Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 14/07/2011 @ 09:05:49, in Europa, visitato 1209 volte)
Da
Czech_Roma
Pardubický deník, translated by Gwendolyn Albert
Pardubice, 10.7.2011 08:40 - Quando non aveva ancora 14 anni, Maruška
sottrasse da una gioielleria una catena d'oro del valore di 16.000 corone. "Il
tribunale giovanile la condannò a diversi mesi di sorveglianza da parte di un
incaricato," dice Marek Demner, coordinatore del progetto Rom Aiutano Rom (Romové pomáhají Romům)
a Pardubice. Il progetto intende espandere e migliorare i servizi di "mentoraggio"
rivolto a membri della minoranza rom che hanno avuto problemi con la legge e
sono ammissibili a pene alternative.
Durante il processo si è scoperto che il suo arresto per taccheggio non era
stata l'unica difficoltà incontrata da Maruška nei mesi recenti. Aveva anche
problemi a scuola, secondo il giornale locale Pardubický deník.
Dice Demner: "Aveva decine di ore d'assenza ingiustificata e gli insegnanti
si lamentavano della sua mancanza di disciplina e di progressi. A quel tempo,
sua madre se ne era andata in un quartiere vicino con la sorella di Maruška, e
adesso viveva sola con suo padre."
La collaborazione di Maruška con l'addetto alla sorveglianza non ebbe un buon
avvio. Lei frequentava solo occasionalmente gli incontri e i suoi problemi
scolastici continuavano.
"All'inizio della libertà vigilata, Maruška rimase incinta. L'assistente
chiese a Eva, un mentore esperto, di lavorare con Maruška. Assieme decisero le
priorità da affrontare. Lo scopo era che Maruška frequentasse scuola
regolarmente e che si diplomasse. Anche suo padre ed il ragazzo da cui aspettava
un figlio vennero coinvolti," racconta Demner.
Eva visitò Maruška a casa. Gradualmente la ragazza iniziò a fidarsi del suo
mentore e a confidarle i suoi problemi. Dopo diverse settimane, la disciplina ed
il rendimento scolastico di Maruška migliorarono. Fu anche in grado di gestire
meglio la vita con suo padre ed il rapporto col suo ragazzo.
"Il ruolo del mentore è diventato ancora più significativo dopo che Maruška
ha dato alla luce sua figlia. Eva ha insegnato a Maruška come gestire il ruolo
di madre e prendersi cura di sua figlia. Qualche settimana dopo il parto, Maruška
tornò a scuola," dice Demner. "Sua figlia adesso ha sei mesi. Eva visita Maruška
a casa due volte a settimana. La aiuta e la consiglia su come curarsi della
figlia, sulle faccende domestiche e sulla situazione finanziaria della famiglia,
sul contatto con le autorità, la richiesta di benefici sociali, ecc."
Il mentoraggio tra Rom è stato ampliato nella regione di Pardubice tra il 205
e il 2008. Da maggio 2006 ci sono stati otto mentori rom che hanno collaborato
con i centri dei servizi di mediazione e libertà vigilata a Pardubice, Ústí nad Orlicí
e Chrudim.
Di Fabrizio (del 12/07/2011 @ 09:25:02, in Europa, visitato 1485 volte)
Famiglia Cristiana Il nomadismo è solo una necessità. Lo dimostra questo
reportage a Draganesti, Romania, la baraccopoli da cui vengono i nomadi dei
campi di Milano e dove opera la S.Egidio.
10/07/2011
Una delle baracche di Draganesti, in Romania.
Claudia, 8 anni, vive nella stessa casa di Draganesti in cui sono nati suo padre
Ionut e suo nonno Marius. Il suo bisnonno, invece, viveva a soli 500 metri
di distanza; è tipico delle ziganie dell'Oltenia, regione rurale della Romania a
80 chilometri da Craiova. Le ziganie sono i quartieri rom dei villaggi romeni:
una strada con una fila di case sui due lati. La storia della Romania del
Novecento è stata anche all'insegna della sedentarizzazione dei tanti gruppi rom
che non hanno più nulla a che fare con un ideale di vita all'insegna del
"nomadismo": la famiglia di Claudia si è spostata di mezzo chilometro in quattro
generazioni. "Il tetto della nostra casa crollava, i mattoni di fango e paglia
avevano troppi anni. Nel 2004 siamo partiti per Milano con un sogno: lavorare e
mettere da parte i soldi per costruire la casa", spiega Ionut. L'Oltenia è la
regione di provenienza della maggior parte delle famiglie che abitano le
baraccopoli abusive di Milano.
La scuola di Draganesti, costruita con i contributi della S.Egidio.
Č molto chiaro: il nomadismo non c'entra niente, si tratta di una migrazione per
cause economiche. Nei primi anni a Milano, la moglie chiedeva l'elemosina, Ionut
ha lavorato nell'edilizia. Per i primi tre anni, mai un contratto: "Un italiano
ci chiamava "a giornata": in alcuni periodi, eravamo pagati anche tre euro e
mezzo all'ora. Quando il capo aveva un cantiere, si lavorava dieci ore al
giorno, poi, per un po', non si lavorava fino alla commessa successiva. Abbiamo
lavorato tantissimo alla costruzione della Fiera di Rho." Poi, nel 2007,
finalmente un contratto accompagnato da un pratica diffusa tra alcune
cooperative edili milanesi: nello stesso momento, si è obbligati a firmare anche
un foglio in bianco senza data. Č la lettera di dimissioni. A inizio del 2009,
quando la crisi edilizia blocca i cantieri, il capo della cooperativa rispolvera
dal cassetto il foglio firmato aggiungendo la data: Ionut ha perso il lavoro.
Per due anni, con la moglie Maria cerca di garantire una vita decente ai tre
figli. La Comunità di Sant'Egidio iscrive a scuola Claudia, mentre i due più
piccoli, di tre e cinque anni, non possono andare all'asilo: a Milano, senza
residenza, non è possibile. Resistere non è facile: dal 2007 ad oggi, avvengono
500 sgomberi di baraccopoli rom nel solo capoluogo lombardo. Capita di dormire
per strada, sotto la neve, riparandosi con una piccola tenda. Così, a febbraio
2011, Ionut, Maria, la maestra di Claudia e la Comunità di Sant'Egidio pensano
ad un progetto di ritorno in Romania. Alcune donazioni di privati permettono di
restaurare la casa di Draganesti e attivare una borsa di studio in
collaborazione con la scuola locale. La nuova casa di Giulia ora è in muratura,
coloratissima: il corridoio azzurro, la cucina rosso fiammante, la stanza dei
genitori verde e quella dei bambini rosa. Sul retro, l'aia con tacchini e
galline e un terreno in cui la famiglia potrà coltivare pomodori e peperoni. La
camera di Claudia è decorata con peluches, al centro la sua foto con la maestra
e la classe italiana. Dell'Italia rimane anche la paura della polizia. Racconta
il padre: "Anche qui, quando passa un vigile, Claudia mi si avvicina e trema. A
Milano, spesso succedeva che durante i controlli, si faceva la pipì addosso per
la paura."
La vecchia casa di Claudia, a Draganesti.
Il problema rimane il costo della vita, che è uguale a quello italiano. Al Penny
Market di Draganesti un paio di calze costa un euro e mezzo, un salame quattro,
un litro di olio di semi di girasole quasi due. In questi villaggi rurali, il
lavoro non c'è. La depressione economica è palese, l'emigrazione in Italia o
nelle grandi città romene è spesso la sola opportunità. La presenza di
investitori italiani è comunque forte anche nella regione: a Slatina, il
capoluogo dell'Oltenia, c'è un importante fabbrica della Pirelli. Mirela,
anziana con 4 figli emigrati, si commuove mostrando la foto del nipote di 8 anni
che ha cresciuto e che ora vive in una casa a Milano. Racconta: "Durante il
regime di Ceausescu, eravamo pagati poco, ma il lavoro c'era. Qui a Draganesti,
c'erano cinque industrie alimentari e due di scarpe. I primi anni dopo l'89 si
stava bene, ma poi tutte le fabbriche hanno chiuso, non reggevano la
concorrenza." Nella zigania di Lalosu, uno dei paesi vicini, c'era un enorme
allevamento dove, fino ai primi anni Novanta, lavoravano più di cento persone.
Fallito, è stato acquistato da un "italiano di Bucarest": ha rivenduto il ferro
e il materiale con cui era costruito e se ne è andato. Negli ultimi due anni,
anche la crisi economica ha duramente colpito la Romania, molto più che
l'Italia. Dal 2008 al 2009 il PIL romeno è passato dal +8% al -7,1%, il Governo
ha varato un piano di austerità che taglia drasticamente la spesa sociale, le
pensioni e i salari pubblici. Mirela può comprare le medicine solo grazie al
figlio che manda i soldi da Milano. Nella zigania di Draganesti – 1300 abitanti
sui 12.000 dell'intero villaggio – le case sono molto diverse tra loro, spesso
abitate da famiglie allargate. Le più povere sono baracche fatte di paglia e
fango, costituite da un'unica stanza fatta di mattoni di terra a vista. Altre
sono caratterizzate dai tetti decorati con lamiera intagliata e un corridoio
d'ingresso illuminato da ampie finestre; poi ci sono le "ville" di Bercea
Mondial, il più ricco della zona, che ha fatto fortuna in maniera per nulla
chiara e che certo non ha dovuto vivere nelle baraccopoli milanesi. A Draganesti
non ci sono fogne e i servizi per la maggior parte sono costituiti da una
piccola baracca in un angolo del cortile. Pochissime case hanno l'acqua
corrente, mentre la maggior parte ha il pozzo in cortile. Era così anche in
Italia; in Veneto, nel 1961, il 72% delle case non aveva il bagno.
Mirela con la foto del nipote, che è a Milano.
Ciò che colpisce sono gli squilibri e le contraddizioni della zigania. Da un
lato, resiste una tradizione rurale e arcaica che ricorda in parte alcuni
villaggi italiani prima del boom economico dello scorso secolo. Le ragazze si
sposano presto, spesso ancora minorenni; la scuola è frequentata dai ragazzi rom
del villaggio, ma le femmine raramente superano la quinta classe, mentre i
maschi arrivano fino alla settima. Spesso è anche ignoranza: Marieta spiega che
la varicella si cura vestendo di rosso i bambini. Dall'altro, la società
tradizionale si scontra con le distanze che si accorciano e la globalizzazione.
Così, le trasmissioni più seguite dai rom sono le telenovelas indiane di
Bollywood. La connessione web con il cellulare costa pochissimo. L'emigrazione e
il collegamento con l'Italia sono in questo senso travolgenti. Ogni weekend
parte un pulmino che trasporta persone, posta, bagagli dalla zigania al
capoluogo lombardo in entrambe le direzioni. Simona, 14 anni, ha frequentato a
Milano fino alla terza media: è una delle uniche ragazze rom di quell'età a
portare i pantaloni a Draganesti. Ma l'incontro-scontro con il mondo esterno
alla zigania trasformerà inevitabilmente questa società, che ora è in mezzo ad
un bivio. Bisogna puntare sulla scolarizzazione, da cui dipende il futuro di
molti bambini. Nella zona più povera della zigania abita la famiglia di Daniel,
10 anni, che ha una forte disabilità. A Milano, nella baraccopoli di Rubattino,
aveva iniziato la quarta elementare; travolto da un'ondata di solidarietà delle
maestre, dei compagni di classe e dei loro genitori, ha fatto notevoli
progressi. Ma cinque mesi fa, dopo un anno e mezzo di scuola e lo sgombero, la
famiglia è dovuta tornare a Draganesti. Percorso scolastico interrotto perché,
come spiega il padre, "sarebbe dovuto andare in una scuola speciale, molto
lontano, a Slatina, e noi non abbiamo i soldi per portarlo". Il suo progetto è
chiaro: tornare a Milano a breve, perché "i soldi e la carne del maiale
ammazzato a gennaio sono finiti, il lavoro non c'è e Daniel non può andare a
scuola".
Maria nella sua nuova serra.
Torneranno a breve a Milano anche Lenuta, Marin e i loro 5 figli; sono una delle
famiglie più povere e da anni alternano alcuni mesi in Italia, dove Lenuta
chiede l'elemosina e il marito lavora saltuariamente "a giornata", e altri a
Draganesti. Qui, vivono raccogliendo la plastica e altri scarti da riciclare; un
sacco enorme pieno di bottiglie viene pagato cinque euro. I bambini sono seduti
a mangiare la mamaliga con strutto, l'unico pasto che per la giornata la
famiglia può permettersi. La mamaliga, insieme al sarmale di verze e carne, è il
piatto più diffuso nelle ziganie: è la polenta. La scena sarebbe potuta accadere
anche nelle cascine lombarde del secolo scorso, ma molti padani sembrano
essersene scordati. Marin spiega che i suoi figli in Romania non mangiano la
frutta, costa troppo. In Italia, invece, ne mangiano tantissima: le maestre
della scuola regalano ai bambini i frutti avanzati dalla refezione. Ora i
bambini non vanno a scuola, perché tradurre in romeno i nullaosta per il
trasferimento costava troppo. Lenuta invece mi mostra l'ultima multa per
accattonaggio da 500 euro ricevuta a Milano e il conseguente provvedimento di
allontanamento dall'Italia. Nel verbale, si dispone anche il sequestro delle
monetine. Lenuta mi dice che tra qualche settimana devono ripartire per l'Italia
perché sono finiti anche i soldi per la polenta. Le chiedo se ha saputo che a
Milano siamo arrivati a 500 sgomberi e che la baraccopoli di Bacula è stata
nuovamente distrutta. "Non conto più quante volte ci hanno sgomberato, è
bruttissimo, ma cosa devo fare? Cosa do da mangiare ai miei figli?" mi risponde.
Effettivamente, vista da questa baracca di fango e paglia di Draganesti, Milano,
che ha festeggiato con la precedente amministrazione i 500 sgomberi raggiunti,
sembra una città che, anziché combattere la povertà, fa la guerra ai poveri.
Stefano Pasta
Di Fabrizio (del 06/07/2011 @ 09:52:34, in Europa, visitato 1518 volte)
Ebrei, musulmani, gay, russi, zingari: l'odio corre in rete - di
Rudolf Stefanicki - Articolo pubblicato su Il manifesto il 2 luglio 2011
VARSAVIA, 4 luglio 2011 (IPS) - «Quello che ha cominciato Hitler lo porteremo
fino in fondo. Che finiscano nelle camere a gas, nei forni». Quando il ministro
degli esteri Radek Sikorski ha letto questo e altri commenti simili in un foro
di discussione di Internet, ha deciso di andare dal giudice. «Il grado di
razzismo e di odio sui siti Internet polacchi è incredibile. Chiunque può
leggerli e farsi un'opinione sulla Polonia», ha detto.
Il ministro ha denunciato due gruppi mediatici, Ringier Axel Springer,
proprietaria del giornale Fakt, e Bonnier Business Polska, padrone di Puls
Biznesu. Ha chiesto un indennizzo di circa 7mila dollari e delle scuse pubbliche
sui siti Internet coinvolti.
Sikorski si è sentito personalmente colpito perché alcuni commenti attaccavano
in modo volgarissimo lui (i più leggeri erano «traditore» e «manovrato a
distanza da ebrei statunitensi») e sua moglie, Anne Applebaum, editorialista del
quotidiano Usa Washington Post. La legge prevede, per quanto in forma un po'
vaga, che i responsabili siano obbligati a cancellare commenti illeciti o a
rispondere per essi.
La reazione dei responsabili è stata di disabilitare i fori di discussione, ciò
che però ha provocato critiche di censura. Così li hanno rimessi rete, pur
depurati. Hanno anche presentato le loro scuse al ministro, ma Sikorski ha
mantenuto la denuncia alla magistratura.
Dopo la denuncia la procura ha aperto un'indagine. Tuttavia in genere l'80% di
questi casi termina con l'archiviazione perché «è impossibile scoprire gli
autori». Molti utilizzano cybercaffè per conservare l'anonimato e di solito
usano server di paesi stranieri in cui le leggi in materia sono più liberali.
In Polonia su ogni 100 messaggi inviati a un foro di dibattito su qualsiasi
argomeno, uno contiene un atteggiamento negativo verso le minoranze, stando al
rapporto di quest'anno della Fondazione per la conoscenza locale. E il 60% ha un
contenuto discriminatorio.
I più criticati sono gli ebrei, seguiti dai russi, gli omosessuali, gli zingari,
i tedeschi e i musulmani. A volte i commenti che attizzano l'odio sfociano in
episodi di violenza fisica (è capitato contro rifugiati ceceni).
La maggior parte delle persone consultate in un sondaggio del febbraio scorso,
afferma che bisognerebbe controllare Internet. il 72% ritiene che bisognerebbe
eliminare i contenuti che incitano all'odio contro minoranze nazionali,
religiose, sessuali.
Il Rapporto sulle minoranze è un possibile strumento e prevede di realizzare
«una mappa» dei siti che «favoriscono l'odio» che serva per orientarsi e
intervenire. «Quando gli attivisti che difendono i diritti delle minoranze si
presentano dal giudice, questi rifiuta di intervenire con l'argomento che si
tratta di pochi commenti isolati - dice Marek Troszynski, direttore del progetto
-. Bene, adesso ne avrà a disposizione più di 130 mila».
Le autorità polacche ora sembrano più sensibili all'antisemitismo, ma non alla
situazione delle minoranze sessuali. La Fondazione di Helsinki sui diritti umani
ha chiesto al ministero della giustizia riforme legislative.
«Le posizioni discriminatorie sono difficili da sradicare perché non riguardano
solo le minoranze», dice il sociologo dell'università di Varsavia Antoni Sulek.
E non basta una legge per risolvere il problema. © il manifesto
Di Fabrizio (del 05/07/2011 @ 09:51:31, in Europa, visitato 1660 volte)
Segnalazione di Alberto Melis
Città Nuova 01-07-2011 di Chiara Andreola
Una rom bulgara e una macedone hanno approfittato del loro stage alla
Commissione Europea per far conoscere il loro popolo ai piani alti di Bruxelles
Ricredetevi: i Rom non sono soltanto nei campi. Guarda un po' te, si possono
pure laureare, ed aspirare ad entrare nel mondo degli eurocrati bruxellesi. Č il
caso della bulgara Alexandra Tsankova e della macedone Senada Lamovska, che da
ottobre 2010 a marzo 2011 sono state tra i 600 prescelti – su oltre 10 mila
aspiranti provenienti non solo dagli Stati membri, ma anche da quelli candidati,
come appunto la Macedonia – per uno stage alla Commissione europea. Senada e
Aleksandra sono state inserite presso il Direttorato generale per gli Affari
regionali, dove, al di là del lavoro quotidiano, hanno dato il via ad una serie
di iniziative rivolte a stagisti e non solo per far conoscere il proprio popolo
e la propria cultura, in un momento in cui nella stanza accanto si discuteva
della “questione rom” in seguito alla situazione delicata creatasi in Francia.
Una mossa coraggiosa che chiediamo loro di raccontare.
Che cosa vi ha spinto a fare domanda per uno stage alla Commissione europea?
Alexandra: «In Bulgaria, purtroppo, le possibilità di trovare lavoro per una
giovane rom neolaureata non sono molte, per cui ho deciso di puntare su
Bruxelles. Ma al di là di questo, ho sempre desiderato fare qualcosa per aiutare
l'integrazione del mio popolo».
Senada: «Studio relazioni internazionali a Budapest, e quindi volevo vedere in
prima persona come ciò che leggo nei libri viene messo in pratica e capire come
funzionano le istituzioni europee».
Come vivete il vostro essere allo stesso tempo rom e bulgara – nel caso di
Aleksandra – o macedone – nel caso di Senada?
Alexandra: «Non le vivo come due identità opposte. Mi considero semplicemente
una rom bulgara, anche se mi rendo conto che per altri non è così facile:
soprattutto se si sentono trascurati dallo Stato in cui vivono, possono arrivare
a mettere in discussione la propria nazionalità».
Senada: «Nemmeno io riesco a separare il mio essere rom dal mio essere macedone,
sono parte della stessa “identità complessa”. Noi rom non abbiamo uno Stato:
siamo arrivati dall’India nel XIV secolo, quindi viviamo in Europa da oltre
settecento anni. Non ho altra patria che la Macedonia, e credo che la stessa
cosa valga per i rom che vivono negli altri Stati europei. Purtroppo siamo
ancora discriminati e considerati stranieri, o addirittura visti come “non
europei”: ma che cosa significa, oggi, essere europeo?».
Il vostro essere rom ha in qualche modo dato un valore aggiunto al vostro lavoro
alla Commissione? Quali sono state le sfide principali?
Alexandra: «La cosa che più mi ha colpita è stata che i miei colleghi mi hanno
detto di non aver mai parlato con una “vera” rom fino a quel momento, e che man
mano che mi hanno conosciuta la loro percezione negativa dei rom è cambiata. Mi
sembra che ora abbiano una maggiore consapevolezza dei problemi che ci troviamo
ad affrontare».
Senada: «Sono stata inserita nel dipartimento per l’inclusione sociale, dove mi
sono occupata soprattutto del mio popolo. Diversi miei colleghi avevano già
lavorato con dei rom o perlomeno avuto contatti con loro, e anche il mio tutor
era un rom ungherese: per cui posso dire di essermi sentita a mio agio. Al di
fuori del mio dipartimento, invece, mi sono dovuta confrontare con persone che
non avevano mai incontrato un rom, non avevano nessuna conoscenza della nostra
storia e della nostra cultura: alcuni credevano che fossimo una tribù con tanto
di re e regina, e si meravigliavano che potessimo addirittura studiare.
Purtroppo, gli stereotipi si mantengono ben saldi anche tra coloro che poi
prendono le decisioni che contano».
In Europa si parla spesso della “questione rom”: come avete vissuto e vivete
questa situazione?
Alexandra: «Non mi piace che la mia gente venga presentata come “una questione”
o addirittura “un problema”. Come ogni popolo, i rom hanno le loro potenzialità,
e se le utilizzano bene possono contribuire attivamente al bene della società in
cui vivono».
Senada: «I rom non sono una questione: c’è la questione della povertà,
dell’istruzione, della salute, della casa e del lavoro, e i rom che le devono
affrontare. Ma i rom non sono una questione».
Il Papa ha incontrato i rom il giorno di Pentecoste. Ritenete che la Chiesa
possa aiutare l'integrazione?
Alexandra: «Credo di sì. Fin dall'infanzia la fede ha giocato un ruolo
importante nella mia vita, e le persone della mia comunità cristiana mi hanno
sempre incoraggiata ad andare avanti con gli studi e non mollare. Inoltre
compravano il materiale scolastico ed aiutavano nello studio i ragazzi rom del
mio quartiere. C'è ancora molto da fare, e indubbiamente la Chiesa può dare un
contributo fondamentale».
Senada: «Nel mio Paese la maggioranza dei Rom è musulmana, così come lo sono io:
non ho quindi esperienza diretta di come la Chiesa potrebbe aiutare, ma solo di
come può farlo il gioverno. A livello europeo, però, la maggioranza dei rom è
cristiana, delle varie confessioni».
Tra le iniziative che avete organizzato alla Commissione europea, una delle più
apprezzate è stata la serata di musica e danze rom: che impressioni ne avete
ricevuto?
Alexandra: «La cosa che mi ha fatto più piacere è stata vedere come anche gli
altri stagisti si sono sentiti coinvolti nell'organizzarla, e non ci hanno
lasciate sole. Questi momenti di musica e danza, in cui tutti si incontrano e si
sentono sullo stesso piano, sono degli ottimi strumenti per favorire
l'integrazione e combattere i pregiudizi».
Senada: «Se riteniamo che i pregiudizi vengano dalla mancanza di conoscenza
diretta e quindi vadano combattuti incontrandosi, allora l’iniziativa ha
funzionato: più di duecento persone, rom e non, hanno partecipato. Il ricavato
della serata è andato alla scuola elementare Brakja Ramiz-Hamid di Skopje, in
Macedonia, dove il 99 per cento degli studenti è rom. Insomma, abbiamo fatto
qualcosa di buono».
Di Fabrizio (del 25/06/2011 @ 09:05:38, in Europa, visitato 2139 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso Bernardo Venturi 21 giugno 2011
Sono una parte importante della popolazione moldava, e guardano più alla
Russia che all'Europa occidentale. Č la comunità rom. Andiamo alla sua scoperta
in compagnia di Ion Duminica, ricercatore, a volte "gagè", a volte "zingaro"
Ritratto, Moldavia - Silvia Biasutti
"Sono cresciuto subendo una doppia discriminazione: per i rom ero un gagè, un
non-zingaro, mentre i compagni di scuola mi apostrofavano come "zigano". Ion
Duminica è oggi uno dei più grandi esperti della storia e cultura rom in
Moldavia. Da quando lavora per l'Accademia delle Scienze della Moldavia ha
girato per villaggi, ascoltando tantissime storie e racconti tramandati
oralmente, le uniche fonti per ricostruire storia e tradizioni rom.
La sua doppia origine – "sono rom al 50%" – gli ha permesso ricerche
storico-culturali muovendosi da angolature diverse, ma gli ha anche creato non
pochi problemi. Per Ion non è stato facile guadagnarsi la fiducia degli abitanti
di tanti villaggi e non essere considerato come "altro".
All'Accademia delle Scienze oggi lavora presso il Centro del Patrimonio
Culturale dell'Istituto di Etimologia, impegnato dal 2004 a comprendere la
cultura e la storia rom in Moldavia, un lavoro mai fatto prima in modo organico:
l'unico testo ad ampio respiro sull'argomento risale al 1837. "Ricercando sulla
cultura e la storia rom in Moldavia facilitiamo la loro integrazione sociale e
politica nella società democratica", racconta ancora Ion.
Fotogallery:
Viaggio a Chisinau, Moldavia - Silvia Biasutti
I rom in Moldavia
Le prime tracce di presenza rom in Moldavia risalgono all'inizio del 1400. La
loro storia è caratterizzata dalla sopravvivenza di alcuni modelli etnici,
linguistici e culturali, perdurati per secoli. Un popolo che ha fatto della
diversità una delle sue caratteristiche e che viene qui chiamata "rom" solo per
convenzione.
In un censimento del 2004, i cittadini dichiaratisi rom erano oltre 12 mila,
equivalenti allo 0,36% della popolazione moldava. Stime di questo tipo,
comunque, sono del tutto parziali ed è difficile avere un'idea più precisa: chi
ha lavorato al censimento del 2004 non era di etnia rom e ciò ha portato molti
rom a non dichiararsi tali. "Un dato realistico potrebbe essere trai 200 e i 250
mila" sostiene Ion Duminica.
In Moldavia, Ion ha individuato 11 gruppi rom, differenziandoli a seconda delle
professioni, della tipologia abitativa, dell'organizzazione familiare e sociale.
Vi sono per esempio i "linguarari", artigiani che producono cucchiai nella
regione di Calaraşi, o i "lautari", violinisti, a Chişinău. "La loro posizione,
le relazioni sociali e le specifiche occupazioni tradizionali di queste comunità
sono rimaste quasi sconosciute alla comunità scientifica fino a qualche anno
fa", sostiene Ion non senza un pizzico di orgoglio.
Al momento Ion si sta dedicando con particolare attenzione allo studio delle
professioni e a come sono mutate nel tempo.
Ion Duminica
Uno dei lavori in espansione tra i rom in Moldavia è ad esempio comprare vecchie
auto e pullman dalla Germania e dalla Russia, risistemarle e rivenderle, anche
se la povera economia moldava non offre grande spazio a queste iniziative
commerciali.
"Che ne pensano i rom della Moldavia? Č percepita come un Paese molto povero,
l'Europa occidentale è vista come più ricca, ma avida e ostile". Molti rom della
Moldavia negli ultimi anni si stanno spostando in Russia. Vi sono infatti legami
storici che risalgono al periodo sovietico della Moldavia, che li legano a
Russia, Ucraina e Bielorussia. Molto più radi sono invece i rapporti con i rom
della Romania.
Spesso i rom amano abitare nelle fratture sociali, negli spazi tra confini,
nelle terre di mezzo. La Moldavia, in un certo senso, ha rappresentato anche
questo, una terra di mezzo, zona di confine tra la Romania e il mondo sovietico.
"I rom moldavi comprendono sia i rom della Romania che quelli dell'area ex
sovietica" spiega Ion "ma invece tra le comunità ex-sovietiche e i rom romeni
non c'è nessuna lingua in comune".
La collina dei rom
Soroca è famosa anche fuori dai confini moldavi per la forte e stravagante
presenza rom. Con oltre 5 mila rom su una popolazione totale di 20 mila
abitanti, questo antico avamposto austroungarico ha incuriosito tanti
giornalisti e fotografi più per la "collina dei rom" che per la sua fortezza.
Situata nel nord della Moldavia e sul confine con l'Ucraina, Soroca è in
posizione ideale per commerciare e tessere rapporti verso est. I giornalisti che
hanno cercato di descrivere Soroca sono stati sfidati dallo sfarzo e dalla
ricchezza delle abitazioni, in netto contrasto con il resto della città, ma,
soprattutto, in controtendenza per molti versi rispetto agli stereotipi classici
nei confronti del mondo rom.
"Passando di notte la collina appare buia? Sì, molti vivono all'estero e
costruiscono la loro casa un po' alla volta, tantissime case sono ancora in
costruzione. Inoltre non pochi vivono in roulotte accanto alle case sontuose che
tengono per status sociale e per gli ospiti", chiosa Ion Duminica. Di certo, il
kitsch architettonico rende la collina unica e, a modo suo, affascinante.
Un partito etnico
In Moldavia le minoranze etniche ricevono sulla carta molte tutele, a partire
dalla stessa Costituzione. In più, negli ultimi anni, sono stati istituiti
alcuni strumenti specifici, quali l'Ufficio per le relazioni interetniche, la
Commissione parlamentare per le minoranze nazionali e i diritti umani e il
Centro di etnologia all'Accademia delle scienze della Moldavia, dove lavora Ion.
Il governo dal 2006 ha anche definito un piano d'azione pluriennale per la
tutela e promozione dei rom.
Nella vita di tutti i giorni la Moldavia non appare divisa da profonde fratture
etniche ma non è certo così dal punto di vista istituzionale. I rom in Moldavia
non sono mai entrati in Parlamento e, a parte l'esperienza di un sindaco rom,
non hanno mai partecipato attivamente alla vita politica. Dall'inizio degli anni
Novanta alcuni sono stati inclusi nelle liste elettorali, ma come gesto di
facciata e senza successo. Ha suscitato quindi interesse la nascita nel marzo
2010 del "Movimento Socio-Politico dei Rom nella Repubblica di Moldova" (Msrp),
di cui Ion Duminica è vicepresidente. Il partito voleva essere un modo per
favorire la partecipazione diretta dei rom alla vita politica del Paese. Il Msrp,
però, l'unico partito su base etnica della Moldavia, alle elezioni parlamentari
del 28 novembre 2010 ha riscontrato scarso successo ottenendo soltanto lo 0,14%
dei voti e il progetto sembra essersi sciolto come neve al sole.
Sono comunque molte le sfide del presente per i rom in Moldavia per arrivare ad
una reale integrazione e il rispetto dei diritti umani e civili. Il 20% circa
della popolazione rom, per esempio, è analfabeta e soltanto il 4% è laureata. Il
governo moldavo negli ultimi anni ha fatto molto, ma la strada è ancora lunga.
Di certo, un aspetto su cui consolarsi c'è: tanti Paesi dell'Unione europea
hanno legislazioni e strumenti che, per quanto riguarda i rom, sono molto più
arretrati e discriminatori.
Di Fabrizio (del 21/06/2011 @ 09:00:12, in Europa, visitato 1149 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
Budapest, 16 giugno 2011: ERRC ha inviato una
lettera alle autorità serbe, riguardo lo sgombero forzato del 7 giugno 2011
e il trasferimento di 12 famiglie rom dall'insediamento sotto il ponte Pančevo
a Belgrado ed il susseguente attacco ad un donna rom nel nuovo insediamento.
ERRC ha espresso la propria preoccupazione che lo sgombero sia stato
condotto senza il rispetto delle norme internazionali: ale famiglie coinvolte
non hanno ricevuto alcun preavviso, non hanno ricevuto alcun avviso di sgombero
e sono state portate in un comune diverso a vivere in container vuoti che non
incontrano gli standard minimi per un alloggio adeguato. Le famiglie sfollate
sono senza mobili e non hanno collegamento ad elettricità, acqua o fognature.
Inoltre, nella notte tra l'11 e il 12 giugno, una delle donne trasferite a forza
è stata attaccata da uno sconosciuto entrato nel suo container, dimostrando che
i residenti non sono sicuri nella nuova sistemazione.
For further information, contact:
Sinan Gökçen
Media and Communications Officer
sinan.gokcen@errc.org
+36.30.500.1324
© ERRC 2011. All rights reserved
Di Fabrizio (del 20/06/2011 @ 09:38:03, in Europa, visitato 1522 volte)
Da
Czech_Roma (sul caso Natálka leggi anche
QUI)
Budišov, 14.6.2011 11:03
Natálka Kudriková, la bambina che era stata severamente ustionata quando i
piromani avevano attaccato la sua casa a Vítkov, sta sperimentando i primi
contatti con gli altri bambini, dopo due anni spesi esclusivamente a casa o in
ospedale. Ha festeggiato il suo quarto compleanno ieri alla scuola materna.
La televisione ceca riporta che per frequentarla Natálka ha bisogno di
un'assistente e di cure speciali.
Natálka dovrebbe frequentare la scuola materna a tempo pieno dal prossimo
settembre, ma anche questo non è certo - settimana prossima verrà nuovamente
visitata all'ospedale e potrebbe subire una nuova impegnativa operazione
quest'estate. Per adesso trascorre a scuola materna un'ora al giorno. Anche se
non parla con nessuno, nondimeno comunica. "Parla con i gesti, non verbalmente,
ciò che vuole e i giochi che vuole in prestito," ha detto alla televisione
Simona Novotná,
direttrice della materna di Budišov.
I coetanei di Natálka si son dovuti far spiegare da genitori ed insegnanti
perché quella bambina è differente. "Perché ha così tante cicatrici, perché ha
perso le dita, domande simili," ha detto sua madre, Anna Siváková.
I medici dicono che Natálka avrà bisogno di assistenza pedagogica e
personale. I suoi progressi nel trattamento delle ustioni stanno soddisfacendo i
dottori che l'hanno curata per oltre due anni: "Fondamentalmente, è avvenuto un
piccolo miracolo... nessuno poteva immaginare che potesse riprendere la vita
normale," ha detto alla televisione Iva Zámečníková del centro ustionati
dell'ospedale di Ostrava.
ryz, Czech Television,
http://www.ct24.cz/domaci/127204-stav-natalky-sivakove-povazuji-lekari-za-maly-zazrak/
translated by Gwendolyn Albert
Di Fabrizio (del 30/05/2011 @ 09:39:19, in Europa, visitato 1510 volte)
Da
Hungarian_Roma
25/05/2011 - Saranno da compensare tre persone rom ingiustamente condannate
per il tentato omicidio di una famiglia nel 2008. Alla fine del 2008, qualcuno
gettò tre molotov contro la casa di una famiglia rom nel villaggio di Tarnabod
dell'Ungheria nord orientale. Fu a rischio la vita di quattro persone, ma
fortunatamente non morì nessuno. La polizia arrestò quattro giovani rom e li
accusò di tentato omicidio.
Successivamente i giovani furono condannati e passarono 11 mesi in prigione.
Nel frattempo, la polizia arrestò i veri colpevoli di quell'attacco e di altri
commessi contro altre famiglie rom. In totale morirono sei persone per quella
serie di attacchi anti-Rom.
La decisione di compensare i giovani innocenti è stata presa dalla corte
distrettuale di Heves nella città di Eger.I giovani riceveranno un risarcimento
per l'importo di diversi milioni di fiorini ungheresi.
ih, translated by Gwendolyn Albert
Di Fabrizio (del 20/05/2011 @ 09:41:06, in Europa, visitato 1609 volte)
Nel suo rapporto annuale, pubblicato venerdì scorso, Amnesty International
sostiene che la Slovacchia non si conformi agli impegni assunti, in sede di
comunità internazionale, nell’ambito della difesa e garanzia dei Diritti Umani.
Nel mirino della benemerita Organizzazione Non Governativa è, come al solito, il
trattamento discriminatorio al quale sono soggetti i cittadini di etnia rom
della Slovacchia.
Luník IX, Košice
Anche quest’ultima analisi di Amnesty International conferma l’esistenza di
ostacoli alla normale fruizione, da parte degli zingari, del sistema educativo,
di accettabili condizioni abitative e persino della normale assistenza
sanitaria.
La pietra dello scandalo è, ovviamente, la segregazione dei bambini Rom
nell’ambito della cosiddetta “scuola pubblica” che risulta inaccettabile e
squallidamente razzista a qualunque osservatore esterno abbia l’occasione di
notare la differenza di condizioni riservata ai bimbi rom, quasi sempre
destinati ai “corsi speciali” come se pagassero davvero il fio di una tara
genetico-razziale e non di ignobili condizioni nel contorno socio-economico.
Il rapporto di Amnesty International (il cui contenuto non può che indignare le
persone civili) ricorda anche i muri costruiti in alcune municipalità slovacche
proprio allo scopo di isolare gli zingari dai “gentili”.
tre bimbi Rom
Vale la pena di ricordare che la palma dell’apartheid slovacco spetta al
villaggio di Ostrovany che, per primo, nel 2009, iniziò la costruzione di questa
novella “settima meraviglia” della modernità. Non a caso i sindaci di Michalovce
e di Prešov (tra i tanti) si sono peritati di seguirne l’edificante esempio.
Ma nel rapporto ci sono anche le 90 famiglie rom di Plavecký Štvrtok (giusto
vicino alla civilissima Bratislava) a cui è stata minacciata la demolizione
della casa (tra grida di giubilo e manifestazioni di gioia da parte degli altri
residenti) perché mancano i documenti che ne dimostrino la congruità strutturale
rispetto ai dettami della legge.
Insediamento rom, Plavecky Stvrtok © Amnesty International
Una nota speciale merita, sempre secondo gli esperti di diritti umani, anche la
vicenda di Mustafa Labsi, l’algerino con figli e compagna slovacca, forse
perseguitato o forse terrorista, che è stato comunque rispedito in patria, dove
di sicuro non si fanno specie di trattarlo diversamente da quanto prevederebbero
le convenzioni sui diritti umani e la civiltà che dovrebbe essere propria agli
uomini.
Amnesty International conclude criticando aspramente l’attuale coalizione di
centrodestra, che sarebbe stata incapace di gestire i problemi più urgenti
eliminando almeno l’ignobile ed inaccettabile segregazione scolastica.
Le resistenze, c’è da dire, sono più popolari che istituzionali. Lo dimostrano i
tanti genitori di alcune scuole del paese che, posti di fronte alle misure di
“integrazione raziale”, hanno preferito trasferire i loro figli in scuole anche
remote purché prive di scolari rom.
Di Fabrizio (del 18/05/2011 @ 09:00:30, in Europa, visitato 2026 volte)
Da
Baltic_Roma
WindowonEurasia By Paul Goble [1]
Staunton, 04/05/2011 - Le crescenti tensioni tra i Rom e le nazionalità titolari
dell'Unione Europea hanno suscitato reazioni a Mosca, sull'ipotesi che
componenti di questa comunità spesso disprezzata stiano per trasferirsi nella
Federazione Russa, sia per conto proprio che in base ad un accordo tra UE e
Russia, perché in questo paese ci sarebbe bisogno di più immigrati
possibile.
Ieri la
Komsomolskaya Pravda ha riferito di questa possibilità, raccogliendo una
storia riportata in precedenza dal portale
Tolkovatel.ru.
Secondo Tolkovatel.ru, la possibilità di un accordo sulla cui base i Rom
europei sarebbero inviati nella Federazione Russa ed eventualmente in Ucraina,
sarà oggetto delle prossime discussioni tra la UE e la Federazione Russa, , un
passo appoggiato dalla Francia e da diversi paesi dell'Est Europa, ma sembra
osteggiato dalla Germania.
La prima menzione pubblica, secondo Tolkovatel.ru, venne fatta da un
programma radio di
Komsomolskaya Pravda,
quando Roman Grokholsky, leader della comunità rom nella Federazione Russa,
disse che secondo lui, "per ragioni economiche la Russia potrebbe accettare [i
Rom d'Europa]. E' una terra enorme."
Come riportato da Yuri Filatov sulla Komsomolskaya Pravda di ieri, "l'Europa
sembra aver trovato una soluzione radicale al problema dei propri Rom [il cui
numero si aggira tra i nove e i dodici milioni] - semplicemente prendendoli e
reinsediandoli in Russia."
I paesi europei non possono certo vantare buoni rapporti con i Rom. L'anno
scorso, per esempio, il presidente francese Nicolas Sarkozy espulse "diverse
migliaia" di loro in Bulgaria e Romania, azione che fu denunciata dai gruppi
internazionali dei diritti umani ma venne generalmente appoggiata dal popolo
francese e dai residenti di molti altri paesi UE.
Ma nonostante questo appoggio i governi europei hanno concluso, continua
Filatov, che non è "tecnicamente o economicamente" fattibile "deportare tutti i
Rom in Romania e Bulgaria come è stato fatto nel passato: le dimensioni di
questi paesi non lo permettono e ci sono le proteste sempre più forti dei
nazionalisti locali" a quella idea.
Come risultato, gli Europei hanno scoperto la nozione "perché non
reinsediarli in Russia (ed anche in Ucraina)," che hanno spazio e lavoro per
sistemarli e che, secondo il punto di vista degli Europei, hanno una tradizione
di tolleranza verso i Rom, come si evince dai romanzi e dalla musica russa.
Si prevedeva, così il documento, che "ogni famiglia rom avrebbe ricevuto
dall'Unione Europea i soldi del viaggio e per il reinsediamento." Non è stato
determinato l'ammontare esatto, ma probabilmente sarebbero stati 500 euro a
persona, cioè quanto ricevuto in precedenza dei Rom deportati dalla Francia.
"In questo modo," dice Filatov, "contando sul nostro spirito di accoglienza e
ospitalità, la -tollerante- Europa vuole a nostre spese risolvere il problema
della sua intolleranza. Ed è interessante notare che nei circoli di potere in
Russia, la notizia sia stata attivamente preparata per decisioni simili."
Difatti, dice il giornalista della Komsomolskaya Pravda, l'elite russa non
sta pensando solo ai Rom europei. Specificamente, pensa anche a Cinesi ed
Africani per affrontare il sempre più grave declino demografico della
Federazione Russa.
Filatov cita i commenti di
Zhanna Zayonchkovskaya,
capo del laboratorio migrazioni dell'Istituto di Pronostici Economici
all'Accademia delle Scienze, durante una riunione di settimana scorsa dedicata
alle dimensioni demografiche del documento strategico di Mosca per il 2020.
Tenuto conto del declino della Russia nella sua popolazione totale e
specialmente tra quanti in età da lavoro, Zayonchkovskaya ha detto che la Russia
dovrà attrarre almeno 20 milioni di migranti maggiori di 15 anni. I paesi
dell'Asia Centrale possono fornirne non più di sei milioni, e quindi la maggior
parte dovrà arrivare dalla Cina.
I lavoratori cinesi stanno già migrando in Russia ed il loro numero è
destinato a crescere negli anni a venire, ha detto Zayonchkovskaya, notando che
"tanto più metteremo la testa sotto la sabbia, tanto più [il risveglio] sarà per
noi inatteso." Ed è in corso un gran cambiamento: entro la metà del secolo, ha
detto in Russia ci saranno più Cinesi che Tatari.
Simili flussi migratori avrannol'effetto di aumentare le attitudini xenofobe
tra i Russi, come si riflette e cerca una via d'uscita il recente caso del
proibito (il caso ora è in appello) Movimento Contro l'Immigrazione Illegale (DPNI).
E non sorprende che il portale del DPNI presenti queste storie sui Rom d'Europa.
Ma i commenti di Zayonchkovskaya riflettono il dramma in cui si trova il
governo russo: se permette più immigrazione, aumentando la percentuale di popoli
non slavi, si troverà di fronte ad una popolazione sempre più antagonista. Ma se
non lo fa, ne soffrirà l'economia, ed il regime dovrà affrontare la rabbia di
classe invece di quella etnica.
____________
[1]
Paul Goble è da lungo tempo uno specialista in questioni etniche e religiose
dell'Eurasia. Recentemente, è stato direttore di ricerche e pubblicazioni presso
l'Accademia Diplomatica dell'Azerbaijan. In precedenza aveva lavorato come vice
preside per le scienze sociali e umane all'Università Audentes di Tallin e come
ricercatore anziano associato all'EuroCollege dell'Università di Tartu in
Estonia. Mentre era lì, lanciò la serie "Finestre sull'Eurasia". Prima di
entrare là in facoltà nel 2004, prestò servizio a vario titolo nel Dipartimento
di Stato USA, nella Central Intelligence Agency e all'International Broadcasting Bureau,
come pure a Voice of America e Radio Free Europe/Radio Liberty e al Carnegie Endowment for International Peace.
Scrive frequentemente su tematiche etniche e religiose e ha pubblicato cinque
volumi su etnia e religione nell'ex spazio sovietico. Formatosi all'Università
Miami nell'Ohio e all'Università di Chicago, è stato premiato dai governi di
Estonia, Lettonia e Lituania per i suoi lavori nel promuovere l'indipendenza
baltica e il ritiro delle forze russe da quelle terre occupate in precedenza.
Può essere contattato direttamente a
paul.goble@gmail.com
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