Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Da
Sinti Italiani in viaggio per il Diritto e la Cultura
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL'EVENTO:
22 MAGGIO ALLE ORE 12.00 A PALAZZO MARINO
SALUTI ISTITUZIONALI, PRESENTAZIONE CAMPAGNA DOSTA! E PROIEZIONE DELLO SPOT:
MODERA DAVID MESSINA. DIRETTORE GENERALE UNAR CONS. MARCO DE GIORGI - COMUNE DI
MILANO ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI E CULTURA DELLA SALUTE PIER FRANCESCO
MAIORINO - ASSESSORE ALLA SICUREZZA E COESIONE SOCIALE, POLIZIA LOCALE,
PROTEZIONE CIVILE, VOLONTARIATO MARCO GRANELLI - PRESIDENTE PROV.LE ACLI MILANO
PAOLO PETRACCA - DIRETTORE CARITAS AMBROSIANA MONS. ROBERTO D'AVANZO -
INTERVENTI PRESIDENTI ASSOCIAZIONI E FEDERAZIONI ROM E SINTI ITALIANE: DAVIDE
CASADIO E DIJANA PAVLOVIC FEDERAZIONE ROM E SINTI INSIEME - VOJKAN STOJANOVIC
FEDERAZIONE ROMANI' - RADAMES GABRIELLI ASSOCIAZIONE NEVO DROM - SANTINO
SPINELLI FEDERARTE ROM - OSPITI D'ECCEZIONE MARCO FERRADINI, MASSIMO PRIVIERO E
IL REGISTA DEL FILM "MIRACOLO ALLA SCALA" CLAUDIO BERNIERI.
23 MAGGIO 2013 MATTINA
CAMPAGNA DOSTA! PRESSO OFFICINE CREATIVE ANSALDO.
- ORE 10.30 - PRESENTAZIONE CAMPAGNA DOSTA! E PROIEZIONE DELLO
SPOT. APERTURA ISTITUZIONALE EVENTO MODERA DAVID MESSINA:
DIRETTORE GENERALE UNAR CONS. MARCO DE GIORGI - COMUNE DI MILANO
ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI E CULTURA DELLA SALUTE PIER
FRANCESCO MAIORINO - ASSESSORE ALLA SICUREZZA E COESIONE
SOCIALE, POLIZIA LOCALE, PROTEZIONE CIVILE, VOLONTARIATO MARCO
GRANELLI - PRESIDENTE PROV.LE ACLI MILANO PAOLO PETRACCA -
DIRETTORE CARITAS AMBROSIANA MONS. ROBERTO D'AVANZO - INTERVENTI
PRESIDENTI ASSOCIAZIONI E FEDERAZIONI ROM E SINTI ITALIANE:
DAVIDE CASADIO E DIJANA PAVLOVIC FEDERAZIONE ROM E SINTI INSIEME
- VOJKAN STOJANOVIC FEDERAZIONE ROMANI' - RADAMES GABRIELLI
ASSOCIAZIONE NEVO DROM - SANTINO SPINELLI FEDERARTE ROM.
- "MIRACOLO ALLA SCALA" CON MUSICHE DEL GRUPPO SINTO "THE
GIPSYES VAGANES" - A SEGUIRE DIBATTITO CON GLI ALUNNI DELLE
SCUOLE E GLI STUDENTI UNIVERSITARI PARTECIPANTI ALLA PRESENZA
DEI SEGUENTI OSPITI PROTAGONISTI DEL FILM: IL REGISTA CLAUDIO
BERNIERI; LA PROTAGONSITA DEL FILM LOREDANA BADEANU; DAVIDE
PARENZO - CONDUTTORE DE "LA ZANZARA" RADIO 24 (da confermare);
ROSSELLA CICERO - DELLA SCUOLA DI DANZA DI FLAMENCO DELLA SCALA
DI MILANO; IL GRUPPO MUSICALE ROM "UNZA".
- ORE 13.30 - CHIUSURA EVENTO
23 MAGGIO POMERIGGIO
CAMPAGNA DOSTA! PRESSO OFFICINE CREATIVE ANSALDO.
- ORE 16.00 - PRESENTAZIONE CAMPAGNA DOSTA! E PROIEZIONE DELLO
SPOT; INTERVENTI DI SALUTO DEI RAPPRESENTANTI DELLE ASSOCIAZIONI
E FEDERAZIONI ROM E SINTI, MODERA MARCO LIVIA.
ORE 1630 - APERTURA EVENTO MUSICALE A CURA DEL GRUPPO SINTO "THE
GIPSYES VAGANES"
- ORE 18.00 - SFILATA DI MODA ROM CON MUSICHE ROMANI' A CURA DI JOVICA JOVIC MAESTRO BAL VAL E LETTURE DI POESIE A CURA DI
DIJANA PAVLOVIC.
- ORE ORE 19.00 - APERIROM, APERITIVO A BUFFET CON PRODOTTI
TIPICI DELLE COMUNITA' ROM E SINTI, INTERVENTI MUSICALI A CURA
DI MARCO FERRADINI E MASSIMO PRIVIERO, IL VIOLINISTA EDUARD ION
E JOVICA JOVIC PRESENTAZIONE DEL LIBRO "BUTTATI GIU' ZINGARO" DI
ROGER REPPLINGER CON LA PRESENZA DELL'AUTORE E DEL PUGILE ROM
MICHELE DI ROCCO. IL LIBRO RACCONTA LA STORIA DI JOHANN
TROLLMANN, PUGILE SINTO, CHIAMATO IL PUGILE DANZANTE PER IL SUO
STILE CHE VENNE PRIVATO DAI NAZISTI DEL TITOLO DI CAMPIONE E
UCCISO IN UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO.
- ORE 20.30 - CHIUSURA Campagna Dosta!
Di Fabrizio (del 14/05/2013 @ 09:02:49, in lavoro, visitato 1095 volte)
Da
Hungarian_Roma
Politics.hu - Orban guarda ai Rom come una "risorsa nascosta" per
l'economia ungherese - by MTI (Magyar Tàvirati Iroda)
Martedì il primo ministro ha detto che il governo considera i Rom d'Ungheria
una "risorsa nascosta" e non un problema.
Mentre la maggioranza dei partiti vede i Rom come fossero un problema, il
governo vede la comunità come "un'opportunità", un potenziale inesplorato per
l'economia del paese, ha detto Viktor Orban alla sessione del Consiglio degli
Affari Rom a Budapest.
"Per cui, per noi non è soltanto una questione di diritti umani, come i Rom
vivano in Ungheria, ma anche una sfida economica e sociale," ha detto.
Ha aggiunto che non devono considerarsi secondari né gli aspetti dei diritti
umani, né quelli sociali o economici.
Orban ha definito molto importanti le opportunità d'impiego per i Rom,
notando che lo schema di avviamento lavorativo del governo è più uno strumento
che una meta. Parlando nel contesto del quadro strategico per i Rom europei,
Orban ha notato che l'Ungheria si è impegnata a sollevare mezzo milione di
persone dalla povertà e ha anche sottolineato l'accordo quadro siglato tra il
governo e l'Auto-Governo Rom Nazionale (ORO), per creare 100.000 posti di lavoro
per i Rom entro il 2015.
Ha detto che istruzione per i Rom, e permettere loro di preservare la propria
cultura è ugualmente importante.
Ha sottolineato: "E' nostro desiderio, scopo e programma assicurare che i Rom
di Ungheria possano trovare il loro posto nel futuro dell'Ungheria."
Rivolgendosi agli intervenuti,il ministro alle risorse umane, Zoltan Balog,
ha notato che l'Ungheria ha incluso nella strategia rom la sicurezza pubblica e
la cultura come aree ulteriori, accanto all'impiego, all'istruzione,
all'assistenza sanitaria e all'alloggio. Tra i risultati raggiunti sinora, ha
elencato l'impiego dei Rom nell'ambito del regime dei lavori pubblici, nuove
borse di studio, formazione sull'applicazione delle leggi ed eliminazione delle
baraccopoli.
Florian Farkas, capo dell'Auto-Governo Rom Nazionale, ha detto che sinora
54.000 Rom sono stati inclusi nello schema governativo di opere pubbliche.
Alla riunione hanno partecipato i ministri degli interni e dell'economia
nazionale, ed anche il capo ufficio del primo ministro.
Frontierenews | 10 MAGGIO 2013
E' notizia di questi giorni che la Corte Suprema della Cassazione
ha sancito
definitivamente la fine del periodo di "emergenza nomadi" che ha generato le
schedature (anche dei minori), la costruzione di campi
rom, gli sgomberi forzati
ecc.
Abbiamo intervistato Emil Costache, romeno di origine rom che vive in uno dei
campi della Capitale, per comprendere quali sono le conseguenze concrete di
questa sentenza e approfondire la conoscenza della vita nei campi rom.
Emil, mediatore culturale ed educatore, potrebbe essere definito un "nomade"
soltanto perché per diversi anni ha girato l'Europa in cerca di lavoro, prima di
stabilirsi in Italia, 13 anni fa. In Romania e in altri Paesi dove è vissuto
precedentemente, faceva una vita da stanziale, aveva un lavoro e una casa.
Intervista di
Simona Hristian
Cosa significa concretamente questa sentenza per i rom? Quale cambiamento
porterà, secondo te?
Dichiarare lo stato d'emergenza in un Paese europeo nel XXI secolo dove vivono
150mila rom (dei quali più della metà lavora, abita in case e non fa parte di
alcun programma di assistenza sociale) non ha portato nessun cambiamento né ai
rom, né alle istituzioni e neanche agli Italiani. E' stata solamente una manovra
politica che non ha fatto né bene, né male. Così come questa sentenza non
porterà dei cambiamenti. Si continuerà a vivere da esclusi. Un decreto di
emergenza viene emesso solo in caso di calamità naturale, di una malattia
contagiosa ecc. invece l'emergenza rom esiste da mille anni e durerà per ancora
molto tempo.
Tu vivi in un campo rom a Roma mentre i tuoi fratelli che abitano a Bologna,
vivono in una casa. Come spieghi questa differenza tra le varie zone d'Italia?
A Roma, come in altre grandi città italiane, la politica che riguarda i rom è
fondata sulla premessa che i rom siano nomadi, ma la realtà è diversa. Sia prima
di arrivare in Italia che dopo aver avuto l'opportunità di uscire dal campo, i
rom vivono da stanziali. A Roma ci sono famiglie che hanno affittato delle case,
ma per poter fare questa scelta devi avere lavoro. Inoltre, devi rinunciare alla
tua appartenenza e presentarti come romeno per non avere dei problemi. Devi
rinunciare ad ascoltare la musica rom, di indossare i vestiti tradizionali e
molte volte non basta. Ad esempio, anni fa quando avevo uno stipendio, ho
trovato un appartamento, ma i vicini si sono opposti quando hanno saputo le
nostre origini e siamo dovuti ritornare al campo. Invece, i miei fratelli vivono
a Bologna, lavorano come autisti e abitano in appartamenti. Il Comune li ha
sostenuti per un periodo per poter pagare l'affitto e poi sono stati messi in
condizione di poter provvedere da soli. Nelle città più piccole, i comuni
investono sull'inserimento dei rom nel tessuto sociale, mentre nelle grandi
città, i fondi vengono dati alle associazioni che gestiscono i campi rom.
Inoltre, i miei fratelli non hanno avuto problemi per trovare lavoro, nonostante
la loro origine, perché a Bologna guardano soltanto la motivazione per il
lavoro.
Come si vive in un campo rom? Quali sono gli aspetti positivi e quali quelli
problematici?
Nel campo dove vivo manca l'acqua potabile da circa un anno, nonostante sia un
campo autorizzato per il quale il Comune di Roma paga un affitto. Per il mio
camper si spendono circa 1900 € e ogni mese io pago 50€ per l'elettricità al
gestore che dovrebbe mettere a disposizione tutto il necessario. Succede invece
che i ritardi nel pagamento da parte del Comune o altri problemi si ripercuotono
sulle condizioni di vita degli abitanti del campo, di cui la maggioranza sono
bambini. Con questi soldi si potrebbero pagare tre affitti: uno per la famiglia
rom e due per le famiglie italiane. Sarebbe anche un modo di integrarsi, di
socializzare con la popolazione italiana mentre adesso viviamo in un ghetto,
isolati dal resto della società. Però non tutti i campi sono situati in zone
marginali, così come la gestione è diversa da un campo all'altro. Alcuni gestori
responsabilizzano i rom ospitati, coinvolgendoli nella gestione, ma esistono
anche campi dove l'organizzazione e le condizioni non permettono l'autonomia e
la responsabilizzazione dei rom. Per esempio, non possiamo portare personalmente
i nostri figli a scuola. L'accompagnamento dei bambini a scuola con il bus
toglie l'opportunità ai genitori di svolgere il loro ruolo e di relazionarsi con
la scuola, con gli insegnanti, dato che sono gli operatori del campo a farlo al
loro posto. Nei piccoli paesi e nelle cittadine dove i rom sono inseriti nel
tessuto sociale, la situazione è diversa. Sono i genitori a curarsi degli
aspetti pratici, burocratici ecc.
Tu li chiami ghetti ma la maggioranza delle persone pensa che siano luoghi
adatti al modo di vivere rom.
Nel campo dove vivo non si può entrare senza una liberatoria del Comune di Roma
e non c'è neanche la possibilità di ricevere visite (neanche i famigliari),
mentre in alcuni campi ci sono degli orari quando è possibile ricevere ospiti.
C'è un controllo all'ingresso del campo, dove l'ospite si presenta nell'orario
di visita e chi lo ospita deve venire a firmare per conferma. La maggior parte
dei rom vorrebbe uscire dal campo, ma ci sono anche dei rom a cui conviene
vivere lì. Purtroppo per lasciare il campo devi avere un lavoro che ti permetta
di pagare l'affitto.
Nell'immaginario collettivo, i rom stanno in questi campi sporchi che non
puliscono, non lavorano, vanno a chiedere elemosina o a rubare. Come si svolge
la tua giornata tipo?
Nei campi vivono tutti i tipi di persone, ci sono anche quelli che rubano o che
non lavorano, ma la maggioranza dei rom lavora, svolgono soprattutto l'attività
di raccolta del ferro vecchio. Ultimamente, è nato un problema burocratico
dovuto al fatto che una direttiva europea impedisce la raccolta di ferro senza
il permesso della Regione e senza avere una cooperativa. La licenza per la
raccolta del ferro viene data soltanto a 20 persone all'anno. Io mi alzo alle 6
o alle 7, in base alla giornata e al programma che ho. Lavoro anche nel fine
settimana perché il lavoro precario di mediatore non mi permette di mantenere la
famiglia e, per arrotondare, lavoro come giardiniere.
Molti pensano che i rom non vogliono mandare i figli a scuola. Tu lavori nel
progetto di scolarizzazione, qual è la tua opinione?
Il progetto è iniziato 25 anni fa e pochissimi ragazzi arrivano a fare le
superiori, al massimo le scuole professionali. Come si fa a continuare un
progetto quando i risultati sono questi?
Secondo te, a cosa è dovuto questo fallimento?
Il progetto è sbagliato. Ci sono gli operatori che fanno tutto, negando così la
genitorialità. Le responsabilità sono attribuibili alle istituzioni che hanno
sempre fatto dei progetti senza considerare i bisogni e le esigenze dei rom. Non
c'è una progettazione a lungo termine. Non si considera la possibilità di
formare i rom in modo di trovare un lavoro che gli permetta di lasciare il
campo. Basterebbe aiutarli a trovare un lavoro perché dopo penserebbero da soli
a trovare casa e a gestirsi da soli. Poi c'è il fatto che i bambini non hanno la
possibilità di inserirsi a scuola, arrivando sempre in ritardo e uscendo prima,
non hanno modo di socializzare con i compagni. Dopo la scuola stanno insieme
agli altri rom, non possono uscire o giocare insieme ai loro compagni di scuola
perché i campi sono lontani dai centri abitati. Non possono neanche fare i
compiti con gli altri bambini del campo perché non si possono riunire in una
roulotte dove vivono 8-10 persone. Ci sono tante difficoltà. Quindi sono visti
come diversi, sono messi in fondo alla classe e abbandonati a loro stessi. Molti
non sanno né leggere né scrivere; arrivano alle medie senza conoscere neanche le
tabelline. I compagni quindi li emarginano e li temono. Alla fine rinunciano,
finite le medie. Si disperdono perché non si sentono appoggiati e rinunciano.
Inoltre, le donne si sposano presto.
Perché le donne si sposano presto?
Ti faccio l'esempio della mia famiglia: mia figlia grande - che è cresciuta in
Romania e Francia - si è sposata tardi, invece la piccola - che è cresciuta nel
campo - è scappata a 15 anni con un ragazzo, nonostante fosse brava a scuola e
conoscesse tante lingue. Nel campo si subisce l'influenza della tradizione.
Quale sarebbe la soluzione?
Da una parte la cultura, l'educazione e dall'altra uscire dal campo, trovando la
casa e il lavoro. Altre soluzioni non esistono. Con l'aiuto delle associazioni
italiane e rom, prima o poi troveremo le soluzioni.
In futuro dove ti vedi?
In una casa, facendo una vita normale. Non rimarrò nel campo. Probabilmente
tornerò in Romania, ma anche se rimarrò qui, starò in una casa e avrò un lavoro.
Grazie! Nais!
Di Fabrizio (del 12/05/2013 @ 09:09:45, in blog, visitato 1937 volte)
Leggevo un articolo di
Valeriu Nicolae (interessante come sempre, purtroppo non ho tempo per
tradurlo). Tra la situazione rumena e quella italiana ci sono naturalmente
grosse differenze, ma anche similitudini, che vale la pena di approfondire. Il pezzo inizia così:
"Ritengo che l'effetto più perverso del razzismo non sia
la disumanizzazione né la violenza (entrambe sono difatti punite dalle leggi di
molti paesi), ma l'abbandono collettivo, a volte parziale e altre completo,
delle nostre auto-percepite (superiori alla media) moralità ed etica in favore
del pregiudizio"...
Pezzo interessante, dicevo, e da qua vorrei partire per ulteriori
ragionamenti. Quello che noi "gagé antirazzisti" abbiamo sempre denunciato è il
razzismo che percepiamo nel nostro intorno, il motivo della denuncia può essere
morale, solidale, politico... fa parte comunque dei nostri codici.
L'esperienza mi ha insegnato, e possiamo trovarlo anche in molti
casi descritti, è che il razzismo influisce sulla vittima (che non sempre
condivide i nostri codici e la nostra cultura), non solo con la violenza diretta
e indiretta, ma spesso (non sempre) anche nell'auto-percezione che la vittima ha
di sé come persona e come parte di una comunità.
La persona volonterosa quindi, che faccia parte di una maggioranza o di una
minoranza, quando intende operare in senso antirazzista, non può limitarsi a
contrastare i razzisti, ma finisce per confrontarsi con gruppi discriminati, che
finiscono per ritenere la discriminazione verso di loro come una cosa normale e
perpetuabile. Così da parte di questi gruppi si mettono in moto meccanismi di
difesa che per "la nostra cultura" sono deleteri o inaccettabili: dal
giustificare il furto come una forma di rivalsa sociale, all'accettare di vivere
di assistenza e carità.
C'è chi tra di noi accetta questo tipo di atteggiamenti, che non hanno niente
di culturale o di immutabile, e chi li contrasta. In tutti e due i casi, il problema rimane
quello del SUPERARLI, come precondizione perché la minoranza venga percepita
come composta da cittadini come tutti gli altri, con PARI DIRITTI e DOVERI.
(Mi rendo conto che sono ragionamenti "tagliati con l'accetta"... e pure teorici, cioè
tutti da approfondire)
Il superamento non è mai facile ma, checché se ne dica, è altrettanto
inevitabile. Sempre sulla base della mia esperienza, non ci sono casi
immutabili. La questione, come in ogni ambito politico, è verso dove andrà
questo superamento, e quale potrà essere la sintesi di voci e obiettivi che
quasi mai concordano in partenza, nonostante tutte le dichiarazioni di buona
volontà. Ad esempio: obiettivo di una maggioranza è l'INTEGRAZIONE della
minoranza, che a sua volta cercherà di mantenere spazi di autonomia, che
talvolta servono a ripetere i meccanismi di gestione e potere già propri della
maggioranza. Il fatto è che il concetto stesso di INTEGRAZIONE presuppone un
modello precedente a cui conformarsi (si presume, da parte dei più deboli),
mentre lo scopo dovrebbe essere che le due parti lavorino, oltre che per l'ovvio
loro interesse economico, per creare un equilibrio più avanzato rispetto ai
modelli precedenti.
Per ottenere questo risultato, il lavoro comune i tutte le parti è
INDISPENSABILE, altrimenti il massimo a cui si può aspirare è un'INTEGRAZIONE
IMPOSTA. Ma, cosa significa operare ASSIEME, soprattutto quali meccanismi di
delega e decisionali competono alla parte minoritaria, che non sempre è coesa o
immune da meccanismi di sfruttamento tra gruppi? Basta coinvolgere alcuni
settori, quelli probabilmente più disposti a collaborare e a cogliere gli
effetti della collaborazione?
Si da il caso che questi settori siano anche quelli che hanno maggior
istruzione, maggiore autonomia sociale ed economica, siano quindi già INTEGRATI
o quasi. Ma che riconoscimento potranno avere nelle fasce più deprivate di
quanti pretendono di rappresentare?
(Notate come partendo dal razzismo, si arrivi a ragionare sui meccanismi che governano le maggioranze stesse?)
Allora: "...
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto
la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.", cioè,
nient'altro che la nostra storia e le nostre migliori tradizioni. Ma, a chi si
riferisce quel testo glorioso? A noi, a un popolo singolo, o dobbiamo
considerarlo come una MISSIONE universale? E, se così fosse, siamo missionari?
E qua, si torna al punto iniziale. C'è un filo che unisce il razzismo
violento o disumanizzante, alla perdita dell'auto-percezione. Se il razzismo
crea quel legame, l'antirazzista può brancolare nei miei confusi ragionamenti,
oppure può scoprire che il razzismo crea le condizioni ottimali per fare
dell'antirazzismo un'impresa: cioè limitarsi a fornire aiuto, assistenza,
mantenendo comunque le cause e le condizioni dell'attuale disparità. Ovviamente,
sarà più facile impostare un rapporto tra padrone-illuminato e sfruttato-senza
storia, la comunicazione non potrà che essere unidirezionale. Il soggetto
dell'aiuto potrà migliorare, ma non potrà mai trovarsi ad un livello paritario.
Dal punto di vista economico: una specie di COLONIANISMO BUONO, con la
controindicazione di avere (percentualmente) gli stessi costi, ma rendite
assolutamente inferiori a quei tempi di schiavismi e cannoniere. Per cui, la
MISSIONE si perde, rimane la giustificazione economica: chiedere soldi in nome
di una carità che serve a pagare dipendenti, progetti, specialisti di ogni
genere, affitti, spese di gestione... o al limite qualche comparsata sui media.
Da
Sinti Italiani in viaggio per il Diritto e la Cultura
Energia elettrica: tornano i contratti a forfait, l'Autorità per l'energia
In queste ore abbiamo verificato che molti gestori, a partire dall'ENEL, non si
sono ancora adeguati alle nuove disposizioni e per questo li invitiamo al
rispetto della Delibera 38/2012. Sinti Italiani ha attivato uno sportello
segnalazioni. Mobile: 334-25.11.887
Ci preme ringraziare il
Presidente dell'Autorità e tutto lo Staff della
Direzione Tariffe, a partire dal Direttore, per la serietà con cui hanno
affrontato la materia e per la loro la capacità di ascolto dimostrata in questi
mesi.
L'Autorità per l'energia e per il gas con
Delibera 38/2012 ha sospeso la
Delibera 67/2010 che abrogava la possibilità di stipulare contratti a forfait a
favore delle famiglie sinte, rom, giostraie e circensi.
Per informazioni! sportello segnalazioni. Mobile: 334-25.11.887 Davide Casadio.
Piazza Cavour, 5
20121 Milano
info@autorita.energia.it
tel. 02655651
fax 0265565266
Di Fabrizio (del 10/05/2013 @ 09:03:46, in Europa, visitato 1610 volte)
Emil Schuka con Vaclav Havel. (Photo: Romano vod'i 4/2013)
Emil Schuka: Manchiamo di un concetto unificante - Prague, 3.5.2013 19:13, (Romano vod'i)
Adéla Galova, translated by Gwendolyn Albert
Dal teatro ai diritti
Emil Schuka è uno dei politici romanì più famosi nella Repubblica Ceca. Si è
laureato in legge ed è stato pubblico ministero, ma il suo sogno era di fare carriera con
qualcosa di totalmente differente. Nel 2001 la rivista Reflex citava queste sue
parole:
"Sin dall'inizio ho avuto un'enorme passione per il teatro, che semplicemente mi
incanta. Per tre volte ho frequentato il Dipartimento di Regia Teatrale al DAMU
(l'Accademia di Arti di Scena) a Praga. Da ragazzo mi esibivo nel teatro della
scuola e durante le superiori ho diretto due gruppi teatrali, uno a scuola e
l'altro nella vicina casa della Gioventù. Pensavo che il teatro fosse lo scopo e
l'ispirazione della mia vita."
Dato che non era stato ammesso all'Accademia, iniziò a cercare qualche altro
campo dove potesse evitare la matematica, che non gli piaceva per niente. Questo
lo portò alla Facoltà di Legge, ed a lavorare come pubblico ministero dopo la
laurea. Tuttavia, Schuka non dimenticò il teatro, e mentre risiedeva nella città
di Sokolov vi fondò il famoso complesso teatrale "Romen".
Euforia della rivoluzione
L'attivismo e il carisma di
Schuka diedero frutto in particolare durante gli anni della rivoluzione e del
post-rivoluzione. Assieme a Ladislav Rusenko, rappresentò il popolo rom durante
quei giorni ferventi. In una memorabile manifestazione a Piana Letna (Praga) il
26 novembre 1989, parlò sul palco assieme a Rusenko, dichiarando il proprio
appoggio al Forum Civico (Obchanské forum - OF) e a Vaclav Havel.
In un'intervista a Jarmila Balazhova del 2004, Schuka ricordava così l'atmosfera
e lo sviluppo degli eventi durante quei giorni rivoluzionari:
"Ero proprio in viale Narodní il 17 novembre, per coincidenza ero con l'etnografa Eva Davidova
e Honza Cherveňak,, e fummo testimoni degli eventi. Non avevamo buone ensazioni.
La sera stessa ci incontrammo con Lad'a
Rusenko e il 18 novembre mettemmo assieme un gruppo di Rom di Praga, perché
allora erano i più vicini a noi. Il 19 novembre scrivemmo un memorandum, che fu
firmato da circa 30 perone, inclusa la dottoressa Milena Huebschmannova.
Essenzialmente, ci era immediatamente chiaro che non potevamo rimenare ai
margini, anche se qualcuno diceva: -Non dovremmo farci coinvolgere, lasciamo che
i gagé se la sbrighino tra loro, aspettiamo di vedere chi vince e gli diremo che
siamo stati dalla loro parte sin dall'inizio. Non mischiamoci con loro, è la
loro guerra.- Naturalmente, non eravamo d'accordo. Quella gente non si unì a
noi, e neanche li volevamo. Non tutti hanno avuto la fortuna di passare per
eventi rivoluzionari ed esserne direttamente al centro. Sono davvero grato di
aver ricevuto questa opportunità. Allora le persone cantavano non solo a Letna,
ma anche in altri raduni sulla piazza Città Vecchia e in piazza Venceslao,
persino fuori Praga. Tutti erano contenti di essersi liberati delle corde che ci
avevano trattenuti. In quella situazione, quando la gente iniziò a respirare più
liberamente, eravamo semplicemente puri, senza secondi fini e noi, i Rom, ne
eravamo parte. Volevamo respirare liberamente e assorbivamo quell'atmosfera
assieme a tutti. Volevamo respirare liberamente e abbiamo assorbito
quell'atmosfera assieme a tutti gli altri. In quei giorni nessuno ho incontrato
attacchi, o pregiudizi, o riserve da parte degli altri."
Se si chiedono a Emil Schuka i suoi personali ricordi su allora, dopo oltre 20
anni, è ovvio che una certa sensazione di disillusione si è accumulata
nell'ultima decade. per raggiungere il culmine. Il suo entusiasmo è andato
perso, e ciò che rimane è il senso di qualcosa di molto tempo fa ed irreale:
"E' stato tantissimo tempo fa, oltre 20 anni, che nel corso di una vita umana è
moltissimo. Su scala storica, naturalmente, è come se fosse ieri. Non mi piace
rimpiangere il passato, come dicono. La prossima generazione sta crescendo qui.
Allora non mi rendevo conto che stavo prendendo parte a qualcosa di speciale, vi
fummo buttati dentro, a piedi uniti. Allora avevo la sensazione che quello su
cui stavamo lavorando potesse avere un futuro. Alcune cose poi sono successe,
altre no. Altre sono cambiate completamente."
L'Iniziativa Civica Romani (Romska obchanska iniciativa- ROI) ed il
collasso degli ideali
Poco dopo la rivoluzione, a marzo 1990, Emil Schuka divenne co-fondatore del
primo partito politico romanì, il ROI, che guidò per diversi anni. L'assemblea
costituente del ROI lo elesse presidente il 10 marzo 1990. Alle elezioni del
giugno 1990 il ROI, che contava 20.000 iscritti in Repubblica Ceca, si unì alla
piattaforma dell'OF e ottenne otto seggi in parlamento. Ovviamente, alle
elezioni municipali di novembre 21990, quando la coalizione dell'OF non li
contemplava, il ROI ottenne solo lo 0,11% dei voti e tre seggi. Il partito
divenne un simbolo, anche se molti dei suoi ideali originali in varie maniere
non trovavano applicazione. Tuttavia, fu Schuka ad insistere sulla proposta di
ancorare la nazionalità romanì nella nuova costituzione, a rendere i Rom cechi e
slovacchi parte dell'Unione Romanì Internazionale e creare il primo partito
unificato romanì.
Nel 2000 Schuka diventò presidente dopo un mandato dell'Unione Romanì
Internazionale. Oltre all'attività politica, fu alla base della creazione del
programma televisivo "Romale" e del primo settimanale romanì "Romano kurko".
Grazie soprattutto a lui, venne istituita la Fondazione Rajko Djuric e avviata
la famosa scuola socio-legale romanì a Kolin. Si iniziò a produrre
professionalmente il programma televisivo "Romale". Schuka creò anche il
festival di folklore internazionale Romfest, la cui edizione inaugurale a
Brno-Lishegn (1991) vide la presenza del presidente Vaclav Havel. Sfortunatamente il Romfest, che3 era quasi inestricabilmente legatoad una famosa fessta folkloristica locale, Strazhnicí ("I Guardiani"), terminò nel 1996. Venne trasformato nelo festival Romska pisenh (Canzone Romanì), che si tiene nella cittadina di Rozhnov pod Radhoshtehm.
Emil Schuka non può evitare di essere critico o quantomeno scettico quando si parla sui risultati dello sviluppo della situazione romanì in Repubblica Ceca, dal periodo post-rivoluzionario sino ai giorni nostri:
La nostra generazione, la generazione dei Romanì di ROI, non lavorava per il denaro, eravamo pieni di ideali. Il
problema più grande che intravedo è che quando è finito il ROI, non c'è stato
più nessuno a continuare, a proporsi. Non intendo a continuare direttamente nel
partito, ma avevamo la possibilità di iniziare qualcosa e mentre vincevamo una
battaglia, non abbiamo vinto la guerra in toto. Non si è trovato nessuno per
continuare il nostro lavoro, e in politica, dove è assolutamente necessario
combattere per ogni singola cosa, questo è un problema piuttosto grande. Da
allora, molti romanì si sono diplomati e laureati, ma tra loro non abbiamo
trovato nessuno che lavorasse concettualmente. Il settore no profit si concentra
su questioni a livello locale e regionale, quando ciò di cui abbiamo bisogno
sono soluzioni concettuali. Questo è evidente in organismi come la Commissione
Interministeriale sugli Affari Comunitari Rom, dove sembra che ogni ministro
debba partire da zero con i propri concetti, invece di portare avanti il lavoro
dei predecessori. La mia critica, ovviamente, è rivolta anche ai nostri stessi
ranghi. Se rimaniamo chiusi in un simile approccio, allora cosa possiamo
aspettarci?
Di Sucar Drom (del 09/05/2013 @ 09:10:29, in blog, visitato 1563 volte)
E' il colore della pelle a fare la differenza?
Romania, workshop per artisti: dalla memoria all'opera
L'istituto romeno nazionale "Elie Wiesel" per gli studi sull'Olocausto in
Romania che ha finanziato diversi studi sul Porrajmos, organizza e promuo...
Uno spazio per la memoria, lettura spettacolo per le Scuole superiori
"UNO SPAZIO PER LA MEMORIA ovvero perché i rom e i sinti avrebbero bisogno
di un buon ufficio stampa" è un progetto ideato da Associazione Sinti Italiani,
Centro TeatroIpotesi, Associazione Sucar Drom e Università Telematica da Vinci
diChieti, indirizzato ai...
1 maggio, la Festa del Lavoro
Les Saintes Maries de la Mer 2013
Razzismo, Josefa Idem: solidarietà alla collega Kyenge
"In qualità di neo Ministra per le pari opportunità, ma soprattutto come donna,
desidero confermare la mia forte solidarietà alla collega Cecile Kyenge per i
vili ep...
La Cassazione pianta l'ultimo chiodo nella bara della cosiddetta "emergenza
nomadi"
La Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato il 15 febbraio
2012 dal Governo Italiano, confermando che la cosiddetta "emergenza nomadi" è
infondata, immotivata e illegittima. La Cassazione ha preso la decisione il 26
marzo 2013, ma solo oggi...
26 marzo 2013, la sentenza e il blitz
BUTTATI GIU', ZINGARO (la storia di Johann Trollmann e Tull Harder)
Il libro di Roger Repplinger, pubblicato dalle Edizioni Upre Roma in
collaborazione con l'Istituto di Cultura Sinta, racconta la vicenda di due eroi
dello sport tedesco che s...
Firenze, diverso da chi? L’istruzione rende liberi di essere se stessi!
Il Corso di Formazione sull’educazione alla diversità è promosso dal Robert F.
Kennedy Center for Justiceand Human Rights con il contributo della Regione
Toscana, il patrocino del Comune di Firenze e in collaborazione con le
Associazioni COSPE, IREOS e SUCAR DROM...
Milano, i rom e i sinti sulla stampa italiana
Presentato oggi a Milano il rapporto “Se dico rom... L'indagine sulla
rappresentazione dei cittadini rom e sinti nella stampa italiana”. Per 10 mesi,
da giugno 2012 a marzo 2013, i volontari dell'associazione Naga hanno analizzato
gli articoli re...
Di Fabrizio (del 08/05/2013 @ 09:05:53, in lavoro, visitato 1556 volte)
CorriereImmigrazione - di Stefano Galieni - 6 maggio 2013
Sono numerosi i cittadini di origine rom che vogliono una diversa identità
non per sfuggire alla giustizia, ma al pregiudizio. Un pregiudizio che mette a
repentaglio tanti diritti, compreso quello al lavoro.
"Può sembrare assurdo, ma cambiare cognome è l'unica soluzione. Solo che ci
vuole troppo tempo e io debbo lavorare". Sandro (necessario omettere il cognome)
è un cittadino italiano di origine rom: "Cittadino da tre generazioni - ci tiene
a precisare - Mio nonno è nato a Fiume, (l'attuale Rijeka, ndr) quando era una
città italiana. Mio padre, emigrato, è nato a Brindisi e io a Napoli, e ho dei
figli qui che rischiano di finire come me". Sandro, dopo una lunga e tormentata
esperienza romana, vive con gran parte della sua famiglia allargata nel
padovano. Da generazioni si tramandano un mestiere tanto difficile quanto
delicato: il restauro degli arredi sacri, soprattutto oggetti in metallo. A Roma
non faticavano a trovare commissioni. Ma adesso è tutto diverso. "Un lavoro con
cui sono nato e che mi piacerebbe tanto continuar a fare - racconta - ma in cui
attualmente sono in difficoltà per due ragioni: la crisi e la diffidenza". In
tempi di magra, anche gli investimenti in opere di questo tipo diminuiscono. Ma
Sandro e tanti suoi parenti non trovano lavoro anche per via di quelle "c" e
quelle "h" con cui termina il loro cognome. "Capiscono subito che sei "zingaro"
- dice - e trovano le scuse per non prenderti, anche se magari sei il solo che
può fare bene un lavoro del genere, che ha le competenze giuste, che conosce i
segreti dei metalli e di come li si pulisce. Ormai pensano che se ti porti "lo
zingaro" in casa, qualcosa ti ruba. Ma che colpa abbiamo noi per reati commessi
da altri?". Allora si affaccia l'idea di cambiare cognome. Togliendo quelle
lettere finali o prendendo magari il cognome italiano della propria madre o
della propria nonna.
Il cambiamento di cognome deve essere autorizzato dal Prefetto e la richiesta
può essere presentata ed esentata dal pagamento del bollo laddove quello che
appare sui documenti sia "ridicolo, vergognoso o rilevante l'origine naturale".
E il terzo caso è certamente quello più appropriato. Ma c'è un iter per compiere
questa procedura, già di per sé lungo e reso ancora più complesso dal fatto che,
dal 9 luglio del 2012, la decisione finale in merito a tale richiesta è di
competenza esclusiva del Prefetto del luogo di residenza o di quello in cui è
registrato l'atto di nascita. L'interessato deve sottoscrivere la domanda in
presenza del dipendente della Prefettura-U.T.G. addetto a riceverla, ovvero
altra persona munita di delega e di fotocopia di un documento di riconoscimento
dell'interessato. La domanda deve essere presentata in Prefettura-U.T.G. e
sottoscritta dal richiedente in presenza del dipendente addetto a riceverla o,
inviata per raccomandata A/R, allegando fotocopia di un documento di
riconoscimento. Qualora la richiesta appaia "meritevole di essere presa in
considerazione", il richiedente sarà autorizzato, con Decreto del Prefetto, a
far affiggere per trenta giorni consecutivi, all'albo pretorio del Comune di
nascita e del Comune di residenza, un avviso contenente il sunto della domanda.
Lo stesso Decreto può prescrivere la notifica del sunto della domanda, da parte
del richiedente, a determinate persone controinteressate. Se entro trenta giorni
dalla data dell'ultima affissione o notificazione nessuno si oppone, il
richiedente deve presentare alla Prefettura copia dell'avviso con la relazione
che attesti l'eseguita affissione e la sua durata. Il Prefetto, accertata la
regolarità delle affissioni e vagliate le eventuali opposizioni, provvederà ad
emanare il Decreto di autorizzazione o di rigetto al cambio del nome e/o del
cognome. Tempi insomma poco compatibili con situazioni di estrema urgenza con
quelli delle circa 50 persone appartenenti alla famiglia di Sandro. Da quanto
poi risulta, anche in assenza di dati verificabili, questo tipo di problematica
è diffuso in maniera estremamente persistente in gran parte del territorio
nazionale.
Tra i rom sono in molti a voler cambiare cognome, rinunciando in parte anche
alla propria identità, non solo per problemi occupazionali. Molti hanno figli
che vanno a scuola e non vorrebbero evitar loro di sentire, sin da piccoli, il
peso della discriminazione, altri vogliono poter trovare una casa in affitto o
accendere un mutuo in banca senza dover temere elementi di pregiudizio. Oltre ai
tempi, esiste poi un elemento di discrezionalità nella decisione che va
considerato totalmente fuori luogo. Difficile giustificare uno Stato che da una
parte non solo non riconosce neanche formalmente i rom come minoranza
linguistica, ma che è stato più volte sanzionato per l'assenza di politiche di
inclusione sociale e per la persistenza di pratiche discriminatorie e che
contemporaneamente si arroga il diritto di decidere se un cognome può essere
cambiato o meno. E comunque la stessa costrizione a dover chiedere di cambiar
cognome, per i motivi raccontati da Sandro, rappresenta una sconfitta culturale
e politica enorme per l'intera società italiana. Se si deve ricorrere ad un
sotterfugio burocratico per veder rispettato il diritto a poter lavorare
onestamente, significa che qualcosa di profondo non è stato affatto rimosso. Ma
Sandro non ha tempo per queste disquisizioni: "Ho una moglie e tre figli da
mantenere e voglio vederli crescere felici - conclude pragmatico. - Forse un
giorno in Italia non ci saranno più questi problemi di cognome e di origini, ma
io oggi ho 41 anni e devo guardare al nostro presente e al futuro dei miei
figli. Quindi che ci vorrebbe a rendere più snelle queste pratiche? Io non ho
nulla da nascondere, mi chiedano quello che serve, ma che si sbrighino per
favore. Altrimenti non so come andare avanti".
Di Fabrizio (del 07/05/2013 @ 09:05:38, in Europa, visitato 1671 volte)
Dall'hindi all'hargot, l'incredibile storia della lingua rom
LesInROCKS -
02/04/2013 | 12h23 par
Eva Bester (nella foto: Il tempo dei gitani di Emir Kusturica)
Parlata da milioni di Rom in tutto il mondo, e dopo aver fornito nobiltà
al francese gergale, la lingua romanì resta quantomeno sconosciuta
Parole come surin (coltello), bouillave (fornicare) e
chourer (da chourave, rubare) fanno parte dei numerosi
imprestiti dal rromanì al francese che vi permettono di dare a qualcuno del
narvalo (sciocco), di insistere sul numero di berges (anni) di un
antenato o ancora di minacciare un caro amico di poukave (denuncia) o
di marave (colpire, uccidere).
Se i francesi si concentrano soprattutto sui termini canaglia, il rromanì
resta una lingua poetica, musicale e millenaria, che non ha visto la sua
ufficializzazione in forma scritta se non dopo il 1990. Come i Rom
(ortograficamente Rrom), è originaria della città di Kannauj, capitale
dell'India oltre 1000 anni fa. Si è costituita sulla base di antiche parlate
popolari indiane, nella forma conosciuta del sanscrito.
Un dialetto diventato lingua attraverso la Storia
All'inizio dell'XI secolo, popoli di lingua rromanì vennero deportati in
Afghanistan dal sultano Mahmoud di Ghazni, per le loro ricercate competenze
artistiche e artigianali. Il sultano desiderava così fare del suo borgo la
capitale dell'universo. Ma in una società islamica rigorosamente sunnita, la
loro cultura indù non si integrò. Il sultano li vendette nel nord del paese,
dove si parlava persiano. Quindi, dopo gli apporti indiani, il rromanì si
arricchì di elementi persiani, ed in seguito ai viaggi, di imprestiti greci a
cui si aggiunsero quelli dei paesi locali dove la maggioranza de Rom ha vissuto
sino ad oggi (Romania, Bulgaria, Serbia, ecc.)
Ancora oggi, la lingua del nord dell'India ha novecento parole in comune col
rromanì. L'impronta indiana è tale che padroneggiando il rromanì si può
decifrare un film in hindi. Al momento della sua uscita in Albania, il
film indiano
Il
vagabondo di Raj Kapoor ha suscitato entusiasmi sino al delirio tra il
pubblico rom, che pensava che lo fossero anche tutti gli attori del film.
Un movimento letterario rromanì molto recente
Non tutti i Rom (tra i 12 e i 15 milioni nel mondo) parlano il rromanì.
Alcuni gruppi sono stati obbligati a dimenticarlo (in Spagna, Inghilterra,
Finlandia...), ed altri l'hanno dimenticato date le condizioni del mondo
attuale. Le memorie più vive si trovano nei Balcani, dove è parato dal 95% dei
Rom. In Francia, su mezzo milione di Rom, si contano circa 160.000 che lo
parlano (poco meno del 30%). La prima menzione di una possibile
standardizzazione del rromanì risale al XIX secolo. quando il polacco Antoine Kalina
notò l'omogeneità profonda della lingua nei diversi paesi dove veniva praticata.
Otto anni dopo, un Rom ungherese, Ferenc Sztojka, pubblicava un dizionario
ungherese-rromanì, contenente circa 13.000 voci e una trentina di poesie in
rromanì. L'autore ambiva a fornire una lingua moderna, con nuove parole ed
espressioni.
Malgrado questi tentativi per accordare al rromanì uno status equivalente
alle altre lingua, occorrerà aspettare gli anni '20-'30 in Russia, perché veda
la luce un movimento letterario rromanì. In quel periodo Lenin insisteva
sull'importanza di dotare di un alfabeto le lingue che non l'avevano.
Dall'Unione Sovietica della fine degli anni '30, molte scuole e sezioni
universitarie offrirono corsi di rromanì. Da allora sono stati tradotti in
lingua quattrocento libri, ed infine si c'è stato l'accesso di grandi autori
come Puskin o Mérimée. Nel 1969 in Jugoslavia esce il primo libro scritto in
rromanì: Il Rrom cerca un posto al sole di Rajko Djurić.
Si traducono Prévert e Barbara in rromani!
Emerge allora un movimento poetico rromanì: lustrascarpe, operai, studenti
dattilografano sulle macchine da scrivere dei loro datori di lavoro poesie in un
rromanì approssimativo, se le scambiano e le leggono durante le sere. Traducano
anche Prévert e Barbara, s'intensifica il desiderio di una scrittura comune. Il
primo congresso rom ha luogo nel 1971 a Londra, e da alla luce la commissione
linguistica dell'Unione Rromani Internazionale, che ufficializzerà l'alfabeto
nel 1990, sotto il patrocinio dell'UNESCO.
Riconosciuto infine come una lingua propria a tutti gli effetti, il rromanì
oggi è insegnato ufficialmente solo in due paesi dell'Unione Europea: in Romania
e in Francia (all'INALCO). Ma come di ce il proverbio: "O gav
p-e dromesqo agor si jekh lachipe, o drom so lingrel tut othe si deś!" (Non
è la destinazione che conta, ma la strada per arrivarci!).
Grazie a Marcel Courthiade, commissario alla lingua ed ai
diritti linguistici per l'Unione Rromani Internazionale e professore di
lingua e civiltà rromanì presso l'INALCO, per la sua conoscenza e gli
illuminanti aneddoti.
Ndr: vedi anche
da
Chiara di notte
Da piccola Anina viveva in clandestinita'. Oggi e' una giovane donna che e'
riuscita, grazie a chi ha creduto in lei, ma soprattutto per il suo impegno, a
cambiare la sua vita, trasformandola in un viaggio incredibile: da quando era
mendicante per i marciapiedi di Lione ad essere finalmente ammessa alla
prestigiosa Universita' della Sorbona.
All'eta' di sette anni, con la sua famiglia, Anina era arrivata in Francia dalla
Romania e non parlava una parola di francese. Ha vissuto nei campi Rom, ha
conosciuto l'esclusione, la discriminazione, il doversi nascondere e chiedere
l'elemosina per le strade per riuscire a sopravvivere. Ma il suo destino e'
cambiato quando un insegnante, vedendola accattonare nelle strade di
Bourg-en-Bresse, le ha porto una mano, e le ha offerto la possibilita' di
frequentare una scuola.
Rifiutata inizialmente dai suoi compagni di classe per le sue origini, ha
reagito attaccandosi ancor piu' allo studio. Lo ha fatto per una questione di
orgoglio, per non soccombere, per dimostrare di non essere inferiore a nessuno,
per non deludere chi aveva creduto in lei. E' cosi' che si e' gettata anima e
corpo sui libri, e questo l'ha portata a raggiungere traguardi che altri, meno
motivati, a volte non riescono a raggiungere neppure durante i consueti anni di
scuola, nonostante tutti gli impedimenti, culturali e linguistici che ha dovuto
superare. Perche' in modo intelligente Anina ha subito capito che lo studio,
piu' di qualsiasi altra cosa, l'avrebbe potuta aiutare a ritagliarsi uno spazio
tutto suo, d'indipendenza e di dignita', dove non sarebbe stata piu' disprezzata
per cio' che era. Ed e' quello che ha fatto.
Oggi, a 23 anni, la sua storia viene raccontata in un'autobiografia, “Je suis
tzigane et je le reste”, scritta in collaborazione con il giornalista di RTL
Frédéric Veille. Oggi, finalmente, da brillante studentessa Anina puo'
riscattarsi, e mitigare la vergogna di essere Rom che i suoi genitori le avevano
trasmesso. Oggi, tutto quello che ha fatto per riappropriarsi della dignita' che
le era stata negata a causa della sua etnia, sta dando i suoi frutti. Nel mese
di settembre, infatti, Anina e' stata ammessa alla Sorbona e studiera' per
diventare magistrato: il suo sogno fin da quando era bambina. Perche' come
afferma lei stessa nel libro: "Il giudice e' il portavoce del diritto, e della
giustizia".
Questa storia di una persona semplice, povera, umile, partita svantaggiata in
tutto, che non ha trovato l'aiuto dei soldi, o dei favori politici, o le strade
preferenziali che vengono offerte solo a chi appartiene a una famiglia potente,
e' ancor piu' emblematica e significativa di tante altre, perche' dimostra che
solo noi stessi, con l'impegno, la volonta' e l'intelligenza, possiamo
riscattare la nostra condizione, e migliorarla. Ed e' per questo che Anina
dovrebbe essere indicata come un esempio per tutte le giovani ragazze Rom, e non
solo.
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