Rom e Sinti da tutto il mondo

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\\ Mahalla : VAI : Europa (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 20/03/2010 @ 09:14:18, in Europa, visitato 1993 volte)

ToscanaOggi 17/03/2010 - 16:39

Nazzareno Guarnieri, primogenito di una numerosa famiglia rom, ha iniziato la sua formazione frequentando con successo il prestigioso Istituto Magistrale «B. Spaventa» di Città S. Angelo (PE), conseguendo nel 1971 il diploma della qualificazione magistrale.

La sua formazione continua con il corso biennale di operatore psicopedagogico presso Università di L’Aquila, e successivamente il corso di mediatore culturale e la Laurea in psicologia sociale. Il costante impegno volontario e professionale per la popolazione romanì, la promozione e la realizzazione di importanti esperienze di interazione culturale e la partecipazione a numerose iniziative italiane ed europee arricchiscono il percorso formativo di Guarnieri, tale da essere oggi un professionista, un leader ed un attivista rom riconosciuto a tutti i livelli.

Nell’anno 2000 e e nell’anno 2002 Nazzareno Guarnieri è il vincitore del Premio Raffaele Laporta, per la sezione progetti educativi. Nell’anno 2003 Nazzareno Guarnieri è il promotore del «progetto federazione», un’iniziativa per sollecitare ed incoraggiare la partecipazione attiva di Roma e di Sinti. Nell’anno 2009 che è stato eletto presidente della Federazione romanì.

Nazzareno Guarnieri, come mai sembra impossibile stabilire con la minoranza Rom un sistema di regole condivise e di convivenza pacifica?

«La convivenza con la popolazione romanì oggi è difficile per il radicato pregiudizio, duro a morire, e per le scelte politiche sbagliate. Una sequenza di deficit mediatico, culturale, politico, istituzionale di partecipazione attiva e di conoscenza. Deficit che hanno categorizzato i pregiudizi contro la popolazione rom e sinta e banalizzato la cultura romanì. Deficit che hanno ostacolato i processi di scambio culturale, di acculturazione e inculturazione ed hanno impedito una “canalizzazione politico/istituzionale” alla cultura romanì. Deficit che hanno portato a generalizzare a tutta la popolazione rom e sinta la responsabilità del singolo. Una sequenza di deficit che richiedono una risposta urgente e chiara, capace di abbandonare i diritti differenziati e l’assistenzialismo culturale, oggi riservati a rom e sinti, e costruire le relazioni umane e di scambio culturale con la popolazione romanì».

La Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 marzo 2009 al punto 8. riporta: «La grande maggioranza dei laureati rom non fa ritorno alla propria comunità dopo il completamento degli studi universitari e che alcuni di essi negano le proprie origini o non sono più accolti nella loro comunità quando cercano di farvi ritorno». A Cosa è dovuto questo disconoscimento, forse a discriminazione?

«Questa è una amara verità innegabile non solo per i rom laureati o con al titolo di studio, ma anche per tanti altri rom che sono riusciti a farcela ad uscire dalla segregazione e dall’assistenzialismo ed essere protagonisti positivi e professionisti preparati. La tendenza di addebitare questa scelta di assimilazione al radicato pregiudizio ed alla discriminazione, così come attribuire la responsabilità solo alla politica mi pare riduttivo. Credo che tutto nasca da una perfida combinazione di interventi e di politiche da un lato limitati agli aspetti sociali, assistenziali e di emergenza, mai culturali. Questo sta conducendo alla perdita di una identità culturale collettiva, dall’altro la mancanza di processi di partecipazione reali. Quale possibilità ha un rom che è riuscito a farcela di rivendicare la propria identità culturale romanì e collaborare per la crescita sociale e culturale della propria popolazione? Senza contare gli stereotipi creati ad arte che descrivono lo zingaro solo come la persona che vive nel campo nomadi, che ruba e non lavora, ecc. Quindi non solo l’indifferenza e l’assenza di una politica per la cultura romanì, ma una precisa volontà di gran parte della società civile, che si è occupata e che si occupa dei rom, di gestire o tutelare, evitando ogni forma di crescita dell’autonomia e della normalità per i rom. Qualsiasi cultura si evolve con il contatto e con lo scambio culturale».

Mi faccia capire il vostro punto di forza, da qui l’appello che rivolgete anche agli stessi Rom è Partecipazione, vuole spiegarmi meglio, cosa vuol dire?

«Dalle esperienze del passato e del progetto federazione, avviata molto lentamente fin dal dicembre 2003, sono arrivate alcune interpretazioni della partecipazione attiva dei rom. Non Basta essere Rom ma è necessario che la partecipazione Rom sia Qualificata. Mi spiego meglio non si tratta di avere o meno un titolo di studio ma di possedere o acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per una partecipazione qualificata, solo così si può costruire un processo di formazione alla partecipazione (capacity building) e di empowerment e di superare la convinzione che la questione rom sia solo una questione sociale (sicurezza e legalità) e di folclore, effetto delle improvvisazioni che hanno manipolato la realtà culturale romanì».

Infine vorrei capire, vista anche la sua formazione professionale, cosa propone per contribuire a una maggiore scolarizzazione dei bambini e bambine Rom?

«Il fallimento delle politiche del passato per la popolazione romanì dimostra, anche in questo caso, che senza la partecipazione attiva, propositiva e professionale di Rom e Sinti ogni iniziativa è destinata al fallimento, bisogna passare dalla mediazione culturale alla partecipazione.

Le iniziative di scolarizzazione dei bambini rom e sinti devono porsi l’obiettivo del successo scolastico e non impegnarsi solo per la frequenza. Sono troppi gli alunni rom e sinti che completano la scuola elementare senza aver acquisito la strumentalità minima di base: saper leggere, scrivere e far di conto e nel contempo ritenere che le abilità del bambino rom costituiscano un handicap. La presenza di bambini Rom nella scuola Italiana è condizionata da stereotipi e pregiudizi che conducono al fallimento del progetto educativo, e troppo spesso, è gestita con distanza dalle dinamiche della diversità culturale e della strategia interculturale. Quindi in breve: formazione per gli insegnanti, produzione di materiale didattico specifico, realizzazione di un osservatorio nazionale e regionale, sostenere le sperimentazioni mirate partendo dalla cultura di origine».

Nei vostri interventi spesso vi pronunciate contro i campi nomadi come ostacolo alla integrazione, ironia della sorte spesso se ne giustifica la nascita per preservare la cultura romanì?

«In Abruzzo non vi sono campi rom, i rom che arrivano vengono inseriti in civili abitazioni con l’ausilio del volontariato sociale. Il campo nomadi è la nostra tomba non rappresenta la cultura romanì. Spesso proponiamo l’autogestione dei campi nomadi e usare le ingenti risorse per la gestione dei campi nella costruzione di politiche abitative serie».

Quale sono i prossimi impegni della Federazione?

«In Spagna a Cordoba il prossimo 8 e 9 Aprile 2010 si svolgerà il secondo vertice europeo sui rom ed il fatto che si realizzi durante la Presidenza Spagnola dell’Unione Europea è un buon auspicio perchè la Spagna negli ultimi anni è stato il paese europeo che più ha investito in politiche sociali e culturali per la popolazione romanì. Per la grave condizione e discriminazione della popolazione romani in molti stati Europei, dal secondo vertice europeo sui rom ci attendiamo conclusioni politiche con la esplicitazione di una strategia politica chiara ed efficace, strategia che da una parte impegni la Commissione europea e gli Stati membri dell’UE ad una forte e coordinata azione politica e degli strumenti giuridici per contrastare l’antiziganismo, dall’altra parte definisca il ruolo attivo delle organizzazioni rom nei piani d’azione europei e nazionali, nella progettazione/realizzazione delle politiche per i rom, nel monitoraggio dei progetti destinati alla popolazione romanì. Vi invitiamo a consultare il nostro spazio Web: http://federazioneromani.wordpress.com».

S.V.

LA SCHEDA

Alla popolazione rom si applica, se cittadini stranieri, il decreto legislativo 25 luglio 1998 (Testo unico sull’immigrazione).

Non esistono censimenti ufficiali che dicano con esattezza quanti sono.

In Europa la minoranza rom/sinta è definita «la minoranza più numerosa dell’Unione europea».

In Italia ci sono una dozzina di etnie molto radicate in precisi territori, ognuna con proprie tradizioni. Partiti dal nord dell’India e dal Pakistan intorno all’anno mille, gli zingari si sono stabilizzati nell’est europeo da dove hanno poi ricominciato altre migrazioni. In Italia i primi arrivano alla fine del 1300. Quella rom è una delle società più chiuse e tribali che si conoscano esistono diversi gruppi.

I rom abruzzesi e molisani: i più tradizionalisti, conservano intatto l’uso del romanì e sono arrivati in Italia dopo la battaglia del Kosovo nel 1392 a seguito dei profughi arbares’h (albanesi). Si dedicano ai mestieri tradizionali come l’allevamento e il commercio di cavalli ed è molto diffusa tre le donne (rumrià) la chiromanzia.

I rom napoletani (detti napulengre). Fortemente mimetizzati nel capoluogo, fino a una trentina d’anni fa fabbricavano arnesi per la pesca e facevano spettacoli ambulanti. Esistono anche i rom cilentani (una grande comunità di 800 persone vive a Eboli), lucani (una delle comunità più integrate), pugliesi, calabresi e i camminanti siciliani.

Sinti giostrai – Sparsi soprattutto tra il nord e il centro Italia sono almeno trentamila. Arrivati in Italia all’inizio del 1400, sono i depositari del più antico dei mestieri rom, quello dei giostrai. Un mestiere però che sta scomparendo trasformandoli in rottamatori di oggetti recuperati tra i rifiuti e venditori di bonsai artificiali.

I Rom harvati e il sottogruppo dei kalderasha, circa 7 mila persone arrivate dal nord della Jugoslavia dopo le due guerre mondiali, e i rom lovara (non più di mille) chiudono il gruppo dei rom con cittadinanza italiana.

I rom jugoslavi – È possibile suddividerli in due grandi ceppi, i khorakhanè (musulmani) e i dasikhanè (i cristiano-ortodossi). Vivono per lo più nei campi nomadi del nord e del centro Italia.

I rom romeni – Quello dalla Romania è ormai un flusso continuo e inarrestabile. Le più grandi comunità sono a Milano, Roma, Napoli, Bologna, Bari, Genova ma ormai il fenomeno è in crescita in tutta Italia.

A livello europeo esiste il Dipartimento Rom and Travellers (Rom e camminanti, due delle varie etnie zingare). L’ufficio, nato nel 1993 a Strasburgo nell’ambito del Consiglio Europeo per fronteggiare la questione rom, ogni anno produce pagine e pagine di relazioni, rapporti internazionali, raccomandazioni.
Se in Italia non è ancora stata affrontata la questione rom, l’Europa è messa più o meno nelle stesse condizioni.

Negli anni, attraverso numerose Raccomandazioni – ad esempio sulle condizioni abitative (2005), sulle condizioni economiche e lavorative (2001), sui campi e sul nomadismo (2004) – si è cercato di dare almeno una cornice di riferimento, linee guida ai vari stati per gestire la continua emergenza rom.

Uno dei file più aggiornati dell’ufficio europeo sono i numeri. In Europa si calcola che viva un gruppo di circa 9-12 milioni di persone, nei paesi del Centro e dell’Est Europa – Romania, Bulgaria, Serbia, Turchia, Slovacchia – arrivano a rappresentare fino al 5 per cento della popolazione. Scorrendo i fogli delle statistiche ufficiali europee (aggiornate al giugno 2006), colpisce come nei paesi della vecchia Europa, nonostante la presenza e l’afflusso continuo di popolazione rom, manchi del tutto un loro censimento. Sono censiti solo gli zingari che vivono nei paesi dell’est Europa: dal 1400 la «casa» dei popoli nomadi in arrivo dall’India del nord est.

La Romania guida la classifica dei paesi con maggior numero di gitani: l’ultimo censimento ufficiale del 2002 parla di una minoranza che si aggira tra il milione e 200 mila e i due milioni e mezzo. Seguono Bulgaria, Spagna e Ungheria a pari merito (800 mila), Serbia e Repubblica Slovacca (520 mila), Francia e Russia (tra i 340 e 400 mila).

L’Italia è al quattordicesimo posto con una stima, ufficiosa in assenza di un censimento, che si aggira sui 120 mila. Sappiamo che oggi quel numero è salito fino a 150-170 mila. Facendo un confronto con i paesi della vecchia Europa, è una stima inferiore rispetto a Spagna e Francia, Regno Unito e Germania. Sui motivi di queste concentrazioni la Storia conta poco: se è vero che la Germania nazista pianificò, come per gli ebrei, lo sterminio degli zingari (porrajmos) e nei campi di concentramento tedeschi morirono 500 mila rom, in Spagna la dittatura di Franco ha tenuto in vigore fino agli anni settanta la legislazione speciale contro i gitani eppure gli zingari continuano ad essere, e sono sempre stati, tantissimi.

Lo statuto francese – Nonostante «la grande preoccupazione» del Consiglio europeo «per i ritardi e l’emarginazione», la Francia (con 340 mila o un milione di manouche) sembra aver adottato il modello migliore sul fronte dell’accoglienza per i rom. Un modello che si muove tra l’accoglienza e la tolleranza zero, due parametri opposti ma anche complementari: da una parte la legge Besson che prevede che ogni comune con più di cinquemila abitanti sia dotato di un’area di accoglienza; dall’altra la stretta in nome della sicurezza. Chi non rispetta le regole dei campi e dell’accoglienza è fuori per sempre. E chi occupa abusivamente un’area può essere arrestato e il mezzo sequestrato. La legge Besson immagina i campi come una soluzione di passaggio e prevede, contestualmente, un programma immobiliare di case da dare in affitto ai gitani stanziali e terreni familiari su cui poter costruire piccole case per alcune famiglie semistanziali e in condizioni molto precarie.

Il caso tedesco – In Germania i 130 mila circa tra Rom e camminanti sono considerati per legge «minoranza nazionale». Dagli anni sessanta, con la caduta del modello socialista titino e con le prime diaspore rom dall’est europeo verso l’occidente europeo che poi si sono ripetute negli anni ottanta e novanta con le guerre nei Balcani, la Germania ha accolto queste migliaia di persone in fuga con un progetto di welfare. Sono state assegnate case, singole o in palazzine popolari, hanno avuto il sussidio per il vitto, chi ha voluto è stato messo in condizione di lavorare.

La Spagna – La Spagna ha una delle comunità gitane più popolose e in Europa occupa il terzo posto dopo Romania e Bulgaria con 800 mila presenze. Dalla fine degli anni Ottanta il governo centrale ha elaborato un Programma di sviluppo per la popolazione rom. Anche in Spagna ogni regione ha un Ufficio centrale che coordina gli interventi e le politiche per gli zingari in cui lavorano sia funzionari del governo che rom con funzioni di mediatori culturali. Il risultato è che non esistono quasi più campi nomadi, quasi tutti vivono in affitto nei condomini popolari o in case di proprietà, nelle periferie ma anche nelle città. Dipende dal livello di integrazione. Che è in genere buono anche se resta alto il tasso di criminalità.

 
Di Fabrizio (del 18/03/2010 @ 09:07:44, in Europa, visitato 2821 volte)

Una segnalazione del mese scorso. Interviene una voce importante. La traduzione dallo spagnolo è di Zelda Sayre Giannini

Da un Articolo di Juan de Dios Ramírez-Heredia, Presidente della Unión Romaní Española (Unione Rom Spagnoli)

la foto è tratta da http://www.psoe.es/ambito/pueblogitano/news/index.do?action=View&id=411207

Nella città Slovacca di Ostrovany hanno costruito un muro di 150 metri largo e 2 metri alto per isolare la Comunità Gitana dal resto della popolazione .E' difficile credere che questo avvenga in un paese, membro dell' "Unione" (??) Europea nel 20° anniversario, appena concluso,della caduta del muro di Berlino.

[...]

Nel 1961 le autorità comuniste,che hanno governato la Germania,divisa dopo la Seconda Guerra Mondiale, per evitare che molti cittadini fuggiti in altre aree di libertà, hanno costruito quel muro orrendo che ha visto per oltre quarant'anni ha diviso i cittadini a causa delle loro convinzioni,in spazi chiusi,dove ogni tentativo di raggiungere la libertà era pagato con il carcere o con la vita. Ho avuto la fortuna di vivere in prima persona a Berlino, la notte meravigliosa quando la parete è stata distrutta. A quel tempo ero un deputato al Parlamento europeo e appartenevo alla commissione giustizia. Il 9 di novembre del 1989 i tedeschi da entrambi i lati del muro con martelli e asce e con tanto entusiasmo e forza fisica hanno distrutto questa vergogna che ha diviso intere famiglie per quattro decenni. Quella sera andai a letto presto, ma un uomo che dormiva nella stanza accanto alla mia in albergo ha bussato alla mia porta dicendomi di alzarmi, dovevamo andare in piazza per vivere intensamente un evento storico unico: la distruzione del muro. Ho passato tutta la notte per strada, felice, guardando il trionfo della libertà. Ogni masso che ho visto era come una tromba che annuncia un nuovo giorno. Ogni colpo all' infamia era come una nota che ha contribuito al raggiungimento del miglior inno esaltante la pace e l'armonia fra gli esseri umani. Ovviamente non ho potuto resistere alla tentazione di portarmi in Spagna alcuni pezzi del muro che ho diviso tra gl,i amici e la famiglia. Ancora oggi, c'è sullo scaffale nel mio ufficio un po 'di muro, testimone muto di tanta infamia.

La stampa locale e internazionale ha definito il nuovo muro slovacco "muro di Berlino".A 20 dalla caduta del simbolo della divisione dell'Europa.

Cirillo Revákl,Sindaco di Ostrovany , dice che non è razzista perché sa che "ci sono tante persone oneste tra i nostri zingari". Ma giustifica la costruzione del muro, principalmente con l'accusa che i vicini gadchés (i Rom, Sinti, i Gitani... con il termine Gagè indicano i non Zingari , cioè noi )sollevano verso gli Zingari e cioè quella di cogliere spesso i frutti dagli alberi dei giardini privati. !!!!!!!!!!! :((((
Dice uno Zingaro condannato a vivere dall'altra altra parte di questo muro che la separazione non aiuta nessuno, ne i gadchés ne gli Zingari. E altri, rassegnati al loro destino, dicono di sentirsi come uno zoo. Povera gente! Ora possono saziare la loro fame e la loro miseria con la frutta "generosamente" versata loro dalle autorità razzista di Ostrovany dall'altra parte del muro, come hanno fatto i miei figli quando erano piccoli gettando le mele per le scimmie nel parco.

Ho appena fatto un viaggio indimenticabile e scioccante in Polonia. Oltre a visitare i campi di sterminio di Majdanek, Treblinka e Auschwitz, dove più di mezzo milione di Zingari furono gassati unitamente milioni di ebrei, ho visto i resti delle mura che hanno modellato il ghetto di Varsavia, Lublino e Cracovia. Sono testimonianze vive, laceranti, l'epoca più difficile e più INFAME del genere umano. La gente si CONFINAVA dietro a quelle mura, prima di CONDANNARLA a MORTE  : - (

Sappiamo che in Slovacchia c'è una destra, fascista e violenta che vorrebbe ripetere quelle pagine nere della storia d'Europa. Loro possono essere anche gli eredi di quegli assassini che hanno collaborato con il genocidio, quando il loro paese stava vivendo l'aggressione dei nazisti che li opprimevano la Polonia a nord e l'Ungheria a sud. A Noi, gli Zingari in tutto il mondo,fa ORRORE quella massima che dice: "Le persone che dimenticano la loro storia sono condannati a ripeterla" non è un caso che questa frase è scritta all'ingresso del blocco numero quattro del campo di sterminio di Auschwitz in polacco e in inglese: " Kto nie pamięta historii, skazany jest na jej ponowne przeżycie ". "The one who does not remember history is bound to live through it again. "

CHI NON RICORDA la STORIA è CONDANNATO a VIVERLA di NUOVO !!!!!!!

 
Di Fabrizio (del 17/03/2010 @ 09:07:03, in Europa, visitato 1624 volte)

Di questa storia se n'è parlato più volte in Mahalla

Osservatorio sui Balcani - Fuori dall'ombra
12.03.2010 Da Capodistria, scrive Stefano Lusa

Foto di Fabrizio Giraldi
Era la più grave violazione dei diritti dell'uomo della sua storia recente. Ora finalmente sanata. La Slovenia ha restituito ai cosiddetti ''cancellati'' i loro diritti. In 13.000 potranno ora riottenere la residenza

La Slovenia ha posto rimedio alla più grande violazione dei diritti dell’uomo nella sua storia recente. Il parlamento, infatti, ha varato una norma che consentirà a quei cancellati, che non avevano potuto farlo sin ora, di riottenere la residenza. Dei complessivi 25.761 sono ancora oltre 13.000 coloro che non hanno regolato il loro status. Nessuno sa quanti di essi vivano ancora in Slovenia e quanti sono coloro che, dopo anni passati all’estero, possano essere interessati a riottenere la residenza.

Il ministro degli Interni Katarina Kresal, nel presentare[] il provvedimento, aveva invitato i deputati ad approvarlo “se non già per un vincolo etico nei confronti delle persone a cui lo stato 18 anni fa ha fatto un torto, per rispetto della costituzione”. Da anni la polemica sui cancellati è altissima e anche questa volta il centrodestra non ha lesinato strali nei confronti del ministro e del provvedimento. Molto si è puntato sui risarcimenti che adesso i cancellati potrebbero richiedere alle vuote casse dello stato. La Kresal non si è scomposta più di tanto e come al solito ha continuato a ribadire l’importanza del rispetto della costituzione, delle leggi e dei principi dello stato di diritto.

Ora ci saranno tre anni di tempo per presentare formale richiesta. Quello che, però, appare più importante è che, in qualche modo, si chiede scusa per quanto accaduto. C’è voluta una generazione di politici nuovi. Troppo giovani per essere sulla scena politica all’epoca dei fatti e per avere scheletri negli armadi.

La cancellazione risale all’epoca della proclamazione dell’indipendenza. Lubiana, si era impegnata a concedere la cittadinanza a tutti i residenti che si erano trasferiti nella repubblica dalle altre parti della federazione. Gli immigrati erano circa 200.000. In oltre 170.000 ottennero la cittadinanza.

All’epoca qualcuno decise di andarsene, altri non riuscirono a raccogliere la documentazione necessaria o si videro respinta la domanda, altri ancora non presentarono richiesta di cittadinanza, pur avendo intenzione di continuare a vivere in Slovenia. Per loro cominciò una vera e propria via crucis. Le autorità pensarono bene di depennarli dall’elenco dei residenti. L’operazione comportò per loro la perdita di tutti i benefit di cui godevano. Persero il diritto al lavoro, all’assistenza sanitaria, all’acquisto a prezzo agevolato della casa ed altro ancora. In sintesi persero il diritto di continuare a vivere nella repubblica e si trovarono d’un tratto ad essere clandestini nel paese dove avevano vissuto per decenni o erano addirittura nati.

La cancellazione avvenne in maniera arbitraria e del tutto illegalmente. In ogni modo quell’operazione, fatta in gran segreto, poté contare su un consenso sociale altissimo. L’opinione pubblica d’altronde pensava che, in fondo, quelli erano potenziali nemici, oppositori dell’indipendenza slovena. In ogni modo avevano avuto la possibilità di regolare la loro posizione e non avevano voluto farlo. La cosa ovviamente non era vera, anche perché nessuno aveva spiegato loro che se non avessero ottenuto la cittadinanza avrebbero perso anche i diritti legati alla residenza.

Il problema dei cancellati cominciò ad emergere negli anni successivi. Le loro tristi storie iniziarono ad essere raccontate dai giornali e già 15 anni fa il neo nominato tutore dei diritti civili puntò il dito sulla questione sin dal suo primo rapporto. Era facile rendersi conto che ci si trovava di fronte ad una palese violazione dei diritti dell’uomo, orchestrata consapevolmente o meno all’epoca del primo governo sloveno democraticamente eletto, formato da una coalizione di centrodestra. Quando, poco dopo, il centrosinistra prese in mano per più di un decennio le redini del paese non si preoccupò di porre rimedio alla questione.

Il problema finì di fronte ai giudici della Corte costituzionale. Il primo ricorso venne presentato nel 1994. Per arrivare ad una sentenza si dovette attendere ben 5 anni. L’Alta corte stabilì l’illegalità della cancellazione e diede 6 mesi di tempo al legislatore per correre ai ripari. Da quel momento i politici, loro malgrado, cercarono una soluzione. Venne approvata una prima legge che consentiva ai cancellati ancora in Slovenia di regolare la loro residenza, successivamente vennero approvate delle modifiche alla legge sulla cittadinanza che apriva loro le porte all’ottenimento del passaporto sloveno.

La questione era diventata materia di scontro politico. Intanto i cancellati avevano costituito una loro associazione. A battersi per i loro diritti oramai erano scesi in campo Amnesty International, l’Istituto per la pace e le altre organizzazioni impegnate sul fronte della tutela dei diritti dell'uomo. Al loro fianco c’era anche un ex giudice della Corte costituzionale, Matevž Krivic, che divenne il loro portavoce.

La battaglia continuò con nuovi ricorsi alla Corte costituzionale. I giudici stabilirono che la residenza doveva essere riconosciuta retroattivamente, sin dal momento della cancellazione. Il governo allora preparò un’apposita legge e l’opposizione indisse un referendum. Nel 2004 il 94% degli elettori disse no alla normativa, ma la partecipazione al voto fu solo del 31%. Si proseguì con manifestazioni, scioperi della fame e ricorsi al Tribunale europeo per i diritti dell’uomo.

La Slovenia, che era uscita dallo sfaldamento della Federazione jugoslava con l’immagine di un paese ordinato, si trovava a dover rispondere di una palese violazione dei diritti umani, ormai sotto gli occhi della comunità internazionale.

L’impegno a risolvere definitivamente la questione è comunque venuto dal nuovo governo. La soluzione della questione dei cancellati è stata persino inserita nell’accordo di coalizione. Molti però dubitavano che si avesse realmente intenzione di fare sul serio.

Il ministro degli Interni Katarina Kresal ha stupito tutti e non ha mancato di precisare che era intenzionata a chiudere la vicenda anche a rischio della sua popolarità. Il ministero, così, con gran sgomento dell’opposizione, prima ha fornito il dato esatto dei cancellati, poi ha portato a conclusione il procedimento di riconoscimento della loro residenza con effetto retroattivo per coloro che avevano già regolato il loro status ed infine ha fatto approvare la legge che risolverà definitivamente il problema anche per gli altri.

 
Di Fabrizio (del 16/03/2010 @ 09:23:18, in Europa, visitato 1648 volte)

Da Roma_Francais

I Rom: una libertà pagata cara par D. Sabo

Le popolazioni nomadi zigane si confrontano a discriminazioni persistenti e subiscono una profonda esclusione sociale. Iniziative cittadine ed azioni di sensibilizzazione permettono, in alcuni casi, di contrastare gli attentati ai loro diritti.

Occorre vedere il magnifico film "Liberté" di Tony Gatlif. Si riferisce alla persecuzione dei Zigani durante la II guerra mondiale. Una zona d'ombra che il cineasta ha superbamente messo in luce con la storia di Taloche, uno zigano internato nel campo di Montreuil-Bellay, sotto Vichy, storia ispirata del libro di Jacques Sigot "Questo filo spinato dimenticato dalla storia" (edizioni Wallâda)..

Non lo si ricorda spesso ma sui due milioni di zigani che vivevano in Europa, tra i 250.000 ed i 500.000 furono deportati nei campi di concentramento. Pochi lo sanno: 40.000 zigani sono stati rinchiusi in trenta campi francesi durante la guerra. Il rigetto della popolazione dei Rom è antico e persiste,, per quanto siano del tutto cittadini europei. Dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007, i Rom costituiscono la più grande minoranza etnica della UE.

Malgrado la loro cittadinanza europea, restano vittime di ostracismo e si confrontano con le discriminazioni. Il considerevole apporto che queste popolazioni potrebbero avere nella società europea è ignorato, per l'effetto di stereotipi e pregiudizi che si esprimono con discriminazioni economiche, sociali e politiche.

Tre rapporti* sul razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo e l'intolleranza in Repubblica Ceca, Grecia e Svizzera, sono stati pubblicati il 15 settembre 2009. Anche se si osserva un'evoluzione positiva in ciascuno dei tre stati membri del Consiglio d'Europa, i rapporti rilevano, nel contempo, alcuni fatti che rimangono preoccupanti.

In Repubblica Ceca, i Rom si confrontano con la segregazione nell'istruzione e l'alloggio ed alla discriminazione nell'impiego. Si osserva un'intensificazione che lascia ammutoliti, delle attività di gruppi di estrema destra. Un nuovo codice penale è stato adottato nel 2008 e contiene disposizioni più complete in materia di lotta al razzismo.

In Grecia, i Rom conoscono ugualmente problemi di impiego, di alloggio e di giustizia. La legislazione che proibisce l'incitamento all'odio razziale è ancora poco applicata.

Anche in Svizzera si assiste ad una pericolosa intensificazione dei discorsi politici razzisti contro i nuovi cittadini. La legislazione non è sufficientemente sviluppata per trattare la discriminazione razziale diretta che tocca in particolare i musulmani, le persone originarie dei Balcani, della Turchia, dell'Africa ma anche la gens du voyage.

Segnali incoraggianti

La situazione è particolarmente delicata per le donne rom. E non solamente in questi tre paesi. Il 12 gennaio 2010, le donne rom hanno urgentemente invitato i governi europei a rispettare i loro diritti fondamentali. Alcuni di questi governi praticano la sterilizzazione forzata. Misure concrete sono prese poco a poco per compensare le vittime, sanzionare gli autori di tali atti ed avviare una riforma del settore medico pubblico perché i diritti delle pazienti siano rispettati.

Le conclusioni di una conferenza delle donne rom europee che si è tenuta ad Atene l'11 ed il 12 gennaio 2010, hanno sottolineato la necessità di prevenire ogni segregazione di fatto in materia di alloggio e d'istruzione, promuovendo i principi di qualità e d'integrazione. Le partecipanti hanno ugualmente incoraggiato le militanti rom e chi difende i diritti umani ad agire presso le comunità rom per sensibilizzarle nei loro diritti fondamentali e facilitare il loro accesso ai servizi pubblici ed ai dispositivi destinati a far rispettare la legge.

L'integrazione delle comunità rom dipende dalla responsabilità condivise tra gli stati membri e la UE. La UE dispone di un solido arsenale giuridico per lottare contro le discriminazioni. Ricorre ai fondi strutturali europei ed organizza iniziative di sensibilizzazione sulle discriminazioni nei confronti dei Rom. Inoltre, un'azione coordinata è condotta in alcuni grandi settori particolarmente importanti per l'integrazione dei Rom, come l'istruzione, l'occupazione e l'integrazione sociale.

Nel quadro della sua partecipazione al "2010 - Anno europeo di lotta contro la povertà e l'esclusione sociale", la direzione Istruzione, Cultura, Multilinguismo e Gioventù della Commissione Europea organizza un'esposizione ed una conferenza dedicate all'aiuto che forniscono i programmi dell'UE alla minoranza rom.

Ed in Francia?

Neppure nell'Esagono, la situazione dei Rom è facile. Per la maggior parte cittadini dell'Unione Europea dopo l'entrata della Romania e della Bulgaria in quest'insieme, sono trattati come "cittadini di seconda zona". Le Comunità zigane sono le prime vittime della politica del numero e della paura in materia d'immigrazione. Inoltre gli ostacoli all'azione umanitaria si sono intensificati e moltiplicati nel 2008-2009. L'azione umanitaria è sistematicamente considerata come sospetta dai pubblici poteri. È un fenomeno nuovo di cui si possono purtroppo citare numerosi esempi.

"Le popolazioni sono state incessantemente sgomberate e rese precarie, ciò che impedisce alle OnG di di occuparsene e mantenere un legame sociale. Le loro espulsioni ripetute senza soluzione di rialloggiamento comportano esaurimento, interruzione di cure e di seguito medico, in particolare delle donne incinte e dei bambini" deplora il dott. Bernard dell'associazione Médecins du Monde. Occuparsi dei più poveri diventa sempre più difficile. L'80 % dei pazienti non hanno alcuna copertura malattia mentre vi avrebbero diritto ed il 20 % non dipendono da alcun dispositivo.

Nell'estate 2009, lo stato francese ha chiesto l'espulsione del campo urgentemente installato a Saint Denis da Médecins du Monde per famiglie rom sulla strada. La mobilizzazione de più di trenta associazioni (Fondazione Abbé Pierre, Soccorso cattolico, Romeurope, ATD Quarto Mondo, il Droit au Logement (DAL), la Lega dei Diritti dell'Uomo (LDH), Rete Istruzione Senza Frontiere) e l'azione della giustizia hanno permesso tuttavia di contrastare questa richiesta.
Il tribunale ha così respinto la domanda d'espulsione formata dal prefetto di Seine Saint Denis, riconoscendo così la situazione urgentemente umanitaria nella quale si trovano i Rom dell'Ile de France. "Una presa di coscienza della gravità della situazione sanitaria dei Rom comincia ad emergere„ si rallegra Médecins du Monde anche se rimane da trovare una soluzione definitiva per le famiglie.

* Questi  rapporti fanno parte del quarto ciclo seguito dall'ECRI. ECRI è un meccanismo indipendente dal Consiglio d'Europa che si occupa dei problemi del razzismo e dell'intolleranza, prepara relazioni ed indirizza delle raccomandazioni agli Stati membri. Le relazioni per paese, con le osservazioni dei governi allegate, sono disponibili su: www.coe.int/ecri

 
Di Fabrizio (del 15/03/2010 @ 09:19:14, in Europa, visitato 1399 volte)

Da Roma_Francais

Par Chloé Leprince 05/03/2010

Eccetto che sulle pagine locali del Parisien, l'espulsione della gens du voyage da un accampamento a Ris-Orangis (Essonne) ha fatto poco rumore. Tuttavia, almeno in due avete allertato a riguardo Rue89 negli ultimi giorni. Piuttosto offesi da ciò che ritenevate rilevare dai slittamenti elettoralisti in questo dipartimento dell'Ile-de-France.

Al cuore delle vostre reazioni: il tono utilizzato da un sindaco dell'UMP dei dintorni nel gridare vittoria. Precisamente Stéphane Beaudet, eletto nel 2001 sindaco della cittadina vicina di Courcouronnes.

In un messaggio inviato ai suoi amministrati il 1 marzo e sul suo blog, il sindaco scrive in grassetto: "Abbiamo vinto!" Si bea che "l'appello alla mobilitazione" abbia pagato - "un metodo che funziona", recita l'editto che chiamava gli abitanti del suo comune a manifestare contro la presenza, dall'estate 2009, di una quindicina di carovane in un piccolo bosco nella vicina località.

Stéphane Beaudet quindi non era immediatamente coinvolto nella questione: il terreno in oggetto appartiene allo stato ed è situato nel territorio di Ris-Orangis. Ne le Parisien del 26 febbraio, lo riconosceva lo stesso sindaco:

"Il terreno non appartiene al comune, quindi non posso far ricorso alla giustizia per far chiudere [l'accampamento]."

Crociata contro quanti "fanno marcire la vita degli abitanti".

Tuttavia, se la cosa esce dalle sue prerogative, il sindaco UMP sembra avere deciso di partire per la crociata. Un po' troppo, il termine di "crociata"? L' appello alla mobilizzazione era però esplicito. Un opuscolo, redatto in parte in lettere maiuscole, che gridava così da alcune settimane:

"La partenza immediata della gens du voyage non sarà negoziabile."

Per arringare i suoi amministrati, Stéphane Beaudet non ha lesinato i toni razzisti. In particolare ha accusato la gens du voyage di Ris-Orangis di "avvelenare la vita degli abitanti".

Precisione significativa: il fatto è che l'eletto è, d'altra parte, candidato della maggioranza presidenziale nell'Ile-de-France alle regionali. Caso del calendario? Mentre la scadenza elettorale si avvicinava, il tono s'è fatto più duro. Al punto che Stéphane Beaudet aveva semplicemente chiamato i suoi abitanti a costruire pareti di terra attorno all'accampamento allo scopo di bloccarne l' accesso. Ciò che non ha mancato di offendere il sindaco di Ris-Orangis. Quest'ultimo è socialista.

 
Di Fabrizio (del 13/03/2010 @ 09:25:48, in Europa, visitato 1877 volte)

Da Nordic_Roma

TheLocal.se

05/03/2010 - Ha detto il Tavolo Svedese sulle Migrazioni, che circa 1.000 Rom, soprattutto dalla Serbia, sono stati attirati quest'anno da un viaggio verso la Svezia, nella vana speranza di un permesso di residenza.

Bus riempiti di Rom sono arrivati a Gothenburg e Malmö quasi su basi giornaliere.

"Agenzie viaggi guidate da affaristi senza scrupoli truffano persone già vulnerabili di loro nel venire in Svezia," ha detto Dan Eliasson, direttore generale del tavolo.

Il capo del tavolo sulle migrazioni consiglia ai Rom di non intraprendere il lungo viaggio verso la Scandinavia, perché le possibilità di ottenere una residenza garantita sono "straordinariamente poche".

"Probabilmente si trovano a vivere in difficili condizioni sociali e forse subiscono anche discriminazioni, ma questo non da loro il diritto alla protezione in Svezia. Generalmente verranno rapidamente informati che non potranno avere un permesso di residenza e che dovranno tornare in patria," ha detto Eliasson, aggiungendo che la gran maggioranza arriva in Svezia dalla Serbia, ma anche dal Montenegro settentrionale e dalla Macedonia.

I Rom in Serbia sono considerevolmente più poveri del resto della popolazione, e sono emersi sporadici rapporti di violazioni perpetrate contro i Rom in Serbia, Kosovo e, recentemente, in Italia.

Ma per ottenere l'asilo bisogna essere capaci di mostrare di essere perseguitati ed a rischio di trattamenti violenti. E' molto difficile ricevere asilo dall'Europa," ha detto Eliasson.

TT/The Local (news@thelocal.se; 08 656 6518)

 

Ricevo da Roberto Malini

A seguito di un ricorso dell’ERRC, il Comitato conclude che la Francia ha violato la Carta Sociale europea. Analogo ricorso pendente contro l’Italia, presentato dal Center on Housing Rights and Evictions (COHRE) in base a documenti, prove, testimonianze e fotografie trasmesse al Centro dal Gruppo EveryOne, da Viktoria Mohacsi e da altre organizzazioni per i Diritti Umani.

Strasburgo, 5 marzo 2010. Con una decisione del 19 ottobre 2009, ma resa pubblica il 27 febbraio 2010, il Comitato europeo dei diritti sociali ha concluso che la Francia ha violato l'art. 31 commi 1 e 2, l'art. 16, l'art. 30, l'art. E in collegamento con gli art. 31, 30 e 16, e l'art. 19 c. 4 della Carta Sociale europea, non assicurando alle popolazioni nomadi e Rom misure sufficienti per soddisfare il loro legittimo diritto ad un alloggio adeguato, per contrastare la loro povertà ed esclusione sociale e conseguentemente anche garantire il rispetto della vita familiare.
Il Comitato del Consiglio d'Europa, chiamato a monitorare l'applicazione degli obblighi scaturenti dall'adesione degli Stati alla Carta sociale europea, ha ritenuto la Francia in violazione dell'art. 31 della Carta relativo al diritto all'accesso all'abitazione, in conseguenza di un'insufficiente implementazione della legislazione sulla realizzazione di campi sosta. Ugualmente il Comitato ha ritenuto insoddisfacenti gli sforzi compiuti dalle autorità francesi per venire incontro ai bisogni alloggiativi delle popolazioni "nomadi" che desiderano adottare uno stile di vita sedentario. Il Comitato ha infatti concluso che gli interventi volti a tenere conto degli insediamenti di tali popolazioni nella pianificazione urbanistica sono lasciati alla discrezionalità delle autorità locali ed insufficienti risorse vengono investite allo scopo. Ugualmente il Comitato ha ritenuto che i provvedimenti di sgombero attuati nei confronti di gruppi di nomadi, in particolare quelli adottati con urgenza per motivi di ordine, igiene e sicurezza pubblica, hanno determinato una violazione delle norme della Carta sociale europea in relazione al loro carattere sproporzionato e alla violenza spesso utilizzata.
Secondo il Comitato, inoltre, tali violazioni del diritto all'accesso ad un alloggio adeguato si sono determinate perché le autorità francesi non hanno sufficientemente preso in considerazione i bisogni specifici delle popolazioni rom e nomadi, tanto di quelle che desiderano continuare a condurre uno stile di vita nomade, quanto di quelle che invece sentono l'esigenza di una maggiore sedentarizzazione. Con questo, le autorità francesi hanno dunque violato il principio di eguaglianza sostanziale e di non discriminazione per motivi etnico-razziali, di cui all'art. E della Carta sociale europea.
La mancanza di adeguate risorse investite per venire incontro alle specifiche esigenze abitative delle popolazioni Rom e nomadi ha dunque determinato per il Comitato la violazione da parte della Francia del diritto di tali popolazioni ad essere protette dalla povertà e dall'esclusione sociale.

Un ricorso analogo è stato inoltrato dal Centro on Housing Rights and Evictions (COHRE ) contro l'Italia ed è stato dichiarato ammissibile con decisione del comitato europeo per i diritti sociali l'8 dicembre 2009. Nel corso dell'anno sarà dunque deciso nel merito.
Tutti i documenti riguardanti il ricorso pendente contro l'Italia (Complaint n. 58/2009) possono essere consultati sul sito web: http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/socialcharter/Complaints/Complaints_en.asp 

European Committee of Social Rights, Decision on the merits, European Roma Rights Center v. France, 19 October 2009 (Complaint n. 51/2008)

 
Di Fabrizio (del 06/03/2010 @ 09:14:41, in Europa, visitato 1583 volte)

Da Roma_Benelux

Navi Pillay, Alto commissariato dell'ONU per i diritti umani, s'è preoccupato giovedì a Ginevra per la discriminazione di cui soffrono in Europa "i migranti e le minoranze, come quella dei Rom", particolarmente in Slovacchia, Repubblica Ceca ed Italia.

"Mentre l'Unione Europea ed alcuni governi europei hanno cercato di migliorare la situazione dei Rom, in molti altri paesi, tra cui la Slovacchia e la Repubblica Ceca, la loro condizione sembra peggiorare", a dichiarato Mme Pillay presentando il suo rapporto annuale al Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU.

"Inoltre," ha proseguito, " i Rom continuano a confrontarsi con un razzismo aperto e con aggressioni condotte da protagonisti non-statali".

Mme Pillay ha tra l'altro annunciato che "affronterà con le autorità italiane il problema della discriminazione e delle aggressioni contro i Rom, così pure contro i migranti", durante la sua visita in Italia prevista per la settimana prossima.

Una reale "caccia al nero" è stata condotta gennaio scorso a Rosarno (...) da centinaia di abitanti contro i lavoratori agricoli africani, impiegati per la maggior parte illegalmente nella raccolta di arance e mandarini. Un migliaio di loro aveva lasciato la città e l'incidente aveva rivelato le condizioni deplorevoli nelle quali vivevano e lavoravano questi migranti.

04/03/2010 (AFP)

 
Di Daniele (del 03/03/2010 @ 09:48:52, in Europa, visitato 2164 volte)

Sotto il ponte

OsservatorioBalcani 02.03.2010 Da Belgrado, scrive Cecilia Ferrara

E' uno dei ponti principali di Belgrado e ora sta cedendo. La storia del ponte Gazela, dei finanziamenti europei per ricostruirlo e soprattutto delle 175 famiglie rom che per anni vi hanno vissuto proprio sotto. Un reportage

Scena 1: Belgrado, 28 gennaio 2009. Il ponte Gazela è chiuso al traffico merci, sono stati scoperti cedimenti nelle travi portanti. Qualsiasi mezzo a 4 ruote evita il ponte e la città si blocca. Il “Gazela most” è l’arteria cittadina che porta a Novi Beograd ma anche un tratto dell’autostrada che porta a Niš, la E70/E75, attualmente una porzione del Corridoio 10. Vi passano oltre 150 mila veicoli al giorno mentre, secondo il progetto iniziale, la capacità era di soli 40mila veicoli.

Il giorno successivo al blocco il ministro delle Infrastrutture, Milutin Mrkonjić, rassicura i cittadini che il ponte è sicuro e che i lavori di ripristino termineranno in pochi giorni: "Si prega di non aumentare la tensione, il ponte non crollerà”.

Nel 2007 è stato firmato un progetto dalla Banca Europea per la ricostruzione (BERD) e dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) per la ristrutturazione del ponte ma, secondo le dichiarazioni di Mrkonjić e del sindaco di Belgrado Dragan Đilas, il prestito non arriva perché la BERD non è soddisfatta del progetto di ricollocamento delle famiglie rom che vivevano in un insediamento proprio sotto il ponte.

Il sindaco è infuriato: “Non è una donazione - tuona - ma un prestito e se le condizioni sono queste non le accettiamo”. Đilas proprio non si capacita che tutto il lavoro fatto non gli venga riconosciuto: “Non ci possono chiedere - dice - di avere standard più alti di quelli europei. Il sindaco di Roma 4 giorni fa ha sgomberato dei rom mandandoli a 50 km dal centro città e nessuno di loro certo ne era entusiasta”.

Dopo due settimane di trattative serrate arriva lo sblocco del finanziamento. “La BERD ha condotto accurate valutazioni sul ricollocamento delle famiglie - dice la banca in un comunicato – con la conclusione che nonostante ci siano buoni risultati rimangono ancora problemi di enorme portata”. Il fondo sarà comunque erogato “in via del tutto eccezionale”.

Scena 2: Ada Ciganlija è il lago artificiale di Belgrado, dove d’estate i belgradesi vengono a rilassarsi sui lettini dei bar della spiaggia o a sfrecciare in roller e bicicletta. Sul lato interno di Ada vi è un ampio spiazzo con circa 30 container. Vi abitano alcune delle 175 famiglie che vivevano sotto il ponte Gazela, principalmente rifugiati dal Kosovo.

Foto di Isabella Mancini 

Appena entriamo nel campo arrivano gruppi di bambini che fanno domande, chiedono aiuto e in generale ti prendono platealmente in giro. Cerchiamo di chiedere come stanno qui rispetto a prima. I bambini dicono che qui vanno a scuola e hanno i container ma a Gazela era meglio perché c’erano più bambini e quindi più amici. Incontriamo la famiglia di V. che ha lavorato in Italia per oltre 10 anni, per poi rientrare per sposarsi a Pristina proprio nel 1999 e di conseguenza poco dopo tempo obbligato a fuggire per la guerra. Il container ha due stanze, una riscaldata dove dorme e mangia tutta la famiglia (moglie, 2 bambine e 3 bambini) e l’altra adibita ad ingresso.

“Certo la sistemazione è migliore, però la condizione della mia famiglia è peggiorata – dice V. - a Gazela lavoravo anche senza documenti, raccoglievo cartone e potevamo andare alla chiusura del mercato a raccogliere il cibo che veniva buttato via. Qui siamo troppo lontani dalla città e non abbiamo da mangiare tutti i giorni. Se riuscissi a cambiare la residenza da Pristina potrei avere un lavoro ma essendo di Pristina devo andare a Niš per fare le pratiche per tutta la famiglia e non ho i soldi per il viaggio e i documenti”.

Gazela era un insediamento illegale di rom, era in quella posizione dagli anni ‘80 e si è ampliato sempre di più in seguito alle guerre con l'arrivo di rifugiati rom da Bosnia e Croazia e sfollati dal Kosovo, ma anche con famiglie delle campagne che, impoverite da anni di crisi economica, si sono mosse verso la città. Proprio questo campo rom situato in una zona centralissima dove sono collocati il centro congressi Sava Center, l'Hotel Intercontinental e lo Hayatt - quindi un’importante vetrina per la città - era “il problema” per ogni amministrazione di Belgrado finché lo scorso 31 agosto sono arrivate le ruspe e i ricollocamenti delle 175 famiglie che lì vivevano, 61 a Belgrado e il resto in altre zone della Serbia.

Ad aver creato il collegamento tra le vicende di finanziamento della ristrutturazione del ponte e futuro delle famiglie rom che vi vivevano è stato Zvezdan Kalmar di "CEE Bank Watch” un'Ong che monitora gli investimenti finanziari nei paesi dell’Europa centro-orientale. Non si occupano di rom, ma dell’impatto ambientale dei grandi progetti infrastrutturali della BERD, della BEI e di altre istituzioni finanziarie: in questo caso l’impatto era su un insediamento rom. Bank Watch, tramite un blog (http://outofsight.tv), ha iniziato a monitorare i nuovi insediamenti di Belgrado dove vivono persone provenienti da Gazela: Mladenovac (50 km dalla città), Barajevo (30km), Rakovica e Makis.

“Nel progetto erano previsti 2 milioni di euro della Commissione europea per assistere il ricollocamento dei rom – dice Kalmar – ma c’era bisogno di un "Piano di ricollocamento" che la città e il ministero per il Lavoro e gli Affari sociali avrebbero dovuto realizzare. Ci sono dei precisi criteri internazionali per le “ricollocazioni involontarie” che non sono stati seguiti. Non dubito che per certi aspetti le famiglie stiano meglio ora, ma vi sono ancora problemi, ad esempio per procurare a questa gente i documenti di cui hanno bisogno”.

Per ora le famiglie ricollocate in varie aree attorno a Belgrado potranno risiedere per cinque anni nei nuovi insediamenti e dovrebbero riuscire quindi ad ottenere una residenza, requisito fondamentale per tante pratiche burocratiche: dalla riscossione di un assegno sociale all’iscrizione al servizio sanitario pubblico. “A Belgrado ci sono circa 140 ghetti abitati da rom, il ricollocamento di quello di Gazela avrebbe potuto essere un modello da riproporre, ma l’occasione è stata sprecata”, aggiunge Kalmar.

“Non esiste una stima precisa dei rom presenti in Serbia. Nell’ultimo censimento ufficiale si parla di 108mila, ma è un numero che si discosta molto dalle cifre indicate dalle Ong che arrivano fino a 3-450mila - afferma Giulia di Cristo antropologa che sta conducendo uno studio sulle identità territoriali dei rom nei Balcani in collaborazione con l’Università "La Sapienza" di Roma – tra questi vi sono circa 22.000 sfollati dal Kosovo, ma ad esempio l’UNHCR stima che ci siano altri 23 mila rom fuggiti dal Kosovo che non si sono potuti registrare. Ancora più difficile invece stabilire quanti siano i rom tra i rifugiati di Bosnia, Croazia e Macedonia”.

“La Serbia partecipa alla Decade Rom, un piano di azione del Consiglio d’Europa volto a ridurre gli svantaggi sociali della popolazione rom, ma fra i paesi che partecipano a questo progetto è il quello con più difficoltà”, aggiunge la ricercatrice. “Nel 2008/2009 la Serbia ha presieduto la Decade e tra le sue priorità vi era l'educazione. Il 40-50% dei bambini rom infatti viene mandato in scuole per alunni con bisogni speciali pur non avendo difficoltà reali di apprendimento, mentre nelle scuole pubbliche non c’è un concreto sostegno per i rom. Sono stati fatti dei piccoli progetti di inclusione, dalla formazione di insegnanti rom alla preparazione di un manuale sulla loro cultura, ma spesso non si sono trovati i fondi per proseguirli”, conclude l’antropologa.

Nei prossimi anni è probabile ci si trovi di fronte a nuove problematiche. La Serbia ha sottoscritto un programma d'azione che deriva da un accordo internazionale per la riammissione dei cittadini espulsi dai paesi europei nei paesi di origine. Potrebbe quindi avvenire che di alcune famiglie che il sindaco Alemanno ha sgomberato da Roma se ne dovrà ora prender carico Dragan Đilas, sindaco della capitale serba.

 
Di Fabrizio (del 28/02/2010 @ 08:34:43, in Europa, visitato 1939 volte)

Da Hungarian_Roma

The Huffington Post By Joelle Fiss, Pennoyer Fellow - Combating Hate Crimes

24/02/2010 - Proprio un anno fa, il 23 febbraio 2009, Robert Csorba, 27 anni di origine rom, e suo figlio di quasi 5 anni furono colpiti a morte mentre scappavano dalla loro casa in fiamme a Tatárszentgyörgy [leggi QUI ndr]. La sparatoria è avvenuta subito dopo mezzanotte. La famiglia tentava di fuggire dalla sua casa in fiamme, ma nel mentre Robert Csorba e suo figlio furono colpiti a morte dalle pallottole. La moglie di Robert e altri due bambini furono seriamente feriti, oltre naturalmente a patire traumi emotivi.

Un anno dopo, quando Human Rights First visitò la famiglia, c'era una sensazione che queste morti avrebbero potuto essere evitate. Senza dubbio ci sono stati degli errori: l'ambulanza arrivò più tardi del previsto dopo che il crimine fu commesso. La polizia ed il personale medico furono lenti nel riconoscere il motivo dell'incidente che portò alla loro morte. In aggiunta, la polizia concluse inizialmente che il fuoco era stato causato da un incidente elettrico. Mancarono di indagare su importanti indizi che li avrebbero portati rapidamente ai sospetti.

Questo doppio omicidio non è stato un incidente isolato. Violenze simili hanno colpito la nazione nel 2009, colpendo la comunità rom ungherese di 600.000 membri. Sono stati registrati dozzine di gravi crimini razziali, comprendenti l'uso di fucili, il lancio di molotov o di severi pestaggi.

Sono stati compiuti progressi nell'affrontare il circolo vizioso della violenza e le autorità ungheresi hanno preso misure importanti. Quattro sospetti coinvolti in quelli che vengono chiamati "omicidi seriali" sono stati arrestati l'agosto scorso. Centinaia di investigatori sono stati mobilitati su questi casi. Human Rights First spera che inizi presto il processo e che sia pubblico, così da aiutare a portare un senso di giustizia tra le vittime. Un processo, aperto e nazionale, porterebbe in primo piano al dibattito pubblico della questione della violenza razziale contro i Rom. Le conversazioni potrebbero partire dai politici, esperti sui diritti umani e comunità rom, allo scopo di evitare violenze simili in futuro. I giornalisti potrebbero discutere su come evitare di cadere nei soliti luoghi comuni, quando gli incidenti riportati riguardano i Rom.

Paradossalmente, è incoraggiante il fatto che la polizia abbia recentemente ammesso che siano stati fatti degli errori. Con questa constatazione, c'è più possibilità che i responsabili siano disposti a discutere sulle riforme necessarie alla polizia per evitare il ripetersi degli errori.  Qualche giorno fa - quasi un anno dopo gli omicidi - la polizia nazionale riconobbe che c'era stata una cattiva condotta da parte sua, in risposta al doppio omicidio di Tatárszentgyörgy. Come risultato, sono iniziate procedure interne disciplinari verso due poliziotti per assicurare la responsabilità sulle loro mancanze. Ciò va in qualche maniera nella direzione intrapresa dal governo, che chiede vengano messi in atto meccanismi adeguati per rispondere agli abusi polizieschi.

Detto questo, rimane ancora molto da fare.

In primo luogo, l'addestramento della polizia è un punto centrale nel prevenire violenze a sfondo razziale. Quando questa avviene, la polizia deve usufruire di una buona formazione nel raccogliere le prove, così che l'indagine possa definire correttamente la natura del crimine commesso. Effettivamente, se l'indagine sulla scena del crimine è incompleta e viene ignorato il motivo razziale, il sistema della giustizia non può assicurare la sua piena responsabilità.

Quanti sinora si sono occupati degli assassini seriali sono investigatori di esperienza. Ma la polizia locale è formata adeguatamente nel fare fronte agli avvenimenti a livello base, agli episodi giornalieri di minacce e piccole violenze, che non assumono a fama nazionale? La polizia ha bisogno di adattare i meccanismi di risoluzione dei conflitti ai rispettivi contesti locali. Sarebbe utile che potessero confrontarsi con le loro controparti di altri paesi per arrivare a soluzioni creative. A tale proposito, gli Stati Uniti potrebbero essere di grande aiuto. Allo stesso modo che gli investigatori dell'FBI volarono a Budapest l'estate scorsa per dare assistenza alla polizia ungherese nell'identificare gli assassini seriali, potrebbero radicarsi nel futuro anche altre forme di cooperazione tecnica e di mutui progetti, col supporto del Dipartimento USA alla Giustizia e del Dipartimento di Stato.

Secondariamente, le autorità ungheresi preposte alla legge dovrebbero considerare di compiere sforzi concertati per includere più ungheresi di origine rom nelle unità di polizia [leggi QUI ndr], per rompere il sentimento cognitivo di "noi contro loro" che alimenta le tensioni sociali.

Terzo, quando la polizia commette degli errori, le indagini devono essere effettuate sistematicamente - come nelle deviazione avvenute nel caso degli omicidi Csorba, cosicché ci sia un senso genuino di responsabilità per coloro che ritengono che i loro diritti siano stati violati.

Anche più difficile, ma non una sfida meno importante, è trasformare gli stereotipi anti-Rom profondamente radicati che sono tollerati a molti livelli all'interno della società ungherese - sia nei circoli privati, sia nell'arena politica che nei media. Istvan Serto-Radics, sindaco della città di Uszka  - largamente popolata da residenti rom, ha scritto assieme al professor John Strong di Long Island USA una ricerca, in cui si paragona la difficile situazione dei Rom nell'attuale Ungheria a quella degli Afroamericani nel Mississippi della metà degli anni '60 e '70. Descrivendo i modelli psicologici pregiudicati, dice: "Ci sono diverse ed importanti similarità tra i Rom e gli Afroamericani... stereotipi simili sono frequentemente usati per descriverli. Sono entrambi visti come pigri, proni al crimine, inferiori intellettualmente, emozionalmente immaturi, anche se dotati nella musica". In aggiunta, i problemi strutturali degli alti tassi di disoccupazione, le aree abitative ghettizzate, la discriminazione nella sanità e nell'istruzione, come pure i rapporti tesi con la polizia, sono tutti gli altri fattori che determinano le rassomiglianze storiche. Malgrado ciò, ci sono differenze significative; per esempio la comunità rom non ha mai lottato per acquisire il diritto di voto - partecipano persino attivamente alle elezioni.

Come si inserisce questo turbolento contesto sociale nelle imminenti elezioni nazionali che si terranno ad aprile? Il neofascista partito Jobbik è in buona posizione per ottenere una generosa massa di voti. La sua agenda politica è semplice: militaristica. A parte i crudi discorsi razzisti contro gli Ebrei, chiama all'uso dell'esercito per agire contro i Rom per "restaurare l'ordine" e combattere "il crimine zingaro". La "criminalità zingara" è una nozione problematica filtrata tristemente nel discorso pubblico come concetto tradizionale. Tuttavia, il pubblico sembra afferrarla intuitivamente, mentre il capire l'effetto della violenza razzista è meno condiviso e non sempre accettato. Invero è un problema di micro-criminalità che colpisce una corda sensibile di molti Ungheresi. Tuttavia, l'oltraggio pubblico è ben più forte se un Rom è beccato a rubare, piuttosto di quando viene colpito a morte. La risposta della polizia può riflettere questo, mentre gli attacchi razzisti contro i Rom possono essere benzina gettata sui crimini di cui sono gli esecutori.

I membri della Guardia Ungherese, l'ala paramilitare di Jobbik, sfruttano le legittime paure del crimine. Sono conosciuti per vagare intorno ai villaggi popolati da Rom intimidendoli con violente minacce o aggredendoli. Infatti, Tatárszentgyörgy è uno dei primi posti dove hanno cominciato sfilare dalla loro creazione nell'agosto 2007.

Ecco allora un suggerimento a tutti i democratici in Ungheria che seriamente combattono l'ascesa dell'estremismo nel loro paese mentre incombe la campagna elettorale. Se i cittadini ungheresi si sentissero protetti ugualmente dallo stato, ci sarebbe una migliore probabilità porre freno l'estremismo. Gli elettori di Jobbik [...] stanno rivolgendosi ai bulli neonazisti in cerca di più sicurezza. Nel contempo, i componenti della comunità rom hanno paura di essere insultati, minacciati o assaltati per strada: è tempo che i politici responsabili - e quanti formano l'opinione pubblica - parlino apertamente contro il razzismo, così come lo fanno contro il crimine. E' tempo di essere sicuri che non esiste crimine pari al rubare le vite di Robert Csorba e del suo piccolo figlio.

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