Amici del Museo d'Arte di Tel Aviv Si ringrazia per la collaborazione CASA DELLA POESIA
Il 27 gennaio 1945 i soldati dell'Armata Rossa liberarono Auschwitz-Birkenau
salvando i pochi sopravvissuti e svelando l'ORRORE. Tutti dovremmo saperlo e
ricordarlo. ma pare che non sia così. La cronaca quotidiana ci dice che non
è così.
In anticipo sul calendario della memoria pubblica, A.M.A.T.A. onlus (Amici del
Museo d'Arte di Tel Aviv) invita a un "suo" Giorno della Memoria il 17
gennaio 2010. Quella stessa domenica Papa Ratzinger andrà in visita alla
sinagoga romana in nome di un dialogo non facile. Nel medesimo giorno la
comunità ebraica ricorderà il tentato pogrom del 1793: il ghetto assediato e
incendiato, gli ebrei salvi grazie a un acquazzone improvviso che spense le
fiamme.
L'associazione A.M.A.T.A. onlus invita a riflettere sullo Sterminio con il
mezzo che le è proprio, avendo cioè a cuore la diffusione della cultura edel
rispetto senza distinzione di nazionalità, etnia, colore, religione.
Guardiamo il mondo intorno a noi, lasciando alle istituzioni la fatica di non
soccombere sotto il peso di rituali e ripetitività.
Quando - presto, prestissimo - rimarremo noi soli a sapere, a ricordare la Shoà,
quando i testimoni non ci saranno più, è allora che ci serviranno vecchie-nuove
parole, vecchie-nuove melodie, nuovi strumenti della Storia. Di quella Storia
che è storia di ogni giorno.
Stefano Jesurum
PROGRAMMA
ore 18.00 1a parte NON CHIAMARMI ZINGARO Spettacolo di Pino Petruzzelli
Intervallo
Cena offerta dal Museo d'Arte di Tel Aviv con i sapori della cucina ebraica
2a parte
Interverranno: Ron HuldaiSindaco di Tel Aviv Tommaso KemenyPoeta David MaghnagiDocente di Psicologia presso "La Sapienza" di Roma Radu MihaileanuRegista cinematografico (Train de Vie, Vai e vivrai,
Il concerto) Dijana PavlovicAttrice AlexianGruppo musicale rom Trio NefeshGruppo musicale klezmer
Di Fabrizio (del 10/01/2010 @ 09:53:00, in media, visitato 3211 volte)
Segnalazione di Tommaso Vitale
Corriere della SeraMercoledì 27 gennaio, History Channel dedica una
prima serata alla rocambolesca vicenda di un Rom italiano.
Prima serata dedicata a una storia a dir poco incredibile, quella che ci aspetta
il 27 gennaio su History Channel. Protagonista del documentario, prodotto da
Fabulafilm e diretto da Paolo Santoni, è Giuseppe Levakovich, detto Tzigari, Rom
italiano che prima diviene fascista, sfuggendo così alla deportazione a opera
dei tedeschi, e passa poi a combattere nella Resistenza.
La vicenda personale, che così bene si presta a un racconto cinematografico, è
l'occasione per sfogliare le pagine inedite della storia dei Rom a cavallo tra
le due guerre mondiali, alle prese con la persecuzione razziale fascista prima
e, in un ruolo attivo, nella guerra d'opposizione al regime. Poco si parla
difatti, e ancor meno si sa, di quel mezzo milione di zingari uccisi in Europa
nell'arco di un solo quinquennio (1940-45), senza contare le migliaia di Rom e
Sinti italiani internati nei campi istituiti dal regime fascista che,
contrariamente a quanto si tende a credere, fu autonomamente attivo nel
perseguire etnie "diverse", indipendentemente dall'esempio tedesco.
Contribuisce forse all'oblio la tradizione culturale dei Rom, che rifugge dalla
memoria scritta considerandola una sorta di atto sacrilego, soprattutto quando
si sceglie di ricordare le sofferenze patite. Ma, negli anni Settanta, Tzigari
sceglie d'infrangere il tabù e raccontare ai "gaje", i non zingari, cosa lui e
il suo popolo avessero subito.
A distanza di decenni, c'è chi ha deciso di seguire il suo esempio, attivandosi
perchè l'umanità non dimentichi quanto accaduto. Così, la comunità Rom e Sinti
di Udine ha preso parte alla ricostruzione e alla messa in scena delle vicende
storiche raccontate, alcune delle quali toccano da vicino gli "attori": difatti,
del gruppo fanno parte anche parenti diretti di Tzigari e coloro che sono
sopravvissuti ai campi di concentramento, facendo ritorno da Gonars e Tossicia.
Brno, 5 gennaio (CTK) - Ivona Parciova, dell'IQ Roma servis, ha detto ieri a CTK
che Rom cechi della comunità di Brno reciteranno questa settimana la love story
di un Romeo rom e una Giulietta bianca, basata sul famoso dramma di
William Shakespeare.
La performance intitolata "Romeo e Giulietta - Una Storia di Strada" [è stata
presentata] il 6 e 7 gennaio al teatro Reduta di Brno.
Il complesso rom trasformerà la famosa tragedia dei due giovani amanti delle
famiglie dei Capuleti e dei Montecchi, in una moderna love story di gente di
differenti gruppi etnici nella società attuale, ha aggiunto Parciova.
Saranno una parte importante dell'allestimento le "danze di strada"
presentate dal gruppo Danza il Cortile.
La performance è stata preparata nel quadro del progetto Attraverso la Danza
verso la Comprensione e la Tolleranza, tenutosi a Brno dallo scorso marzo.
Terminerà a giugno.
Lo scopo principale è di coinvolgere i giovani delle località socialmente
escluse in attività creative, e quindi mostrare loro come impiegare il loro
tempo libero in maniera positiva, ha detto Parciova.
"Volevamo mostrare che la musica e la danza possono connettere vari gruppi
etnici, e che unire gli interessi può migliorare la loro coabitazione," ha detto
l'educatrice Nela Zivcakova.
La performance teatrale è stata preparata da membri di IQ Roma servis di età
tra i 15 e i 18 anni, assieme ad altri bambini.
IQ Roma servis aiuta le famiglie e i bambini minacciati dall'esclusione
sociale, soprattutto Rom, a Brno.
Inoltre, il centro Drom Romany ed il Museo della Cultura Rom a Brno stanno
cercando di migliorare la situazione della locale comunità rom a Brno, che con
360.000 abitanti è la seconda città della Repubblica Ceca (10 milioni di
abitanti). Oltre 17.000 Rom vivono a Brno, secondo le stime degli esperti.
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Di Fabrizio (del 09/01/2010 @ 09:12:31, in Europa, visitato 2132 volte)
07.01.2010 Da Capodistria, scrive Stefano Lusa
Un paesino della Slovenia, una famiglia rom, un funerale. E gli abitanti del
posto che si oppongono ad una tumulazione, avvenuta alla fine sotto la scorta di
unità speciali della polizia. L'ennesimo caso di intolleranza in Slovenia nei
confronti dei rom
Doveva essere un classico funerale ed invece sì è trasformato nell’ennesimo
caso d’intolleranza nei confronti dei rom sloveni. Il 2 gennaio scorso tutto
sembrava essere pronto per la sepoltura di una quarantenne rom residente in un
insediamento della bassa Carniola. Lei e la sua famiglia avevano sempre
vissuto lì ed i suoi cari avrebbero voluto seppellirla nel cimitero del paese.
La cosa non è stata possibile. Nel camposanto, infatti, non c’era più posto per
nuove tombe, così si è deciso di tumularla nel cimitero del paese vicino.
Il funerale era programmato alle 16. L’impresa di pompe funebri aveva già
scavato la fossa. Nel primo pomeriggio, però, gli abitanti del luogo hanno
iniziato a raccogliersi davanti alla locale stazione dei pompieri, per
protestare contro quella tumulazione. Secondo la polizia si sarebbe trattato di
una sessantina di persone; altre fonti parlano di un centinaio.
In maniera piuttosto animata contestavano la decisione di seppellire lì quella
donna e chiedevano che fosse portata da un'altra parte. Nel loro cimitero, sino
a quel momento, non era stato sepolto nessun rom. Il timore, a quanto sembra,
era che in futuro ne potessero venir tumulati degli altri. Nel corso della
manifestazione non sono mancate nemmeno le solite accuse all’indirizzo di quelli
che sprezzantemente vengono definiti “zingari”, con i quali, è stato fatto
notare, ci sarebbero “brutte esperienze”.
Per cercare di dipanare l’intricata matassa sono scesi in campo la polizia, i
rappresentanti dei rom e la locale “iniziativa civica” che da tempo contesta i
“privilegi” dei quali secondo loro i rom locali goderebbero. La trattativa non
ha portato a nulla ed ad un certo punto è sembrato che le esequie fossero
rimandate a data da destinarsi.
Alla fine il nodo gordiano è stato sciolto dalle forze dell’ordine, che hanno
intimato di far svolgere il funerale. Appare evidente che l’ordine sia arrivato
dall’alto. Per garantire la sicurezza sul posto sarebbero arrivate da Lubiana
unità speciali della polizia. La tumulazione, così, è avvenuta con quasi un’ora
di ritardo e senza che vi fossero ulteriori contestazioni. Probabilmente è stato
fatto capire agli organizzatori della protesta che impedire lo svolgimento di un
funerale poteva portare a seri guai con la giustizia. Del resto l’attuale
governo di centrosinistra sembra meno disposto ad assecondare gli umori della
popolazione locale.
L’episodio, comunque, ha fatto ancora una volta venire al pettine le tensioni
che regnano in quella zona della Slovenia. I rom sono accusati di avere tutta
una serie di privilegi e di essere autorizzati a non rispettare la legge. Si
dice che guidino senza patente con macchine senza targa, che non mandino i figli
a scuola, che rubino, che lascino in giro rifiuti, che costruiscano le loro case
ed i loro accampamenti abusivamente, che preferiscano vivere di sovvenzioni, che
non hanno voglia di lavorare ed altro ancora. In parole povere la popolazione
locale farebbe volentieri a meno della presenza dei rom e lo ha fatto capire in
più occasioni, con una serie di manifestazioni inquietanti.
Secondo le stime in Slovenia vivrebbero circa 10.000 rom insediati soprattutto
nell’Oltremura e nella bassa Carniola. Da notare, però, che al censimento del
2002, quando ai cittadini era stato chiesto di esprimere la loro appartenenza
nazionale, solo poco più di 3200 persone avevano dichiarato di essere rom.
Evidentemente quella è un’etichetta che pesa e che è meglio omettere per essere
accettato nella società.
Nell’Oltremura non si registrano particolari problemi, la comunità rom sembra
abbastanza ben integrata e tutto sommato tollerata dagli altri abitanti. Ben
diversa, invece, è la situazione nella bassa Carniola. Negli scorsi anni qui si
sono registrati episodi gravi. Fiumi d’inchiostro sono stati spesi per
descrivere la cacciata della famiglia Strojan dal villaggio di Ambrus e il
tentativo di istituire classi separate in una delle locali scuole elementari con
un’elevata presenza di alunni rom. Proprio per questi fatti Lubiana ha dovuto
fare i conti con le critiche che sono piovute al suo indirizzo da parte delle
associazioni e delle istituzioni che si occupano del rispetto dei diritti umani
sia in Slovenia sia all’estero.
Come nel resto d’Europa, anche in Slovenia, la posizione dei rom è preoccupante.
Secondo valutazioni del governo solo una percentuale che va dal 2-10% ha un
lavoro fisso, gli altri vivono di sovvenzioni sociali e di piccoli espedienti.
Bassissimo è anche il loro livello di scolarizzazione. Il 65% di essi non
avrebbe finito la scuola dell’obbligo. Ci sono poi seri problemi per quanto
riguarda la frequenza delle scuole dell’obbligo da parte dei bambini, ma
l’emergenza più inquietante è quella che riguarda le loro condizioni di vita.
Va segnalato che i rom sloveni sono oramai diventati stanziali e che vivono in
insediamenti con case vere e proprie. In molti casi si tratta di terreni
occupati abusivamente e di abitazioni costruite senza i necessari permessi.
Spesso i loro villaggi non sono provvisti di strade asfaltate e degli
allacciamenti alla rete idrica, a quella elettrica o a quella fognaria. Le
condizioni igieniche quindi spesso risultano precarie. Del resto bisogna fare i
conti con una situazione che per decenni non è stata gestita e di cui ci si è
poco occupati.
Negli ultimi anni è stato fatto qualche sforzo per regolare la questione e sono
stati ipotizzati anche dei condoni. La cosa, però, in alcuni casi ha fatto
andare su tutte le furie la popolazione locale, che protesta contro questi
“privilegi”. Quello che appare evidente, comunque, è che nella bassa Carniola in
molti preferirebbero vedere i rom lontano dai loro villaggi. Rom e sloveni,
così, quando sono costretti a convivere lo fanno da separati in casa.
Sta di fatto che la strada per superare i molti pregiudizi ed i molti stereotipi
che esistono nella società sui rom è ancora lunga. In Slovenia, comunque, a
livello nazionale si sta tentando di fare qualcosa. Nel 2007 è stata accolta una
legge quadro che regola la loro tutela ed è stata garantita una loro
rappresentanza nei consigli comunali. Lubiana starebbe cercando di creare
un’élite culturale rom e puntando sulla loro scolarizzazione. La ricetta
dovrebbe servire ad integrare meglio i rom nella società, bisognerà, comunque,
vedere se alla fine si riuscirà a capire che i rom, in Slovenia come nel resto
d’Europa, chiedono solamente due cose: non essere discriminati, ma nemmeno
assimilati.
Dal 2006, sono stati costruiti dei "Villaggi d'inserimento per i Rom"
nell'agglomerato di Seine-Saint-Denis. Vi sono sistemate delle famiglie
selezionate dopo un'inchiesta sociale condotta dal Pact Arim, un'associazione
delegata dalla prefettura. I beneficiari, Rom rumeni e bulgari, non ottengono
alcun documento di lavoro dalla prefettura e quindi non possono lavorare
legalmente. Di conseguenza, devono seguire, come tutti i loro concittadini, la
procedura applicata alla vigilia dell'entrata della Bulgaria e della Romania
nell'Unione Europea, che nei fatti rende il conseguimento di un titolo di
lavoro quasi impossibile.
Questi ultimi giorni un'informazione è emersa dall'opacità dove si sono
sviluppati questi progetti pilotati congiuntamente dalla prefettura, dai comuni
di sinistra, da imprese e dalla solidarietà benevola di associazioni dette
"umanitarie" che però sono quanti ostruiscono i fori: il 75% del budget di
questi villaggi è consacrato alla guardiania ed alla sorveglianza. In effetti,
vigilanti delle società private sono incaricati della sorveglianza di questi
luoghi chiusi, dove è proibito l'accesso a tutte le persone esterne che non
abbiano un'autorizzazione speciale rilasciata dal gestore.
Questi elementi rivelano che il fine reale di questi progetti è il controllo
e la sorveglianza di una parte dei Rrom migranti originari della Romania e della
Bulgaria, quando la parte rimanente, la maggioranza, è condannata a chinare la
schiena sotto il manganello e ad andarsene. Da un lato le leggi privano uomini e
donne, tra gli altri, del loro diritto elementare al lavoro, dall'altro questi
progetti fanno credere che la sola maniera di inserire i "fuorilegge" che loro
stessi hanno fabbricato è di concentrarli "nei villaggi d'inserimento per i
Rom". L'accompagnamento sociale verso l'impiego di persone che non hanno il
diritto di lavorare rivela il camuffamento di questa politica di contenimento e
di controllo adottata dalle autorità. Questa politica esclude semplicemente che
i Rrom pretendano d'inserirsi nel campo dell'applicazione della dichiarazione
dei diritti dell'uomo, dunque dell'umanità. Cosa fa la società civile?
Il collettivo Romeurope, che riunisce associazioni che si dicono a sostegno
dei Rrom ed è finanziato dalla Fondazione Abbé Pierre, non si è mai espresso
riguardo questi progetti. Una ventina d'associazioni, per la maggior parte
membri del collettivo, hanno denunciato nel 2009 l'espulsione di 2.200 Rrom
dalla regione parigina. Tuttavia, nessuna menzione viene fatta nel comunicato
dei "villaggi d'inserimento", che in altri momenti erano presentati come
alternative a queste espulsioni ripetute.
Un articolo dell’Humanité cita Malik Salemkour, vice-presidente della Lega
dei Diritti dell'Uomo: "Se ancora queste espulsioni avessero lo scopo di mettere
queste persone in un dispositivo per prendersele in carico… Ma non è così".
Qualche giorno più tardi, il 29 dicembre, in un articolo intitolato "Villaggi
d'inserimento, l'inizio di una soluzione?", Salemkour si esprime in questi
termini: "Sono chiaramente discutibili, dato che l'accompagnamento sociale
d'inserimento per il lavoro e l'alloggio è una buona cosa, occorre comunque
interrogarsi sulla sua logica etnica dato che in questi villaggi, non ci sono
che Rom." Si può rimanere sulla teoria, mentre si considerano degli uomini
come fossero materia prima? Perché "interrogarsi" è una cosa, rispondere alle
domande un'altra. Qualificare qualcosa come "discutibile" è una cosa, discuterla
realmente, un'altra. Perché Salemkour, la LDH, Romeurope ecc. non discutono
questo soggetto e non rispondono alle domande che si pongono? Cosa li ferma?
La voix des Rroms ha chiesto con una lettera del 29 dicembre 2009 a tutte le
associazioni firmatarie del comunicato menzionato di prendere una posizione
chiara e pubblica sui "villaggi d'inserimento", come La voix des Rroms ha fatto
già dal 2007. Senza risposta al 4 gennaio, ha reinviato l'appello, ma continua
il silenzio.
In queste condizioni, La voix des Rroms domande a tutte le strutture che
dicono di sostenere "i Rrom migranti": Sia di dire pubblicamente, chiaramente e
rapidamente la loro posizione riguardo "ai villaggi d'inserimento", o di tacersi
una buona volta per tutte e non "indignarsi" per le conseguenze di un
trattamento che rifiutano di denunciare.
Di Fabrizio (del 08/01/2010 @ 09:46:53, in sport, visitato 3528 volte)
Di questo pugile sinto tedesco ne abbiamo parlato il
marzo
scorso, ora ce lo ricorda Ernesto Rossi
[...] l’Unità ha pubblicato (5
gennaio, Roberto Brunelli) due pagine dedicate al campione di pugilato dei
mediomassimi Johann "Rukelie" Trollmann (1907-1943), sinto tedesco, cui i
nazisti tolsero con la violenza il titolo guadagnato a furor di popolo.
Stroncandone la trionfale carriera con un incontro "truccato" e portandolo a
morire nel campo di concentramento di Neuengamme.
All’incontro, in cui a lui che "danzava" imprendibile sul ring fu imposta
l’immobilità: doveva solo perdere, eppure resistette in quelle condizioni
per ben cinque round. Ma ancora più straordinario fu il coraggio e il senso di
sfida con cui si presentò "da ariano", coi capelli tinti in biondo e cosparso di
farina.
L’occasione del ricordo è data dalla prossima inaugurazione a Berlino, nei
pressi del luogo che vide la sua vittoria, di un monumento in sua memoria: un
ring in legno bianco.
Berlino, 1933. Danzava, lo zingaro. E vinceva. Saltellava, colpiva veloce:
come molti anni dopo avrebbe fatto Mohammed Alì, tanto per dire. Johann Trollman
era un eroe. Era fascinoso, con quei riccioli scuri, era elegante. Aveva stile.
Lo amavano le donne, le celebrità si accalcavano in prima fila per assistere ai
suoi match. La gente si scalmanava, i titoli dei giornali erano sempre per lui.
Una carriera folgorante, quella di Trollmann, detto “Rukelie”. Campione tedesco
dei pesi medi: lo scontro per il titolo con Adolf Witt è leggendario. Dopo sei
round, l’ariano Witt, una specie di colosso inamovibile, era a pezzi. In prima
fila c’è un gerarca nazista, tale Georg Radamm, presidente dell’associazioni
pugili tedeschi, che ordinò di annullare l’incontro. Il pubblico esplose di
rabbia, invase il ring e difese il proprio campione: gli gettarono al collo la
corona, i nazisti sfiorarono il linciaggio. Trollmann pianse. Di felicità.
Campo di concentramento di Neuengamme, 1943. Un uomo denutrito, ridotto a poco
più che uno scheletro ma con indosso i guantoni da boxe, crolla nel fango. Non è
chiaro cosa sia successo: si sa che ci sono stati degli spari. È il detenuto nr.
721/1943. Il suo nome è Johann Trollmann. Lo avevano, come tante altre volte,
massacrato di botte: sapendo che era stato un campione, gli infilavano i
guantoni e lo facevano a pezzi. Per tenerlo in piedi più a lungo, gli davano una
doppia razione di cibo. «Adesso difenditi, zingaro», gli urlavano le SS.
La storia di Johann Trollmann è una delle più straordinarie e meno raccontate
del Terzo Reich. Meno raccontate per un solo motivo: “Rukelie” era un sinti.
«Integrato» e inurbato, per così dire, ma pur sempre sinti. Fino al ’33, anno
dell’ascesa di Hitler al potere, conobbe qualche sporadico episodio di
discriminazione. Dopo, la sua carriera fu una discesa agli inferi, che solo nel
2010 conoscerà una parziale riparazione, quando verrà inaugurato a Berlino, a
Kreuzberg nel Viktoriapark, un monumento a forma di ring a lui dedicato,
realizzato da un gruppo di artisti capeggiato dal pittore d’avanguardia Alekos
Hofstetter, che si è fatto promotore dell’iniziativa convinto che – se pure la
Germania abbia compiuto moltissima strada per quello che riguarda la
pesantissima eredità nazista – quella di Trollmann sia una storia da riabilitare
pienamente. Che, insomma, i tedeschi non abbiano ancora finito di fare i conti
col proprio passato, soprattutto per quel che riguarda rom e sinti. Non a caso,
prima di lui, la storia del «pugile zingaro» l’ha raccontata unicamente il
giornalista e scrittore Roger Repplinger, nel libro Leg dich, Zigeuner (Piper
Verlag, 2008).
Eppure la vicenda umana e sportiva di “Rukelie”, nato il 27 dicembre 1907 a
Wilsche è, con tutto il suo carico di dolore, ingiustizia, discriminazione e
razzismo, una vicenda eccezionale ed emblematica. Professionista dal ’29, era
diventato rapidamente uno dei pugili più richiesti dell’epoca. Trollmann
combatteva sia nei pesi medi che nei mediomassimi. Quasi sempre aveva la meglio
sugli avversari di categoria superiore, grazie ad uno stile che all’epoca era
pura avanguardia: veloce sulle gambe, quasi danzante, colpi brevi e formidabili.
Roba «animalesca», secondo le camicie brune, «effeminata», niente a che vedere
con «il vero pugilato ariano». Come non bastasse, dato che Johann era sinti, non
era accettabile l’affronto del titolo vinto contro Adolf Witt. Così, una
settimana dopo quel 9 giugno in cui Rukelie ebbe il titolo, il titolo gli fu
tolto. Con una motivazione ridicola: le lacrime – di gioia – che gli erano corse
sulle guance non erano «degne di un vero pugile». Un «comportamento pietoso», fu
l’espressione usata dall’associazione dei pugili, già completamente assoggettata
al partito nazionalsocialista. Ma non bastava.
Lo «zingaro» era troppo famoso, troppo amato, e certo non era conforme ad una
visione ariana dello sport. L’affronto della vittoria contro Witt doveva essere
vendicato. Fu organizzato un nuovo incontro, questa volta contro Gustav Eder,
che successivamente sarà campione europeo: una sconfitta annunciata, anzi
preparata con cura. Proibirono a Trollmann di muoversi dal centro del ring, gli
dissero che se avesse «danzato» schivando i colpi gli avrebbero tolto la
licenza. Johann doveva perdere, e basta. Johann lo sapeva.
Quel che segue fa di Trollmann uno dei più straordinari eroi della storia dello
sport. Un eroe tragico, quasi nel senso greco del termine: “Rukelie” si presentò
sul ring con i capelli tinti di biondo-oro e con tutto il corpo cosparso di
farina. Consapevole di andare a farsi massacrare, con questo gesto provocatorio
e smisurato coraggio si prese gioco di tutta la retorica del «combattente
ariano» con cui la propaganda nazista aveva gonfiato e avvelenato il paese:
piantato come una quercia, per cinque round venne preso a cannonate da Eder,
finché non crollò a terra, avvolto da una nube candida di farina che si alzò per
aria.
Gli anni seguenti furono un rapido viaggio nell’inferno del nazismo. Ancora
qualche sporadico combattimento: «Sdraiati, zingaro», gli ululavano le camicie
brune dall’angolo, «altrimenti prendiamo te e la tua famiglia». Per qualche anno
comparve alle fiere di paese combattendo per pochi spiccioli, in altri periodi
addirittura visse nascosto nei boschi. I sinti e i rom – che vennero degradati
al livello «non-umano» degli ebrei soltanto nel ’38 – furono obbligati in molti
casi a farsi sterilizzare: idem Trollman. Che, per di più, divorziò dalla moglie
pur di evitare che la sua famiglia fosse destinata alla deportazione.
Nondimeno, il pugile fu richiamato dalla Wehrmacht e mandato al fronte. I
nazisti continuarono ad infierire: al suo ritorno, nel ’42, venne arrestato
dalla Gestapo e deportato nel lager di Neuengamme, vicino Amburgo. Qui, racconta
Repplinger, dovrebbe aver incontrato un collega sportivo, l’ex stella del calcio
Tull Harder, «l’ariano» Tull Harder, nel frattempo diventato ufficiale delle SS.
Storie parallele di sportivi tedeschi: messo sotto accusa dopo la guerra per
aver comandato un sottocampo vicino Hannover, dove migliaia di ebrei polacchi
furono resi schiavi e poi portati alla morte, Harder dichiarò durante il
processo di non essere a conoscenza di quello che accadeva nel suo lager. Venne
condannato a 15 anni, ma già per il Natale del ’51 era un uomo libero.
Ebbe anche una pensione: un privilegio che ai pochi sinti e rom sopravvissuti
all’olocausto non fu concesso mai, perché diversi tribunali avevano sentenziato
che gli zingari erano stati perseguitati non per la razza, ma erano finiti nei
lager in quanto «criminali». Solo nel 2003 agli eredi Trollmann fu consegnata la
cintura da campione di “Rukelie”, in una triste cerimonia disertata dai
dirigenti dell’Unione dei pugili professionisti tedeschi. Gustav Eder, che aveva
abbattuto l’inerme Johann coperto di farina, morì di vecchiaia nel ’93.
Trollmann finì nel fango di Neuengamme, con addosso solo i suoi guantoni da
boxe.
Di Fabrizio (del 07/01/2010 @ 09:35:29, in Europa, visitato 2138 volte)
Da
Bulgarian_Roma (altro polpettone bulgaro, dove forse non tutto funziona come
descritto, ma che potrebbe essere un punto di partenza per molte realtà
italiane)
PROGRAMMA MUNICIPALE PER LO SVILUPPO DELLA COMUNITA' ROM A SOFIA
Condizione del problema
A Sofia ci sono circa 125.000 Rom residenti, che vivono soprattutto nei
sobborghi, con caratteristiche come povertà strutturale, temi, rimasti insoluti
per decenni, riguardo all'occupazione, infrastrutture, istruzione, sanità.
Discriminazione, esclusione dalla vita pubblica, mancanza di fiducia tra i Rom e
la maggioranza - tutto questo soprattutto a livello locale. Nelle scuole c'è una
crescente segregazione tra i bambini rom ed il resto. Le famiglie rom vivono
condizioni di vita costantemente deteriorate, isolate dalla maggioranza, con la
dominante attitudine negativa da parte della maggior parte delle istituzioni
locali come la polizia, i servizi sociali, gli uffici di collocamento, le
istituzioni municipali ecc.
Nell'aprile 1999 il Governo ha firmato il Programma Quadro per la pari
integrazione dei Rom nella società bulgara. Dietro questo programma ci sono
oltre 100 organizzazioni. Ma, sinora, due diversi governi non hanno fatto niente
di significante per sviluppare realmente il programma.
Cosa bisogna fare
Le misure che devono essere prese, per creare un clima ed una comprensione
migliore, devono essere conformi alle circostanze locali. L'esperienza indica
che non vengono adoperati programmi nazionali "paracadutati dall'alto". Solo
programmi per lo sviluppo locale, che hanno origine nella comunità, sono capaci
di soddisfare con e usando gli strumenti nazionali, fondi e misure politiche per
lo sviluppo locale. In questa direzione funziona il Consiglio Pubblico Rom "Kupate",
attraverso un programma comunale per lavorare con i Rom, come previsto in uno
dei passi per lo sviluppo a livello locale del Programma Quadro.
La costruzione di un'efficace cooperazione e partnership tra la comunità rom
e le istituzioni locale è una garanzia per risolvere i problemi concreti della
popolazione rom ed è un'operazione proattiva per lo sviluppo dei programmi
comuni. E' per questo che il progetto prevede di unire gli sforzi dei Rom, delle
organizzazioni civili bulgare e delle istituzioni delle autorità locali per
cercare soluzioni comuni ai problemi dei Rom a Sofia. Saranno aderenti ai
bisogni ed alle capacità concrete tanto dei Rom che della municipalità
metropolitana, e con quelle della regione in generale.
Informazioni pubbliche e supporto al programma
L'integrazione e la partecipazione diretta della comunità rom nei processi
decisionali, è una priorità non solo per Sofia, ma anche a livello nazionale,
rispetto all'impegno e agli sforzi della Bulgaria riguardo all'accesso alle
strutture europee.
L'idea di un Programma Municipale come un modo di applicare il Programma
Quadro a livello locale, viene dai rappresentanti della stessa comunità rom. La
strategia ed i passi concreti per il suo svolgimento sono stati ampliamente
discussi con le organizzazioni civili, leader informali, rappresentanti delle
istituzioni a livello locale e nazionale. Come risultato delle discussioni e
delle esperienze pratiche, il Programma Municipale ha sostenuto una serie di
correzioni; ora è flessibile per adattarsi alle condizioni concrete delle
municipalità, incluso Sofia.
E' stata accumulata una seria esperienza pratica dagli sforzi del CPR "Kupate"
per iniziare Programmi Municipali a Rousse, Plovdiv e Stara Zagora, e questa
esperienza promuoverà lo sviluppo del Programma a Sofia.
Le possibilità concrete per la realizzazione di un programma simile sono
state appoggiate dalle istituzioni e dalle organizzazioni civiche rom e bulgare,
che tramite i loro rappresentanti hanno preso parte ai gruppi di lavoro -
Fondazione "Roma Bureau - Sofia", Fondazione "Appoggio ai Rom", organizzazione
indipendente femminile rom "Lachi Romni", Associazione Giovanile Rom -
Sofia, Fondazione Balcanica "Diversità", Human rights Project, Fondazione
"Comunità Rom", il consiglio fiduciario della 75a High School, leader
locali informali e cittadini attivi. Hanno preso parte attiva nell'elaborazione
della strategia proposta e nella progettazione delle attività
Dietro il Programma
Nel dicembre 1998 fu firmato un Accordo per la cooperazione tra il CPR "Kupate"
e la Municipalità Metropolitana per lo sviluppo del Programma Municipale (...).
Nel novembre 1999 fu firmato un Accordo con l'Amministrazione Regionale di Sofia
(...).
Negli incontri e nelle discussioni preliminari con la Municipalità
Metropolitana sono stati discussi e chiariti i seguenti punti: il modo di
lavoro, i meccanismi, direzioni, fasi di attuazione del Programma. Un chiaro
segno della volontà municipale di aiutare per l'inizio dell'attuazione del
Programma di lavoro con i Rom, sono le disposizioni di Stefan Sofianski (...),
in cui sono determinati i partecipanti al gruppo misto della Municipalità
Metropolitana.
Nel giugno 2000 il programma è stato elaborato da un gruppo misto di lavoro
dei rappresentanti delle istituzioni della Municipalità Metropolitana e dei
rappresentanti delle OnG Rom a Sofia (...), che è stato adottato dal Consiglio
Municipale Metropolitana, decisione N: 8 /20.04.2001/ appendice 6/.
Dall'agosto 2002 sono stati sviluppati i seguenti passi:
Stabilito il Consiglio Pubblico - segretario Zlatko Mladenov, vice
segretario Asen Dulgerov, segretario della Municipalità Metropolitana e Dimitar Georgiev
(...).
Accordo tra la Municipalità Metropolitana e la Coalizione delle OnG Rom
(...).
Determinare direzioni e numero dei progetti integrati (PI).
Determinare le principali OnG che elaborano PI con termini, partner e
consulenti.
Presentare il PI completo ad un incontro col Consiglio Pubblico, per
discuterlo e correggerlo.
Costo per i partecipanti all'elaborazione del PI.
Traduzione del PI, preparazione dei suoi riassunti.
Entro la fine di settembre, dovrà essere fatto quanto segue:
Presentazione del PI ad una conferenza per i sottoscrittori.
Determinare i sottoscrittori referenti al PI.
Sviluppo dei PI a cui è stato garantito sostegno finanziario.
Risultati raggiunti
Sinora nell'attività sono stati raggiunti i seguenti risultati:
Sviluppo di relazioni tra le OnG Rom - buona cooperazione nell'agire
assieme.
Stabilire il dialogo con l'autorità locale - gli incaricati della
Municipalità Metropolitana consegnano le informazioni necessarie ed assieme
alle OnG Rom elaborano passi concreti per la realizzazione del programma.
Programma elaborato - unico in Bulgaria, incontra i bisogni reali della
comunità.
Processo decisionale unitario - il Consiglio Pubblico impone, adotta,
discute e prende le decisioni.
Fornito supporto e propria contribuzione quando si fa richiesta di fondi
- la Municipalità Metropolitana consegna queste preferenze dai propri fondi.
Un gran mole di esperienza accumulata - questa esperienza può essere
utile a tutti e siamo pronti a condividerla con tutti quanti vogliano
lavorare con le autorità locali.
Consiglio Pubblico per la realizzazione del Programma
Jazz manouche non è un'espressione molto familiare tra i non appassionati, ma
in realtà questa musica è ogni giorno sotto gli occhi di tutti.
Chi per esempio non si è mai fermato ad ascoltare almeno per un attimo le note
dei musicisti rom e sinti che facilmente si incontrano nel centro cittadino. Ci
possiamo forse dimenticare Johnny Depp in "Chocolat", quando prende la chitarra
e suona quel curioso pezzo che ci sembra di conoscere da sempre? Beninteso, non
tutti gli zingari suonano jazz manouche, ma è proprio da loro che negli anni
'30 nacque in Francia un linguaggio musicale che di lì a poco sarebbe stato
conosciuto e imitato in tutto il mondo, grazie alle celebri composizioni del suo
inventore Django Reinhardt.
Negli anni '30, prima dell'avvento delle leggi razziali, i gitani vagavano per
l'Europa, portandosi dietro un'antica tradizione musicale. La loro musica veniva
suonata con strumenti semplici e facili da portare in giro, essenzialmente il
violino e la chitarra; come ogni genere popolare essa è costituita da un
martellante ritmo binario sopra il quale suonano uno o più solisti. Quando
questo bagaglio di tradizioni giunse in Francia, dalle parti di Parigi, si
incontrò con la locale tradizione della "musette", un valzer popolare suonato
dalle orchestrine locali. Django Reinhardt, come molti altri zingari, appena
diciottenne si guadagnava da vivere suonando il banjo in una di queste
orchestrine; una sera, un incendio nella roulotte in cui viveva gli provocò
gravi ustioni che tra l'altro gli paralizzarono due dita della mano sinistra.
Sembra strano ma fu proprio in seguito all'incidente che Reinhardt, rifiutando
l'amputazione, iniziò a dedicare anima e corpo alla chitarra per trovare un
sistema che gli permettesse di suonare anche in quelle condizioni.
Fu in quegli anni che nacque il manouche. Nato dal'incontro tra la musica dei
gitani e la musette, teneva conto anche della grande popolarità di cui godeva lo
swing d'oltreoceano, così il nuovo genere fu un vero e proprio miscuglio di
queste tre sonorità. Solo una mente geniale, che non aveva che una vaga idea di
cosa fosse la composizione poté tirare fuori una musica che univa il ritmo
ossessivo delle canzoni tzigane con l'andamento sincopato dello swing. Anche
l'improvvisazione, come in tutto il jazz, ha un ruolo tutt'altro che marginale e
si articola su una ritmica fatta di accordi spesso diminuiti che in francese
gergale prende il nome di "pompe". Non avendo percussioni ovviamente la chitarra
ritmica deve guidare il solista nella sua esecuzione cercando il più possibile
di sostituire gli strumenti mancanti mediante una marcata linea di basso, e
questo è il tratto che più si discosta dalla tecnica dei jazzisti.
Django cavalcò l'onda del successo quando si unì al grande violinista Stephane
Grappelli con il quale incise i suoi brani più famosi come il "Minor swing" e "Nuages".
Ciò che colpiva di questi brani, e ancora adesso li rende inimitabili era la
squisita immediatezza, la primaria semplicità con cui sapevano parlare la lingua
di ascoltatori più e meno esperti. Ascoltare Reinhardt vuol dire riscoprire
suoni e immagini di una Francia pre bellica che sa di pastis e di ballerine in
decolleté, lasciarsi trasportare da un ritmo coinvolgente e affascinante come
tutti gli ibridi.
Il manouche non finì con la morte del suo inventore. Continuò con Stephane
Grappelli, il violinista che aveva suonato con Django i pezzi più famosi, e
progressivamente con altri jazzisti sempre più tecnici e specialisti, o che
quantomeno potevano avvalersi di più di tre dita nella mano sinistra. La tecnica
esecutiva e compositiva oggi è aumentata incredibilmente, ma la scarsa fantasia
insita nei generi popolari ferma in continuazione la mano ai musicisti di nuova
generazione che prima o poi sentono l'esigenza di confrontarsi con l'inventore
del manouche e in definitiva finiscono a riproporre i suoi pezzi. Certo un
contemporaneo come Biréli Lagrène ha un tocco più dolce, è più veloce e meno
ripetitivo, ma lui come altri tendono a perdere quella spontaneità originaria
che resta prerogativa del solo Reinhardt.
Fikret Salkanovic, il primo Rom giunto al Casilino 900 quaranta anni fa, è
morto il 3 gennaio 2010. I funerali si terranno giovedì 7 gennaio al cimitero di
Prima Porta.
Un NUOVO rapporto chiama ad una campagna per combattere il razzismo contro la
comunità di Rom che vivono in Irlanda, stimata in 3.000 membri.
Il gruppo nomade e semi-nomade, i cui antenati vennero dall'India del Nord,
sono stati descritti come la più vasta e discriminata minoranza in Europa.
Il Comitato Joint Oireachtas in Affari Europei ha citato una recente
indagine UE che trova che un quarto degli Europei non si troverebbe bene con un
Rom come vicino.
Viene detto che c'è bisogno di una campagna focalizzata sulla crescita
di testimonianze, per confrontare il razzismo contro i Rom - senza stigmatizzare
il gruppo.
Il senatore Terry Leyden del
Fianna Fail sta lavorando chiaramente per migliorare il livello di integrazione
e comprensione della comunità entro la società irlandese.
Giudice
"Il nostro rapporto identifica alcune misure pratiche che riteniamo
aiuterebbero a migliorare la presenza dei Rom in Irlanda e contribuirebbero a
far giocare loro un ruolo più attivo nella vita irlandese," ha detto.
Il rapporto si riferisce ai commenti fatti l'anno scorso sulla comunità rom
dal giudice Aingeal Ni Chonduin nel Tribunale per l'Infanzia. Accusava i
genitori rom di "crescere i bambini al furto" e di essere responsabili dei
"furti nei nostri negozi". La giudice commentava il fatto che una madre
sedicenne aveva ammesso di aver rubato delle scarpe ed indossava vestiti rubati.
Leyden ha preso le distanze dai rilievi della giudice. "Sono d'accordo che il
furto non si accorda al nostro modo di vita. Non concordo che sia inerente alle
comunità etnicamente minoritarie. Il crimine è un problema universale e non
riguarda soltanto i migranti," ha detto.
Il rapporto chiede che i Rom vengano menzionati nei programmi UE ed irlandesi
anti-discriminazione e di inclusione sociale, che già contengono riferimenti a
gruppi a rischio come i Viaggianti ed i disabili. Chiede la raccolta di dati
certi sui Rom che vivono qui ed una ulteriore ricerca per stabilire se siano
stati vittime di attacchi razzisti.
Michael Brennan Political Correspondent Irish Independent
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