Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 20/03/2010 @ 09:14:18, in Europa, visitato 1993 volte)
ToscanaOggi 17/03/2010 - 16:39
Nazzareno Guarnieri, primogenito di una numerosa famiglia rom, ha
iniziato la sua formazione frequentando con successo il prestigioso Istituto
Magistrale «B. Spaventa» di Città S. Angelo (PE), conseguendo nel 1971 il
diploma della qualificazione magistrale.
La sua formazione continua con il corso biennale di operatore psicopedagogico
presso Università di L’Aquila, e successivamente il corso di mediatore culturale
e la Laurea in psicologia sociale. Il costante impegno volontario e
professionale per la popolazione romanì, la promozione e la realizzazione di
importanti esperienze di interazione culturale e la partecipazione a numerose
iniziative italiane ed europee arricchiscono il percorso formativo di
Guarnieri, tale da essere oggi un professionista, un leader ed un attivista rom
riconosciuto a tutti i livelli.
Nell’anno 2000 e e nell’anno 2002 Nazzareno Guarnieri è il vincitore del Premio
Raffaele Laporta, per la sezione progetti educativi. Nell’anno 2003 Nazzareno
Guarnieri è il promotore del «progetto federazione», un’iniziativa per
sollecitare ed incoraggiare la partecipazione attiva di Roma e di Sinti.
Nell’anno 2009 che è stato eletto presidente della Federazione romanì.
Nazzareno Guarnieri, come mai sembra impossibile stabilire con la minoranza
Rom un sistema di regole condivise e di convivenza pacifica?
«La convivenza con la popolazione romanì oggi è difficile per il radicato
pregiudizio, duro a morire, e per le scelte politiche sbagliate. Una sequenza di
deficit mediatico, culturale, politico, istituzionale di partecipazione attiva e
di conoscenza. Deficit che hanno categorizzato i pregiudizi contro la
popolazione rom e sinta e banalizzato la cultura romanì. Deficit che hanno
ostacolato i processi di scambio culturale, di acculturazione e inculturazione
ed hanno impedito una “canalizzazione politico/istituzionale” alla cultura
romanì. Deficit che hanno portato a generalizzare a tutta la popolazione rom e
sinta la responsabilità del singolo. Una sequenza di deficit che richiedono una
risposta urgente e chiara, capace di abbandonare i diritti differenziati e
l’assistenzialismo culturale, oggi riservati a rom e sinti, e costruire le
relazioni umane e di scambio culturale con la popolazione romanì».
La Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 marzo 2009 al punto 8. riporta:
«La grande maggioranza dei laureati rom non fa ritorno alla propria comunità
dopo il completamento degli studi universitari e che alcuni di essi negano le
proprie origini o non sono più accolti nella loro comunità quando cercano di
farvi ritorno». A Cosa è dovuto questo disconoscimento, forse a discriminazione?
«Questa è una amara verità innegabile non solo per i rom laureati o con al
titolo di studio, ma anche per tanti altri rom che sono riusciti a farcela ad
uscire dalla segregazione e dall’assistenzialismo ed essere protagonisti
positivi e professionisti preparati. La tendenza di addebitare questa scelta di
assimilazione al radicato pregiudizio ed alla discriminazione, così come
attribuire la responsabilità solo alla politica mi pare riduttivo. Credo che
tutto nasca da una perfida combinazione di interventi e di politiche da un lato
limitati agli aspetti sociali, assistenziali e di emergenza, mai culturali.
Questo sta conducendo alla perdita di una identità culturale collettiva,
dall’altro la mancanza di processi di partecipazione reali. Quale possibilità ha
un rom che è riuscito a farcela di rivendicare la propria identità culturale
romanì e collaborare per la crescita sociale e culturale della propria
popolazione? Senza contare gli stereotipi creati ad arte che descrivono lo
zingaro solo come la persona che vive nel campo nomadi, che ruba e non lavora,
ecc. Quindi non solo l’indifferenza e l’assenza di una politica per la cultura
romanì, ma una precisa volontà di gran parte della società civile, che si è
occupata e che si occupa dei rom, di gestire o tutelare, evitando ogni forma di
crescita dell’autonomia e della normalità per i rom. Qualsiasi cultura si evolve
con il contatto e con lo scambio culturale».
Mi faccia capire il vostro punto di forza, da qui l’appello che rivolgete
anche agli stessi Rom è Partecipazione, vuole spiegarmi meglio, cosa vuol dire?
«Dalle esperienze del passato e del progetto federazione, avviata molto
lentamente fin dal dicembre 2003, sono arrivate alcune interpretazioni della
partecipazione attiva dei rom. Non Basta essere Rom ma è necessario che la
partecipazione Rom sia Qualificata. Mi spiego meglio non si tratta di avere o
meno un titolo di studio ma di possedere o acquisire le conoscenze e le
competenze necessarie per una partecipazione qualificata, solo così si può
costruire un processo di formazione alla partecipazione (capacity building) e di
empowerment e di superare la convinzione che la questione rom sia solo una
questione sociale (sicurezza e legalità) e di folclore, effetto delle
improvvisazioni che hanno manipolato la realtà culturale romanì».
Infine vorrei capire, vista anche la sua formazione professionale, cosa
propone per contribuire a una maggiore scolarizzazione dei bambini e bambine
Rom?
«Il fallimento delle politiche del passato per la popolazione romanì dimostra,
anche in questo caso, che senza la partecipazione attiva, propositiva e
professionale di Rom e Sinti ogni iniziativa è destinata al fallimento, bisogna
passare dalla mediazione culturale alla partecipazione.
Le iniziative di scolarizzazione dei bambini rom e sinti devono porsi
l’obiettivo del successo scolastico e non impegnarsi solo per la frequenza. Sono
troppi gli alunni rom e sinti che completano la scuola elementare senza aver
acquisito la strumentalità minima di base: saper leggere, scrivere e far di
conto e nel contempo ritenere che le abilità del bambino rom costituiscano un
handicap. La presenza di bambini Rom nella scuola Italiana è condizionata da
stereotipi e pregiudizi che conducono al fallimento del progetto educativo, e
troppo spesso, è gestita con distanza dalle dinamiche della diversità culturale
e della strategia interculturale. Quindi in breve: formazione per gli
insegnanti, produzione di materiale didattico specifico, realizzazione di un
osservatorio nazionale e regionale, sostenere le sperimentazioni mirate partendo
dalla cultura di origine».
Nei vostri interventi spesso vi pronunciate contro i campi nomadi come
ostacolo alla integrazione, ironia della sorte spesso se ne giustifica la
nascita per preservare la cultura romanì?
«In Abruzzo non vi sono campi rom, i rom che arrivano vengono inseriti in civili
abitazioni con l’ausilio del volontariato sociale. Il campo nomadi è la nostra
tomba non rappresenta la cultura romanì. Spesso proponiamo l’autogestione dei
campi nomadi e usare le ingenti risorse per la gestione dei campi nella
costruzione di politiche abitative serie».
Quale sono i prossimi impegni della Federazione?
«In Spagna a Cordoba il prossimo 8 e 9 Aprile 2010 si svolgerà il secondo
vertice europeo sui rom ed il fatto che si realizzi durante la Presidenza
Spagnola dell’Unione Europea è un buon auspicio perchè la Spagna negli ultimi
anni è stato il paese europeo che più ha investito in politiche sociali e
culturali per la popolazione romanì. Per la grave condizione e discriminazione
della popolazione romani in molti stati Europei, dal secondo vertice europeo sui
rom ci attendiamo conclusioni politiche con la esplicitazione di una strategia
politica chiara ed efficace, strategia che da una parte impegni la Commissione
europea e gli Stati membri dell’UE ad una forte e coordinata azione politica e
degli strumenti giuridici per contrastare l’antiziganismo, dall’altra parte
definisca il ruolo attivo delle organizzazioni rom nei piani d’azione europei e
nazionali, nella progettazione/realizzazione delle politiche per i rom, nel
monitoraggio dei progetti destinati alla popolazione romanì. Vi invitiamo a
consultare il nostro spazio Web:
http://federazioneromani.wordpress.com».
S.V.
LA SCHEDA
Alla popolazione rom si applica, se cittadini stranieri, il decreto legislativo
25 luglio 1998 (Testo unico sull’immigrazione).
Non esistono censimenti ufficiali che dicano con esattezza quanti sono.
In Europa la minoranza rom/sinta è definita «la minoranza più numerosa
dell’Unione europea».
In Italia ci sono una dozzina di etnie molto radicate in precisi territori,
ognuna con proprie tradizioni. Partiti dal nord dell’India e dal Pakistan
intorno all’anno mille, gli zingari si sono stabilizzati nell’est europeo da
dove hanno poi ricominciato altre migrazioni. In Italia i primi arrivano alla
fine del 1300. Quella rom è una delle società più chiuse e tribali che si
conoscano esistono diversi gruppi.
I rom abruzzesi e molisani: i più tradizionalisti, conservano intatto
l’uso del romanì e sono arrivati in Italia dopo la battaglia del Kosovo nel 1392
a seguito dei profughi arbares’h (albanesi). Si dedicano ai mestieri
tradizionali come l’allevamento e il commercio di cavalli ed è molto diffusa tre
le donne (rumrià) la chiromanzia.
I rom napoletani (detti napulengre). Fortemente mimetizzati nel
capoluogo, fino a una trentina d’anni fa fabbricavano arnesi per la pesca e
facevano spettacoli ambulanti. Esistono anche i rom cilentani (una grande
comunità di 800 persone vive a Eboli), lucani (una delle comunità più
integrate), pugliesi, calabresi e i camminanti siciliani.
Sinti giostrai – Sparsi soprattutto tra il nord e il centro Italia sono almeno
trentamila. Arrivati in Italia all’inizio del 1400, sono i depositari del più
antico dei mestieri rom, quello dei giostrai. Un mestiere però che sta
scomparendo trasformandoli in rottamatori di oggetti recuperati tra i rifiuti e
venditori di bonsai artificiali.
I Rom harvati e il sottogruppo dei kalderasha, circa 7 mila
persone arrivate dal nord della Jugoslavia dopo le due guerre mondiali, e i
rom lovara (non più di mille) chiudono il gruppo dei rom con cittadinanza
italiana.
I rom jugoslavi – È possibile suddividerli in due grandi ceppi, i
khorakhanè (musulmani) e i dasikhanè (i cristiano-ortodossi). Vivono
per lo più nei campi nomadi del nord e del centro Italia.
I rom romeni – Quello dalla Romania è ormai un flusso continuo e
inarrestabile. Le più grandi comunità sono a Milano, Roma, Napoli, Bologna,
Bari, Genova ma ormai il fenomeno è in crescita in tutta Italia.
A livello europeo esiste il Dipartimento Rom and Travellers (Rom e
camminanti, due delle varie etnie zingare). L’ufficio, nato nel 1993 a
Strasburgo nell’ambito del Consiglio Europeo per fronteggiare la questione rom,
ogni anno produce pagine e pagine di relazioni, rapporti internazionali,
raccomandazioni.
Se in Italia non è ancora stata affrontata la questione rom, l’Europa è messa
più o meno nelle stesse condizioni.
Negli anni, attraverso numerose Raccomandazioni – ad esempio sulle condizioni
abitative (2005), sulle condizioni economiche e lavorative (2001), sui campi e
sul nomadismo (2004) – si è cercato di dare almeno una cornice di riferimento,
linee guida ai vari stati per gestire la continua emergenza rom.
Uno dei file più aggiornati dell’ufficio europeo sono i numeri. In Europa si
calcola che viva un gruppo di circa 9-12 milioni di persone, nei paesi del
Centro e dell’Est Europa – Romania, Bulgaria, Serbia, Turchia, Slovacchia –
arrivano a rappresentare fino al 5 per cento della popolazione. Scorrendo i
fogli delle statistiche ufficiali europee (aggiornate al giugno 2006), colpisce
come nei paesi della vecchia Europa, nonostante la presenza e l’afflusso
continuo di popolazione rom, manchi del tutto un loro censimento. Sono censiti
solo gli zingari che vivono nei paesi dell’est Europa: dal 1400 la «casa» dei
popoli nomadi in arrivo dall’India del nord est.
La Romania guida la classifica dei paesi con maggior numero di gitani: l’ultimo
censimento ufficiale del 2002 parla di una minoranza che si aggira tra il
milione e 200 mila e i due milioni e mezzo. Seguono Bulgaria, Spagna e Ungheria
a pari merito (800 mila), Serbia e Repubblica Slovacca (520 mila), Francia e
Russia (tra i 340 e 400 mila).
L’Italia è al quattordicesimo posto con una stima, ufficiosa in assenza di un
censimento, che si aggira sui 120 mila. Sappiamo che oggi quel numero è salito
fino a 150-170 mila. Facendo un confronto con i paesi della vecchia Europa, è
una stima inferiore rispetto a Spagna e Francia, Regno Unito e Germania. Sui
motivi di queste concentrazioni la Storia conta poco: se è vero che la Germania
nazista pianificò, come per gli ebrei, lo sterminio degli zingari (porrajmos) e
nei campi di concentramento tedeschi morirono 500 mila rom, in Spagna la
dittatura di Franco ha tenuto in vigore fino agli anni settanta la legislazione
speciale contro i gitani eppure gli zingari continuano ad essere, e sono sempre
stati, tantissimi.
Lo statuto francese – Nonostante «la grande preoccupazione» del Consiglio
europeo «per i ritardi e l’emarginazione», la Francia (con 340 mila o un milione
di manouche) sembra aver adottato il modello migliore sul fronte
dell’accoglienza per i rom. Un modello che si muove tra l’accoglienza e la
tolleranza zero, due parametri opposti ma anche complementari: da una parte la
legge Besson che prevede che ogni comune con più di cinquemila abitanti sia
dotato di un’area di accoglienza; dall’altra la stretta in nome della sicurezza.
Chi non rispetta le regole dei campi e dell’accoglienza è fuori per sempre. E
chi occupa abusivamente un’area può essere arrestato e il mezzo sequestrato. La
legge Besson immagina i campi come una soluzione di passaggio e prevede,
contestualmente, un programma immobiliare di case da dare in affitto ai gitani
stanziali e terreni familiari su cui poter costruire piccole case per alcune
famiglie semistanziali e in condizioni molto precarie.
Il caso tedesco – In Germania i 130 mila circa tra Rom e camminanti sono
considerati per legge «minoranza nazionale». Dagli anni sessanta, con la caduta
del modello socialista titino e con le prime diaspore rom dall’est europeo verso
l’occidente europeo che poi si sono ripetute negli anni ottanta e novanta con le
guerre nei Balcani, la Germania ha accolto queste migliaia di persone in fuga
con un progetto di welfare. Sono state assegnate case, singole o in palazzine
popolari, hanno avuto il sussidio per il vitto, chi ha voluto è stato messo in
condizione di lavorare.
La Spagna – La Spagna ha una delle comunità gitane più popolose e in
Europa occupa il terzo posto dopo Romania e Bulgaria con 800 mila presenze.
Dalla fine degli anni Ottanta il governo centrale ha elaborato un Programma di
sviluppo per la popolazione rom. Anche in Spagna ogni regione ha un Ufficio
centrale che coordina gli interventi e le politiche per gli zingari in cui
lavorano sia funzionari del governo che rom con funzioni di mediatori culturali.
Il risultato è che non esistono quasi più campi nomadi, quasi tutti vivono in
affitto nei condomini popolari o in case di proprietà, nelle periferie ma anche
nelle città. Dipende dal livello di integrazione. Che è in genere buono anche se
resta alto il tasso di criminalità.
Di Fabrizio (del 18/03/2010 @ 09:07:44, in Europa, visitato 2821 volte)
Una
segnalazione del mese scorso. Interviene una voce importante. La traduzione
dallo spagnolo è di Zelda Sayre Giannini
Da un Articolo di Juan de Dios Ramírez-Heredia, Presidente della Unión
Romaní Española (Unione Rom Spagnoli)
la foto è tratta da
http://www.psoe.es/ambito/pueblogitano/news/index.do?action=View&id=411207
Nella città Slovacca di Ostrovany hanno costruito un muro di 150 metri largo e 2
metri alto per isolare la Comunità Gitana dal resto della popolazione .E'
difficile credere che questo avvenga in un paese, membro dell' "Unione" (??)
Europea nel 20° anniversario, appena concluso,della caduta del muro di Berlino.
[...]
Nel 1961 le autorità comuniste,che hanno governato la Germania,divisa dopo la
Seconda Guerra Mondiale, per evitare che molti cittadini fuggiti in altre aree
di libertà, hanno costruito quel muro orrendo che ha visto per oltre
quarant'anni ha diviso i cittadini a causa delle loro convinzioni,in spazi
chiusi,dove ogni tentativo di raggiungere la libertà era pagato con il carcere o
con la vita. Ho avuto la fortuna di vivere in prima persona a Berlino, la notte
meravigliosa quando la parete è stata distrutta. A quel tempo ero un deputato al
Parlamento europeo e appartenevo alla commissione giustizia. Il 9 di novembre
del 1989 i tedeschi da entrambi i lati del muro con martelli e asce e con tanto
entusiasmo e forza fisica hanno distrutto questa vergogna che ha diviso intere
famiglie per quattro decenni. Quella sera andai a letto presto, ma un uomo che
dormiva nella stanza accanto alla mia in albergo ha bussato alla mia porta
dicendomi di alzarmi, dovevamo andare in piazza per vivere intensamente un
evento storico unico: la distruzione del muro. Ho passato tutta la notte per
strada, felice, guardando il trionfo della libertà. Ogni masso che ho visto era
come una tromba che annuncia un nuovo giorno. Ogni colpo all' infamia era come
una nota che ha contribuito al raggiungimento del miglior inno esaltante la pace
e l'armonia fra gli esseri umani. Ovviamente non ho potuto resistere alla
tentazione di portarmi in Spagna alcuni pezzi del muro che ho diviso tra gl,i
amici e la famiglia. Ancora oggi, c'è sullo scaffale nel mio ufficio un po 'di
muro, testimone muto di tanta infamia.
La stampa locale e internazionale ha definito il nuovo muro slovacco "muro di
Berlino".A 20 dalla caduta del simbolo della divisione dell'Europa.
Cirillo Revákl,Sindaco di Ostrovany , dice che non è razzista perché sa che
"ci sono tante persone oneste tra i nostri zingari". Ma giustifica la
costruzione del muro, principalmente con l'accusa che i vicini gadchés (i Rom,
Sinti, i Gitani... con il termine Gagè indicano i non Zingari , cioè noi
)sollevano verso gli Zingari e cioè quella di cogliere spesso i frutti dagli
alberi dei giardini privati. !!!!!!!!!!! :((((
Dice uno Zingaro condannato a vivere dall'altra altra parte di questo muro che
la separazione non aiuta nessuno, ne i gadchés ne gli Zingari. E altri,
rassegnati al loro destino, dicono di sentirsi come uno zoo. Povera gente! Ora
possono saziare la loro fame e la loro miseria con la frutta "generosamente"
versata loro dalle autorità razzista di Ostrovany dall'altra parte del muro,
come hanno fatto i miei figli quando erano piccoli gettando le mele per le
scimmie nel parco.
Ho appena fatto un viaggio indimenticabile e scioccante in Polonia. Oltre a
visitare i campi di sterminio di Majdanek, Treblinka e Auschwitz, dove più di
mezzo milione di Zingari furono gassati unitamente milioni di ebrei, ho visto i
resti delle mura che hanno modellato il ghetto di Varsavia, Lublino e Cracovia.
Sono testimonianze vive, laceranti, l'epoca più difficile e più INFAME del
genere umano. La gente si CONFINAVA dietro a quelle mura, prima di CONDANNARLA a
MORTE
Sappiamo che in Slovacchia c'è una destra, fascista e violenta che vorrebbe
ripetere quelle pagine nere della storia d'Europa. Loro possono essere anche gli
eredi di quegli assassini che hanno collaborato con il genocidio, quando il loro
paese stava vivendo l'aggressione dei nazisti che li opprimevano la Polonia a
nord e l'Ungheria a sud. A Noi, gli Zingari in tutto il mondo,fa ORRORE quella
massima che dice: "Le persone che dimenticano la loro storia sono condannati a
ripeterla" non è un caso che questa frase è scritta all'ingresso del blocco
numero quattro del campo di sterminio di Auschwitz in polacco e in inglese: "
Kto nie pamięta historii, skazany jest na jej ponowne przeżycie ". "The one who
does not remember history is bound to live through it again. "
CHI NON RICORDA la STORIA è CONDANNATO a VIVERLA di NUOVO !!!!!!!
Di Fabrizio (del 17/03/2010 @ 09:07:03, in Europa, visitato 1624 volte)
Di questa
storia se n'è parlato più volte in Mahalla
Osservatorio sui Balcani - Fuori dall'ombra
12.03.2010 Da Capodistria, scrive Stefano Lusa
Foto di Fabrizio Giraldi
Era la più grave violazione dei diritti dell'uomo della sua storia recente.
Ora finalmente sanata. La Slovenia ha restituito ai cosiddetti ''cancellati'' i
loro diritti. In 13.000 potranno ora riottenere la residenza
La Slovenia ha posto rimedio alla più grande violazione dei diritti dell’uomo
nella sua storia recente. Il parlamento, infatti, ha varato una norma che
consentirà a quei cancellati, che non avevano potuto farlo sin ora, di
riottenere la residenza. Dei complessivi 25.761 sono ancora oltre 13.000 coloro
che non hanno regolato il loro status. Nessuno sa quanti di essi vivano ancora
in Slovenia e quanti sono coloro che, dopo anni passati all’estero, possano
essere interessati a riottenere la residenza.
Il ministro degli Interni Katarina Kresal, nel presentare[] il provvedimento,
aveva invitato i deputati ad approvarlo “se non già per un vincolo etico nei
confronti delle persone a cui lo stato 18 anni fa ha fatto un torto, per
rispetto della costituzione”. Da anni la polemica sui cancellati è altissima e
anche questa volta il centrodestra non ha lesinato strali nei confronti del
ministro e del provvedimento. Molto si è puntato sui risarcimenti che adesso i
cancellati potrebbero richiedere alle vuote casse dello stato. La Kresal non si
è scomposta più di tanto e come al solito ha continuato a ribadire l’importanza
del rispetto della costituzione, delle leggi e dei principi dello stato di
diritto.
Ora ci saranno tre anni di tempo per presentare formale richiesta. Quello che,
però, appare più importante è che, in qualche modo, si chiede scusa per quanto
accaduto. C’è voluta una generazione di politici nuovi. Troppo giovani per
essere sulla scena politica all’epoca dei fatti e per avere scheletri negli
armadi.
La cancellazione risale all’epoca della proclamazione dell’indipendenza.
Lubiana, si era impegnata a concedere la cittadinanza a tutti i residenti che si
erano trasferiti nella repubblica dalle altre parti della federazione. Gli
immigrati erano circa 200.000. In oltre 170.000 ottennero la cittadinanza.
All’epoca qualcuno decise di andarsene, altri non riuscirono a raccogliere la
documentazione necessaria o si videro respinta la domanda, altri ancora non
presentarono richiesta di cittadinanza, pur avendo intenzione di continuare a
vivere in Slovenia. Per loro cominciò una vera e propria via crucis. Le autorità
pensarono bene di depennarli dall’elenco dei residenti. L’operazione comportò
per loro la perdita di tutti i benefit di cui godevano. Persero il diritto al
lavoro, all’assistenza sanitaria, all’acquisto a prezzo agevolato della casa ed
altro ancora. In sintesi persero il diritto di continuare a vivere nella
repubblica e si trovarono d’un tratto ad essere clandestini nel paese dove
avevano vissuto per decenni o erano addirittura nati.
La cancellazione avvenne in maniera arbitraria e del tutto illegalmente. In ogni
modo quell’operazione, fatta in gran segreto, poté contare su un consenso
sociale altissimo. L’opinione pubblica d’altronde pensava che, in fondo, quelli
erano potenziali nemici, oppositori dell’indipendenza slovena. In ogni modo
avevano avuto la possibilità di regolare la loro posizione e non avevano voluto
farlo. La cosa ovviamente non era vera, anche perché nessuno aveva spiegato loro
che se non avessero ottenuto la cittadinanza avrebbero perso anche i diritti
legati alla residenza.
Il problema dei cancellati cominciò ad emergere negli anni successivi. Le loro
tristi storie iniziarono ad essere raccontate dai giornali e già 15 anni fa il
neo nominato tutore dei diritti civili puntò il dito sulla questione sin dal suo
primo rapporto. Era facile rendersi conto che ci si trovava di fronte ad una
palese violazione dei diritti dell’uomo, orchestrata consapevolmente o meno
all’epoca del primo governo sloveno democraticamente eletto, formato da una
coalizione di centrodestra. Quando, poco dopo, il centrosinistra prese in mano
per più di un decennio le redini del paese non si preoccupò di porre rimedio
alla questione.
Il problema finì di fronte ai giudici della Corte costituzionale. Il primo
ricorso venne presentato nel 1994. Per arrivare ad una sentenza si dovette
attendere ben 5 anni. L’Alta corte stabilì l’illegalità della cancellazione e
diede 6 mesi di tempo al legislatore per correre ai ripari. Da quel momento i
politici, loro malgrado, cercarono una soluzione. Venne approvata una prima
legge che consentiva ai cancellati ancora in Slovenia di regolare la loro
residenza, successivamente vennero approvate delle modifiche alla legge sulla
cittadinanza che apriva loro le porte all’ottenimento del passaporto sloveno.
La questione era diventata materia di scontro politico. Intanto i cancellati
avevano costituito una loro associazione. A battersi per i loro diritti oramai
erano scesi in campo Amnesty International, l’Istituto per la pace e le altre
organizzazioni impegnate sul fronte della tutela dei diritti dell'uomo. Al loro
fianco c’era anche un ex giudice della Corte costituzionale, Matevž Krivic, che
divenne il loro portavoce.
La battaglia continuò con nuovi ricorsi alla Corte costituzionale. I giudici
stabilirono che la residenza doveva essere riconosciuta retroattivamente, sin
dal momento della cancellazione. Il governo allora preparò un’apposita legge e
l’opposizione indisse un referendum. Nel 2004 il 94% degli elettori disse no
alla normativa, ma la partecipazione al voto fu solo del 31%. Si proseguì con
manifestazioni, scioperi della fame e ricorsi al Tribunale europeo per i diritti
dell’uomo.
La Slovenia, che era uscita dallo sfaldamento della Federazione jugoslava con
l’immagine di un paese ordinato, si trovava a dover rispondere di una palese
violazione dei diritti umani, ormai sotto gli occhi della comunità
internazionale.
L’impegno a risolvere definitivamente la questione è comunque venuto dal nuovo
governo. La soluzione della questione dei cancellati è stata persino inserita
nell’accordo di coalizione. Molti però dubitavano che si avesse realmente
intenzione di fare sul serio.
Il ministro degli Interni Katarina Kresal ha stupito tutti e non ha mancato di
precisare che era intenzionata a chiudere la vicenda anche a rischio della sua
popolarità. Il ministero, così, con gran sgomento dell’opposizione, prima ha
fornito il
dato esatto dei cancellati, poi ha portato a conclusione il
procedimento di riconoscimento della loro residenza con effetto retroattivo per
coloro che avevano già regolato il loro status ed infine ha fatto approvare la
legge che risolverà definitivamente il problema anche per gli altri.
Di Fabrizio (del 16/03/2010 @ 09:23:18, in Europa, visitato 1648 volte)
Da
Roma_Francais
I Rom: una libertà pagata cara
par D. Sabo
Le popolazioni nomadi zigane si confrontano a discriminazioni persistenti
e subiscono una profonda esclusione sociale. Iniziative cittadine ed azioni di
sensibilizzazione permettono, in alcuni casi, di contrastare gli attentati ai
loro diritti.
Occorre vedere il magnifico film "Liberté" di Tony Gatlif. Si riferisce
alla persecuzione dei Zigani durante la II guerra mondiale. Una zona d'ombra che
il cineasta ha superbamente messo in luce con la storia di Taloche, uno zigano
internato nel campo di Montreuil-Bellay, sotto Vichy, storia ispirata del libro
di Jacques Sigot "Questo filo spinato dimenticato dalla storia" (edizioni
Wallâda).. Non lo si ricorda spesso
ma sui due milioni di zigani che vivevano in Europa, tra i 250.000 ed i
500.000 furono deportati nei campi di concentramento. Pochi lo sanno: 40.000
zigani sono stati rinchiusi in trenta campi francesi durante la guerra. Il
rigetto della popolazione dei Rom è antico e persiste,, per quanto siano del
tutto cittadini europei. Dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007, i Rom
costituiscono la più grande minoranza etnica della UE. Malgrado la loro
cittadinanza europea, restano vittime di ostracismo e si confrontano con le
discriminazioni. Il considerevole apporto che queste popolazioni potrebbero
avere nella società europea è ignorato, per l'effetto di stereotipi e pregiudizi
che si esprimono con discriminazioni economiche, sociali e politiche. Tre
rapporti* sul razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo e
l'intolleranza in Repubblica Ceca, Grecia e Svizzera, sono stati pubblicati il
15 settembre 2009. Anche se si osserva un'evoluzione positiva in ciascuno dei
tre stati membri del Consiglio d'Europa, i rapporti rilevano, nel contempo,
alcuni fatti che rimangono preoccupanti. In Repubblica Ceca, i Rom si
confrontano con la segregazione nell'istruzione e l'alloggio ed alla
discriminazione nell'impiego. Si osserva un'intensificazione che lascia
ammutoliti, delle attività di gruppi di estrema destra. Un nuovo codice penale è
stato adottato nel 2008 e contiene disposizioni più complete in materia di lotta
al razzismo. In Grecia, i Rom conoscono ugualmente problemi di impiego, di
alloggio e di giustizia. La legislazione che proibisce l'incitamento all'odio
razziale è ancora poco applicata. Anche in Svizzera si assiste ad una
pericolosa intensificazione dei discorsi politici razzisti contro i nuovi
cittadini. La legislazione non è sufficientemente sviluppata per trattare la
discriminazione razziale diretta che tocca in particolare i musulmani, le
persone originarie dei Balcani, della Turchia, dell'Africa ma anche la gens du
voyage. Segnali incoraggianti La situazione è particolarmente
delicata per le donne rom. E non solamente in questi tre paesi. Il 12 gennaio
2010, le donne rom hanno urgentemente invitato i governi europei a rispettare i
loro diritti fondamentali. Alcuni di questi governi praticano la sterilizzazione
forzata. Misure concrete sono prese poco a poco per compensare le vittime,
sanzionare gli autori di tali atti ed avviare una riforma del settore medico
pubblico perché i diritti delle pazienti siano rispettati. Le conclusioni di
una conferenza delle donne rom europee che si è tenuta ad Atene l'11 ed il 12
gennaio 2010, hanno sottolineato la necessità di prevenire ogni segregazione di
fatto in materia di alloggio e d'istruzione, promuovendo i principi di qualità e
d'integrazione. Le partecipanti hanno ugualmente incoraggiato le militanti rom e
chi difende i diritti umani ad agire presso le comunità rom per sensibilizzarle
nei loro diritti fondamentali e facilitare il loro accesso ai servizi pubblici
ed ai dispositivi destinati a far rispettare la legge. L'integrazione delle
comunità rom dipende dalla responsabilità condivise tra gli stati membri e la
UE. La UE dispone di un solido arsenale giuridico per lottare contro le
discriminazioni. Ricorre ai fondi strutturali europei ed organizza iniziative di
sensibilizzazione sulle discriminazioni nei confronti dei Rom. Inoltre,
un'azione coordinata è condotta in alcuni grandi settori particolarmente
importanti per l'integrazione dei Rom, come l'istruzione, l'occupazione e
l'integrazione sociale. Nel quadro della sua partecipazione al "2010 - Anno
europeo di lotta contro la povertà e l'esclusione sociale", la direzione
Istruzione, Cultura, Multilinguismo e Gioventù della Commissione Europea
organizza un'esposizione ed una conferenza dedicate all'aiuto che forniscono i
programmi dell'UE alla minoranza rom. Ed in Francia? Neppure
nell'Esagono, la situazione dei Rom è facile. Per la maggior parte cittadini
dell'Unione Europea dopo l'entrata della Romania e della Bulgaria in
quest'insieme, sono trattati come "cittadini di seconda zona". Le Comunità
zigane sono le prime vittime della politica del numero e della paura in materia
d'immigrazione. Inoltre gli ostacoli all'azione umanitaria si sono intensificati
e moltiplicati nel 2008-2009. L'azione umanitaria è sistematicamente considerata
come sospetta dai pubblici poteri. È un fenomeno nuovo di cui si possono
purtroppo citare numerosi esempi. "Le popolazioni sono state incessantemente
sgomberate e rese precarie, ciò che impedisce alle OnG di di occuparsene e
mantenere un legame sociale. Le loro espulsioni ripetute senza soluzione di
rialloggiamento comportano esaurimento, interruzione di cure e di seguito
medico, in particolare delle donne incinte e dei bambini" deplora il dott.
Bernard dell'associazione Médecins du Monde. Occuparsi dei più poveri diventa
sempre più difficile. L'80 % dei pazienti non hanno alcuna copertura malattia
mentre vi avrebbero diritto ed il 20 % non dipendono da alcun dispositivo.
Nell'estate 2009, lo stato francese ha chiesto l'espulsione del campo
urgentemente installato a Saint Denis da Médecins du Monde per famiglie rom
sulla strada. La mobilizzazione de più di trenta associazioni (Fondazione Abbé
Pierre, Soccorso cattolico, Romeurope, ATD Quarto Mondo, il Droit au Logement
(DAL), la Lega dei Diritti dell'Uomo (LDH), Rete Istruzione Senza Frontiere) e
l'azione della giustizia hanno permesso tuttavia di contrastare questa
richiesta.
Il tribunale ha così respinto la domanda d'espulsione formata dal prefetto di
Seine Saint Denis, riconoscendo così la situazione urgentemente umanitaria nella
quale si trovano i Rom dell'Ile de France. "Una presa di coscienza della gravità
della situazione sanitaria dei Rom comincia ad emergere„ si rallegra
Médecins du Monde anche se rimane da trovare una soluzione definitiva per le
famiglie. * Questi rapporti fanno parte del quarto
ciclo seguito dall'ECRI. ECRI è un meccanismo indipendente dal Consiglio
d'Europa che si occupa dei problemi del razzismo e dell'intolleranza, prepara
relazioni ed indirizza delle raccomandazioni agli Stati membri. Le relazioni per
paese, con le osservazioni dei governi allegate, sono disponibili su:
www.coe.int/ecri
Di Fabrizio (del 15/03/2010 @ 09:19:14, in Europa, visitato 1399 volte)
Da
Roma_Francais
Par Chloé Leprince
05/03/2010
Eccetto che sulle pagine locali del Parisien, l'espulsione della gens du voyage
da un accampamento a Ris-Orangis (Essonne) ha fatto poco rumore. Tuttavia,
almeno in due avete allertato a riguardo Rue89 negli ultimi giorni. Piuttosto
offesi da ciò che ritenevate rilevare dai slittamenti elettoralisti in questo
dipartimento dell'Ile-de-France.
Al cuore delle vostre reazioni: il tono utilizzato da un sindaco dell'UMP dei
dintorni nel gridare vittoria. Precisamente Stéphane Beaudet, eletto nel 2001
sindaco della cittadina vicina di Courcouronnes.
In un messaggio inviato ai suoi amministrati il 1 marzo e sul suo blog, il
sindaco scrive in grassetto: "Abbiamo vinto!" Si bea che "l'appello alla
mobilitazione" abbia pagato - "un metodo che funziona", recita l'editto che
chiamava gli abitanti del suo comune a manifestare contro la presenza,
dall'estate 2009, di una quindicina di carovane in un piccolo bosco nella vicina
località.
Stéphane Beaudet quindi non era immediatamente coinvolto nella questione: il
terreno in oggetto appartiene allo stato ed è situato nel territorio di Ris-Orangis.
Ne le Parisien del 26 febbraio, lo riconosceva lo stesso sindaco:
"Il terreno non appartiene al comune, quindi non posso far ricorso alla
giustizia per far chiudere [l'accampamento]."
Crociata contro quanti "fanno marcire la vita degli abitanti".
Tuttavia, se la cosa esce dalle sue prerogative, il sindaco UMP sembra avere
deciso di partire per la crociata. Un po' troppo, il termine di "crociata"? L'
appello alla mobilizzazione era però esplicito. Un opuscolo, redatto in parte in
lettere maiuscole, che gridava così da alcune settimane:
"La partenza immediata della gens du voyage non sarà negoziabile."
Per arringare i suoi amministrati, Stéphane Beaudet non ha lesinato i toni
razzisti. In particolare ha accusato la gens du voyage di Ris-Orangis di
"avvelenare la vita degli abitanti".
Precisione significativa: il fatto è che l'eletto è, d'altra parte, candidato
della maggioranza presidenziale nell'Ile-de-France alle regionali. Caso del
calendario? Mentre la scadenza elettorale si avvicinava, il tono s'è fatto più
duro. Al punto che Stéphane Beaudet aveva semplicemente chiamato i suoi abitanti
a costruire pareti di terra attorno all'accampamento allo scopo di bloccarne l'
accesso. Ciò che non ha mancato di offendere il sindaco di Ris-Orangis.
Quest'ultimo è socialista.
Di Fabrizio (del 13/03/2010 @ 09:25:48, in Europa, visitato 1877 volte)
Da
Nordic_Roma
TheLocal.se
05/03/2010 - Ha detto il Tavolo Svedese sulle Migrazioni, che circa 1.000
Rom, soprattutto dalla Serbia, sono stati attirati quest'anno da un viaggio
verso la Svezia, nella vana speranza di un permesso di residenza.
Bus riempiti di Rom sono arrivati a Gothenburg e Malmö quasi su basi
giornaliere.
"Agenzie viaggi guidate da affaristi senza scrupoli truffano persone già
vulnerabili di loro nel venire in Svezia," ha detto Dan Eliasson, direttore
generale del tavolo.
Il capo del tavolo sulle migrazioni consiglia ai Rom di non intraprendere il
lungo viaggio verso la Scandinavia, perché le possibilità di ottenere una
residenza garantita sono "straordinariamente poche".
"Probabilmente si trovano a vivere in difficili condizioni sociali e forse
subiscono anche discriminazioni, ma questo non da loro il diritto alla
protezione in Svezia. Generalmente verranno rapidamente informati che non
potranno avere un permesso di residenza e che dovranno tornare in patria," ha
detto Eliasson, aggiungendo che la gran maggioranza arriva in Svezia dalla
Serbia, ma anche dal Montenegro settentrionale e dalla Macedonia.
I Rom in Serbia sono considerevolmente più poveri del resto della
popolazione, e sono emersi sporadici rapporti di violazioni perpetrate contro i
Rom in Serbia, Kosovo e, recentemente, in Italia.
Ma per ottenere l'asilo bisogna essere capaci di mostrare di essere
perseguitati ed a rischio di trattamenti violenti. E' molto difficile ricevere
asilo dall'Europa," ha detto Eliasson.
TT/The Local (news@thelocal.se; 08 656 6518)
Di Fabrizio (del 09/03/2010 @ 09:37:50, in Europa, visitato 1548 volte)
Ricevo da Roberto Malini
A seguito di un ricorso dell’ERRC, il Comitato conclude che la Francia ha
violato la Carta Sociale europea. Analogo ricorso pendente contro l’Italia,
presentato dal Center on Housing Rights and Evictions (COHRE) in base a
documenti, prove, testimonianze e fotografie trasmesse al Centro dal Gruppo
EveryOne, da Viktoria Mohacsi e da altre organizzazioni per i Diritti Umani.
Strasburgo, 5 marzo 2010. Con una decisione del 19 ottobre 2009, ma resa
pubblica il 27 febbraio 2010, il Comitato europeo dei diritti sociali ha
concluso che la Francia ha violato l'art. 31 commi 1 e 2, l'art. 16, l'art. 30,
l'art. E in collegamento con gli art. 31, 30 e 16, e l'art. 19 c. 4 della Carta
Sociale europea, non assicurando alle popolazioni nomadi e Rom misure
sufficienti per soddisfare il loro legittimo diritto ad un alloggio
adeguato, per contrastare la loro povertà ed esclusione sociale e
conseguentemente anche garantire il rispetto della vita familiare.
Il Comitato del Consiglio d'Europa, chiamato a monitorare l'applicazione degli
obblighi scaturenti dall'adesione degli Stati alla Carta sociale europea, ha
ritenuto la Francia in violazione dell'art. 31 della Carta relativo al diritto
all'accesso all'abitazione, in conseguenza di un'insufficiente implementazione
della legislazione sulla realizzazione di campi sosta. Ugualmente il Comitato ha
ritenuto insoddisfacenti gli sforzi compiuti dalle autorità francesi per venire
incontro ai bisogni alloggiativi delle popolazioni "nomadi" che desiderano
adottare uno stile di vita sedentario. Il Comitato ha infatti concluso che gli
interventi volti a tenere conto degli insediamenti di tali popolazioni nella
pianificazione urbanistica sono lasciati alla discrezionalità delle autorità
locali ed insufficienti risorse vengono investite allo scopo. Ugualmente il
Comitato ha ritenuto che i provvedimenti di sgombero attuati nei confronti di
gruppi di nomadi, in particolare quelli adottati con urgenza per motivi di
ordine, igiene e sicurezza pubblica, hanno determinato una violazione delle
norme della Carta sociale europea in relazione al loro carattere sproporzionato
e alla violenza spesso utilizzata.
Secondo il Comitato, inoltre, tali violazioni del diritto all'accesso ad un
alloggio adeguato si sono determinate perché le autorità francesi non hanno
sufficientemente preso in considerazione i bisogni specifici delle popolazioni
rom e nomadi, tanto di quelle che desiderano continuare a condurre uno stile di
vita nomade, quanto di quelle che invece sentono l'esigenza di una maggiore
sedentarizzazione. Con questo, le autorità francesi hanno dunque violato il
principio di eguaglianza sostanziale e di non discriminazione per motivi
etnico-razziali, di cui all'art. E della Carta sociale europea.
La mancanza di adeguate risorse investite per venire incontro alle specifiche
esigenze abitative delle popolazioni Rom e nomadi ha dunque determinato per il
Comitato la violazione da parte della Francia del diritto di tali popolazioni ad
essere protette dalla povertà e dall'esclusione sociale.
Un ricorso analogo è stato inoltrato dal Centro on Housing Rights and Evictions
(COHRE ) contro l'Italia ed è stato dichiarato ammissibile con decisione del
comitato europeo per i diritti sociali l'8 dicembre 2009. Nel corso dell'anno
sarà dunque deciso nel merito.
Tutti i documenti riguardanti il ricorso pendente contro l'Italia (Complaint n.
58/2009) possono essere consultati sul sito web:
http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/socialcharter/Complaints/Complaints_en.asp
European Committee of Social Rights, Decision on the merits, European Roma
Rights Center v. France, 19 October 2009 (Complaint n. 51/2008)
Di Fabrizio (del 06/03/2010 @ 09:14:41, in Europa, visitato 1583 volte)
Da
Roma_Benelux
Navi Pillay, Alto commissariato dell'ONU per i diritti umani, s'è preoccupato
giovedì a Ginevra per la discriminazione di cui soffrono in Europa "i migranti e
le minoranze, come quella dei Rom", particolarmente in Slovacchia, Repubblica
Ceca ed Italia.
"Mentre l'Unione Europea ed alcuni governi europei hanno cercato di
migliorare la situazione dei Rom, in molti altri paesi, tra cui la Slovacchia e
la Repubblica Ceca, la loro condizione sembra peggiorare", a dichiarato Mme
Pillay presentando il suo rapporto annuale al Consiglio dei diritti dell'uomo
dell'ONU.
"Inoltre," ha proseguito, " i Rom continuano a confrontarsi con un razzismo
aperto e con aggressioni condotte da protagonisti non-statali".
Mme Pillay ha tra l'altro annunciato che "affronterà con le autorità italiane
il problema della discriminazione e delle aggressioni contro i Rom, così pure
contro i migranti", durante la sua visita in Italia prevista per la settimana
prossima.
Una reale "caccia al nero" è stata condotta gennaio scorso a Rosarno (...) da
centinaia di abitanti contro i lavoratori agricoli africani, impiegati per la
maggior parte illegalmente nella raccolta di arance e mandarini. Un migliaio di
loro aveva lasciato la città e l'incidente aveva rivelato le condizioni
deplorevoli nelle quali vivevano e lavoravano questi migranti.
04/03/2010 (AFP)
Di Daniele (del 03/03/2010 @ 09:48:52, in Europa, visitato 2164 volte)
Sotto il ponte
OsservatorioBalcani 02.03.2010 Da Belgrado, scrive Cecilia Ferrara
E' uno dei ponti principali di Belgrado e ora sta cedendo. La storia del
ponte Gazela, dei finanziamenti europei per ricostruirlo e soprattutto delle 175
famiglie rom che per anni vi hanno vissuto proprio sotto. Un reportage
Scena 1: Belgrado, 28 gennaio 2009. Il ponte Gazela è chiuso al
traffico merci, sono stati scoperti cedimenti nelle travi portanti. Qualsiasi
mezzo a 4 ruote evita il ponte e la città si blocca. Il “Gazela most” è
l’arteria cittadina che porta a Novi Beograd ma anche un tratto dell’autostrada
che porta a Niš, la E70/E75, attualmente una porzione del Corridoio 10. Vi
passano oltre 150 mila veicoli al giorno mentre, secondo il progetto iniziale,
la capacità era di soli 40mila veicoli.
Il giorno successivo al blocco il ministro delle Infrastrutture, Milutin
Mrkonjić, rassicura i cittadini che il ponte è sicuro e che i lavori di
ripristino termineranno in pochi giorni: "Si prega di non aumentare la tensione,
il ponte non crollerà”.
Nel 2007 è stato firmato un progetto dalla Banca Europea per la ricostruzione (BERD)
e dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) per la ristrutturazione del
ponte ma, secondo le dichiarazioni di Mrkonjić e del sindaco di Belgrado Dragan
Đilas, il prestito non arriva perché la BERD non è soddisfatta del progetto di
ricollocamento delle famiglie rom che vivevano in un insediamento proprio sotto
il ponte.
Il sindaco è infuriato: “Non è una donazione - tuona - ma un prestito e se le
condizioni sono queste non le accettiamo”. Đilas proprio non si capacita che
tutto il lavoro fatto non gli venga riconosciuto: “Non ci possono chiedere -
dice - di avere standard più alti di quelli europei. Il sindaco di Roma 4 giorni
fa ha sgomberato dei rom mandandoli a 50 km dal centro città e nessuno di loro
certo ne era entusiasta”.
Dopo due settimane di trattative serrate arriva lo sblocco del finanziamento.
“La BERD ha condotto accurate valutazioni sul ricollocamento delle famiglie -
dice la banca in un comunicato – con la conclusione che nonostante ci siano
buoni risultati rimangono ancora problemi di enorme portata”. Il fondo sarà
comunque erogato “in via del tutto eccezionale”.
Scena 2: Ada Ciganlija è il lago artificiale di Belgrado, dove d’estate i
belgradesi vengono a rilassarsi sui lettini dei bar della spiaggia o a
sfrecciare in roller e bicicletta. Sul lato interno di Ada vi è un ampio spiazzo
con circa 30 container. Vi abitano alcune delle 175 famiglie che vivevano sotto
il ponte Gazela, principalmente rifugiati dal Kosovo.
Foto di Isabella Mancini
Appena entriamo nel campo arrivano gruppi di bambini che fanno domande,
chiedono aiuto e in generale ti prendono platealmente in giro. Cerchiamo di
chiedere come stanno qui rispetto a prima. I bambini dicono che qui vanno a
scuola e hanno i container ma a Gazela era meglio perché c’erano più bambini e
quindi più amici. Incontriamo la famiglia di V. che ha lavorato in Italia per
oltre 10 anni, per poi rientrare per sposarsi a Pristina proprio nel 1999 e di
conseguenza poco dopo tempo obbligato a fuggire per la guerra. Il container ha
due stanze, una riscaldata dove dorme e mangia tutta la famiglia (moglie, 2
bambine e 3 bambini) e l’altra adibita ad ingresso.
“Certo la sistemazione è migliore, però la condizione della mia famiglia è
peggiorata – dice V. - a Gazela lavoravo anche senza documenti, raccoglievo
cartone e potevamo andare alla chiusura del mercato a raccogliere il cibo che
veniva buttato via. Qui siamo troppo lontani dalla città e non abbiamo da
mangiare tutti i giorni. Se riuscissi a cambiare la residenza da Pristina potrei
avere un lavoro ma essendo di Pristina devo andare a Niš per fare le pratiche
per tutta la famiglia e non ho i soldi per il viaggio e i documenti”.
Gazela era un insediamento illegale di rom, era in quella posizione dagli anni
‘80 e si è ampliato sempre di più in seguito alle guerre con l'arrivo di
rifugiati rom da Bosnia e Croazia e sfollati dal Kosovo, ma anche con famiglie
delle campagne che, impoverite da anni di crisi economica, si sono mosse verso
la città. Proprio questo campo rom situato in una zona centralissima dove sono
collocati il centro congressi Sava Center, l'Hotel Intercontinental e lo Hayatt
- quindi un’importante vetrina per la città - era “il problema” per ogni
amministrazione di Belgrado finché lo scorso 31 agosto sono arrivate le ruspe e
i ricollocamenti delle 175 famiglie che lì vivevano, 61 a Belgrado e il resto in
altre zone della Serbia.
Ad aver creato il collegamento tra le vicende di finanziamento della
ristrutturazione del ponte e futuro delle famiglie rom che vi vivevano è stato
Zvezdan Kalmar di "CEE Bank Watch” un'Ong che monitora gli investimenti
finanziari nei paesi dell’Europa centro-orientale. Non si occupano di rom, ma
dell’impatto ambientale dei grandi progetti infrastrutturali della BERD, della
BEI e di altre istituzioni finanziarie: in questo caso l’impatto era su un
insediamento rom. Bank Watch, tramite un blog (http://outofsight.tv), ha
iniziato a monitorare i nuovi insediamenti di Belgrado dove vivono persone
provenienti da Gazela: Mladenovac (50 km dalla città), Barajevo (30km), Rakovica
e Makis.
“Nel progetto erano previsti 2 milioni di euro della Commissione europea per
assistere il ricollocamento dei rom – dice Kalmar – ma c’era bisogno di un
"Piano di ricollocamento" che la città e il ministero per il Lavoro e gli Affari
sociali avrebbero dovuto realizzare. Ci sono dei precisi criteri internazionali
per le “ricollocazioni involontarie” che non sono stati seguiti. Non dubito che
per certi aspetti le famiglie stiano meglio ora, ma vi sono ancora problemi, ad
esempio per procurare a questa gente i documenti di cui hanno bisogno”.
Per ora le famiglie ricollocate in varie aree attorno a Belgrado potranno
risiedere per cinque anni nei nuovi insediamenti e dovrebbero riuscire quindi ad
ottenere una residenza, requisito fondamentale per tante pratiche burocratiche:
dalla riscossione di un assegno sociale all’iscrizione al servizio sanitario
pubblico. “A Belgrado ci sono circa 140 ghetti abitati da rom, il ricollocamento
di quello di Gazela avrebbe potuto essere un modello da riproporre, ma
l’occasione è stata sprecata”, aggiunge Kalmar.
“Non esiste una stima precisa dei rom presenti in Serbia. Nell’ultimo censimento
ufficiale si parla di 108mila, ma è un numero che si discosta molto dalle cifre
indicate dalle Ong che arrivano fino a 3-450mila - afferma Giulia di Cristo
antropologa che sta conducendo uno studio sulle identità territoriali dei rom
nei Balcani in collaborazione con l’Università "La Sapienza" di Roma – tra
questi vi sono circa 22.000 sfollati dal Kosovo, ma ad esempio l’UNHCR stima che
ci siano altri 23 mila rom fuggiti dal Kosovo che non si sono potuti registrare.
Ancora più difficile invece stabilire quanti siano i rom tra i rifugiati di
Bosnia, Croazia e Macedonia”.
“La Serbia partecipa alla Decade Rom, un piano di azione del Consiglio d’Europa
volto a ridurre gli svantaggi sociali della popolazione rom, ma fra i paesi che
partecipano a questo progetto è il quello con più difficoltà”, aggiunge la
ricercatrice. “Nel 2008/2009 la Serbia ha presieduto la Decade e tra le sue
priorità vi era l'educazione. Il 40-50% dei bambini rom infatti viene mandato in
scuole per alunni con bisogni speciali pur non avendo difficoltà reali di
apprendimento, mentre nelle scuole pubbliche non c’è un concreto sostegno per i
rom. Sono stati fatti dei piccoli progetti di inclusione, dalla formazione di
insegnanti rom alla preparazione di un manuale sulla loro cultura, ma spesso non
si sono trovati i fondi per proseguirli”, conclude l’antropologa.
Nei prossimi anni è probabile ci si trovi di fronte a nuove problematiche. La
Serbia ha sottoscritto un programma d'azione che deriva da un accordo
internazionale per la riammissione dei cittadini espulsi dai paesi europei nei
paesi di origine. Potrebbe quindi avvenire che di alcune famiglie che il sindaco
Alemanno ha sgomberato da Roma se ne dovrà ora prender carico Dragan Đilas,
sindaco della capitale serba.
Di Fabrizio (del 28/02/2010 @ 08:34:43, in Europa, visitato 1939 volte)
Da
Hungarian_Roma
The Huffington Post By Joelle Fiss, Pennoyer Fellow - Combating Hate
Crimes
24/02/2010 - Proprio un anno fa, il 23 febbraio 2009, Robert Csorba, 27 anni di
origine rom, e suo figlio di quasi 5 anni furono colpiti a morte mentre
scappavano dalla loro casa in fiamme a Tatárszentgyörgy [leggi
QUI ndr]. La sparatoria è avvenuta subito dopo mezzanotte. La famiglia
tentava di fuggire dalla sua casa in fiamme, ma nel mentre Robert Csorba e suo
figlio furono colpiti a morte dalle pallottole. La moglie di Robert e altri due
bambini furono seriamente feriti, oltre naturalmente a patire traumi emotivi.
Un anno dopo, quando Human Rights First visitò la famiglia, c'era una
sensazione che queste morti avrebbero potuto essere evitate. Senza dubbio ci
sono stati degli errori: l'ambulanza arrivò più tardi del previsto dopo che
il crimine fu commesso. La polizia ed il personale medico furono lenti nel
riconoscere il motivo dell'incidente che portò alla loro morte. In aggiunta, la
polizia concluse inizialmente che il fuoco era stato causato da un incidente
elettrico. Mancarono di indagare su importanti indizi che li avrebbero portati
rapidamente ai sospetti.
Questo doppio omicidio non è stato un incidente isolato. Violenze simili
hanno colpito la nazione nel 2009, colpendo la comunità rom ungherese di 600.000
membri. Sono stati registrati dozzine di gravi crimini razziali, comprendenti
l'uso di fucili, il lancio di molotov o di severi pestaggi.
Sono stati compiuti progressi nell'affrontare il circolo vizioso della
violenza e le autorità ungheresi hanno preso misure importanti. Quattro sospetti
coinvolti in quelli che vengono chiamati "omicidi seriali" sono stati arrestati
l'agosto scorso. Centinaia di investigatori sono stati mobilitati su questi
casi. Human Rights First spera che inizi presto il processo e che sia pubblico,
così da aiutare a portare un senso di giustizia tra le vittime. Un processo,
aperto e nazionale, porterebbe in primo piano al dibattito pubblico della
questione della violenza razziale contro i Rom. Le conversazioni potrebbero
partire dai politici, esperti sui diritti umani e comunità rom, allo scopo di
evitare violenze simili in futuro. I giornalisti potrebbero discutere su come
evitare di cadere nei soliti luoghi comuni, quando gli incidenti riportati
riguardano i Rom.
Paradossalmente, è incoraggiante il fatto che la polizia abbia recentemente
ammesso che siano stati fatti degli errori. Con questa constatazione, c'è più
possibilità che i responsabili siano disposti a discutere sulle riforme
necessarie alla polizia per evitare il ripetersi degli errori. Qualche
giorno fa - quasi un anno dopo gli omicidi - la polizia nazionale riconobbe che
c'era stata una cattiva condotta da parte sua, in risposta al doppio omicidio di
Tatárszentgyörgy. Come risultato, sono iniziate procedure interne disciplinari
verso due poliziotti per assicurare la responsabilità sulle loro mancanze. Ciò
va in qualche maniera nella direzione intrapresa dal governo, che chiede vengano
messi in atto meccanismi adeguati per rispondere agli abusi polizieschi.
Detto questo, rimane ancora molto da fare.
In primo luogo, l'addestramento della polizia è un punto centrale nel
prevenire violenze a sfondo razziale. Quando questa avviene, la polizia deve
usufruire di una buona formazione nel raccogliere le prove, così che l'indagine
possa definire correttamente la natura del crimine commesso. Effettivamente, se
l'indagine sulla scena del crimine è incompleta e viene ignorato il motivo
razziale, il sistema della giustizia non può assicurare la sua piena
responsabilità.
Quanti sinora si sono occupati degli assassini seriali sono investigatori di
esperienza. Ma la polizia locale è formata adeguatamente nel fare fronte agli
avvenimenti a livello base, agli episodi giornalieri di minacce e piccole
violenze, che non assumono a fama nazionale? La polizia ha bisogno di adattare i
meccanismi di risoluzione dei conflitti ai rispettivi contesti locali. Sarebbe
utile che potessero confrontarsi con le loro controparti di altri paesi per
arrivare a soluzioni creative. A tale proposito, gli Stati Uniti potrebbero
essere di grande aiuto. Allo stesso modo che gli investigatori dell'FBI volarono
a Budapest l'estate scorsa per dare assistenza alla polizia ungherese
nell'identificare gli assassini seriali, potrebbero radicarsi nel futuro anche
altre forme di cooperazione tecnica e di mutui progetti, col supporto del
Dipartimento USA alla Giustizia e del Dipartimento di Stato.
Secondariamente, le autorità ungheresi preposte alla legge dovrebbero
considerare di compiere sforzi concertati per includere più ungheresi di origine
rom nelle unità di polizia [leggi
QUI ndr], per rompere il sentimento cognitivo di "noi contro loro" che
alimenta le tensioni sociali.
Terzo, quando la polizia commette degli errori, le indagini devono essere
effettuate sistematicamente - come nelle deviazione avvenute nel caso degli
omicidi Csorba, cosicché ci sia un senso genuino di responsabilità per coloro
che ritengono che i loro diritti siano stati violati.
Anche più difficile, ma non una sfida meno importante, è trasformare gli
stereotipi anti-Rom profondamente radicati che sono tollerati a molti livelli
all'interno della società ungherese - sia nei circoli privati, sia nell'arena
politica che nei media. Istvan Serto-Radics, sindaco della città di Uszka
- largamente popolata da residenti rom, ha scritto assieme al professor John
Strong di Long Island USA una ricerca, in cui si paragona la difficile
situazione dei Rom nell'attuale Ungheria a quella degli Afroamericani nel
Mississippi della metà degli anni '60 e '70. Descrivendo i modelli psicologici
pregiudicati, dice: "Ci sono diverse ed importanti similarità tra i Rom e gli
Afroamericani... stereotipi simili sono frequentemente usati per descriverli.
Sono entrambi visti come pigri, proni al crimine, inferiori intellettualmente,
emozionalmente immaturi, anche se dotati nella musica". In aggiunta, i problemi
strutturali degli alti tassi di disoccupazione, le aree abitative ghettizzate,
la discriminazione nella sanità e nell'istruzione, come pure i rapporti tesi con
la polizia, sono tutti gli altri fattori che determinano le rassomiglianze
storiche. Malgrado ciò, ci sono differenze significative; per esempio la
comunità rom non ha mai lottato per acquisire il diritto di voto - partecipano
persino attivamente alle elezioni.
Come si inserisce questo turbolento contesto sociale nelle imminenti elezioni
nazionali che si terranno ad aprile? Il neofascista partito Jobbik è in buona
posizione per ottenere una generosa massa di voti. La sua agenda politica è
semplice: militaristica. A parte i crudi discorsi razzisti contro gli Ebrei,
chiama all'uso dell'esercito per agire contro i Rom per "restaurare l'ordine" e
combattere "il crimine zingaro". La "criminalità zingara" è una nozione
problematica filtrata tristemente nel discorso pubblico come concetto
tradizionale. Tuttavia, il pubblico sembra afferrarla intuitivamente, mentre il
capire l'effetto della violenza razzista è meno condiviso e non sempre
accettato. Invero è un problema di micro-criminalità che colpisce una corda
sensibile di molti Ungheresi. Tuttavia, l'oltraggio pubblico è ben più forte se
un Rom è beccato a rubare, piuttosto di quando viene colpito a morte. La
risposta della polizia può riflettere questo, mentre gli attacchi razzisti
contro i Rom possono essere benzina gettata sui crimini di cui sono gli
esecutori.
I membri della Guardia Ungherese, l'ala paramilitare di Jobbik, sfruttano le
legittime paure del crimine. Sono conosciuti per vagare intorno ai villaggi
popolati da Rom intimidendoli con violente minacce o aggredendoli. Infatti, Tatárszentgyörgy
è uno dei primi posti dove hanno cominciato sfilare dalla loro creazione
nell'agosto 2007.
Ecco allora un suggerimento a tutti i democratici in Ungheria che seriamente
combattono l'ascesa dell'estremismo nel loro paese mentre incombe la campagna
elettorale. Se i cittadini ungheresi si sentissero protetti ugualmente dallo
stato, ci sarebbe una migliore probabilità porre freno l'estremismo. Gli
elettori di Jobbik [...] stanno rivolgendosi ai bulli neonazisti in cerca di più
sicurezza. Nel contempo, i componenti della comunità rom hanno paura di essere
insultati, minacciati o assaltati per strada: è tempo che i politici
responsabili - e quanti formano l'opinione pubblica - parlino apertamente contro
il razzismo, così come lo fanno contro il crimine. E' tempo di essere sicuri che
non esiste crimine pari al rubare le vite di
Robert Csorba e del suo piccolo figlio.
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