcosa di bello in questo mondo con il loro modi di vedere la vita, con la gioia capace di esprimersi in ogni momento, anche il più difficile.

Rumanì era libera e capace di raccontare la LIBERTA', capace di cancellare i pregiudizi con le sue parole semplici e forti. Traduceva il suo nome RUMANI' in "donna libera". Così noi pensiamo a lei, sorridente e orgogliosa.

E' stata una delle prime attiviste e leader del movimento per i diritti Civili di Rom e Sinti a Milano. Ciarelli Giuseppina nata Avezzano il 7 Giugno 1957, detta "Rumanì" dalle donne delle Comunità Rom e Sinti di Milano.

Rumanì è stata una delle prime attiviste dell'Opera Nomadi di Milano, iniziava la sua attività già alla fine degli anni '80, nei primi anni '90 seguì un corso di Mediatori Sanitari andando a lavorare per anni nel Consultorio familiare di via Fantoli svolgendo la propria importantissima funzione a favore

Nella prima metà degli anni '90 ritirò a nome dell'Opera Nomadi di Milano l'Ambrogino d'Oro testimoniando orgogliosamente e caparbiamente il desiderio delle Comunità rom e sinte di superare le difficoltà legate alla lotta alla discriminazione e al riconoscimento dei propri diritti. Aveva un grande ruolo all'interno della Comunità e per noi era un punto di riferimento, non solo una grande amica.

 
Di Marylise Veillon (del 08/04/2012 @ 09:57:06, in Kumpanija, visitato 1689 volte)



La fortuna, la provvidenza, il destino o come lo si voglia chiamare, ha fatto sì che fossi presente a Londra, nella settimana dell'otto aprile 1971. Da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti. Sono trascorsi 41 anni. Ero quasi un bambino. Il mio viaggio a Londra, appena dopo il franchismo, fu il mio battesimo riguardo alla conoscenza della realtà gitana mondiale, della quale fino allora, avevo soltanto vaghe conoscenze.

Gitani e gitane provenienti da 25 paesi si erano dato appuntamento a Londra. Ci sono andato senza conoscere nessuno, e senza avere ben chiaro in mente di cosa trattava quella riunione. La mia prima sorpresa fu di constatare che quelle giornate erano state convocate, programmate e dirette dai gitani stessi. Neanche un solo "gachó" (payo) intervenne nei dibattiti, né assolutamente condizionò gli accordi lì presi. I ricordi vengono alla mia memoria con la stessa forza con la quale appaio nelle foto che accompagnano questo commento, le quali mi sono state regalate l'anno scorso, nel Regno Unito.

L'otto aprile del 1971, sapevo che nel mondo vivevano più gitani di quelli che conoscevo in Andalusia, però non li avevo mai visti. L'otto aprile 1971 ho sentito parlare per la prima volta in romanì. A casa mia, la mia famiglia chiacchierava in gergo. Non era lo stesso, ma era simile. Ho potuto scoprire stupito, come gitani che vivevano dietro la cortina di ferro - gitani che non si erano mai neanche sognato che le autorità comunista del loro paese avrebbero potuto mai autorizzarli a uscire verso il mondo capitalista - si capivano perfettamente con gli altri gitani arrivati dalla Francia, dalla ex Iugoslavia, o dalla temuta Germania. L'otto aprile 1971, sono stato invaso da brividi di commozione quando ho sentito sulla mia pelle i baci calorosi di tanti gitani che mi abbracciavano, emozionati per avere trovato il figlio perduto, il fratello sconosciuto che veniva dalla vecchia Spagna dove - loro lo sapevano - vivevano centinaia di migliaia di gitani separati dal resto del loro popolo, disperso in milioni per tutto il mondo.

L'otto di aprile 1971 mi sono sentito più libero che mai. Ho partecipato alla votazione che ha ufficializzato la nostra bandiera e poi ho percepito la liberazione che si prova tenendo come tetto l'azzurro del cielo e come pavimento il verde dei campi. Poi ho capito con chiarezza assoluta perché mio nonno Agapito ci augurava sempre salute e libertà.

L'otto aprile 1971 ho visto per la prima volta una balalaica. Ho ascoltato il suo suono nelle mani di Jarko Jovanovic. Alla sua melodia si è unita la musica soave, triste e melancolica di alcuni violini, e mentre dalle corde della balalaica saltano fuori le note infuriate, che imitano il crepitio delle fiamme assassine che hanno distrutto la vita di tanti innocenti nei campi nazisti, i violini con la loro dolce melodia, fanno strada a fiumi di lacrime, mentre giocano con il ricordo di tanti anziani ingiustamente gasati, decine di migliaia di bambini massacrati e centinaia di uomini e donne che, nel fior della vita, non capirono mai perché li svestirono prima di introdurli nelle camere a gas. Così è nato il "Gelem Gelem".

L'otto aprile 1971, come lo sbocciare di un fiore, nella vecchia Europa è apparso il germe di una coscienza collettiva addormentata per tanti secoli. Gitani e gitane provenienti da 25 stati, residenti nei paesi comunisti dell'eterno freddo, o nella geografia spesso disumana del capitalismo più feroce, hanno messo al di sopra di qualsiasi ideologia il rispetto per la nostra comune condizione di gitani. Poi ci siamo resi conto che eravamo un popolo, che aveva saputo conservare leggi e costumi e che dovevano essere difesi. Il rispetto verso le persone più grandi, l'autorità indiscussa degli anziani, il valore della parola data, la venerazione suprema della famiglia, sono l'espressione palpabile della nostra massima istituzione e dell'amore supremo e incorruttibile nei confronti della libertà.

Oggi non ci sembra il giorno adatto per parlare delle nostre miserie. Dell'emarginazione della quale siamo vittime e degli attacchi razzisti che patiamo. Per denunciare queste situazioni abbiamo tutti i giorni dell'anno, e così facciamo. L'otto aprile è la Giornata Internazionale del Popolo Gitano è ha una vocazione di fraternità e di rispetto per tutto il mondo. Così come in questo giorno i gitani e le gitane del pianeta si avvicinano ai fiumi per depositare sulle loro acque le candele del ricordo e i fiori della libertà, nelle quali sta il simbolo del nostro desiderio di convivere con il resto dei cittadini in pace e armonia, in quanto una celebrazione che racchiude il ricordo del passato e l'amore per la libertà dovrebbe essere patrimonio di tutta l'umanità.

Juan de Dios Ramírez Heredia
Presidente de Unión Romani
Abogado y periodista

 
Di Fabrizio (del 03/04/2012 @ 09:42:33, in Kumpanija, visitato 3563 volte)

Desideriamo invitarvi a partecipare alla serata "LE COMUNITA' "ZINGARE" E I BEDUINI DELLA PALESTINA" con la proiezione dei documentari: UP FRONT, Media Sadaa - Alternative Information Center e JAHALIN - Co-diretto e prodotto da Talya Ezrahi, Lewie Kerr & Kamal Jafari - Alternative Information Center - organizzata dall'Associazione La Conta, che ci sarà, con ingresso libero e gratuito, giovedì 5 aprile 2012 alle 21,00, alla CGIL - Salone Di Vittorio in Piazza Segesta 4 con ingresso da Via Albertinelli 14 (discesa passo carraio) a Milano.
Parteciperà all'incontro Gabriella Grasso del Gruppo ISM Milano (International Solitarity Movement) che presenterà i documentari UP FRONT e JAHALIN e ci parlerà, tra l'altro, del rischio che corrono i beduini della Palestina di essere scacciati per sempre dalle valli del deserto tra Gerusalemme e Gerico ed ERICA RODARI, scrittrice e studiosa, che coordinerà la serata. Introduce Fabrizio Casavola.

UN FRONT Media Sadaa - Alternative Information Center
Tre donne, di diversa età, luoghi e ambiente, che sono comunque collegate dal loro potere, dalla loro indipendenza e soprattutto - dalla forte volontà di creare un cambiamento. Amoun Sleem, una delle tre donne, appartiene ai Domari, comunità degli zingari di Gerusalemme.

JAHALIN - Co-diretto e prodotto da Talya Ezrahi, Lewie Kerr & Kamal Jafari - Alternative Information Center
I beduini Jahalin vivono nelle valli del deserto tra Gerusalemme e Gerico, dediti all'allevamento di ovini e caprini, la loro principale risorsa economica. A metà degli anni 1990, una decisione del governo israeliano di espandere l'insediamento di Ma'ale Adumim, ha portato ad una serie di sgomberi che minacciavano di spostare 3000 persone, forti dalla loro casa nel deserto e distruggere il loro modo di vita tradizionale. Il film racconta la storia della loro lotta per rimanere sulla loro terra.

 
Di Fabrizio (del 14/03/2012 @ 09:20:15, in Kumpanija, visitato 1409 volte)

PROBLEMI GENERALI DEI ROM IN BRASILE - Ge Victor

  • Accesso ai documenti d'identità obbligatori. Il nomadismo è uno dei pretesti più ricorrenti, soprattutto da parte degli uffici incaricati, che a volte impediscono la registrazione ufficiale dei dati personali dei gitani. Cioè, in termini legali la persona gitana, non esiste in quanto non possiede documenti. Occorre quindi considerare che le questioni del lavoro e dell'alloggio, pratiche commerciali incluse, quindi le condizioni generali di vita si siano adattate in "mancanza" di condizioni civili, estranei a standard sociali legali. Da qui l'associazione alla marginalità. Un'altra aggravante all'inesistenza ufficiale si traduce con la mancanza di dati certi sul numero dei gitani in Brasile. Sondaggi aleatori ed ufficiosi  indicherebbero una cifra tra 650 mila ed 1,2 milioni, divisi in gruppi etnici distinti. Sono anche inesatte le informazioni sui gitani considerati "civilizzati", perché molti di loro, pur preservando lingua e tradizioni, non assumerebbero tratti identitari propri, o sarebbero portati a non farlo, per paura di essere discriminati.
  • Accesso alla sanità pubblica. Come conseguenza delle tradizioni (che prevedono la nascita dei figli dentro le proprie tende) e di trattamenti pubblici indebiti, alla madre gitana è negato l'accesso alla "carta ospedaliera" ufficiale, e quindi la registrazione dei dati preliminari di identificazione dei propri figli. Quella carta risulta indispensabile per ottenere altri documenti, ad es. il certificato di nascita. Inoltre, senza di essa non è possibile aver accesso legale ad altri documenti da utilizzare per i servizi pubblici, come il pronto soccorso, le vaccinazioni, ecc.
  • Accesso alla pubblica istruzione e permanenza a scuola. Non è raro che i bambini gitani si vedano  negato il diritto all'iscrizione ed alla frequenza scolastica, a causa delle tradizioni familiari e del modo proprio di vita e di relazionarsi. A parte queste difficoltà, una volta iscritto il bambino gitano affronta ulteriori difficoltà dovute alle sue tradizioni. Pur avendo idiomi e dialetti propri, i gitani legati alla tradizione sono considerati analfabeti, in quanto non utilizzano simboli grafici (lettere e numeri) nella loro comunicazione e nella trasmissione delle conoscenze tradizionali, delegate alla pratica orale. Occorre pensare e fornire un modello educativo che tenga conto delle specificità delle comunità gitane, riguardo la lingua e l'ortografia, i curricula, il materiale didattico-pedagogico ed i contenuti programmatici, ispirandosi ai precetti della Dichiarazione Mondiale sull'Istruzione per Tutti.
  • Accesso alle installazioni e permanenza negli spazi pubblici in aree urbane. Non esistono indicazioni da parte dei poteri pubblici o dei gestori degli spazi e della pubblica sicurezza, per assicurare ai gitani il diritto di stazionare con le carovane o di stabilirsi in accampamenti provvisori, senza essere molestati da polizia ed autorità locali. Nella maggior parte dei casi le difficoltà di accesso agli spazi pubblici sono chiaramente associate a discriminazioni o intolleranza, date le condizioni precarie offerte, le rigide imposizioni di comportamento sociale e di transito; le richieste -talvolta abusive - di  permessi, imposte, tasse ecc.
  • Inclusione sociale e culturale. I valori culturali non sono riconosciuti o rispettati. Per questo, frequentemente si è vittima dei preconcetti. L'ignoranza generalizzata sulle origini, costumi e diritti dei gitani, è causa di stigma e di trattamenti stereotipati. Cioè, per meglio dire, l'essere gitano è associato il più delle volte ad un sinonimo di emarginazione. Questi tratti storici sono stati coltivati ed ingranditi, incluso - nella letteratura di genere - racconti di vita vissuta o immaginari. Così come gli ebrei, gli indios ed i negri, i gitani soffrono - giorno per giorno - di discriminazione sociale e culturale.
  • Mantenimento delle tradizioni, delle pratiche e del patrimonio culturale. I concerti e gli spettacoli "mambembes", i mestieri tradizionali come la la lavorazione dei gioielli, del metallo e del rame, stanno sparendo di fronte a realtà più affermate. La libera circolazione degli spettacoli, riferimento simbolico della pratica teatrale brasiliana, oggi è quasi scomparsa, sia per la massificazione dell'industria culturale, che per la mancanza di incentivi pubblici e privati. Le memorie ed i referenti culturali gitani, tradizionalmente conservati e tramandati in cassepanche intoccabili dentro le tende, stanno dissipandosi in mancanza di una politica di divulgazione pubblica, che protegga e cataloghi questo ricco patrimonio. Nel campo letterario non ci sono pubblicazioni sui gitani, e quando sono citati avviene in modo dispregiativo. La situazione si ripete al cinema e nella televisione, a volte inzuccherata dalla bellezza e dalle pratiche esotiche tradizionali della cultura gitana. In questo senso, si rende urgente stabilire processi di recupero e riscatto delle conoscenze, dell'autostima, dei saperi e capacità tradizionali delle culture gitane.
 
Di Fabrizio (del 05/03/2012 @ 09:04:35, in Kumpanija, visitato 1484 volte)

(immagine da 5dollardinners.com)

Non fatevi prendere in giro dal titolo, non mi sono montato la testa. Anzi, è probabile che la confusione sia maggiore del solito così, dopo avere passato la cera nella roulotte ; - ) vorrei mettere in ordine anche in testa. Chi mi aiuta?

E' dal rogo di Torino del dicembre scorso, che quella di dare un volto al "razzista fatto in casa" è diventata una mia personale ossessione, che ha sovente "ammorbato" la Mahalla.

    Ammorbato...?? A dire il vero ho notato, con stupida soddisfazione, che dopo anni a dibattere dei temi più disparati, se per caso le stesse cose le scrivo adoperando la parola magica "razzismo", aumentano visite e commenti; insomma, sembra che quella parola piaccia a molti lettori.

Purtroppo, mentre la situazione del razzismo in Italia si fa sempre più preoccupante (soprattutto per chi la osserva da fuori Italia), la parola in sé è talmente abusata che riesco a scriverne principalmente attraverso PARADOSSI. Come questi:

In realtà, non mi interessa la disputa accademica, ma individuare un numero TOT di cause, per trovare le possibili vie d'uscita, senza doversi nascondere dietro parole nobili come SOLIDARIETA', DIALOGO, COMPRENSIONE, la stessa DIRITTI, che col tempo sono diventate altrettanto abusate e quindi innocue. Più o meno questa la sintesi a cui ero giunto:

    Il razzismo rimane vivo, vegeto e pericoloso (vedi Torino e Firenze il dicembre scorso). Ma come elemento "chimico" allo stato puro è percentualmente raro, e se devo considerarlo una forma di idiozia, è perché dopo Hitler, la decolonizzazione, la sconfitta politica del KKK negli anni '60, ha perso il suo ruolo storico.
    Esistono, ed in tempo di crisi si rafforzano, situazioni di crisi non affrontate dalla mediazione politica classica. Rimescolamento dei confini e dei mercati, circolazione autonoma od indotta di persone, sono da un lato UNA delle cause della crisi, dall'altro forniscono una via di sfogo contro chi può essere aggredito-calunniato-discriminato senza possibilità di difendersi. Quindi un un razzismo SPURIO e DIFFUSO, contaminato da altre motivazioni, in pratica continua l'atto (individuale-collettivo) razzista, in assenza di chi si dichiari tale o riconosca il proprio razzismo.
    Ma per essere VIA DI SFOGO, occorre un quotidiano "lavoro ai fianchi" attraverso giornali, tv, internet, le stesse istituzioni (generalizzando: chi dovrebbe fare il cane da guardia della crisi), per fornire al cittadino medio questo nemico interno od esterno che dovrebbe essere la causa del malessere. Chi svolge questo lavoro "d'informazione-propaganda", è tutt'altro che scemo, viene retribuito per ciò che fa, è (che Gramsci mi perdoni...) un intellettuale organico ad una causa, e questa non è tanto il razzismo quanto il superamento "in senso reazionario" della crisi.

Il razzismo non come FINE, ma come MEZZO. In quanto tale, i suoi confini sono mobili, come si conviene ad una guerra di posizione. Ma il razzismo come mezzo, significa che, da Göbbels in avanti, il razzismo "scientifico" è un laboratorio politico di ciò che prima o poi riguarderà tutti. Da un lato, è quello che recita con parole semplici la famosa poesia di Niemöller (ricordate? Prima vennero a prendere gli zingari...), dall'altro me ne resi conto circa sei anni fa, quando iniziarono ad arrivare notizie inquietanti dalla Val Susa. Allora facevano clamore le rivolte urbane a Parigi, oggi sta succedendo ad Atene, l'estate scorsa fu la volta di Londra, in Val di Susa non è cambiato molto... E poi ripensai anche a Genova 2001.

Vorrei chiedervi, gentili lettori, che effetto fa sentirsi parte di un esperimento da laboratorio condotto su Rom e Sinti, di cui sarete le prossime cavie? Voi, che magari siete contro la sperimentazione sugli animali... E così rendersi conto FINALMENTE, che comprendere, dialogare (e magari solidarizzare) con questa gente non è "buon cuore", ma farsi prestare una potente SFERA DI CRISTALLO per leggere il vostro futuro (e studiare il comune passato).

Perché, capitelo se volete salvare la pelle, non avete la certezza di stare a destra o sinistra, dovete piuttosto immedesimarvi nei panni di un bersaglio mobile nella Sarajevo anni '90, preda di cecchini nascosti dalle cento bandiere, pronti contemporaneamente a sorridervi o spararvi a seconda del momento.

Gli ultimi pensieri vanno alle cronache che arrivano dalla Val di Susa, immaginandomi come la descriverebbe la stampa "libera" se al posto di Chiomonte i fatti riguardassero una sperduta località in Venezuela, Russia, Uganda, Corea del Nord... Così come nel razzismo mediatico esistono il poliziotto buono ed il poliziotto cattivo, anche riguardo alla TAV ci sono i ragionevoli (Corriere, Repubblica, Stampa) che se devono dare del cretino ai rivoltosi lo fanno sottovoce e con educazione, e quelli che ragionevoli non riescono proprio ad esserlo (tipo Libero o il Giornale).

Così finisce che la ce la prendiamo con gli ultimi, perché sintetizzano quello che i primi non scrivono. Tutti e due, con un metro differente, non danno spazio a quello che sarebbe un PRINCIPIO OVVIO, se lo scopo fosse quello dichiarato, cioè: la fine delle violenze ed il dialogo, nell'interesse generale della nazione.

Però, quel Cretinetti a tutto tondo, mi riporta ad una similitudine con "chi non è razzista, ma vuole che lo diventino gli altri". Mi viene in mente, inizio anni '90 circa, i miei figli erano piccoli, ed alla TV assistevano impassibili a sbudellamenti vari nei cartoni animati; ma avevano terrore quando per caso erano ripresi Ferrara o Sgarbi con la bava alla bocca. Eppure, tralascio ogni considerazione politica-morale, a saperli prendere sanno essere persone, non dirò squisite ma educate e ragionevoli, a volte addirittura di larghe vedute.

Quel Cretinetti, non spiega niente delle ragioni PRO TAV, è il corrispondente calcistico di un fallo commesso lontano dalla palla e a gioco fermo. Lo scopo è perpetuare LA CREAZIONE DEL NEMICO, ma attenzione: il bersaglio è doppio (e mobile, oserei dire CULTURALE). Da una parte, chi vuole essere convinto che basta essere NO TAV per diventare pericolosi terroristi; dall'altra, chi condivide le ragioni della protesta tenderà a rinchiudersi in una difesa AUTISTICA e sempre PIU' A RISCHIO DI DERIVE VIOLENTE: semplificando: un atteggiamento del tutto simile e speculare al razzismo.

E' impedire il dialogo, o quella pallida speranza che ne resta, lo scopo. Io, nonostante sia convintamente NO TAV, trovo che quel che manca (ora, sei anni dopo il primo articolo) sono le condizioni per dibattere civilmente (e confrontandosi su dati e prospettive REALI) tra le due ragioni. Noto una cosa che mi fa paura quanto il progredire del cantiere o il comportamento della polizia: l'intolleranza crescente fra due fazioni di cittadini, per altro tra loro simili.

Cittadini, ripeto, come cavie di un esperimento sociale. Cittadini, e finalmente chiudo con i ragionamenti, che da Rom e Sinti possono imparare (eccolo: il confronto necessario) come resistere INTELLETTUALMENTE a manganellate e giornalisti, senza dover portare odio (ma anche senza considerare stupido l'avversario) perché, ricordatelo, il domani non è mai sicuro, ma case, carovane e baracche ci saranno ancora, amministratori, politici e pennivendoli invece passano... PASSANO TUTTI.

 
Di Fabrizio (del 03/03/2012 @ 09:02:48, in Kumpanija, visitato 1856 volte)

Serata organizzata dall'Associazione La Conta, in occasione della ricorrenza dell'8 MARZO 2012, alle ore 20,45 di giovedì 8/03/2012, con ingresso libero e gratuito, alla CGIL Salone di Vittorio in Piazza Segesta 4, con ingresso da Via Albertinelli 14 (discesa passo carraio) a Milano.

In particolare la serata sarà dedicata donne Rom e Sinti attraverso i racconti, le storie, le testimonianze di Dijana Pavlovich, attrice e mediatrice culturale, e di altre donne Rom e Sinti. Sarà serata di unità multiculturale ed inclusiva dei Rom e dei Sinti della nostra città e non solo, per conoscere meglio le loro passioni, la loro condizione e la loro cultura e per contribuire ad annullare il pregiudizio e la marginalità. La serata si concluderà con un buffet offerto a tutti i presenti.

 
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