Di Fabrizio (del 12/03/2011 @ 09:49:33, in Europa, visitato 1618 volte)
Segnalazione di Lorenzo Bagnoli
Approvata con 576 voti a favore, 32 contrari e 60 astenuti la relazione di
Lívia Járóka, popolare ungherese e unica eurodeputata rom. Il prossimo 5 aprile
la Commissione presenterà la propria versione dell'attesa Strategia
STRASBURGO - In attesa che il prossimo 5 aprile la Commissione europea presenti
la propria versione dell'attesa Strategia europea per l'inclusione dei rom,
il Parlamento europeo ha finalizzato oggi la propria proposta in materia.
Approvando con 576 voti a favore, 32 contrari e 60 astenuti la relazione di
Lívia Járóka, popolare ungherese e unica eurodeputata rom, il PPE riafferma la
necessità di assumere un approccio comune per affrontare l'integrazione
socio-economica della più vasta minoranza etnica europea. I 10-12 milioni di rom
che vivono sul territorio dell'Ue soffrono una discriminazione sistematica e
combattono contro "un livello intollerabile di esclusione" e violazioni dei
diritti umani, afferma la risoluzione degli europarlamentari. I recenti fatti,
in particolare le espulsioni da Francia e Italia, hanno ampiamente dimostrato
che la questione rom non conosce confini nazionali: l'Europa avverte quindi la
necessità pressante di prendere l'iniziativa e dettare agli Stati nazionali la
linea da percorrere. Fulcro della proposta del PPE è infatti la richiesta di
introdurre standard comunitari obbligatori di integrazione e la possibilità di
imporre penalità ai governi nazionali che non li rispettano.
La strategia proposta dal PPE si propone come innovativa in quanto si basa su
una valutazione dei fattori socio-economici legati all'emarginazione dei rom,
invece di concentrarsi esclusivamente su fattori etnici e culturali. Inoltre
Járóka propone di stilare una mappa dell'esclusione, individuando le
microregioni dove povertà e segregazione sono più accentate. Sull'occupazione,
la strategia Ue dovrà assicurare un accesso effettivo al mercato del lavoro,
oltre a misure di contrasto al lavoro sommerso e in favore dell'assunzione di
rom nell'amministrazione pubblica. Per quanto riguarda l'educazione, i deputati
chiedono ai governi nazionali di impiegare un numero maggiore di mediatori e
insegnanti rom nelle scuole per garantire l'educazione anche nella loro lingua.
Inoltre il Parlamento denuncia le "discutibili operazioni di rimpatrio" di
cittadini rom verificatesi in vari Stati membri che hanno creato un "clima di
paura e inquietudine" fra la popolazione rom, e che hanno innalzato il livello
di "razzismo e discriminazione". Per questa ragione la Strategie europea dovrà
combattere ogni forma di violazione dei diritti fondamentali, inclusi "la
discriminazione, la segregazione, i discorsi d'incitazione all'odio, il
profiling etnico, il rilevamento illegale delle impronte digitali, nonché lo
sfratto e l'espulsione illegali".
Infine il PPE chiede la creazione di enti europei di sostegno, sotto la
supervisione dell'esistente Task Force per i Rom (creata in seno alla
Commissione Ue), per assicurare un uso più mirato dei fondi europei a
disposizione dei governi nazionali e locali. I deputati chiedono poi alla
Commissione di prevedere finanziamenti ad hoc, nel quadro della politica di
coesione, per sostenere la Strategia Ue per i rom.
La Commissione dovrebbe presentare la sua proposta il 5 aprile. Il testo
dovrebbe poi passare al Consiglio europeo del 24 giugno: l'inclusione dei rom è
una delle priorità della presidenza semestrale dell'Ungheria, che ha collaborato
strettamente con la Járóka nella definizione di una strategia comune. (mm)
Rappresentanti islamici ed ebrei si oppongono all'estrema destra in Europa
- Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert
Parigi, 8.3.2011 11:35, AFP riporta che i principali rappresentanti islamici
ed ebrei hanno espresso la loro comune volontà di resistere alla crescita dei
partiti di estrema destra in Europa. Durante un incontro oggi a Parigi,
hanno adottato una dichiarazione in cui dicono essere inaccettabile banalizzare
questi partiti razzisti e xenofobi, e mettono in guardia contro il crescente
pericolo che pongono alle minoranze etniche e religiose nel continente.
Il consiglio di coordinamento dei leader islamici ed ebrei da Belgio, Gran
Bretagna, Italia, Paesi Bassi, Stati Uniti ed altri paesi, hanno anche
annunciato che lanceranno una serie di eventi pubblici nelle capitali europee,
il 9 maggio in onore della Giornata d'Europa. Il consiglio ha tenuto il suo
primo incontro nel dicembre 2010 a Bruxelles.
I partecipanti alla riunione odierna, tra i cui organizzatori figura il
Congresso Mondiale Ebraico, hanno condannato il fatto che i partiti estremisti e
xenofobi nei Paesi Bassi ed altrove, sono diventati partner di governo nelle
coalizioni governative. Hanno inoltre espresso disagio sulle recenti
affermazioni di alti rappresentanti di Gran Bretagna, Francia e Germania, per
cui il multiculturalismo nei loro paesi ha dimostrato di essere un fallimento.
Di Fabrizio (del 01/03/2011 @ 09:50:42, in Europa, visitato 2240 volte)
"Una ventata di ottimismo" da Orhan Tahir
1. Crei una OnG perché vuoi cambiare la situazione nel tuo paese.
2. Contatti un'Organizzazione Donatrice e quelle gentili persone ti dicono
"Dacci un progetto".
3. Elabori il progetto, secondo le richieste del Donatore.
4. In realtà dai informazioni al Donatore - qual è la situazione nella tua
città, quanti Rom vivono là e, la cosa più importante - COSA HAI IN MENTE, COSA
VUOI FARE, SEI PERICOLOSO, PUOI FARE UNA RIVOLUZIONE DOMANI?
5. Se vedono che puoi essere pericoloso ti danno i soldi, e ti rendono
dipendente.
6. Dopo 5, 6, 8 o 10 anni COMPRENDI che questo sistema NON FUNZIONA, CON I TUOI
PROGETTI NON PUOI CAMBIARE NIENTE! VEDI CHE TI USANO.
7. Provi a cercarti un altro lavoro, vuoi indipendenza, ma non hai mai fatto
altro, in tutta la tua vita hai fatto PROGETTI e non hai esperienze
professionali in altri campi. Conosci soltanto parole come: "Integrazione",
"Inclusione", "Discriminazione", "Povertà", "Piattaforma", "Decennio", bla, bla, bla...
8. Alla fine pensi di non aver altra possibilità se non di lavorare in Matrix,
anche se tu Matrix la odi. Sai che non puoi cambiare niente. Hai bisogno di fare
ciò che ti dice la "brava gente". Questa brava gente si occupa dei Rom, loro
sanno meglio cos'hanno bisogno i Rom.
9. Tu sei parte dell'Ipocrisia e sviluppi politiche che rendono la tua comunità
più dipendente dai Donatori, dalla UE e dai Fondi Governativi. Quindi sei uno
strumento nelle loro mani. Gli piaci perché sei il loro Animale da Laboratorio.
10. NON PUOI FARE LA RIVOLUZIONE PERCHE' LA GENTE ATTORNO A TE VUOLE I SOLDI
ED HA SUBITO IL LAVAGGIO DEL CERVELLO.
Alla fine scopri che alcuni non-Rom nel tuo paese sono diventati molto
ricchi, perché hanno usato le informazioni dai tuoi progetti per scrivere
rapporti e proporre politiche. Sono consulenti ben pagati ed invitati
dappertutto. Poi scopri che qualcuno di loro lavora per i Servizi Segreti ed i
Donatori lo sanno molto bene.
Le case di questo importante campo rifugiati a Podgorica di Rom fuggiti
dal Kosovo, sono state definite da The Guardian come "una cima di spazzatura
puzzolente". Eppure i giovani ambiziosi che vivono là sono futuri maestri di
hip-hop e padroni del loro destino
By Emmanuel Haddad
15/02/11 - Siamo in Bratstva i jedinstva 4, un edificio fatiscente situato
in un grande viale in Montenegro. La porta si apre e Dijana Uljarevic,
incaricata dei programmi del
Forum MNE (forum sull'educazione informale giovanile), ci accoglie in un
ufficio un po' disordinato, un mix di giochi per bambini, computer e poster di
concerti.
Queste case spesso vanno in fiamme
Konik è il più grande campo profughi nei Balcani, di cui pochi
conoscono l'esistenza, secondo un
articolo del 2009 di The Guardian. Lì vivono oltre 2.000 Rom in
baracche di fortuna costruite con scarti di legno, latta ed altri materiali.
Queste case spesso vanno in fiamme e, nei giorni di neve come oggi, al freddo e
a perdite dai soffitti. Basta andare in case che sono cumuli di spazzatura
puzzolente per i rifugiati del Kosovo dimenticati in un angolo, come
suggerito dal titolo del giornale britannico. Enorme, specialmente dopo che la
simpatia per i Rom è considerevolmente aumentata in Francia, a seguito della
politica governativa di espulsione di massa dei Rom dai campi.
"Insegno loro a non vergognarsi"
Pavle Calasan | Il più grande centro commerciale con le foto di Konik
Speriamo di scattare fotografie nello stile di quelle del giovane fotografo
montenegrino Pavle Casalan, che vengono esposte in un centro commerciale
in città. Poco prima della nostra partenza arriva Osman Mustafaj. E'
normale che gli ex partecipanti del progetto si fermino. "Non siamo spesso
consapevoli dei progressi raggiunti da un progetto che opera con la gioventù,"
nota Dijana. "Spesso è quando tornano e ci dicono di aver trovato un lavoro che
capiamo quanto ha operato".
Osman è un ragazzo di bell'aspetto, con un sorriso raggiante. Trent'anni, è
arrivato dal Kosovo che ne aveva dodici, e non si è mai guardato
indietro. La sua casa è qui. Le sue radici in MNE sono così forti che ne è
diventato un membro attivo e sta pensando di fondare una propria OnG,
"Coinvolgere la gioventù rom, ascali ed egizia nei Balcani" (UM RAE, Ukljuciti mlade Romi Aškalije Egipćani).
Vuole far crescere la consapevolezza ed ascoltando Dijana, capisci da dove l'ha
presa. "La cosa più importante è il dialogo" dice la giovane mente di MNE. "La
comunità internazionale, che sovvenziona la maggior parte delle nostre attività
- il governo montenegrino essendo per lo più assente - fornisce cibo ed altri
beni, ma questo da solo non è sufficiente a sviluppare la capacità dei giovani.
Ecco perché siamo qui. Per aiutare a tratteggiare le capacità degli individui,
le loro capacità comunicative, i talenti e così via." Questo si realizza
attraverso attività, ed è qui che intervengono Osman e altri educatori.
Vividamente racconta il primo set di karaoke da lui organizzato nel campo
rifugiati, la prima partita di calcio o quando i bambini sono scesi in centro
città per mostrare la loro abilità nella breakdance. "Insegno loro a non
vergognarsi di ciò che sono," sorride. "Alla loro età, ho sofferto la
discriminazione..."
Hip-hop o piccola criminalità
E' difficile tracciare semplicemente un ritratto delle vittime o lamentare lo
stato dei dintorni, anche se ci sono tutti gli ingredienti. "Nel 2003, il
61,3% della popolazione rom non aveva istruzione; il 21,3% non aveva
terminato la scuola primaria. Solo il 9,2% l'ha terminata e ci sono solo
sei Rom iscritti all'università tra il 2004 e il 2005, di cui quattro
hanno abbandonato," osservano Sofia Söderlund e Elin Wärnelid in uno studio del
2009 intitolato
Hip-hop and the construction of group
identity in a stigmatised area.
Barčić Record ed altri artisti di Konik | storie di successo
del Forum MNE
Osman è ottimista, ad esempio sul laboratorio di responsabilizzazione
sull'Aids. "Per molti partecipanti è la prima volta che sentono queste
informazioni." Nella soddisfazione che segue il suo discorso "molti vanno a
fare i test, perché la popolazione rom è la più pesantemente colpita dal virus."
Il potenziale dei giovani che prendono parte alle attività del Forum MNE, ispira
non solo rispetto ma anche ammirazione. Sulle pareti dell'ufficio sono appesi
articoli di giornali dedicato ai Barčić Record, uno dei gruppi
di hip-hop emersi da Konik. Tuttavia, nel loro studio sull'impatto positivo
dell'hip-hop nella creazione dell'identità rom di Konik, Sofia Söderlund e Elin Wärnelid
hanno raccolto storie esemplari sulla povertà nei campi uno e due, dove le
famiglie dei rifugiati vivono una sull'altra, tra crimine, prostituzione e
problemi di droga. Le origini dei problemi spesso nascono dalla stessa fonte,
cioè la mancanza di istruzione. Con i dati del 2007 che mostravano un
tasso di disoccupazione dell'82% tra i Rom in Montenegro, l'istruzione
era diventata secondaria.
Barčić
Record, Boys in Da Hood e co | Come l'attenzione agli emarginati ha prevalso
Laggiù, la gente "normale"
I giovani rapper le cui voci si sentono nello studio menzionano il confine
tra "loro" e la gente "normale"; tra il centro città e "noi". Qualcuno è
risentito soprattutto perché sono cresciuti in Germania, prima di essere
deportati qui nella periferia. "Non fanno entrare i Rom," ricorda Dijana di
quando andò in un pub con giovani Rom e non-Rom. "Poi si sono scusati." E' un
inizio.
Giorno di neve a Podgorica | Giovani nel campo Konik uno
Mi dirigo verso il campo Konik uno, dove ho appuntamento con Osman. La donna
che ci accompagna in macchina non sa come arrivarci. Si ferma a chiedere:
nessuno lo sa. I bambini stanno giocando nella neve in sandali e si finisce a
bere un caffè nel suo ufficio. E' accanto al campo, ma lei non c'era mai
passata.
Documenti inediti tracciano nuovamente la storia delle deportazioni razziali
commesse nel Nord Pas-de-Calais durante l'occupazione. Un lavoro di ricerche su
iniziativa di amici della fondazione per la memoria della deportazione e del
museo della resistenza di Bondues.
La più giovane aveva quattro settimane, il più anziano 81 anni. Arrestati nella
regione, sono stati imbarcati a bordo del convoglio Z, partiti dal campo di
transito belga di Malines, direzione senza ritorno: Auschwitz, Pologna. Era il
15 gennaio 1944. A bordo di questo treno, 351 persone, di cui quasi la metà
bambini, ebrei ma anche tzigani. "Siamo l'unica regione di Francia nella quale
ci sono state deportazioni di tzigani. Un triste privilegio..." constata Odile
Louage, presidente degli Amici della Fondazione per la Memoria della
Deportazione, e ugualmente presidente dell'associazione Ricordo della Resistenza
e dei Fucilati del Forte di Bondues, la quale percorre nuovamente la storia di
queste famiglie schiacciate dal sistema nazi.
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TZIGANI ARRESTATI A ROUBAIX Altrove, le famiglie tzigani sono rimaste nei campi installati sul territorio
francese.
Perché il Nord Pas-de-Calais andò oltre nell'orrore? "Non lo sappiamo ancora"
riconosce Monique Hennebaut, uno storico che si è chinata prima sulla storia
della deportazione degli ebrei nel Douaisis prima di scoprire che gli zigani
della zona erano stati assassinati nei campi della morte. Colpa
dell'affiliazione del Nord Pas-de-Calais al commando tedesco? Può darsi.
Erano cestai, giostrai, stagionali, artisti del circo, musicisti... "La maggior
parte parzialmente sedentarizzati" precisa Monique Heddebaut "e avevano quasi
tutti lo stesso itinerario". Ha trovato la traccia di 47 zigani arrestati a
Roubaix. Vivevano in via Edouard d'Anseele, via Pierre de Roubaix. C'era stata
anche la famiglia Lagrenée (leggere pag. 3), arrestata a Pont-de-la-Deule nel
Douaisis. Quindici deportati, solo tre sopravvissuti. Poi questa famiglia di
Poix-du-Nord, giostrai ancora. "Un giorno, dopo una conferenza che avevo data
sulla deportazione degli zigani della zona, un signore è venuto a vedermi,
ricorda Monique Heddebaut. Era di Poix-du-Nord. Mi ha raccontato il ricordo di
una roulotte che era rimasta sul ciglio della strada durante anni. Dopo la
guerra, pensava che i suoi proprietari sarebbero venuti a riprenderla. Aveva
finalmente capito perché era rimasta lì..."
UN SOLO MONUMENTO COMMEMORATIVO PER GLI ZIGANI DELLA ZONA La deportazione degli tzigani della zona resta una macchia nera della nostra
storia. E' sempre mal conosciuta e i lavori degli storici che hanno lavorato per
l'esposizione virtuale presentata dal museo della resistenza di Bondues, colmano
questa lacuna. E' rivelatore che, nella zona, un solo monumento commemorativo
sia stato eretto per ricordarsi di questi zigani, allorché "ci sono 27 o 28
monumenti o targhe in memoria di ebrei o giusti" cifra Odile Louage. Niente a
Roubaix per 57 persone arrestate. Possiamo meravigliarci.
A Malines, questo campo di raggruppamento in Belgio, tramite il quale sono
transitati la maggior parte degli ebrei deportati, i sopravvissuti hanno fatto
installare una targa per gli tzigani, loro fratelli di dolore e di sfortuna.
"Nella zona, abbiamo aiutato e nascosto dei bambini ebrei" ricorda Odile Louage,
tra l'altro assistente di storia che ha insegnato fino ad andare in pensione in
classi preparatorie al liceo Faid'herbe di Lille "ma non abbiamo fatto nulla per
i bambini tzigani". La fondazione per la memoria della deportazione non fa
nessuna esclusiva, nessuna distinzione nell'orrore: ebrei, partigiani, tzigani,
omosessuali, hanno in comune la loro sorte.
UN GIORNO E' TROPPO TARDI Di queste scomparse, Monique Heddebaut parla con commozione. Ha ritrovato tracce
dei decreti di 1940, i quali vietavano ai nomadi di circolare. "Poi ci fu
un'escalation". L'estate scorsa, quando i rom si trovarono tra i fuochi della
comunicazione governativa, Monique Heddebaut ha risentito un profondo malessere.
"Siamo nel 2010 non nel 1940, ma attenzione, ci sono alcuni atteggiamenti che
non si possono tollerare."
Cita quest'altro storico che ha lavorato su le popolazioni rom di Ungheria,
Romania, Repubblica Ceca, la quale ha sentito dire là, inorridita: "bisognerebbe
gasarli"...
Monique Heddebaut dice ancora: "Il problema è l'escalation. Un giorno, è troppo
tardi."
Antoine Lagrenée, è un bambino rom arrestato e deportato qui.
Aveva 14 anni. Come altre 14 persone della sua famiglia, Antoine Lagrenée è
stato deportato perché tzigane. Arrestati dai tedeschi con l'aiuto della polizia
francese, solo tre di loro ritornarono dai campi nel 1945.
E' oggi un signore di 80 anni, con l'udito un po' difettoso, e dallo sguardo che
sfugge talvolta nel vago. Nel gennaio 1944 Antoine Lagrenée ha quasi 14 anni.
Vive a Pont-de-la-Deule vicino a Douai, dove la sua famiglia è arrivata dopo una
lunga epopea. Una vita di viaggiatori come quella di tanti altri. Lo storico
Monique Heddebaut non ha trovato tracce scritte di questi arresti. E' giusto
riuscita ha tirare fuori dagli archivi delle schede d'arresto, redatte a
posteriori. Sa che questi arresti sono stati compiuti dall'occupante tedesco con
"l'aiuto della polizia francese, la quale in zona rendeva sicuri i luoghi mentre
i tedeschi intervenivano per gli arresti."
Antoine Lagrenée ha una memoria discreta, il verbo scarso. Parla con poche
parole della sua liberazione, "l'11 aprile 1945". Dopo essere transitato nel
campo di Malines in Belgio e Auschwitz (il convoglio vi arrivò il 17 gennaio
1944) è inviato a Buchenwald. Antoine Lagrenée viveva nel blocco 31 di questo
campo di lavoro, vicino a Weimar in Germania. "Abbiamo avuto la fortuna di stare
in un blocco molto organizzato dai partigiani francesi" ricorda. Monique
Heddebaut che conosce bene Antoine, racconta anche "che un maestro che si
trovava nello stesso blocco, faceva lezione ai bambini."
Antoine Lagrenée è sopravvissuto, malgrado la sua giovane età, nell'inferno di
Buchenwald. "Siamo stati liberati dagli americani, ma prima ancora dai deportati
stessi" precisa. Secondo le valutazioni di Monique Heddebaut, 148 tzigani sono
stati deportati dal Nord Pas-de-Calais. Ne ha contati 351 arrestati in Belgio,
anche loro inviati verso i campi della Polonia e della Germania. Ma confessa di
non essere certa che non ce ne siano altri. Il lavoro degli storici non è ancora
concluso.
ESPOSIZIONE VIRTUALE A BONDUES E' lì dove 68 persone della zona sono state fucilate, tra 1943 e 1944 che il
museo della resistenza di Bondues ha installato delle postazioni, presentando
documenti inediti sulle deportazioni razziali dell'ultima guerra mondiale. La
maggior parte sono inediti. I documenti sono stati affidati dalle famiglie agli
storici, i quali hanno lavorato con il museo della resistenza di Bondues. Ci
sono anche fondi degli archivi propri del museo, documenti tratti da archivi
dipartimentali, da quelli della caserma Dossin, del museo ebraico di Malines.
Una raccolta consultabile su delle postazioni, le quali presentano documenti
numerati, i quali raccontano di queste persecuzioni razziali che hanno toccato
il Nord Pas-de-Calais durante la seconda guerra mondiale. Alle spalle, ci sono
due anni di ricerche per potere tracciare le "grandi fasi di quello che è
successo", spiega Danielle Delmaire storico, che ha insegnato all'università di
Lille III. "Dalle prime serie di divieti imposti agli ebrei a partire da
1940-1941, i grandi arresti di 1942, i convogli, i ritorni dai campi..." Vi
troviamo inoltre la foto di Micheline Teichler, scolara a Faid'herbe a Lille
della quale un compagno di scuola – Edgard Leser il quale ha avuto la fortuna di
essere un bambino nascosto -, ha voluto onorare la memoria. Con gli Amici della
Fondazione per la Deportazione, ha tenuto che il suo ricordo non sprofondi
nell'oblio. Il suo nome è stato dato a una classe del collegio Rabelais di
Mons-en-Baroeul. "Abbiamo l'intenzione di proseguire con questo lavoro,
organizzando una giornata di studi sulla spoliazione dei beni di ebrei e
tzigani, il prossimo 12 ottobre, al museo della resistenza di Bondues" precisa
Odile Louage, la quale ha presa la presidenza del museo e vuole perfino prendere
in considerazione una pubblicazione al riguardo. Un lavoro che risponde
esattamente agli obiettivi della Fondazione per la Memoria della Deportazione:
la ricerca storica, la trasmissione e la difesa di questa memoria. Odile Louage
aggiunge che: "intorno alla Fondazione si è realizzata l'unione di tutti i
componenti del mondo della deportazione. Tutte queste strutture, con ognuna la
propria sensibilità, lavorano alla trasmissione di valori tali come sono stati
definiti all'indomani della guerra, nella Dichiarazione Universale dei Diritti
dell'Uomo."
17/02/2011 - Un gruppo di 93 Macedoni sono tornati giovedì dalla Francia,
dopo che lì era stato negato loro l'asilo, lo riporta la stazione privata TV Alsat.
Il gruppo, Macedoni di origine albanese e rom, è stato rimandato
all'aeroporto della meridionale città di Ohrid, prima di essere riportato alle
loro case, recita il rapporto.
I richiedenti asilo, intervistati dalla TV, hanno detto di aver cercato
lavoro in Francia, la maggior parte illegalmente, prima di essere deportati dopo
che la loro richiesta di asilo si era dimostrata senza basi.
Il gruppo è stato il primo di questo genere ad essere ritornato dalla
Francia.
Settimana scorsa, un gruppo di 60 persone a cui era stato negato
l'asilo in Germania, ha cercato di attaccare e prendere a male parole un gruppo
di giornalisti che seguiva il loro arrivo all'aeroporto di Skopje.
Da quando l'Unione Europea ha abolito l'obbligo di visto per Serbia,
Macedonia e Montenegro nel dicembre 2009, alcuni stati membri UE, cioè Svezia,
Belgio e Germania hanno registrato un incremento di richiedenti asilo da questi
paesi, soprattutto di etnia rom e albanese.
La Commissione Esecutiva Europea ha ammonito Serbia e Macedonia che
potrebbero perdere i privilegi di circolazione senza visto, se non fermeranno
questo afflusso.
La Germania ha anche deportato 36 persone a dicembre, quando la UE ha esteso
gli stessi diritti ad Albania e Bosnia, ma con uno stretto sistema di
monitoraggio e la possibilità di sospendere i privilegi in caso di abuso.
NewEuropeI Rom in Ungheria di fronte alla perdita d'identità - Author: Cillian Donnelly
La prossima generazione di Rom. Mentre si prepara il Quadro per le Strategie
d'Inclusione Nazionale dei Rom, che dovrebbe essere presentato ad aprile, c'è
paura che venga erosa l'identità rom in Ungheria. Il governo ha fatto delle
Strategie d'Inclusione una delle priorità chiave dei suoi sei mesi di presidenza
UE. |
EPA/MIRCEA ROSCA
13/02/2011 - E' stato detto in un incontro al Parlamento Europeo che le
prossime generazioni di Rom in Ungheria sono in pericolo di perdere il loro
senso di storia e di identità.
"E' importante per i gruppi rom passare conoscenze ed esperienze ai più
giovani", ha detto la parlamentare ungherese Ágnes Osztolykán durante una
riunione del gruppo dei Verdi il 9 febbraio. "Ma in Ungheria, è abbastanza
diverso, non ci sono gruppi simili tra i Rom, ed è difficile trovare giovani
progressisti. I Rom ungheresi sono in una situazione più difficile degli altri
nell'Europa Centrale e del Sud-Est".
Osztolykán, portavoce per l'istruzione e la cultura di Lehet Más a Politika (LMP),
ha illustrato la situazione rom nel suo paese nativo durante un incontro di due
giorni in cui l'Ungheria e la sua politica, che detiene la presidenza
UE,
erano sotto scrutinio.
Le due più grandi sfide da affrontare per i Rom in Ungheria sono una maggiore
integrazione e combattere la crescita dell'estrema destra, entrambe devono
essere affrontate come parte di un più ampio sforzo della società civile. La
marginalizzazione dei Rom, spesso attraverso politiche di odio, hanno portato ad
una comunità più isolata e frammentata, nonostante gli sforzi politici.
Gli anni '90, dice Osztolykán, hanno visto la volontà in Ungheria di
stabilire un programma per l'integrazione sociale dei Rom, invece
dell'integrazione economica, facilitata dai donatori internazionali. Ci sono
stati, dice, "molti segnali positivi all'inizio", particolarmente
nell'istruzione, ma presto si sono spenti. Il denaro sembrava andare "nella
lotta alla crisi economica. Gli investimenti nell'insegnamento e nell'istruzione
non erano sufficienti".
Nel 2004 è stata progettata una nuova strategia rom, per cui a ciascun stato
membro UE viene richiesto di elaborare un piano d'azione. "Soltanto a quel punto
la gente ha iniziato a pensare all'integrazione economica", dice Osztolykán, "e
a cose come l'edilizia sociale. Sono state avviate diverse iniziative
comunitarie". Oggi, dice, il governo ungherese ha parlato molto di integrazione
rom, che giudica un "buon segno". Dice anche di essere "molto soddisfatta" per i
progressi in corso verso una strategia integrata dei Rom.
Tuttavia, dice, i problemi economici continuano ad incombere sui Rom. E'
importante riqualificare. "Abbiamo bisogno di insegnare la conoscenza. Molti Rom
hanno perso il lavoro, diversi settori industriali sono stati distrutti. Ora i
Rom sono tra il 10% più povero dell'Ungheria, nonostante qualche piccolo
movimento verso la fascia di ceto medio. Tuttavia, ci sono ancora "pochissimi
laureati". La questione dei progressi dalla scuola primaria al terzo livello è
qualcosa che ancora dev'essere esaminata.
L'ascesa dell'estrema destra in Ungheria, cominciata circa dieci anni fa,
provoca grandi preoccupazioni, non solo ai Rom, ma anche a chi è impegnato con
la politica, la società civile e l'attivismo, dice Ágnes
Osztolykán.
La destra radicale, aggiunge, è riuscita a "prendere il sopravvento" nel
dibattito sull'integrazione e a definire l'agenda, che è qualcosa su cui tanto i
parlamentari nazionali che quelli europei devono lavorare per porre rimedio.
Dice: "Sta a noi trovare una via di mezzo".
"Purtroppo, ci sono pochi Rom dentro la società civile in grado di parlare.
Da una parte c'è un clima di paura, ma c'è anche l'intenzione di aiutarli, di
porre fine alla discriminazione e alla marginalizzazione. Nel 2010, è stato
costruito un nuovo istituto a Budapest, allo scopo di porre queste persone
emarginate sulla mappa".
Una volta che allacci un bottone sul tuo giubbotto in modo sbagliato, allora
tutto il tuo giubbotto è ovviamente abbottonato sbagliato, ha detto Rudolf Chmel,
il Vice Primo Ministro per i diritti umani e le minoranze nazionali, descrivendo
le tensioni che hanno circondato la Legge sulla Lingua dello stato della
Slovacchia. Il suo ufficio ha iniziato ufficialmente a lavorare con più forti
poteri il 1° novembre e tra le sue prime iniziative legislative c'è un
emendamento alla legge sulle lingue minoritarie che è stato presentato per la
discussione pubblica poco prima della fine del 2010. Il diritto di usare la
propria lingua madre, nonché i conflitti che scoppiano regolarmente tra
slovacchi e ungheresi e i problemi della situazione di esclusione sociale delle
comunità rom sono stati tra i temi che Chmel ha discusso con il pubblico
slovacco poco prima della vacanze di Natale.
The Slovak Spektator (TSS): La legge statale sulla lingua, che ha provocato
molta tensione tra ungheresi e slovacchi, è stata recentemente modificata. Come
ha fatto a percepire l'emergere del problema?
Rudolf Chmel (RCH): La legge statale sulla lingua è emersa come problema quando
è stata approvata dal governo di Vladimir Meciar nel 1995, perché ha un evidente
tono contro le minoranze, e soprattutto anti-ungherese, ivi comprese le
sanzioni. Ma il periodo precedente della situazione risale agli inizi degli anni
'90 quando una certa parte di nazionalisti si avvicinò con l'idea di protezione
della lingua di Stato, come se qualcuno stava ancora cercando di portarla via da
noi. In generale gli slovacchi sembrano che vivano ancora nel XIX secolo, nel
Romanticismo, quando il linguaggio doveva essere combattuto, o più tardi, quando
la magiarizzazione era parte delle politiche statali. Ma oggi la lingua slovacca
è una parte naturale dell'identità degli slovacchi e come tale non ha bisogno di
meccanismi repressivi giuridici per la sua tutela. E' fondamentalmente una
controversia tra chi vuole proteggere e lottare per la lingua e coloro che
vogliono prendersi cura di essa e coltivarla. Se c'è una minaccia per la lingua
slovacca, è a causa di ignoranti slovacchi e non degli ungheresi o altre
minoranze.
Il governo di Mikuláš Dzurinda ha liberalizzato la legge nel 1999 ed ha
approvato una legge sulle lingue minoritarie, così formalmente questi due
problemi sono stati modificati, ma la verità è che entrambe le leggi sono
imperfette - e quindi hanno bisogno e avranno bisogno di essere migliorate. Nel
2009 il governo di Robert Fico ha rinforzato nuovamente la legge, e praticamente
l'ha riportata di nuovo ai tempi di Meciar. La coalizione di governo attuale sta
cercando sia di armonizzarle che liberalizzarle - ossia, moderare la protezione
ed incrementare l'attenzione per entrambe le lingue, quella di stato e quella
delle minoranze.
TSS: Come ha visto la tensione che è emersa fra gli ungheresi e gli slovacchi
per la Legge statale sulla lingua?
RCH: La minoranza ungherese si occupa della questione della lingua in modo
diverso rispetto alle altre minoranze, come gli ungheresi, simili agli
slovacchi, vivono ancora con la convinzione che la lingua sia l'attributo più
importante della loro identità nazionale. E' vero, ce ne solo accorgiamo meno
quando si parla di minoranze. Quando si tratta della lingua, una minoranza è
naturalmente più vulnerabile ed in pericolo perché vive in un ambiente della
lingua in maggioranza ed è nel maggiore dei casi la lingua minoritaria piuttosto
che la lingua di maggioranza che è assimilata. Nel 2009, la legge statale sulla
lingua è stata reintrodotta nell'agenda nazionale inter statale
slovacca-ungherese, dal momento che le caratteristiche repressive della modifica
erano rivolte soprattutto contro la minoranza ungherese. Il governo ungherese ha
interferito e la bolla è cresciuta. In quel momento ho creduto che fosse
inutile, in quanto faceva parte della carta ungherese che il governo guidato da
Fico ha giocato nelle relazioni bilaterali con l'Ungheria. Ecco perché abbiamo
creduto che le misure restrittive dovrebbero essere eliminate. Dopo tutto,
c'erano pertinenti raccomandazioni internazionali che supportavano la nostra
posizione.
TSS: Ma le sanzioni che lei ha criticato in passato rimangono nella legge, anche
se in modo limitato. E' soddisfatto della soluzione che il parlamento ha
recentemente approvato?
RCH: Siamo venuti con le richiesta di rimuovere le misure restrittive sia sulla
legge statale sulla lingua, e nella legge sulla lingua delle minoranze, in
quanto le due leggi in realtà sono due facce di una stessa medaglia e, pertanto,
devono essere compatibili. L'emendamento alla legge statale sulla lingua è stato
proposto dal ministro della cultura perché compete al suo dipartimento. C'è
anche un dipartimento di lingua di stato presso il ministero della cultura che
supervisiona sul corretto uso dello slovacco. Questo è quello che ho cancellato
quando ero ministro della cultura (nel 2002-2005) perché mi sembrava troppo per
i funzionari ministeriali dire cosa è giusto e cosa è sbagliato nella lingua.
Per tutto questo abbiamo un'autorità accademica, L'istituto di linguistica
Ludovit Stur presso l'accademia slovacca delle scienze, come pure diversi
dipartimenti universitari. Non è dato agli ufficiali ed hai politici il
codificare il linguaggio. A parte questo, credo che la legge statale sulla
lingua, dovrebbe essere una legge di solo valore simbolico e non dovrebbe essere
utilizzata per qualsiasi repressione o minaccia.
Così è stato necessario emendare la legge, ma è più facile a dirsi che a farsi,
come i vecchi pregiudizi nazionalisti e i traumi che hanno lavorato nelle
relazioni fra slovacchi ed ungheresi per decenni, permangono nella coscienza
politica slovacca sia nazionalistica che democratica, quella che attualmente
governa il paese.
Ora i nazionalisti da Smer e dal Partito Nazionale Slovacco (SNS) dicono che la
legge è servile a Budapest, dall'altro lato i nazionalisti ungheresi criticano
il governo slovacco dicendo che la legge continua a perseguitare le minoranze.
Quindi di solito i nazionalisti partono dalle stesse piattaforme, rimanendo
solamente uno contro l'altro. Ma credo che se le sanzioni sono state eliminate,
la legge sarebbe piuttosto buona. Usando il termine "sanzione" o "ammenda" in
relazione al linguaggio, è un intervento drastico nella società, come la lingua
è un affare molto intimo, molto personale dell'identità umana come dell'identità
di una comunità più grande. Qualsiasi repressione in quella zona interferisce
con l'identità umana. Dopo la nostra ultima modifica, le repressioni verranno
utilizzate solo in campo ufficiale, molto formalmente, ma penso che siano
completamente ridondanti. C'è stato un sollievo significativo in diversi settori
della comunicazione pubblica, per esempio in uffici di auto-governo o negli
uffici di polizia. Il rilievo è ancora più grande nel settore della cultura. Ma
la legge ancora non contiene tutti i provvedimenti che potrebbero essere
necessari.
TSS: Ora tenterà anche di modificare la legge sulle lingue minoritarie, che
dovrebbe per molti aspetti allargare il diritto delle minoranze ad usare la loro
lingua madre – una misura che spesso incontra resistenze da parte dei politici
in Slovacchia. Perché c'è una mancanza di volontà tra i politici della
Slovacchia per questo?
RCH: E' necessario modificare la legge sulle lingue minoritarie da quando
abbiamo modificato la legge statale sulla lingua e queste due leggi devono
essere compatibili. Abbiamo inoltre stabilito come uno dei nostri obbiettivi sia
un concetto più ampio della politica per le minoranze in termini giuridici.
Vogliamo farla finita con la discordia tra le due lingue, come la legga statale
sulla lingua ha interferito negli usi delle lingue minoritarie, in particolare
dopo che il governo di Fico l'ha modificata. Ciò doveva essere rimosso perché
l'uso delle lingue minoritarie è disciplinato dalla legge sulle lingue
minoritarie e non dalla legge statale sulla lingua. Le raccomandazioni
internazionali hanno parlato con la stessa voce che questa discordia dev'essere
rimossa.
Per rendere compatibili le due leggi, ora ci sono le sanzioni introdotte nel
progetto di modifica della legge sulle lingue minoritarie perché ci sono già
delle sanzioni nella legge statale sulla lingua. Se un membro della minoranza
non è in grado di far valere il suo diritto di parlare una lingua minoritaria,
possono lamentare l'istituzione in questione. Ma io personalmente credo che non
ci dovrebbero essere sanzioni in nessuna delle due leggi.
Ovviamente, per qualcuno dei miei colleghi questo suonava come un reato contro
la maggioranza slovacca, che le istituzioni slovacche potrebbero essere
sanzionate se un ungherese, un ruteno, un ucraino od un rom non possano ottenere
un'informazione nella loro rispettiva lingua. La mentalità slovacca, non pensa
se accadesse al contrario, ma quando è la maggioranza che deve essere punita,
tutto ad un tratto non ci piace.
TSS: Uno dei principali cambiamenti che lei sta introducendo nel progetto di
modifica della legge sulle lingue minoritarie, è abbassare il quorum per chi
parla la lingua minoritaria, dall'attuale 20% al 10%.
RCH: Tutte le raccomandazioni internazionali dicono che il quorum dev'essere
abbassato. Nel 1999, quando la legge è stata redatta per la prima volta, anche
il 20% sembrava troppo alto. Ma l'esperienza ha dimostrato che non è un buon
quorum, in quanto permette ancora di assimilare le minoranze. Le raccomandazioni
internazionali che abbiamo ricevuto parlano del 10%, sostenendo che le lingue
minoritarie richiedono maggiore protezione in quanto la loro posizione statale
non è uguale a quella della lingua nazionale. Ho il sospetto che non sarebbe
accettato facilmente da molti cittadini e politici ma il quorum proposto non è
così basso. Nota bene, non riguarda la minoranza ungherese, bensì le altre
minoranze. Attualmente, sotto il quorum del 20%, sono circa 520 municipalità con
lingua ungherese e, con il quorum abbassato al 10%, sarebbero altre 30, meno del
1% in più. Ma è interessante considerare che la minoranza tedesca, che è molto
più piccola. Attualmente, vi è un solo comune di lingua tedesca, Krahule nella
Slovacchia centrale, ma con il quorum del 10%, salirebbe da 10 ad 11
municipalità. Con la minoranza croata, si potrebbero influire due parti della
municipalità di Bratislava, Jarovce e Cunovo. Considerando la minoranza rutena,
proponiamo il conteggio insieme alla minoranza ucraina per finalità di utilizzo
delle minoranze linguistiche, il che significherebbe che persino la città di
Humenné diventerebbe ufficialmente bilingue.
Il problema con la minoranza rom, a questo riguardo, è che un'infrastruttura
completamente nuova per la loro lingua, avrebbe bisogno di essere stabilita. In
questo caso, dovremmo prendere in considerazione un modo per rinviare
l'implicazione pratica della legge per creare spazio per l'educazione
dell'intelligenza rom che sarebbe in grado di saturare questa infrastruttura.
Non è una cosa facile, che richiede anche un più alto budget per le municipalità
interessate.
TSS: Il suo ufficio si occupa anche di alcuni problemi legati alla minoranza
rom. Quali di questi consideri più seri?
RCH: L'agenda dei rom è attualmente distribuita tra diversi uffici e penso che
sia necessario un approccio più globale. Negli ultimi 21 anni lo stato ha
fallito nelle politiche sociali. Vi è una sorta di egoismo economico tra i
non-rom e le problematiche per ridurre la povertà dei rom. E da quando
nascondiamo le problematiche economiche ed i fallimenti dello stato, le
soluzioni che vengono proposte sono spesso razziste, ideologiche e dirette verso
i cittadini più poveri di questo paese.
"Le comunità socialmente escluse" è solo un bel nome per le baraccopoli, dove le
persone non hanno una possibilità di prendere una via d'uscita dal circolo
vizioso in cui vivono. E poiché non esiste un approccio globale per risolvere i
loro problemi, ma ogni ufficio lo risolve nel suo piccolo dipartimento – nella
sanità, nella scuola, negli affari sociali, nella giustizia – le soluzioni sono
sempre e solo parziali. Secondo me, non solo non abbiamo mosso il problema della
socializzazione reale delle comunità rom in avanti negli ultimi 20 anni, ma
abbiamo raggiunto persino "numeri rossi".
Attualmente sono soprattutto le associazioni civiche che si interessano di
questi problemi, sulla base della volontà di alcuni appassionati che operano
all'interno delle comunità rom, ma non c'è stato alcun approccio sistemico. Il
problema della minoranza rom non può essere risolto dal mercato, che alcuni
ritengono che sia in grado di risolvere tutto. Oltre a questo, tutti i programmi
per i rom che sono stati eseguiti fino ad ora, erano programmi a breve termine.
E questo problema deve essere risolto nel lungo periodo ed in modo esaustivo.
D'altra parte, la povertà estreme che non si vuol vedere in questo ambiente,
continuerà a generare costi sempre più elevati. Ma il denaro non è il problema
più grande. Il problema è che c'è una mancanza di un concetto a lungo termine ed
una mancanza di esperti di politica che proponga soluzioni.
TSS: I problemi delle minoranze rom non sono solo slovacchi e sempre più
influenzano l'intera Europa. Pensi che la cooperazione europea una soluzione
completa ed a lungo termine?
RCH: Se c'era qualche senso nella "soluzione" francese del problema, poi si
sarebbe attirata l'attenzione al carattere europeo del problema rom, dimostrando
che non è un problema di un paio di stati dei Balcani e dell'Europa centrale, ma
un problema che l'Unione Europea deve rifletter e risolvere. Se ignoriamo i
problemi dei rom in Romania ed in Bulgaria, questi si apriranno come una
questione irrisolta in Francia o in Italia e continuerà a crescere. Non possiamo
tenere gli occhi chiusi su questo. La UE attualmente ha attualmente molto più
gravi problemi economici e finanziari e non può quindi concentrarsi interamente
sulla questione rom, ma forse dovremmo essere uno di quelli che avrebbe spinto
l'agenda, soprattutto una volta che abbiamo un'idea. Uno dei problemi principali
che il governo sta affrontando adesso, è quello di trovare soluzioni chiave
all'agenda rom e di non far finta che questo problema non esiste o che non lo
possiamo vedere. Il problema è qui, ed è grave.
TSS: I suoi predecessori sono stati criticati per la cattiva gestione
dell'agenda rom. Saranno i poteri forti del suo ufficio a cambiare la percezione
critica del pubblico del vostro ufficio?
RCH: Questo ufficio porta sempre una certa sfida in esso – è in un certo senso
un ufficio virtuale, perché i suoi poteri non sono realmente tangibili, come i
diritti umani che sono ancora violati anche nelle democrazie, anche in
Slovacchia. Questo ufficio vuole servire come coordinatore dell'agenda dei
diritti umani, che di fatto rientra nella responsabilità di tutti i dipartimenti
governativi. Siamo come un custode, ma senza la possibilità di punire. Possiamo
solo consigliare e cercare di migliorare la normativa. Il secondo pilastro di
questo ufficio, sono le minoranze nazionali, che comprendono anche la minoranza
rom, e ci sono alcuni problemi molto seri lì. Ho intenzione di avere incontri
con il ministro dell'istruzione per cercare per cercare insieme di risolvere i
problemi di educazione delle minoranze. Ci sono ancora molte cose controverse
che succedono e che devono essere indagate e guardate – come figli di famiglie
rom che vengono spesso inviati alle scuole speciali anche se non li
appartengono. Vedo molto lavoro da fare per noi insieme con l'istruzione e ed i
servizi sociali in materia di istruzione dei bambini rom. Alcuni passi decisivi
bisogna finalmente prenderli.
Un nuovo ed esaltante progetto artistico è attualmente in corso a Bódvalenke,
Ungheria del nord.
Agli artisti è stato chiesto di affrescare le pareti delle case, in
quella che è un'area socialmente svantaggiata, dove di 210 abitanti il 90% è
Rom. Il budget annuale a Bódvalenke è di 30 milioni di fiorini (circa 100.000
euro), utilizzato principalmente per il funzionamento dell'ufficio del sindaco,
assegni sociali e progetti di lavori pubblici, senza lasciare soldi per lo
sviluppo del villaggio.
I pittori rom ungheresi hanno già completato 13 stupendi disegni sulle
pareti.
Artisti rom di tutta Europa ora sono stati invitati a Bódvalenke per
partecipare al progetto.
Gli elaborati verranno prima giudicati da una giuria selezionata. A quei
pittori le cui opere verranno scelte, verranno forniti vernici, pennelli, vitto
e alloggio e verranno coperte le spese di viaggio. In aggiunta, verrà fornita
una borsa di studio, a seconda delle dimensioni del lavoro, della media di 1.000
euro.
Qualsiasi aiuto sarà grandemente apprezzato. Quanti siano interessati,
dovrebbero inviare le loro proposte (meglio in formato PDF) a Eszter Pásztor at
epasztor@enternet.hu
Il 95% dei Rom conduce ormai una vita sedentaria e non vuole tornare a
essere nomade
Tra i rischi maggiori quello della povertà e della mancanza di
istruzione
Mentre la tragica morte di quattro bambini in un campo di Roma commuove
l'Italia, sono oltre 12 milioni i Rom europei che continuano a lottare contro
segregazione e povertà nell'UE. Oggi l'Europa sta cercando una soluzione comune
per risolvere il problema. La presidenza ungherese ha definito la strategia
europea sui Rom una delle sue priorità.
Ne abbiamo parlato con la parlamentare di centro-destra (PPE) ungherese
Lívia
Járóka, l'unica deputata Rom seduta in Parlamento. La giovane 36enne è la
relatrice di un rapporto che si propone di non permettere più all'Europa di
sprecare il potenziale dei Rom e il loro possibile contributo all'Unione.
Sta cercando di lanciare una strategia europea sui Rom. Quali punti sono più
importanti? Dobbiamo cambiare il nostro approccio. Da una prospettiva etnica di questa
minoranza dobbiamo allargare la nostra visuale, dando ai Rom più prospettive
specialmente dal punto di vista lavorativo. Abbiamo leggi europee per combattere
la discriminazione, ma spesso non vengono messe in atto nei singoli Stati
membri. Comunque la discriminazione etnica è soltanto uno dei fattori. Esiste in
Europa una povertà invisibile che non viene percepita neanche da coloro che
assegnano i fondi europei.
Nella mia strategia metà del successo dipenderà dalla stessa comunità Rom e
dalla presenza di leader fra loro. Per questo c'è il bisogno di una nuova classe
dirigente di Rom istruiti che vengano dalla comunità stessa e la rappresentino.
Molti continuano a pensare che i Rom siano nomadi. Ma è ancora così? I Rom hanno il diritto di andare dove vogliono in quanto cittadini europei. Se
poi desiderino davvero muoversi è un altro discorso. Oggi il 95% dei Rom europei
conduce una vita sedentaria. Quel 5% che continua a muoversi lo fa per ragioni
culturali o lavorative.
Negli ultimi anni l'emigrazione che abbiamo visto era legata a motivi economici.
Gli Stati membri usciti dall'epoca comunista si sono trovati di fronte a realtà
economiche nuove che hanno lasciato i più poveri senza un lavoro. I Rom sono
stati i primi a essere espulsi non in quanto gruppo etnico, ma perché non erano
istruiti.
I Rom non vogliono una vita nomade, ma lavoro, dignità e cibo. La prossima
generazione rischia di continuare a vivere in povertà non per la sua etnia, ma
perché probabilmente ha entrambi i genitori disoccupati. Dobbiamo evitare che i
Rom emigrino di nuovo per ragioni economiche come hanno fatto quando si sono
diretti verso la Francia, il Regno Unito, l'Italia e molti altri paesi. Ma non
sono stati soltanto i Rom: anche molte altre persone in difficoltà sono state
costrette a lasciare il loro paese alla ricerca di un lavoro.
Perché è tanto importante sostenere le donne Rom? Nelle aree più svantaggiate, due generazioni di Rom stanno crescendo senza
vedere i genitori andare al lavoro. Questo vuol dire anche che sono le donne
coloro che mentalmente e fisicamente coltivano la speranza. Sono un'antropologa
e ho visto con i miei occhi quanto molto dipenda dal lavoro delle donne. Sono
loro a assicurarsi che ogni giorno ci sia del cibo sul tavolo, sono loro a
assicurare che vengano rispettati i diritti dei propri figli.
Sostenere le donne Rom è uno degli elementi chiave della nostra strategia.
Dobbiamo accertarci che non avvengano più i matrimoni forzati e che si combatta
contro l'abuso di droghe e la tratta di esseri umani.
Con la sua storia personale ha dimostrato che è possibile sconfiggere povertà e
esclusione sociale. Cosa suggerirebbe a altri Rom che vogliono seguire il suo
esempio? La mia fortuna è stata l'istruzione. I miei genitori si sono trasferiti per
evitare che fossimo messi in classi separate, soltanto per Rom. Hanno
controllato che studiassimo abbastanza per essere ammessi in buone scuole.
Comunque una delle cose più importanti che mi hanno dato è questo forte legame
familiare e la nostra tradizione di accettarci l'uno con l'altro.
Io sono figlia di un matrimonio misto. Ho visto quello che hanno fatto i miei
genitori per darci una vita migliore. Tutti noi, i miei fratelli e io, siamo
andati all'università, grazie ai messaggi positivi trasmessi da mia madre e mio
padre.
Ha mai sofferto sulla sua pelle la discriminazione? Per me essere una Rom è una ricchezza, un elemento molto positivo. Mio padre è sempre stato molto protettivo: non ho mai sentito nessun commento
etnico a casa. Per noi era naturale essere Rom, ma prima di tutto ungheresi e
europei.
Per mia sorella è stato diverso. Č nata dieci anni dopo di me in un momento in
cui il governo stava cambiando e si respiravano turbolenze economiche e tensioni
sociali. Si stava creando un baratro tra Rom e non Rom, tra ricchi e poveri.
Abbiamo iniziato a avvertire questa sensazione sulla nostra pelle.
Mi sono accorta all'università di quanto colleghi e amici non sapessero niente
dei Rom e fossero completamente pieni di pregiudizi infondati. Ho capito così
che dovevo fare qualcosa e mostrare che, oltre ai curriculum nazionali, al
dialogo sociale e al lavoro nelle comunità Rom, era estremamente importante
lavorare con i media.
Come potremmo creare fiducia e cooperazione reciproca? I media hanno un ruolo molto importante, dovrebbero mostrare modelli di
cooperazione tra Rom e non Rom. La crisi economica ha reso ancora più difficile
combattere i pregiudizi. Il nostro compito dovrebbe essere quello di creare
degli spazi per l'integrazione, come associazioni sportive miste, classi e
luoghi di lavoro comuni. Poi abbiamo bisogno di una valida classe dirigente tra
i Rom. Aspetto con ansia la nascita all'interno della società Rom di un
approccio comune che venga dal basso.
Il rapporto sulla strategia europea per l'inclusione dei Rom dovrebbe essere
votato dalla commissione per le libertà civili il 14 febbraio per poi arrivare
in plenaria a marzo.
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