Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.
L'associazione Sucar Drom, insieme alla
Federazione Rom e Sinti Insieme,
invita tutti alla manifestazione con corteo "IA CHER PAR KROLL - UNA CASA PER
TUTTI" per riaffermare il diritto alla casa per i Cittadini italiani,
appartenenti alle minoranze linguistiche sinte.
Partecipa anche tu per manifestare contro le discriminazioni istituzionali che
colpiscono i sinti sull'abitare. I singoli e le associazioni possono aderire
alla manifestazione scrivendo a
info@sucardrom.eu
Nel mese di febbraio 2012 il Governo italiano ha adottato il documento
"Strategia d'inclusione dei rom,dei sinti e dei camminanti" in ottemperanza alla
Comunicazione n.173/2011 della Commissione europea. Nel documento si chiede
esplicitamente alle Amministrazioni comunali di regolarizzare le abitazioni
(roulotte) delle famiglie sinte nelle aree agricole (pagina 85). Questa
richiesta è motivata dal fatto che le famiglie a partire dagli Anni Ottanta
hanno acquistato piccole proprietà con l'obiettivo di non entrare od uscire
dalle logiche ghettizzanti e assistenzialistiche proprie dei cosiddetti "campi
nomadi", in particolare nel Nord Italia. Le piccole proprietà sono state
acqusitate agricole per due motivi:
1) la legge permetteva di posizionare le strutture mobili sulle aree agricole,
2) la limitata capacità economica delle famiglie.
Dal 2005 il posizionamento di strutture mobili su terreni agricoli è diventato
illegale, ma nessuna norma è stata predisposta per regolarizzare le piccole
proprietà abitate dalle famiglie da decenni. Il Comune di Mantova colpevolmente
non ha attuato nessuna azione per ricercare delle soluzioni e tutte le proposte
presentate dall'associazione Sucar Drom in questi anni sono state rifiutate.
Nel mese di maggio 2012 sono stati presentati i dati dell'indagine "The
situation of Roma in 11 Ue Member States" che ha coinvolto 11 Paesi membri
dell'UE, tra cui l'Italia e Mantova ed è stata curata dell'Agenzia dell'UE per i
diritti fondamentali (FRA) e del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite
(UNDP). In Italia e a Mantova l'indagine è stata coordinata da Sucar Drom, dalla
Federazione Rom e Sinti Insieme, da Demaskopea e ha coinvolto decine di giovani
e meno giovani sinti e rom come rilevatori. La relazione finale si basa su due
indagini che analizzano la situazione socioeconomica di rom e sinti e dei loro
concittadini abitanti nelle stesse zone, in undici Stati membri dell’Unione
europea e in paesi europei limitrofi. Secondo la relazione molti rom e sinti
continuano a essere oggetto di discriminazione ed esclusione sociale in tutta
l’Unione europea. In media, la situazione dei rom e dei sinti è peggiore di
quella dei loro concittadini che vivono nelle strette vicinanze. Secondo la
relazione, negli undici Stati membri dell’UE considerati, che ospitano la
stragrande maggioranza dei cittadini rom e sinti dell’Unione europea, la
situazione scolastica, occupazionale, abitativa e sanitaria dei rom e dei sinti
è in media peggiore di quella degli altri abitanti nelle stesse zone. Inoltre,
rom e sinti continuano a subire discriminazioni e non hanno una conoscenza
sufficiente dei diritti garantiti dalla legislazione dell’Unione europea.
Il 26 marzo 2013 con un'azione spettacolare il Comune di Mantova, insieme alla
procura di Mantova, ha posto sotto sequestro le piccole proprietà dove vivono
tante famiglie sinte a Mantova. Noi diciamo no a questo scempio e alla
criminalizzazione di intere famiglie.
Di Fabrizio (del 18/02/2013 @ 09:09:35, in casa, visitato 1683 volte)
La frode immobiliare dietro lo scandalo degli alloggi
di accoglienza - Ustì nad Labem, 8.2.2013 9:58, (ROMEA) This article was also published by news server
Denìkreferendum.cz.
-
Sasha Uhlova', translated by Gwendolyn Albert
Edificio nel quartiere di Predlice a Ustì nad Labem. Difficile da credere se
non lo si vede di persona. Le fotografie nell'articolo sono di Sasha Uhlovà del
news server Denìk referendum.
La stanza era illuminata dal fuoco attraverso un buco nel camino. In tutto
l'edificio non c'era acqua corrente, era stata staccata la corrente
elettrica e qualcuno aveva rimosso le impalcature d'acciaio, finite
probabilmente in qualche discarica. La donna sconsolata nel letto non sapeva se
l'edificio sarebbe potuto crollare, seppellendo lei e sua nipote tra le macerie.
Si era trasferita dal primo piano in un appartamento al pian terreno, perché i
piedi le facevano troppo male nel salire le scale. Nel momento che me ne sono
andata, hanno iniziato il saccheggio. Ogni notte c'è qualcuno. Non so chi sia, o
cosa facciano di preciso, ho paura a a lasciare il mio appartamento," diceva Gizela su
quelle condizioni. Il proprietario dell'edificio non si faceva vivo.
Non c'era nessuno a cui pagare l'affitto, a cui chiedere le riparazione, o di
proteggere la proprietà dai furti di metalli.
Nella stanza al buio ci raccontava della sua gioventù, quando lavorava in
fabbrica, prima a fare le pulizie e poi promossa come operatrice alle macchine:
"C'erano abbastanza soldi per mangiare, qualcuna ci cuciva i vestiti, non
c'erano privazioni." Dopo il 1989 perse il lavoro: "E' così che sono finita qui.
Campo con 3.400 corone [135 euro] al mese di assistenza. Non riesco a trovare
lavoro. Sono vecchia. Anche i giovani non trovano lavoro. Vivo come una
vagabonda. Ho 56 anni e non sono mai caduta così in basso in tutta la mia vita."
Proprio in fondo alla strada c'è la palestra dove la famiglia Chervenhàk dorme
su delle brandine. Era di sabato, il 10 novembre 2012, vivevano lì da una
settimana. Su una panchina c'era una piastra ed accanto un po' di polenta gialla
poco invitante. In sala i bambini giocavano - gli attivisti erano arrivati da
Praga per organizzare un giorno di divertimento. Gli adulti erano esausti e
impauriti di ciò che poteva succedere. I bambini correvano, dipinti, felici che
qualcuno fosse venuto a giocare con loro.
Gizela Karichkovà era rimasta nella sua stanza. Rifiutava di andare nella
palestra, nonostante il rischio che l'edificio potesse crollare. Continuava a
sperare di trovare un alloggio migliore e, alla fine forse ce l'ha fatta, perché
aveva un alto punteggio nella lista di attesa. Con l'aiuto degli assistenti
sociali, si è trasferita a metà dicembre in un nuovo appartamento. Era grata ai
giornalisti di aver portato attenzione sul suo caso: "Prima di allora, l'ufficio
assistenza non aveva mostrato alcun interesse, ma una volta che sono finita in
televisione, improvvisamente vollero aiutarmi."
E' cominciato molto tempo fa
Lo scorso settembre, in un edificio di via Hrbotickèho a Ustì nad Labem, era
crollato un soffitto seppellendo una giovane donna. Era madre di due bambini e
la nipote della signora
Karichkovà. Non era il primo edificio a colllassare nel quartiere Nové Predlice,
ma per la prima volta qualcuno aveva perso la vita in un incidente simile. Forse
a causa di ciò, l'Autorità sui Lavori Edili aveva accelerato le ispezioni in
altri edifici della zona.
Venne trovato pericoloso un edificio in via Beneshe Lounského, i cui soffitti
erano divorati dai tarli. Il proprietario non aveva agito e gli inquilini
avevano iniziato a ripararli per conto loro, ma i loro sforzi non erano stati
sufficienti. Per questo la famiglia Chervenhàk si era dovuta trasferire nella
palestra.
Casa loro si trovav in un quartiere devastato, risultato delle privatizzazioni
selvagge iniziate alla fine degli anni '90. Gli edifici, su cui per anni nessuno
ha investito, poco a poco hanno seguito lo stesso destino. Ma per comprendere la
situazione attuale, dobbiamo andare ancora indietro nel tempo.
La vicenda ha radici negli anni '80, quando la maggior parte degli originari
abitanti del quartiere si trasferirono in seguito all'assegnazione di nuovi
edifici residenziali. Fu allora che i primi occupanti romanì, oggi vengono
chiamati "i veterani", iniziarono a spostarsi negli appartamenti lasciati vuoti.
Un'altra ondata di romanì vi si insediò subito dopo il 1989. Un paio di famiglie
era della Slovacchia, ma la maggior parte erano famiglie cacciate da parte più
lucrose della città. Sono quelli indicati oggi come "i nuovi arrivati". I due
gruppi si vedevano di mal'occhio, prima che un terzo gruppo li riunificasse.
Il terzo gruppo era composto da famiglie romanì benestanti, originarie della
Moldavia, che avevano acquistate alcuni di questi edifici durante le
privatizzazioni tra il 1998 e il 2002, obbligando gli inquilini a firmare
contratti vessatori. Altri edifici vennero acquistati tempo dopo dalla Spobyt.
Spobyt era la cooperativa edificatrice dell'impresa Spolchemie. Dopo che
vendette alcuni degli edifici, si fuse la Investimenti Immobiliare Ceca (CPI).
Nel 2010 smise di esistere e la CPI rilevò tutto il suo patrimonio immobiliare.
Oggi CPI detiene più di 2.000 appartamenti nella sola Ustì nad Labem.
Jan Cherny' di People in Need (Chlovek v tìsni), che all'epoca dirigeva la sezione di Ustì,
ricorda la vendita: "Una società di Praga acquistò in blocco parte del
quartiere. Un'intera sezione. Era un tizio piccolino, con stivali rossi e sei
telefonini. Poi rivendette gli appartamenti dall'altra parte della
strada. La gente gli dava il denaro e firmavano il contratto appoggiati al
cofano della sua macchina. Alcuni appartamenti vennero acquistati da gente del
posto, altri da un gruppo organizzato di Dvur Kràlové. Si son fatti prestare
soldi usando dei prestanome utilizzando questi edifici e facendoli valutare in
modo fraudolento e fasullo. Ora la situazione è tale che tecnicamente non si può
più fare nulla a riguardo. Queste rovine sono in mano alle banche ed i
proprietari o sono sotto processo, oppure già in prigione."
Durante gli ultimi 15 anni, molti degli edifici più volte sono passati di mano
in mano. Alcun i di questi sono stati oggetto di frodi creditizie, in maniera
simile: L'edificio viene "venduto" per finta - senza alcuno scambio monetario -
ad un "proprietario", di solito un tossicodipendente o un senza dimora, per un
importo più volte superiore il suo valore reale. Il nuovo "proprietario" - che
di solito non capisce in cosa è stato coinvolto - prende in prestito una
somma giustificata dal falso prezzo dell'immobile. Dopo aver girato l'importo
del prestito agli organizzatori della frode, sparisce senza restituire la somma
del prestito. La banca potrebbe rivalersi pignorando l'immobile, che tuttavia ha
un valore parecchio inferiore alla somma erogata.
Spiega Jan Cherny': "Abbiamo avuto una cliente ad Ostrava. Era una
tossicodipendente appena uscita dalla riabilitazione. L'abbiamo trovata dalle
parti di Olomouc. Ripulita, con un nuovo taglio di capelli, le avevano dato un
nuovo documento d'identità e "venduto" un edificio a Predlice. Poi l'avevano
portata a Nàchod, dove aveva ottenuto un prestito di 2,5 milioni di corone
[99.000 euro], usando l'edificio come garanzia e consegnando la somma ai
truffatori. La ragazza si rivolse a noi chiedendo cosa poteva fare a questo
punto, perché aveva timore che la potessero uccidere. Se l'avessero accoltellata
e poi buttata nel fiume Morava, nessuno avrebbe fatto caso alla sua scomparsa."
Talvolta durante queste vendite i proprietari si sbarazzano dei loro inquilini,
perché gli edifici si svuotino per un dato periodo. Alcuni rimuovono persino
porte e finestre prima di rivenderli, lasciandoli completamente accessibili. Ciò
fornisce un'opportunità a chi tratta metalli usati, per prendersi parte degli
infissi.
Le strade su cui si affacciano questi edifici privatizzati, sembrano una zona di
guerra dopo un bombardamento. Palazzi appena ricostruiti stanno fianco a fianco
con altri in rovina o che sono diventati mucchi di rottame. Gli abitanti della
zona dicono che lo stato degli edifici cambia rapidamente. Dove si ergeva una
villa di lusso, ora resistono un paio di pareti semi smantellate.
Un rudere può essere momentaneamente ristrutturato - almeno esternamente, per
renderlo simile ad un posto abitabile. Durante i tre mesi in cui è stato scritto
il rapporto, molti edifici del circondario si sono trasformati. Alcuni sono
deteriorati ulteriormente, quelli ben conservati lo erano ancora, ma si poteva
notare che su qualcuno di questi erano state investite piccole somme per
riparazioni sommarie o dar loro una mano di intonaco colorato.
Nessuna soluzione se non demolire
Veronika Kamenickà, consulente locale dell'Agenzia Governativa per l'Inclusione
Sociale, attiva nel quartiere dalla fine del 2012, non vede molti spiragli di
speranza. Secondo il suo parere, la città non possiede quasi più edifici, perché
negli anni '90 privatizzò tutto il possibile: "Qui non esiste il concetto di
housing sociale. Presto altre 40 famiglie potrebbero finire per strada, e le
conseguenze sarebbero una crisi di nervi per qualche operatore di ostelli
residenziali. La città non ne possiede neanche uno sotto gestione propria."
Kamenickà spiegava che dato che i proprietari non si curano dei loro edifici, il
comune murava per ragioni di sicurezza gli ingressi al pian terreno, cercando di
recuperare i costi dai proprietari stessi. "Non solo non si prendono cura di
niente," diceva, "ma non vengono mai assicurati alla giustizia."
"L'intera via di Na Nivàch ospita 20 edifici vuoti, tutti dello stesso
proprietario, che quando li acquistò promise di fare qualcosa per risistemarli.
Poi è emigrato in Svizzera, da cui è scomparso questo febbraio. Se la città
dovesse demolirli, costerebbe circa 20 milioni di corone [792.000 euro]. Così si
preferisce appendere fuori un cartello che vieta l'ingresso," dice Kamenickà.
Alla domanda su cosa si dovrebbe fare del ghetto, da una risposta laconica: "Lo
demolirei. Non c'è altra soluzione."
Mi ucciderei se me li portassero via
Dopo essere stata 10 giorni nella palestra, la famiglia Chervenhàk si traserì in
un ostello nel quartiere Kràsné Brezno. Non volevano spostarsi nel primo posto
che capitava, perché avevano paura di rimanere bloccati lì. I lughi corridoi
scuri erano vuoti, eccetto che per gli scarafaggi.
Dice Iveta: "L'assistente sociale minacciò di sottrarci i bambini se non fossimo
andati lì. I miei figli sono la cosa più cara che ho. Mi ucciderei se me li
togliessero."
Un altro fatto spiacevole fu che i burocrati municipali li informarono
immediatamente dopo il trasferimento, del cambiamento del loro indirizzo di
residenza. Le stesse autorità che avevano minacciato di portar via loro i figli,
premevano perché sulle loro carte di identità venisse subito registrato che ora
risiedevano ed erano a carico del municipio di Ustì nad Labem. "Altrimenti
avremmo perso i benefici sociali," spiega Iveta, ovviamente esausta e prossima a
perdere la speranza.
Miroslav Brozh dell'associazione Konexe è stato spesso a fianco delle famiglie
dopo il loro trasferimento forzato nell'ostello, facendo del suo meglio per
svolgere lì il proprio lavoro comunitario. E' un'attività volontaria, che per il
momento non sembra essere altrimenti strutturata. Passa il suo tempo con la
gente dell'ostello, ascoltandoli e facendo del suo meglio per consigliarli.
E' fortemente critico verso People in Need, che accusa di inazione e di essere
collegata con le alte cariche cittadine. Zuzana
Kailovà, attuale vice sindaco di Ustì nad Labem, è una ex dipendente di People
in Need.
Raccomanda: "Fate due passi attraverso Predlice, dove hanno lavorato per 10
anni, e parlate con i Rom di lì. La loro immagine brillante e PR cadrà in 10'
come un castello di carte."
All'inizio di tutto questo scandalo, Brosh fece del suo meglio per attivare gli
altri residenti di Nové Predlice. Voleva fare pressione verso il municipio sui
problemi del quartiere. Sottolineava che erano diversi i palazzi che avrebbero
potuto collassare da un momento all'altro. Fece del suo meglio perché il
problema non fosse ridotto al solo edificio di via Beneshe Lounského.
Si chiede Brozh: "Questo è un problema strutturale. Le OnG sono obbligate ad
essere fedeli ai gruppi che hanno influenza sulle concessioni delle sovvenzioni;
sono dipendenti dall'appoggio politico. Ciò contraddice la loro lealtà a questi
clienti impoveriti, i cui diritti spesso vengono calpestati proprio dai medesimi
gruppi. Chi si assumerà la responsabilità della catastrofe di Predlice?"
Brozh ritiene che la situazione delle comunità romanì impoverite si stia
deteriorando giorno dopo giorno e, quel che è peggio, che il deterioramento stia
accelerando. Presumibilmente, a prescindere dall'applicazione delle politiche di
integrazione sociale o dagli sforzi delle associazioni civiche.
Nell'ufficio della sezione di Ustì di People in Need siedono due impiegati, Vìt Kuchera
and Jakub Michal, che mostrano abbastanza rassegnazione. Descrivono la
catastrofica situazione e spiegano che l'attuale maggioranza è meglio di quella
precedente. Difendono il classico approccio al lavoro sociale, criticato da
Brozh, in cui i soggetti, come modello di funzionamento, vengono trattati su
base individuale.
Inoltre considerano controproducente l'attività di Brosh. Pensano che "sollevi
inutilmente speranze esagerate" tra la gente. Considerano un successo che si
possa mantenere lo status quo. Spiegano: "Stiamo facendo del nostro meglio per
mantenere la riconciliazione sociale."
Non parlate coi giornalisti
Il comune di Ustì nad Labem è tristemente noto perché i suoi consiglieri ed
impiegati con comunicano coi media. Secondo i giornalisti del luogo, dipende da
tendenze municipali poco trasparenti, ma il metodo del silenzio è stato
applicato anche in questo caso, che il municipio vede solo come un piccolo
scandalo. Mentre la consigliera Zuzana Kailovà
(Partito Socialdemocratico Ceco - CSSD) mi rispondeva al telefono, subito mi
indirizzava verso l'addetta cittadina alla stampa, appena le chiedevo
dell'edificio in via Beneshe Lounského, riattaccando il telefono.
Il sindaco era indisponibile e anche gli altri dipendenti municipali rifiutavano
di parlare, mentre altri condizionavano il loro consenso ad un'intervista solo
su autorizzazione dall'alto. Tutti mi riferivano di rivolgermi all'addetta
stampa. Il direttore dell'Autorità sui Lavori Edili, che naturalmente non è
parte dell'amministrazione ma dipende dallo stato, mi disse apertamente: "Mi è
impedito comunicare coi media, chieda all'addetta stampa."
Romana Macovà, l'addetta stampa, per telefono si disse d'accordo ad incontrami,
ma richiamandomi un'ora dopo: "Ho parlato con la signora Kailovà," disse.
"Non è possibile che le mi faccia le domande, mi mandi una mail e vedremo."
Dopo che le domande furono inviate, arrivo la seguente risposta: "Le invieremo
una risposta appena possibile. Per cui, non c'è bisogno di incontrarci domani."
Le risposte arrivarono effettivamente qualche giorno dopo ma, naturalmente,
erano inutilizzabili perché troppo vaghe.
L'unica occasione in cui i cittadini di Ustì nad Labem possono farsi sentire, è
durante le sedute consiliari, accessibili al pubblico. Ovviamenti, gli
interessati devono sorbirsi diverse ore di dibattito prima che il punto "varie
ed eventuali" venga trattato e siano in grado di porre le loro domande.
Iveta Jaslovà ha preso parte alla riunione di dicembre, assieme a molti parenti
ed attivisti. Dopo aver cercato di ascoltare ore di interventi riguardo milioni
di corone, alla fine ha preso la parola con altri cittadini impegnati sulla
situazione di Predlice. La risposta suscitata dall'intervento, però ha mostrato
come i socialdemocratici siano sotto stretta supervisione dell'opposizione, che
li ha criticati per spendere soldi nello spostare gli occupanti nell'edificio
della palestra, per mandarli solo dopo nell'ostello.
"Ritengo che vadano aiutate le persone che lo meritano," ha insistito un
consigliere del partito Salute Sport e Prosperità (Strana Zdravì Sportu a Prosperity).
"La seconda cosa che vorrei chiedere è quanto questa azione costerà ai
contribuenti." Secondo lui, se altri si fossero trovati in una situazione
simile, nessuno se ne sarebbe curato.
"Il nostro compito era di aiutare questa gente," spiegava Kailovà, trovandosi
improvvisamente nella posizione di chi aveva fatto "troppo" per gli evacuati.
L'intera operazione non era costata che 200.000 corone [7.900 euro]. Il
municipio cercherà di recuperare il costo da Klement Buncìk, il proprietario
della villa di lusso che non parla coi giornalisti e non si cura delle sue
proprietà. Mentre lasciamo la seduta, qualcuno dice a bassa voce: "Qui si
occupano di milioni e stanno a lesinare quando si tratta di 200.000 corone."
Solo tre giorni per lasciare Kràsné Brezno
Lunedì 28 gennaio 2013, l'appena creata Alloggio per Tutti ha tenuto una
manifestazione di fronte al ministero del lavoro e degli affari sociali.
L'ostello di Kràsné Brezno sarebbe stato chiuso a fine mese, per i debiti
dell'operatore e l'incapacità di prendersene cura.
Diverse centinaia di persone hanno preso parte ad una dimostrazione pacifica.
Verso la fine, una quindicina di attivisti si sono diretti verso il palazzo
ministeriale per "parlare" col ministro, senza successo, e per sollevare
l'attenzione dei media, cosa che invece è riuscita.
Qual è la situazione del diritto alla casa? La Repubblica Ceca ha firmato la
"Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali.
Adottandola, lo stato ha riconosciuto il diritto di ognuno ad un etto sulla sua
testa. Il governo è responsabile verso la comunità internazionale per applicare
gli obblighi derivanti dalla Convenzione," ha detto nel comizio Anna Shabatovà,
presidente del Czech Helsinki Committee. Questo spiega perché una manifestazione
per il diritto all'alloggio si è tenuta di fronte al ministero del lavoro e
degli affari sociali.
Secondo l'art. 35 della legge sui comuni, un comune ha lo scopo di creare
condizioni per lo sviluppo dell'assistenza sociale e soddisfare i bisogni dei
propri cittadini. Quando il comune non adempie ai suoi obblighi, la
responsabilità di farlo ricade sullo stato. Lo stato garantisce che nessuno
dovrebbe finire in mezzo a una strada. Dice la legge: "Ciò riguarda
primariamente soddisfare le esigenze abitative, tutela e sviluppo della salute,
trasporti e comunicazioni, la necessità dell'informazione, l'educazione dei
figli, lo sviluppo culturale complessivo, la tutela dell'ordine pubblico."
Dove? Ovunque! Forse all'Hotel Freedom
Il 30 gennaio c'era tensione all'ostello. Si immaginava che il giorno dopo la
polizia venisse a sgomberare, e le famiglie avevano anche paura che gli
assistenti sociali avrebbero portato via loro i bambini. Quel mercoledì
arrivavano mano a mano anche gli attivisti, e la sera con gli occupanti avevano
concordato un comune atteggiamento. Veniva delineato uno scenario critico, se le
famiglie allargate fossero state divise.
Se fosse successo, ognuno dei nuclei familiari si sarebbe trasferito in
un appartamento differente. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò - uno non
aveva il riscaldamento, l'altro mancava di elettricità, altri avevano affitti
troppo alti. Una famiglia si trovava di fronte al rischio di capitare in un
malfamato ostello dal poetico nome di "Freedom Hotel".
A Ustì nad Labem ci sono diversi ostelli dedicati a clienti socialmente
svantaggiati. Non offrono grande confort anche se gli affitti sono abbastanza
cari. I loro operatori sono specializzati soprattutto nella raccolta degli
affitti, nient'altro. Freedom Hotel è uno di questi.
La mattina dopo la confusione nell'ostello era ancora maggiore. Tutti erano
nervosi. I bambini battevano sui tamburi portati dagli attivisti e le
percussioni risuonavano in tutto l'edificio. Alcuni degli occupanti che facevano
parte della famiglia Chervenhàk e ancora non sapevano dove sarebbero andati, o
che erano rischio di finire in appartamenti troppo cari e degradati, erano
parecchio stressati. Uno degli uomini commentava con rabbia ciò che
accadeva intorno a lui: "Sono venuti qui a suonare, ma non abbiamo un posto dove
vivere!"
Col passare delle ore l'atmosfera diventava ancora più opprimente. Tuttavia,
erano infondate le preoccupazione per un raid della polizia - che non intendeva
intervenire - il loro portavoce aveva anche elencato una lista di posti dove gli
occupanti avrebbero potuto trasferirsi.
All'inizio della settimana, People in Need aveva disdetto unilateralmente
l'accordo di collaborazione con le famiglie dell'ostello. In un comunicato
stampa emesso giovedì, diceva che le famiglie avevano rifiutato nove
appartamenti adeguati. Per quanti osservavano la situazione dall'esterno, il
comunicato era la conferma che le famiglie allargate fossero irriconoscenti, ed
il sentimento antizigano contro di loro veniva rafforzato da altre informazioni.
Il comunicato di People in Need veniva utilizzato anche dal vicesindaco Kailovà.
Dopo che gli attivisti avevano fatto del loro meglio per incontrarla venerdì
mattina, lei aveva convocato i giornalisti davanti al municipio, leggendo loro
una dichiarazione che accusava le famiglie di aver rifiutato dozzine di
appartamenti offerti loro, in quanto erano state manipolate dagli attivisti.
"E' una bugia," rispondeva Iveta, ma non c'era nessuna sala, riunione,
trattativa per dibattere. Dopo aver letto la sua dichiarazione, Kailovà
aggiungeva poche parole e se ne andava. Le porte del municipio si chiudevano con
l'inizio del fine settimana.
I Chervenhàk si difesero dalle accuse. "Mai sentito di nessuna lista e nessuno
ci ha offerto appartamenti. Abbiamo chiesto per telefono a People in Need di
cercarne e ne abbiamo trovati due. Uno era distrutto e l'altro era di un mafioso
(in italiano nel testo, ndr.)," spiegava Iveta Jaslovà.
La situazione peggiora tra venerdì 1 febbraio e sabato 2. Venerdì la CPI
scollegò elettricità, acqua e riscaldamento. Gli attivisti riuscirono a
recuperare una stufa a gas e una bombola per alimentarla. C'era preoccupazione
che il Dipartimento dell'Assistenza Sociale e la Protezione Infantile potesse
prendere in custodia i bambini. Sabato gli attivisti contattarono il Centro di
Consulenza per la Cittadinanza, perché non avevano un avvocato e la situazione
sembrava disperata.
Un avvocato del Centro di Consulenza si consultò con loro e altri impiegati del
centro coinvolti in una frenetica ricerca di appartamenti. Quella sera il
direttore di un edificio recentemente ristrutturato si presentò con sua moglie
all'ostello. Avevano seguito lo scandalo attraverso i media, e offrivano uno
spazio agli occupanti.
Un lieto fine per il momento, ma con altri episodi sulla strada
Lunedì 4 febbraio le ultime famiglie hanno lasciato l'ostello per la nuova
residenza. Nonostante la vittoria, alcuni degli attivisti sono tornati a casa
con sentimenti contrastanti.
"Non consideravamo che potesse anche finire male, che avrebbero potuto portare
loro via i bambini," confidava un attivista di Praga. Altre riflessioni
riguardavano la mancanza di preparazione durante tutto l'evento, il fatto che
non fossero presenti avvocati e che non ci fosse un progetto su cosa si voleva
fare.
Miroslav Brozh traccia un bilancio tutto sommato positivo di questa frenetica
esperienza: "Lentamente, stiamo iniziando a capire cosa sia successo a Kràsné Brezno.
Sinora eravamo stati da criticare per i vicoli ciechi e le proposte che non
portavano a niente, adesso sappiamo di essere capaci di risolvere queste
situazioni," conclude.
Un momento triste di tutta questa vicenda è stato l'incapacità delle
organizzazioni e delle iniziative civiche nell'unire le proprie forze per
risolvere la situazione. I comunicati stampa volavano violenti e veloci, e non
era facile per osservatori esterni orientarsi su chi effettivamente si desse da
fare e chi sfruttava il lavoro altrui.
La scena della sinistra radicale è all'inizio di un viaggio. Sinora, i suoi
attivisti non avevano dedicato molta attenzione ai problemi dei Rom impoveriti.
Sembra che qualcosa stia cambiando. Dalle conclusioni sul manifesto pubblicato
alla fine della vicenda, possiamo aspettarci sviluppi interessanti:
"Saremo stronzi, disturberemo e cattivi con chiunque neghi a chi è povero,
dignità e diritti. Comunicheremo quanto abbiamo imparato a Kràsné
Brezno. Torneremo nei posti dove meno i potenti si aspettano e dove la gente in
fondo al barile intende battersi per i propri diritti e una vita dignitosa, per
i diritti dei loro figli, per la casa e contro il razzismo. Poi torneremo
tranquilli, metteremo da parte le nostre bandane e nelle tenebre ci manterremo
vigili."
La Giunta cattoleghista Cattaneo vuole deportare i pavesi zingari Sinti in
un campo oltre la tangenziale, contiguo al canile. L'attuale allocazione di
piazzale Europa andrà "liberata" per consegnarla agli appetiti di faccendieri e
immobiliaristi, ma sul fronte dell'opposizione comunale non aspettatevi
barricate da parte del Partito democratico. E si capisce il motivo.
Assessori e dirigenti comunali pavesi in missione a Bruxelles. Obbiettivo:
trovare i fondi necessari al piano di deportazione degli zingari Sinti pavesi
verso Cura Carpignano, oltre la tangenziale, vista canile, nel villaggio "le
corti": come riferisce l'assessore ai Servizi sociali Sandro Assanelli al
quotidiano locale, "nel villaggio che abbiamo immaginato ogni famiglia avrà il
proprio stallo, con servizi igienici, docce, allacciamento con l'energia
elettrica e tutti i servizi necessari. Č previsto, poi, uno spazio comune che
potrà essere utilizzato per vari scopi, come le funzioni religiose o momenti di
aggregazione tra i bambini. Infine, vorremmo aggiungere degli orti a corona del
villaggio, in modo che i residenti possano coltivarli". Insomma, un moderno
campo di concentramento, purché i Sinti si tolgano da dove sono ora.
Attualmente, circa 450 zingari Sinti - cittadini pavesi e stanziali da più
generazioni - bivaccano nel lager di via Bramante o più comodamente nel campo di
piazzale Europa, ai margini del centro storico. Ora il sindaco amico degli amici
- amici molto interessati all'area di piazzale Europa, urbanisticamente assai
appetibile - e l'assessore ciellino hanno fretta di arrivare a soluzione: quella
finale.
Come si ricorderà, sul pavese piazzale Europa si era già soffermato il milanese
Dipartimento distrettuale antimafia nel corso dell'inchiesta Infinito, là dove
Carlo Chiriaco - poi condannato in primo grado a 13 anni di reclusione per
concorso esterno in associazione mafiosa - fantasticava una cittadella tra
l'idroscalo e il gasometro, con il conforto di 15-20 milioni in fondi europei
("tu prova a immaginare: il gasometro che diventa, sostanzialmente, un
parcheggio a più piani. Recuperi la piscina per eventi che non sono solo
sportivi ma mondani. [...] La spesa prevista sono 12-15 milioni di euro, che non
cacceresti tu come Comune; li caccia la Comunità europea". Intercettato,
Chiriaco racconta anche di "provvigioni" del 20 per cento da destinare
all'assessore comunale al Commercio Pietro Trivi (Pdl) e al presidente della
Commissione comunale Territorio, il calabrese Dante Labate (ex An) eletto,
scrivono gli investigatori, "anche grazie ai voti portati da Pino Neri" (Neri è
considerato il "reggente" della ‘Ndrangheta in Lombardia: una condanna a 9 anni
per narcotraffico, nuovamente condannato in primo grado il 6 dicembre 2012 a 18
anni di carcere per associazione mafiosa). Nel 2003 Labate è stato socio
dell'Immobiliare Vittoria, condivisa con Antonio Dieni (braccio "politico" di
Neri) e Teresa e Graziella Aloi, rispettivamente cognata e moglie di Pino Neri.
E allora si deportino i Sinti oltre la tangenziale. Sempre meglio, ironizzano a
destra, della soluzione avanzata il 28 agosto 2009 sulla "Provincia Pavese" dal
cattolicissimo ex consigliere comunale di centrosinistra Enrico Beltramelli: un
grande campo sotto le carceri di San Gallo, così le guardie potranno tenerli
d'occhio, in quella zona "sufficientemente distante da agglomerati abitati da
cittadini" (cittadini? I Sinti pavesi cosa sono se non cittadini pavesi?)
Insomma, un capiente campo di concentramento in grado di ospitare "gruppi di
etnie diverse in zone separate con ingressi separati che limitino i contatti tra
chi a contatto non vuole stare". Manca solo la scritta all'ingresso: la scelta
potrebbe cadere su "Arbeit macht frei".
Dunque, non aspettiamoci le barricate in Consiglio comunale da parte del Partito
democratico (al governo cittadino per 14 anni senza mai sfiorare la questione,
scarsamente "popolare"), poiché a Pavia il razzismo "di sinistra" è un po' come
la mafia: non esiste.
E si capisce. A Pavia nel 2007 (e non a Berlino nel 1934) un sindaco donna e di
sinistra (e non della Lega nord), di professione dirigente scolastico e futuro
membro della Commissione etica del Partito democratico (e non del Ku Klux Klan)
ha impedito l'accesso alla scuola a decine di bambini rumeni di etnia Rom
precariamente dimorati all'ex Snia poiché sarebbe stato "un incentivo per le
famiglie a radicarsi sul territorio",(da una Relazione del Comitato Fuoriluogo,
28 febbraio 2007) disdegnando così la Costituzione, i diritti universali dei
minori e il buon senso. E ancora, parlando di sé in terza persona: "Fosse per il
sindaco di Pavia, i Rom li avrebbe messi sopra un treno e mandati via". Anche
per questo sindaco un popolo di troppo si stava aggirando per l'Europa. Anche a
sinistra c'è stato chi sconsideratamente ha alluso a "deportazioni" finali per
gli "scarti umani", radicando in questi immigrati la convinzione che la crescita
sociale da noi si ottiene solamente con la pratica dell'arbitrio e della
violenza.
Il sindaco Capitelli di centrosinistra era sostenuto politicamente da buona
parte della sua stessa maggioranza: dal vicesindaco Ettore Filippi ("I Rom non
esistono") all'assessore ai Servizi sociali Francesco Brendolise ("l'esperienza
dimostra che prima delle ruspe spariscono tutti"). Proseguendo nel sommario
elenco di sinistre citazioni: 29 novembre 2006. Lettera del dirigente del
settore socio assistenziale Carla Galessi a Marisa Camola (Ufficio integrazione
sociale): …"In relazione alla situazione delle famiglie rumene situate presso
l'Area ex Snia si comunica che a far tempo dalla data odierna la S.V. Non è
autorizzata ad avere contatti diretti con le famiglie presenti presso tale
struttura"
Dal verbale della Commissione consiliare Servizi sociali, 28 febbraio 2007: "…La
dott.ssa Galessi dichiara di aver disposto nell'autunno 2006 agli assistenti
sociali e al personale dell'assessorato di non recarsi più alla Snia".
Da una informativa dei volontari di "Fuoriluogo" alla Commissione consiliare
Servizi sociali (28 febbraio 2007): "Riteniamo che sarebbe sufficiente,
nell'immediato, ritirare l'improvvido e sbagliatissimo provvedimento di divieto
alle assistenti sociali di occuparsi del problema Snia nella speranza di
ritornare, a breve, ad una situazione in cui un livello minimo di decenza e
legalità erano garantiti […] a proposito di collaborazione ci permettiamo anche
di mettervi a conoscenza del fatto che anche di recente il personale dei Servizi
sociali, che doveva convocare una ragazza, madre di due bambini, per discutere
di un suo eventuale inserimento in comunità protetta, si è visto costretto a
chiedere a noi di contattarla stante il divieto assoluto per loro di recarsi
alla Snia (luogo dove è tornata ad abitare con i due figli piccoli dopo essere
stata allontanata da Fossarmato) […] Dalla stessa istituzione, seppur da persone
diverse, ci viene prima l'invito a non recarsi più alla Snia, poi ad andarci per
contattare una persona che altimenti il comune non saprebbe come individuare…".
Ancora dall'informativa dei volontari di "Fuoriluogo" alla Commissione
consiliare Servizi sociali (28 febbraio 2007): "… Il sindaco ha detto che
nessuno di questi bambini verrà prossimamente inserito nelle scuole per il
timore che questo costituisca "un incentivo per le famiglie a radicarsi sul
territorio".
Ancora dal Verbale della Commissione consiliare Servizi sociali: "La dott.ssa
Galessi informa che se l'amministrazione interviene sui bambini ci saranno nuovi
arrivi".
Di nuovo dal verbale della Commissione consiliare Servizi sociali: secondo
l'assessore ai Servizi sociali Francesco Brendolise l'area Snia "presenta
problemi particolari, in quanto circondata da criminalità, con smercio di droga"
e "persone che lavorano in nero, Rom già pregiudicati per reati vari, anche
verso minori, è inoltre visibile il fenomeno della prostituzione".
Secondo la
Questura, solo 8 di loro hanno precedenti penali per reati contro il patrimonio,
il 7 per cento del totale. In Comune 2 assessori dell'epoca su 11 sono stati
ospiti delle patrie galere: il 18 per cento.
Tra i pretoriani del sindaco Capitelli riscontriamo il consigliere Fabio
Castagna. Diventato capogruppo, il 31 gennaio scorso, sei anni dopo (e non sei
giorni dopo), tornando sull'emergenza all'ex Snia il consigliere del Partito
democratico così scrive in "Politica a Pavia": "lo rifarei", e prosegue: "faccio
presente che nel quartiere di Pavia Est ci siamo dovuti pure sorbire una
manifestazione di Forza Nuova che stava facendo proseliti tra cittadini". Per
contrastare il presunto espansionismo di Forza Nuova nel quartiere hanno così
pensato di emularli, rivendicando - e sdoganando - "da sinistra" il razzismo e
la xenofobia. Come era prevedibile, quelli di Forza Nuova hanno inoltrato le
loro congratulazioni, poiché i Democratici di sinistra "finalmente hanno preso
le nostre posizioni" (agosto 2007).
Per derubricare l'altro a nemico servono uno sguardo deumanizzante (così da
negare i tratti costitutivi dell'umano, direbbe Chiara Volpato) e la creazione
del "falso conflitto": noi-loro (o noi o loro), ovvero la menzogna della
conflittualità che vede l'altro relegato a non-umano alieno e inanimato, tanto
da legittimare il peggiore arbitrio: ieri con zingari, omosessuali e soprattutto
ebrei. Oggi con ebrei, omosessuali e soprattutto zingari.
Tornando all'ex Snia, abbiamo visto che gli stessi pubblici amministratori - o
criminalizzatori - "di sinistra" intenti a invocare l'ordine e la sicurezza in
realtà volevano coprire i privatissimi interessi di un immobiliarista d'area.
Uno scopo odioso, così come la strumentalizzazione della paura del diverso,
fiancheggiata da mesi di irresponsabile tambureggiamento mediatico: un'emergenza
umanitaria spacciata per un problema di ordine pubblico (secondo il sindaco di
centrosinistra, "nell'area non esiste un'emergenza igienico-sanitaria, ma solo
un problema di sicurezza"), la via intrapresa per far digerire all'opinione
pubblica l'illecita distruzione di una fabbrica monumentale.
Dopo il cambio di latitudine politica, a Pavia la musica non è cambiata: nel
settembre 2009 il nuovo sindaco di centrodestra - da poco eletto con il
contributo di Pino Neri, il capo della'Ndrangheta lombarda - sgombera "al buio"
17 Rom rumeni dall'area Necchi. "Al buio", cioè senza prevedere alcuna
successiva sistemazione d'emergenza: undici adulti e sei bambini hanno così
dovuto bivaccare sotto un ponte. Motivo: "S'impone il ripristino della
legalità". I minori fino al giorno prima ogni mattina andavano a scuola. Il
padre poteva esibire un regolare contratto di lavoro, al quale ha dovuto
rinunciare per stare vicino alla sua famiglia in mezzo a una strada. Lui - che
pure sarebbe stato in grado di pagare un affitto - dai locatori pavesi si era
sentito rispondere: "Albanesi e marocchini sì, rumeni no"; e somiglia tanto a
quel sinistro "vietato l'ingresso ai cani e agli italiani" o all'analogo "non si
affitta ai meridionali" di cui si parla nei libri di storia, quando i rumeni
eravamo noi.
Sempre in tema di "regole" e di "legalità", l'11 maggio 2010 il Tribunale di
Pavia ha accolto il ricorso di Radu Romeo, cittadino rumeno accusato dal sindaco
di non essere "immune da precedenti penali e di polizia", di condurre "un tenore
di vita non idoneo alla sua situazione" e di non essere "integrato nella società
italiana"; dunque, recita un'informativa comunale, "si sospetta che il suddetto
possa trarre il proprio sostentamento da attività illecite". Nelle motivazioni
del Giudice di pace si legge l'esatto contrario: che Romeo è un "lavoratore
autonomo integrato nel tessuto socio economico del Paese, dispone per se stesso
e per i propri famigliari di risorse economiche sufficienti per la conduzione di
un'esistenza dignitosa, non è un onere a carico dell'assistenza sociale [...] e
non rappresenta un pericolo per la società". Sono motivi sufficienti per
annullare il provvedimento prefettizio, emesso il 12 novembre 2009, dodici
giorni prima che Radu - in forza di quella cartastraccia - venisse cacciato per
ordine comunale da un centro di accoglienza insieme a moglie e figli.
Non era la prima volta. Il quotidiano "La Provincia Pavese" di venerdì 11
settembre 2009, in prima pagina aveva dato risalto alla notizia di casi di
pedofilia tra i minori di etnia Rom ospiti della struttura comunale di via San
Carlo. Testualmente, il sindaco ha riferito di "informative dalle quali
risultano casi di prostituzione minorile e altri episodi illeciti" esercitati
all'interno della struttura comunale.
Si riveleranno tutte bugie, costruite ad arte dal sindaco menzognero per
legittimare lo sgombero, il 24 novembre 2009, di otto famiglie, di nuovo "al
buio": uomini donne e undici bambini (c'erano anziani, una donna al sesto mese
di gravidanza, un neonato; c'era anche la famiglia di Radu Romeo) cacciati dai
centri comunali di San Carlo e Fossarmato; e tra loro anche persone mai
raggiunte dall'ordinanza prefettizia, eppure allontanate: "Motivi di ordine
pubblico" (ordine mai formalizzato dal sindaco) e in "accordo con la prefettura"
(falso: il numero delle famiglie sgomberate fu circa il doppio di quello dei
decreti di allontanamento prefettizi).
Buttati in mezzo a una strada nel gelido inverno con la conseguente, e se
possibile ancor più terribile, interruzione del percorso scolastico dei figli
minori. Poveri da nascondere, spazzatura da spostare sotto qualche altro
tappeto, specie quando si tratta di stranieri, quelli ancora più miserabili e
digiuni dei diritti come, per l'appunto i Rom rumeni.
Quanto agli zingari Sinti pavesi - agli zingari in generale - permangono
marginalizzati nel segno di politiche demagogiche e violente, basate sul
paternalismo, sull'assistenzialismo e a volte sulla repressione. Un cane che si
morde la coda: la segregazione e la perdita dell'identità culturale aprono alla
deriva delinquenziale, al giustizialismo, al rifiuto. Un costo sociale ed
economico elevatissimo, ben superiore a quello delle politiche d'inclusione,
scolarizzazione e inserimento lavorativo.
Andrebbe superata la cultura dei campi favorendo il progressivo inserimento di
queste famiglie nel tessuto sociale cittadino, evitando l'acquartieramento su
basi etniche. Invece…
Le istituzioni locali miopi li preferiscono culturalmente portati a vivere in
roulotte o in baracche: non è così. Tra i Sinti c'è la richiesta diffusa di
casette più stabili, di micro-aree in cui costruire piccoli villaggi in cui
sperimentare forme di autogestione responsabile del territorio. Tutto il
contrario della de-responsabilizzazione a cui sono portati dagli interventi
assistenziali, o dai "privilegi", come il mancato pagamento delle utenze
pubbliche.
Provo ad elencare alcune possibili alternative residenziali al modello del
"campo nomadi", da progettare in modo partecipativo - Piccole unità
abitative. Gruppi famigliari allargati acquistano un terreno o ne
ricevono uno dalla pubblica autorità (contratto di enfiteusi) sul quale
costruire una casa - La casa popolare. Può rappresentare una
soluzione quando i legami sono monofamiliari. Ma vivere nei campi comporta
punteggi molto bassi - L'affitto di una casa sul mercato privato
(modello bolognese: in questo modo sono stati chiusi tre campi, con un risparmio
dei 3/4 di quanto il Comune spendeva nella gestione dei "campi nomadi").
All'occorrenza il Comune può affittare gli appartamenti e poi subaffittarli ai
destinatari, garantendo così i proprietari. Sono politiche con un orizzonte di
almeno 8 anni. Le condizioni potranno variare ogni 4 anni - L'acquisto
di una casa (modello torinese): anche in questo caso si rendono
necessari dei garanti per l'accesso al credito. In alternativa, il Comune svolge
la funzione di mediatore con le banche per l'accesso ai mutui. In tutti questi
casi vanno previste forme di accompagnamento, anche da parte di operatori
provenienti dalle comunità Sinte. Non andrebbero dimenticate una o più
micro-aree riservate alla sosta temporanea dei gruppi in transito. Gli zingari
lombardi hanno ormai perso le abitudini itineranti, ma alcuni sono ancora dediti
al piccolo commercio, ad attività artigianali, all'attività di giostrai, ecc. Le
aree di sosta implicano un coordinamento con gli altri siti a disposizione in
altre province. Al riguardo, è ottimo il modello francese.
La mini House è una casa che ti arriva per posta e che si monta in 48 ore.
Sembra impossibile eppure è tutto vero. Il design di queste abitazioni
pret-a-porter viene dalla Svezia ed è opera dell'architetto Jonas Wagell.
Di Fabrizio (del 26/01/2013 @ 09:10:37, in casa, visitato 1795 volte)
Pubblicato: 23/01/2013 15:37 di Monica Pasquino,
Presidente dell'Associazione di Promozione Sociale S.CO.S.S.E.
Era nella fredda stagione invernale, tre anni fa, che qualche tg locale mostrava
le immagini dello sgombero di Casilino 900. Dal 19 gennaio al 15 febbraio del
2010, a Roma, sono state trasferite più di 600 persone, con una sistematica
violazione dei diritti umani e dell'infanzia.
Kher in romani chib - esattamente come il suo equivalente italiano
casa - è una
parola semanticamente vaga a cui ognun* dà un valore personalissimo. Una
villetta a due piani è la casa di una famiglia benestante in provincia; una
stanza è la casa di una precaria a Milano; un container è la casa di una coppia
terremotata in Irpinia, un posto letto è la casa di uno studente universitario a
Roma, così come una macchina diventa la casa di un poveraccio sfrattato a
Napoli.
"Di qualsiasi materiale sia fatta, la tua kher è sacra", racconta un rom nella
rivista curata dall'Associazione 21 luglio, poco importa se sia una baracca o
una roulotte o se la tua kher si trovi in un campo nomade dove l'abitare è
sinonimo di ghettizzazione, in ogni caso, la violazione della tua kher è un
gesto di violenza verso i tuoi affetti, verso il tuo corpo ed è una violazione
dei tuoi riti e della tua libertà.
In Italia solo lo 0.23% della popolazione totale è rom, una delle medie più
basse in Europa. Tra questi solo il 2-3% dei rom è realmente "nomade". A Roma le
comunità rom che vivono nei campi nomadi, che si distinguono in villaggi
attrezzati, campi tollerati e insediamenti informali, sono lo 0.24% della
popolazione complessiva. Tutto il resto sono allarmi infondati, campagne
discriminatorie e narrazioni stereotipanti che alimentano paure e insicurezze
"facili" da stimolare, soprattutto in anni di recessione, di assenza di lavoro e
tagli al welfare e ai servizi essenziali.
Nella produzione di un ordine del discorso dominante, le notizie vengono
selezionate, accorpate, differenziate: alcuni casi di cronaca vengono messi in
risalto, altri lasciati in ombra o taciuti. Tutto si muove all'interno di una
dinamica che sta a noi comprendere e districare, per non farci travolgere da
un'ingiusta lettura del presente. La politica dei campi nomadi è iniziata in
città alla metà degli anni Ottanta, quando la Regione ha approvato una legge che
prevedeva la creazione di insediamenti per comunità ritenute non idonee o
desiderose di vivere in una kher simile alle nostre.
Nel 1994 il Sindaco Francesco Rutelli ha presentato il primo Piano Nomadi della
Capitale che prevedeva la costruzione di 10 campi in un anno. I governi che si
sono succeduti al Campidoglio negli anni Novanta, al di là della collocazione
politica, hanno proposto altri Piani Nomadi, tutti con lo stesso obiettivo:
risolvere le "emergenze", mettere in "sicurezza" i quartieri abitati da
italiani, fare sgomberi e concentrare i rom in villaggi attrezzati sempre più
lontani dal contesto urbano.
L'approccio emergenziale, l'isolamento dei rom che dovrebbe garantire la
sicurezza della cittadinanza italiana, le pratiche e le retoriche securitarie
che giustificano vari casi di violenza urbana sono alcune delle modalità della
produzione di corpi e di spazi nella città. Sono una delle forme della
governamentalità del nostro tempo che lede la libertà di tutt* noi, non solo
quella di rom e migranti, rimbalza al centro dell'attenzione cittadina, ci fa
girare con circospezione la sera, riempie le nostre chiacchiere al bar e le
dichiarazioni degli amministratori.
I campi nomadi sono gabbie costruite su base etnica, sono un'invenzione tutta
italica, frutto in particolare delle istituzioni della Capitale, e rappresentano
una forma dell'abitare che è estranea alla consuetudine abitativa di rom e sinti.
I villaggi attrezzati, come quello che il Sindaco Veltroni inaugurò a via
Salone, uno dei più grandi d'Europa, sono circondati da recinzioni metalliche e
gli ingressi sono controllati da un sistema di videocamere: questi sono segni
lampanti della biopolitica che caratterizza questi villaggi attrezzati, i Cie e
le altre politiche di controllo a cui sono sottoposti i cittadini stranieri.
L'ultimo
Piano Nomadi della Capitale è opera di Gianni Alemanno (2009), e ha
l'obiettivo di realizzare 13 villaggi attrezzati per accogliere circa 6000 rom.
Il Piano Nomadi dell'attuale Sindaco costa attualmente circa 20 milioni di euro
l'anno ai cittadini romani, ma non ha ancora raggiunto alcun obiettivo, anzi, le
condizioni di vita dei rom sono drasticamente peggiorate per l'isolamento dal
resto della città, per la mancanza di manutenzione, per il sovraffollamento e
per l'aumento di comportamenti devianti. Ai 20 milioni annui vanno aggiunti i
soldi spesi per gli sgomberi dei campi informali (circa 500 dall'estate del 2009
ad oggi) che rappresentano una cifra 10 volte più alta di quella spesa dal
Comune di Roma per l'inclusione lavorativa dei rom nello stesso lasso di tempo.
Nella prossima primavera, con le elezioni amministrative, abbiamo l'occasione di
voltare pagina e finalmente proporre politiche di medio e lungo termine dirette
all'inclusione sociale di rom e sinti:
perché la libertà si con-divide tra tutt* gli abitanti di Roma, non si divide;
per chiudere gradualmente tutti i villaggi attrezzati;
per abbandonare
l'approccio emergenziale e securitario;
per proporre una cultura che superi i
pregiudizi e avvii percorsi di conoscenza e dialogo fra culture diverse;
per
sospendere ogni azione di sgombero e trasferimento forzato che non rispetti le
Convenzioni internazionali.
Nella Repubblica romana di domani, vorremmo che nessun* potesse più violare la
tua kher.
IN MERITO ALLA SITUAZIONE DEL VILLAGGIO MONOETNICO ROM DI VIA LONGHIN A PADOVA
I recenti fatti di cronaca che riguardano alcuni residenti del villaggio
monoetnico di via Longhin a Padova stanno riproponendo all'attenzione pubblica
il tema delle politiche di integrazione delle comunità rom. In particolare si
sta dibattendo circa l'efficacia di un investimento di ingente portata per un
proficuo inserimento di queste famiglie nella società padovana.
L'Opera Nomadi di Padova ripete da anni che il progetto di riqualificazione
del campo di via Lungargine San Lazzaro non serve a migliorare l'integrazione
nel territorio delle famiglie che vi abitano. L'iniziativa era già in partenza
fallimentare; per questo la nostra Associazione ha rifiutato la gestione
dell'area: i soldi dei contribuenti vanno investiti bene!
L'alternativa proposta era semplice: individuare alcuni terreni dislocati sul
territorio dove le famiglie avrebbero vissuto gestendo autonomamente la loro
esistenza. In questo modo sarebbe stato davvero possibile favorire una reale
integrazione, smascherando chi non vuole cambiare, come è successo per molti che
già vivono nelle microaree.
Il progetto comunale attuato presso il campo nomadi di via Lungargine San
Lazzaro non ha le caratteristiche integrative del progetto del Villaggio della
Speranza, dove si sono ottenuti risultati tanto positivi che l'Amministrazione
comunale stessa ha ritenuto di non dover più spendere un euro in progetti di
accompagnamento sociale o di integrazione lavorativa.
L'iniziativa del laboratorio di sartoria per le donne rom sembra l'ultimo
disperato tentativo di rimettere a posto le cose. Insegnando alle donne un
mestiere che già in parte conoscono e che non ha sbocchi di alcun tipo nel
mercato del lavoro di oggi, si ritiene davvero di poter migliorare qualcosa? Le
proposte della nostra Associazione sono rimaste sempre inascoltate:
l'inserimento lavorativo passa attraverso la valorizzazione dei mestieri
tradizionali, come il supporto alla creazione di cooperative di raccolta e
riciclo di materiale ferroso, e attraverso un aiuto nell'ingresso in circuiti di
lavoro “normali”, come le cooperative di pulizie o di sgomberi, dove sinti e rom
serbi sono assunti con successo. Queste iniziative possono essere messe in
pratica solo se gli utenti motivati escono da una situazione abitativa
ghettizzante come quella di un campo nomadi, noto ad aziende e cooperative per i
numerosi fatti di cronaca. Se attuate senza una razionale politica di
integrazione abitativa, risultano un inutile spreco di denaro pubblico.
Di Fabrizio (del 12/01/2013 @ 09:04:46, in casa, visitato 1435 volte)
BBC newsA Leicester i siti per i Traveller dovrebbero essere vicino
alla casa del sindaco
Jubilee Square viene proposta come sito per traveller e zingari
[...] I risultati del
sondaggio sono stati resi pubblici mentre la città si interroga sulla
costruzione di ulteriori siti autorizzati e sulla rimozione di quelli illegali.
Il sindaco Peter Soulsby ha detto di non pensare che siano suggerimenti "seri".
In 100 questionari, gli intervistati hanno suggerito che i siti dovrebbero
essere anche vicino alle abitazioni dei consiglieri, edifici comunali o spazi
pubblici.
"Posso capire che la gente non voglia questi siti vicino a casa propria, ma non
penso di cover intendere seriamente questi suggerimenti," ha detto Soulsby.
"Il fatto è che questo è un problema dove non siamo in grado di trovare una
soluzione che soddisfi il 100%"
La consultazione pubblica è stata fatta per esaminare tre siti - Greengate Lane,
Beaumont Way e Red Hill Way - scelti dai consiglieri su una rosa di otto, a
seguito di una iniziale valutazione ufficiale di circa 350 proprietà comunali.
Tipologie Siti permanenti offrono ai residenti una residenza stabile in
modo simile alle case popolari. I residenti sono tenuti a versare le imposte per
l'affitto, l'acqua, l'elettricità e quelle comunali.
Siti di transito possono essere aperti tutto l'anno, ma
forniscono solo alloggio temporaneo ai loro residenti, di solito non più di tre
mesi. Hanno strutture più basiche. I residenti sono responsabili per il
pagamento di affitto, acqua ed elettricità.
Aree temporanee di sosta sono di solito utilizzate per un periodo inferiore ai
28 giorni, di solito nei periodi in cui c'è molta richiesta, ad esempio quando
hanno luogo fiere ed eventi culturali.
"Ulteriori indagini"
Nelle risposte al questionario sono stati suggeriti oltre 50 siti alternativi
Secondo la relazione c'erano 100 suggerimenti di situarli al "New Walk Centre,
piazza del Municipio, Jubilee Square o presso le case dei consiglieri o del
sindaco".
Al
New Walk Centre attualmente ci sono gli uffici comunali. Town Hall Square è
accanto al municipio e Jubilee Square è un dovrebbe diventare uno spazio
pubblico da 4 milioni di sterline, vicino agli uffici della BBC di Leicester.
La relazione raccomanda altri due suggerimenti - Hoods Close e Braunstone
Lane East - che vantano "potenziale e sono degni di ulteriore approfondimento e
consultazione, se fossero richiesti ulteriori si ti di transito / sosta
temporanea."
Il rapporto consiglia Red Hill Way e Greengate Lane come entrambe adatti a siti
"permanenti" o "di transito", per un massimo di piazzole ciascuno.
Il gruppo d'azione LE4 ha presentato a luglio una petizione a Peter Soulsby
Beaumont Way
è "potenzialmente adatto" per un sito di transito di sei piazzole, questo viene
dichiarato.
Peter Soulsby ha detto che considererà il rapporto prima di prendere una
decisione.
"Abbiamo un problema maggiore con gli accampamenti dei traveller illegali e
non autorizzati," ha detto.
"Bisogna fare qualcosa a riguardo, e l'unica cosa fattibile è di installare
alcuni accampamenti legali e assicurarsi che i traveller li usino."
Terry McGreal, del gruppo d'azione LE4, ha detto di accettare la richiesta
del consiglio di identificare spazi per zingari e traveller, ma che le località
scelte sono inappropriate.
Dice che andrebbero invece scelte aree brulle e dismesse.
Secondo voi è un articolo "serio" o no? Mi ricordo che
qualcosa di simile accadde un po' di anni fa proprio a Milano, ad uno dei
padri nobili
della Mahalla. Il tutto finì in maniera inaspettata
Di Fabrizio (del 15/12/2012 @ 09:05:32, in casa, visitato 1655 volte)
Progetto sperimentale di smantellamento dei campi nomadi tramite
l'autocostruzione di alloggi in muratura.
Il progetto di autocostruzione "Villaggio della Speranza" nasce dalla necessitĂ
espressa dai Sinti residenti presso il campo comunale di via Tassinari 32, di
migliorare le proprie condizioni di vita, uscire dall'emarginazione e proseguire
nel percorso di integrazione giĂ iniziato con l'inserimento scolastico dei
minori.
L�Opera Nomadi di Padova-Onlus, che da anni persegue la politica dello
smantellamento dei campi nomadi comunali attraverso l'individuazione di
alternative abitative dignitose, si è fatta portavoce delle esigenze dei Sinti
con cui ha ideato e scritto il progetto e ha trovato nell'Assessore ai Servizi
Sociali Claudio Sinigaglia un convinto sostenitore.
La creazione del Villaggio della Speranza coniuga infatti le disponibilitĂ
dell'Amministrazione Comunale con il rispetto delle tradizioni sinte, ovvero la
volontĂ di vivere con le rispettive famiglie allargate. La linea della
condivisione e della responsabilizzazione dei sinti non si è fermata con la
definizione del progetto ma ha previsto la partecipazione della comunitĂ ,
rappresentata da un mediatore sinto, a tutti gli incontri tecnici con i
Referenti del Comune di Padova durante tutto l'iter del progetto.
Incaricata dal Comune come "soggetto promotore", l'Opera Nomadi ha provveduto a:
- individuare l�impresa per la costruzione degli alloggi e delle opere connesse,
previa approvazione del Settore Infrastrutture del Comune di Padova,
- seguito i Sinti nella partecipazione al corso di formazione professionale per
muratori e nella fase concreta dell�autocostruzione.
Il Settore Infrastrutture del Comune di Padova si è fatto carico della
necessaria attivitĂ di alta sorveglianza, ai fini della regolare esecuzione
dell�opera, della contabilità generale e dei conseguenti pagamenti. Sono stati
costruiti alloggi, quattro per ciascuna delle tre palazzine di due piani. Ogni
alloggio è costituito da un locale soggiorno-cottura, due camere da letto e un
bagno, il tutto per una superficie calpestabile di circa 50 mq con giardinetto
di pertinenza e posti auto coperti realizzati in struttura leggera. Il cantiere
si è aperto nel luglio 2008 e si è chiuso a novembre 2009 e la consegna delle
abitazioni è stata effettuata a dicembre 2009.
L�area e gli alloggi sono di proprietà del Comune di Padova e sono stati
assegnati in affitto alle famiglie sinte. A differenza di quanto non accade in
tutti i campi nomadi comunali in cui domina la legge dell'assistenzialismo, i
singoli nuclei hanno stipulato i contratti delle utenze a proprio nome, pagando
le relative bollette.
Usti' nad Labem, 30.11.2012 1:10, Radio Ceca: Esercizi di arricchimento
sugli ostelli per poveriCzech Radio, translated by Gwendolyn Albert
via
Beneše Lounského n. 5 nel quartiere Předlice di Ústí nad Labem
(PHOTO: Google Maps)
Riferisce la radio ceca che chi possiede spazi residenziali con rate
sproporzionate, spesso attrezzate con docce e servizi igienici nei corridoi,
o altre restrizioni a possibili visitatori, può essere classificato come
trafficante di povertà. I gestori di questo traffico possono contare sul fatto
che i loro clienti sono persone che non sono in grado di trovare altri
appartamenti in affitto e che lo stato contribuirà al pagamento delle fatture.
Per la maggior parte delle persone che vi risiedono, sono l'ultima risorsa
durante la fuga dai ghetti.
"La gente vuole andarsene. Prima di tutto, chiedono una sistemazione
dignitosa, perché la maggior parte vive in condizioni inadeguate. Significa che
gli appartamenti sono sovraffollati e le condizioni igieniche non dovrebbero
essere così.," Denisa Urbánszká, operatrice sul campo di People in Need,
descrive così la situazione nel quartiere di Předlice a Ústí nad Labem. "Diversi
inquilini in un edificio dai soffitti marci, nessuna porta d'ingresso e finestre
rotte, mi dicono di pagare al padrone 6.000 corone (1 euro=25 corone circa,
ndr.) al mese per un monolocale".
Il proprietario non ha mai riparato l'edificio e mai trovato una sistemazione
alternativa per queste persone, finite a vivere nel suo residence. People in Need
sta aiutando chiunque voglia lasciare le località socialmente escluse per una
nuova sistemazione, ma Urbánszká dice che per loro è molto difficile quando sono
etichettati come i "Rom di Předlice": "Sono molte le famiglie
numerose. Molti hanno sette o più figli. E dipende anche dal fatto che sono
Rom."
Quando non c'è altro posto dove andare, la gente finisce in questi ostelli
dove le condizioni sono peggiori che negli appartamenti normali, ma i costi sono
superiori. Ad esempio, nel residence in questione ad Ústí nad Labem, ogni adulto
paga 5.000 corone al mese a cui vanno aggiunte 1.000 corone per ogni bambino,
oltre al canone dovuto per una camera in base al numero di persone della
famiglia.
Lo conferma
Celestina Hadravová, dell'Ufficio del Lavoro di Ústí nad Labem: "Quei contratti
sono carissimi. Troppo. Ci portano, ad esempio, contratti dove l'affitto è di
6.000 corone a persone per una stanza. Qualcun altro ci porta contratti da 7.000
corone a persona - non corrispondono per niente alle cifre d'affitto richieste
in questa località."
Di solito la gente va all'Ufficio del Lavoro per ricevere i sussidi sociali,
calcolati sulla base delle spese abitative. "Dipende dal numero di residenti nel
comune e poi dal numero di persone nella famiglia... Per una famiglia di cinque,
i costi non possono superare le 13.565 corone al mese. Però, la maggior parte
delle famiglie hanno altre fonti di reddito o di benefici sociali, così il kloro
costo non raggiunge mai il massimo," spiega Hadravová.
Anche quando lo stato non paga l'intero importo richiesto dai proprietari di
queste costosissime strutture residenziali, i costi dei sussidi sociali
aumentano la spesa complessiva. In internet stanno girando molte segnalazioni
"garantite" su questi abusi nel welfare.
"In una di queste si diceva che una donna riceveva 33.000 corone al mese di
sussidio... Però, non si aggiunge ai lettori che questa somma va ad una famiglia
di otto componenti, ad esempio, e che vivono in un ostello dove pagano ogni mese
18.000 corone di affitto," ha commentato Petra Klingerová di People in Need.
Klingerová dice che il problema non è l'abuso di massa del welfare da parte
di persone che ne hanno bisogno, ma il problema è dello sfruttamento del sistema
a scopo di lucro. La radio ceca ha anche detto di aver cercato il parere di
quanti possiedono edifici residenziali ad Ústí nad Labem, ma che hanno rifiutato
di farsi intervistare.
Slovakia, 30.11.2012 0:26, Gli Slovacchi vendono terreno a basso costo
ai residenti degli insediamenti romanì
iDNES.cz, translated by Gwendolyn Albert
Riunione di giubbe nere di cuoio: Kotleba (a sinistra) coi suoi fedeli amici
della Repubblica Ceca, il Partito della Giustizia Social dei Lavoratori (Dělnická
strana sociální spravedlnosti - DSSS)
Il portale di notizie iDNES.cz riferisce che gli Slovacchi stanno
contemplando come agire con gli insediamenti romanì illegali nel loro paese. Uno
di questi insediamenti è il villaggio di Krásnohorské Podhradie, di cui parte
del terreno appartiene al neonazista Marián Kotleba, che ha minacciato di
demolire tutte le piccole casette romanì sulla sua proprietà. Intanto Erika Gažiková,
della locale comunità romanì, quest'estate ha guadagnato abbastanza soldi con la
raccolta di funghi e frutti di bosco, da poter acquistare il terreno circostante
la sua casa nel villaggio, come pure altri residenti rom.
Gažiková ha pagato 0,66 euro a metro quadro. Il prezzo di una birra piccola a
Praga. Circa 900 Rom vivono nell'insediamento dove Kotleba detiene circa 800 mq.
di terra. Ha più volte minacciato di radere al suolo le piccole case dove i Rom
attualmente vivono.
Nell'insediamento ci sono stati pattugliamenti della polizia, a causa delle
ripetute minacce di Kotleba. Gli altri abitanti vogliono che la situazione si
calmi, dando una mano ai Rom ed offendo loro terreni municipali ad un prezzo che
sia per loro abbordabile.
Il prezzo di 0,66 euro a metro quadro è stato stabilito dal comune nel 2007.
Ora i consiglieri vorrebbero aumentarlo, ma non oltre i 5,00 euro a metro
quadro. Il prezzo di mercato nel villaggio, situato in prossimità del famoso
Castello
Krásná Horka, è circa il doppio.
"Il basso prezzo nell'insediamento dovrebbe motivare i Rom del posto a
mettere ordine nei loro affari," ha detto il sindaco Peter Bollo al giornale
slovacco Korzár. Alcuni Rom hanno acquistato terreni per ottenere i sussidio
statali all'alloggio di 100,00 euro al mese. Solo loro hanno diritto a quella
somma, se disoccupati e residenti su terreno di proprietà.
In Slovacchia il problema degli insediamenti illegali riguarda diverse
centinaia di miglia di Rom. Ora le OnG stanno aiutandoli ad acquistare i terreni
su cui vivono. Dopo anni di tira-e-molla, anche lo stato ha in progetto un
programma per far fronte alla situqazione. Secondo questo programma, lo stato
dovrebbe acquistare i terreni privati ora occupati dagli insediamenti per poi
affittarli o rivenderli ai residenti, a condizioni vantaggiose. Parte
dell'operazione, evidentemente, sarà da finanziare con fondi comunitari.
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