Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Admin (del 08/05/2014 @ 09:02:08, in Kumpanija, visitato 12103 volte)
Da questa settimana Mahalla è anche un'associazione. Senza fine
di lucro, come avrete già capito.
Vediamo di rispondere ad alcune domande (se ne avete altre,
scrivete):
Chi siete?
Tra i fondatori troverete alcuni dei redattori di questo blog.
Siamo un piccolo gruppo composito per esperienze e provenienza.
Cosa fate?
Non vogliamo fare concorrenza alle tante altre associazioni
che fioriscono attorno al mondo dei Rom e Sinti. Che è un mondo complesso e
variegato, con diversi aspetti su cui operare. Nello specifico, l'associazione
Mahalla nasce da 9 anni di vita di questo blog - sommate ad esperienze
precedenti, quindi si occuperà principalmente di:
- informazione e divulgazione su Rom, Sinti, Caminanti e altre
popolazioni romanì;
- cercando ove possibile di privilegiare le "buone pratiche" e
le testimonianze dei diretti interessati;
- agirà in ambito tanto locale, quanto nazionale che internazionale (sin dove
le forze e le risorse ce lo permettono);
- senza chiudersi in qualche torre d'avorio, ricercando invece
la collaborazione con istituzioni ed enti pubblici, il mondo
dell'informazione, dell'associazionismo, dell'istruzione e
quello della cooperazione (sperando di non aver dimenticato
nessuno)
- non intende chiudere le sue cronache in un ghetto, per cui
affronteremo le questioni della coesistenza con la società
maggioritaria (e con le sue strutture), cercando interlocutori
(che potete essere anche voi)
Sì, ma praticamente..?
Stiamo iniziando. Due anticipazioni:
-
Come anticipato da un recente sondaggio (di
quelli che trovate nella colonna centrale) a breve partirà una
versione di Mahalla in lingua inglese, destinata ai lettori
dall'estero.
-
In un
post di metà dicembre, si accennava alla libreria di Mahalla
(sempre lei) e alle sue potenzialità. Scrittori, poeti,
saggisti, aspiranti cronisti o fotoamatori... se ci siete fatevi
vivi.
-
Altre novità ve le comunicheremo di volta in
volta. E infine, c'è tutto il vasto mondo inesplorato delle
vostre proposte, che aspettiamo e valuteremo.
Posso diventare socio?
Teoricamente, tutti possono diventare soci, basta versare la
quota sociale. Nel pratico, vi chiediamo (ci sembra ovvio) di condividere le
nostre finalità. Non siamo cacciatori di tessere alla ricerca di un grande
numero di soci, almeno all'inizio sarà più facile muoversi e ragionare sui
piccoli numeri. Dipende da voi... benvenuto comunque a chiunque possa portare
idee, capacità, esperienze e/o capitali
Posso almeno aiutarvi?
E ci mancherebbe!! E vi ringraziamo sino da ora. Se guardate
in alto, trovate una novità: il bottoncino PAYPAL in attesa delle vostre
donazioni, la cifra non importa, basta il pensiero. Ma non è bello chiedere
soldi in cambio di niente. Se volete aiutarci vi suggeriamo di dare un'occhiata
alla piccola
libreria di Mahalla (che da oggi è quella dell'associazione), troverete
diversi ebook grandi e piccoli, in cambio di una
piccola spesa avrete materiale interessante a iosa; che poi è la cultura di cui
vogliamo essere parte: fatta di grandi temi, ma è anche mangiare, giocare,
raccontare storie. E se per caso vi stiamo antipatici, troverete anche documenti
da scaricare gratis.
Cambierà qualcosa nel blog?
Certo: come è cambiato nel corso di tutto questo tempo. Speriamo cha cambi in
meglio... Se invece la domanda riguarda il rapporto del blog con la nuova
associazione: condividono solo il nome, ma sono indipendenti l'uno dall'altro
(resteranno comunque buoni amici).
Che altro?
Qui troverete:
16 aprile, Michela Angelini su
DISEGNO DI LEGGE 405: Io sono una donna
transessuale ed oggi ho scritto questo. Le analogie tra le nostre comunità sono
tante, sia storiche che contemporanee. Qui racconto quella sulla sterilizzazione
forzata.
Dai commenti alla petizione:
la legge sul cambio di sesso deve dare un'alternativa di vita migliore, offrendo
anche la possibilità di una conversione chirurgica se è essenziale per il
benessere vitale del singolo individuo come sua libera scelta, non obbligando di
fatto ad una automutilazione di Stato per ottenere un cambio a livello
anagrafico. Una pratica burocratica non può essere associata d'obbligo ad una
pratica chirurgica nelle modalità similari a quelle applicate dal partito
Nazista in Germania all'epoca della Seconda Guerra Mondiale (Barbara)
Le persone che oggi chiamiamo transessuali (termine coniato nel 1949) per il
regime nazista erano omosessuali incurabili, vite indegne di essere vissute,
persone utili solo ad esperimenti atroci. Il regime nazista, ma non fu l'unico,
tentò di guarire l'omosessualità con massicce dosi di testosterone, con
l'elettroshock, con la lobotomia, provocando la morte di quasi tutti i pazienti.
Quando andava bene i "pazienti" venivano solo sterilizzati, per evitare
potessero propagare i loro geni di sicura origine non ariana*.
Dobbiamo aspettare il 1966, quando Harry Benjamin dichiara che l'unico modo per
guarire quel disagio che oggi chiamiamo disforia di genere è adattare il corpo
alla psiche. Il Italia abbiamo dovuto aspettare fino all'82 per veder
legalizzata la possibilità di cambio del sesso anagrafico e qualche anno in più
per avere l'adeguata assistenza sanitaria. Resta una cosa comune ai tre periodi
storici citati: c'è sempre stato qualcuno che ha dovuto dare un nome alla nostra
condizione e l'ha normata come credeva. Oggi chiediamo il rispetto del diritto
di autodeterminazione sui nostri corpi, oggi chiediamo di decidere della nostra
identità e che la nostra identità venga riconosciuta quando lo chiediamo, e non
dopo aver reso il nostro corpo sterile e gradevole per qualche autorità.
Firma la petizione
http://goo.gl/BFjLxD
*c'è solo un'altra comunità che condivide con noi una storia altrettanto triste:
la comunità rom. Il regime nazista sosteneva che l'eccessivo meticciamento di
questa popolazione (che era comunque ariana!) provocasse comportamenti
antisociali e, in virtù di questo, doveva essere eliminata. La sterilizzazione
forzata delle persone di etnia romanì è stata portata avanti (e viene ancor oggi
perpetuata e riproposta) da più stati, al pari di quanto è successo e succede
per la comunità transessuale.
Il gagio pensa che un rom è abituato e forse ce l'ha nel sangue.
...scaldarsi con la legna d'inverno, non avere acqua per bere e lavarsi
quando fa caldo. Si comincia così da bambini, noi e loro: differenti.
E di rimando, se si vive così (ma si può vivere così?), il rom impara che non
ha bisogno di un lavoro, della scuola, della casa, delle amicizie con chi non è
rom come lui. Ci fanno il callo e sembrano così forti. così alteri. Da trattare
come cose, non come persone che hanno le stesse esigenze nostre, cioè tue, mie,
dei nostri figli e dei nostri cari.
Arrivano i 40 anni e tutta quella forza dov'è finita? Quello che era il
ragazzo più resistente del mondo è conciato da sbatter via. L'unica sua
medicina, la bottiglia.
Ma forse, non è neppure quello ciò che ti ammazza. Ne ho visti di malandati
che coi denti si aggrappano alla vita. E' che dopo una vita del genere comincia
a mancare il rispetto per se stessi. Chiamala cultura, norme morali,
autoconsiderazione... Quella perdita ammazza più della malattia e della fame.
Perdonami Gesù Perché anche a me fanno un po' ribrezzo gli zingari
- RINO NEGROGNO, Sabato 5 Aprile 2014 ore 11.21
Perdonami Gesù perché anche a me fanno un po' ribrezzo gli zingari, ma non
tutti, provo ripugnanza per il vino e la birra che i loro uomini bevono sin
dall'alba, per gli zingari ubriachi, per la loro puzza di falsa libertà e,
soprattutto, per il bivaccare degli uomini nelle piazze mentre attendono il
malloppo delle loro donne coi loro sacchi di bambini. Perdonami Gesù perché non
li posso proprio sopportare anche se, appena l'olezzo di disperde, penso che
quegli ubriachi senza terra e senza voglia di lavorare, siano stati bambini pure
loro e che loro non abbiano giocato e, al posto di giocare, abbiano vissuto
l'odore del vino e del vomito, si siano cibati di finta anarchia e finto amore.
Non hanno studiato, non hanno letto Sartre. Sai Gesù, molti restano
scandalizzati per le donne coi bimbi ai crocevia che aspettano un milione di
semafori rossi per chiedere l'elemosina, affermano attoniti di essere
preoccupati per lo smog respirato dai bambini e che quindi bisogna cacciarli via
perché non rispettano i loro figli. Mi commuovo di questa loro ansia e di questa
loro circostanziata e straripante cristianità. Poi, però, non propongono
soluzioni che salvaguardino quei bambini. Per loro, cacciarli via è una
soluzione ottimale, come si dice, lontano dagli occhi lontano dal cuore. Ma tu
Gesù, che sei in ogni luogo, se vanno via dai nostri semafori, li vedi ancora
respirare smog altrove, mica si risolve così il problema vero?
Perdonami Gesù se sono così sfacciato e mi rivolgo a te così ma sono certo che a
te non dispiaccia, al massimo dispiacerà ai tuoi seguaci che ti hanno forgiato a
loro immagine e somiglianza, che vanno a messa la domenica e pensano possa
bastare, sono sicuro che a te non dispiaccia, anzi, starai ridendo di me che
scopro le mie carte senza bluffare, senza temere. Poi cerca di capirmi, mica
posso parlare con Marx, anche perché Marx non perdona, non è così elastico, non
fa come fai tu con i tuoi che gli permetti di confessarsi all'infinito, non dico
senza pentimento, ma sicuramente senza aver capito. Marx, con quella fissa della
uguaglianza sociale è irremovibile, vai a farglielo capire.
Comunque non voglio solo chiederti perdono, voglio anche ringraziarti Gesù.
Grazie per avermi creato pieno di dubbi. Essere come mi hai fatto ha i suoi
svantaggi certo, difficilmente riesco a trovate la soluzione ai problemi, quando
ci sono quasi, quando mi sembra di intravederla, mi vengono mille dubbi, penso
subito che la mia visione sia incompleta, personale, non tenga conto degli
altri, della loro visione e allora torno indietro e ricomincio daccapo. Grazie
anche per questo.
Per questa quaresima, oltre alle processioni, ai confratelli, alle cerimonie e
ai politici fieri e ben vestiti dietro le processioni, ti prego di illuminarci e
aiutarci a trovare una soluzione ai problemi più insormontabili.
Piùculture.it -
Sandra Fratticci
(12 marzo 2014)
L'incontro pubblico Essere Romni: donne Rom ora e qui, ideato da Saška Jovanović
Fetahi, presidente dell'Associazione Romni, in collaborazione con l'Associazione
LIPA per promuovere una piattaforma comune con le reti delle donne e le
associazioni che rifiutano la discriminazione
"Noi donne rom siamo discriminate 3 volte: perché donne, perché rom, perché
straniere. Nasce da qui l'esigenza di tessere una rete tra tutte le donne rom e
sinti: solo unite possiamo vincere e cambiare il nostro futuro". Saška Jovanović
Fetahi è molte cose: un ingegnere energetico che in Kosovo era a capo di 12
uomini, mamma di tre splendidi bambini, imprenditrice che ha dato vita ad
un'azienda di import-export, presidente dell'associazione Romni Onlus, fellow
2014 dell'Open society foundations romani women's fellowship.
Sabato 8 marzo nella sala convegni del CESV- Centro servizi per il volontariato
del Lazio - di donne come Saška ce ne sono molte, che investono su sé stesse e
lottano per l'emancipazione facendo i conti con una duplice discriminazione: da
parte della società italiana, ma anche della stessa comunità alla quale
appartengono.
"Oggi la comunità rom conta in Italia circa 150.000 - 160.000 persone" spiega
Concetta Sarachella dell'associazione Ticane Asiem Onlus: "Per secoli c'è stata
una discriminazione di genere che ha relegato la donna nell'invisibilità
dell'assistenza familiare e tuttora in alcune realtà le donne non possono uscire
dal campo senza la supervisione della suocera o della figura femminile
incaricata della loro tutela, poche riescono a raggiungere alti gradi di
istruzione e molte famiglie non consentono di accettare lavori altri rispetto a
quelli tradizionali all'interno delle comunità". Il prezzo dell'emancipazione è
l'esclusione: una donna che non si conforma ai ruoli classici è destinata nella
maggior parte dei casi a restare single.
La discriminazione da parte della società italiana non è meno feroce: "Senza la
cittadinanza come farò a trovare lavoro e costruirmi un futuro?" domanda al
Presidente della Repubblica la 18enne Brenda, nata e cresciuta in Italia,
all'interno del video Sono solo una ragazza. "Abitiamo in dei container due
metri per quattro, è tutto grigio e recintato, pieno di fango" prosegue la
15enne Pamela "Ci credo che non ho amici, nemmeno io la vorrei un'amica che
abita in un posto così brutto".
"Non possiamo aspettare che gli altri ci riconoscano le nostre prerogative,
dobbiamo agire e alla fine gli uomini ci correranno dietro" dichiara Dijana
Pavlović, artista impegnata dal 2008 in politica, annunciando la presentazione,
il prossimo 8 aprile, di una campagna per una legge di iniziativa popolare volta
al riconoscimento della minoranza rom e sinti.
"Noi viviamo una grande crisi di identità: abbiamo comunità quasi analfabete,
una percentuale del 93% di disoccupazione. Crescere i nostri figli orgogliosi
della propria identità vuol dire mantenere il nostro popolo... pulito.
Riconquistare una cultura e una storia che si stanno perdendo dopo tanti anni di
vita nei campi. Altrimenti tutte le nostre battaglie si ridurranno soltanto ad
ottenere un appartamento o un lavoro".
"Ci incontreremo nelle prossime settimane per realizzare progetti volti a dare
voce e rispetto a tutte le donne" assicura Daniela Tiburzi, presidente
Commissione delle elette del Comune di Roma e anche l'europarlamentare Silvia
Costa, che non ha potuto prendere parte all'incontro, si dice disponibile al
confronto. Un altro passo verso l'emancipazione è stato compiuto?
Visita il profilo facebook di Rowni Italia - gruppo di donne rom e sinti
In italiano era già disponibile in versione cartacea che in
ebook, così ci abbiamo preso gusto, ed ecco la versione in inglese.
Hajrija Seferovic, known as Maria (Bebé to her family) was born to Kalderasha
parents in 1938 in the ex Yugoslavian town of Travnik, the first of five
children. Her family travelled often in search of ways to earn a living, among
other things selling horses, and making copper pots and plates which they would
sell in local markets. Maria remembers a difficult but happy childhood living in
tents in a large 'Kumpanji'. During these journeys her group came to Italy often.
At the beginning of the war in Bosnia , with the help of the United Nations, the
family managed to escape. Some went to live in France others to Germany and some
to the United States. Maria and her family went to Turin where they stayed for
ten years.
by Frances Oliver Catania
And what about You, how many Gypsies do you know? That was the slogan in a
UNAR campaign (2012). This little volume doesn't talk about the Roma culture or
about the origins of their language or of the persecutions that they have
suffered it talks about getting to know each other.
The Roma and the Sinti are among us everywhere in Italy and in Europe, and when
allowed to, they work alongside us, and send their children to school with our
children. Why should it be different in Pessano con Bornago? How do you think
that they can improve their situation if we deny them the possibility to shake
off the shackles of poverty?
This booklet tells of a culture that can't be found in anthropological texts,
but which lives on a daily basis in this area North East of Milan. In short, for
once it doesn't talk about the things that they need (or rather that they have
every right to) but of what they can teach us right now if they had the chance,
because they are here among us.
Practical evidence: I am sure that all of you (even those who can't stand
gypsies) are interested in knowing something about STAYING HEALTHY and FOOD. You
will see that even an old Roma grandmother can teach us something.
THAT'S THE FIRST REASON. The second is that this family, who live nearby today (possibly
with something to teach us), tomorrow are somewhere else teaching someone else.
Whether they live in a caravan or in a house, under a bridge or in an encampment
doesn't change a thing about the wealth of knowledge and experience that they
have in their culture. Wherever they go, wherever they stop they have to find
the possibility of a way to live.
The third point, which is just as interesting, is GAINING SOMETHING (you as much
as Maria and her family). We are not asking for charity but for shared respect.
As long as people depend on the generosity of others there will always be people
on the margins of society, people who are easily got rid of.
If you find what Maria has written interesting, this booklet is not at all
expensive for you, and the proceeds will all go to her which will be a
significant help to her.
Money is important, sure, but after so much time spent living side by side, more
important, with this booklet we can start to build a relationship TOGETHER.
To all you readers, with sincere good wishes that we can travel this road
together.
Sastipé, But thaj Baxt savorrenge (Good health, Work and Good Luck to
you all)
by Fabrizio Casavola
Copyright Licenza di copyright standard
Edizione III edizione
Pubblicato 6 marzo 2014
Lingua Inglese
Pagine 29
Formato del file PDF
Dimensioni del file 12.87 MB
Prezzo: € 2,50
Download Grandma's Tales
di Giovanni Fez su
il
Cambiamento - 25 Febbraio 2014
In bicicletta partendo dalla foce del Danubio e attraversando l’Asia alla
caccia di immagini, suoni e parole: è l’impresa cui si accingono Daniele
Giannotta ed Elena Stefanin. Al loro progetto hanno dato anche un nome,
Cycloscope, "per raccontare contraddizioni e conflitti, tradizioni ed evoluzioni
culturali, meraviglie naturali e disastri ambientali nelle ex repubbliche
dell’Unione Sovietica".
Elena Stefanin e Daniele Giannotta sono una coppia di trentenni; il loro
progetto si chiama Cycloscope e nasce dall'idea di un "ciclo di cicli" "perché
sia solo il primo di una lunga serie". Si tratta di un viaggio in bicicletta
dalla foce del Danubio attraverso l'Asia Centrale alla ricerca di immagini,
suoni e parole: una serie di reportage che racconti contraddizioni e conflitti,
tradizioni ed evoluzioni culturali, meraviglie naturali e rischi ambientali
delle ex Repubbliche Sovietiche.
"Ognuno dei dieci reportage che gireremo tratterà di un tema specifico, legato
al territorio che attraverseremo - dicono - Il viaggio partirà dalla Romania,
dove il 10% della popolazione è composta da cittadini rom. Rom e Sinti sono la
più numerosa minoranza europea, tra i 10 e i 12 milioni di persone. Non hanno
uno stato, non ne hanno mai voluto uno. La loro storia, o meglio la loro
diaspora, ha avuto origine in India intorno all'anno 1000: è stata ed è ancora
un continuo susseguirsi di rifiuto e persecuzioni. Una volta arrivati in Europa
ha avuto inizio una lunga serie di violenze legalizzate (in tutti i paesi
europei, nessuno escluso): venivano marchiati a fuoco, impiccati, "uccidere uno
zingaro" non implicava nessuna sanzione ed anzi, si veniva incoraggiati a farlo.
Fino ad arrivare al Porrajmos, il "divoramento", il genocidio compiuto nei campi
di concentramento della seconda guerra mondiale che si concluse con lo sterminio
di un numero imprecisato di Rom e Sinti, dai 500.000 a un milione e mezzo. In
Romania i Rom continuano a vivere ai margini della società. Siamo curiosi anche
di incontrare i rom di Buzescu, un piccolo paesino di 4.500 abitanti nella
regione della Valacchia, 100 chilometri ad est di Bucarest. Qui vivono quasi
solo Rom ricchi (quindi in realtà non molti), Buzescu viene descritto un po' da
tutti come il regno del kitsch anche se in realtà le case sì, sono kitsch, ma
mettono allegria".
"Per quanto riguarda le tematiche ambientali ci occuperemo dell'evaporazione del
Lago Aral, una delle più grandi tragedie ambientali del pianeta, ma della quale
la maggior parte delle persone è all'oscuro. Il lago Aral è stato, da tempo
immemorabile e fino a pochi anni addietro, il quarto lago del mondo per
superficie, adesso è quasi uno stagno. Negli anni ’40 il governo sovietico
decise di deviare i suoi principali affluenti, l’Amu Darya e il Syr Darya allo
scopo di irrigare la circostante regione desertica nel tentativo di incrementare
la coltivazione di riso, cereali e cotone. Il lago Aral cominciò ad evaporare
negli anni ’60 perdendo una media di 50 cm di acqua all’anno. Questo imprudente
esperimento ha generato negli anni inaspettati cambiamenti climatici, gravi
problemi per la salute della popolazione e devastato la robusta economia della
regione, basata sulla pesca. Nel 2007 la portata del lago fu quantificata come
ridotta del 90% rispetto a quella originale. Visiteremo questa regione durante
il nostro viaggio, cercando di dare il nostro piccolo contributo alla visibilità
di questa tragedia".
Elena e Daniele non si fermeranno qui.
"In Kazakhstan andremo anche alla ricerca di ciò che rimane della secolare
cultura nomade, ormai quasi estinta. Sotto il governo di Stalin, tra il 1928 ed
il 1931, i nomadi kazaki, che costituivano la maggior parte della popolazione,
sono stati costretti a diventare coltivatori. Questi tentativi ebbero il solo
effetto di far morire di fame il bestiame e di far scappare i nomadi. La
carestia si generalizzò nell'autunno 1931, facendo iniziare le fughe di massa
della popolazione verso altre regioni dell'URSS e verso la Cina. In due anni,
tra 1931 e 1933, la popolazione del Kazakhstan era diminuita di più di 2 milioni
di persone (su una popolazione totale di 6,5 milioni). Oggi, circa l’1% della
popolazione del Kazakhstan conduce ancora uno stile di vita nomade. Indagare e
comprendere le antiche tradizioni nomadi e le loro evoluzioni sarà l’obiettivo
del nostro reportage".
"In Georgia andremo a conoscere una particolare tecnica tradizionale di
viticoltura. Nel 2006 il governo russo ha posto l’embargo sull’importazione dei
vini georgiani e moldavi. Il mercato russo rappresentava circa l’85%
dell’esportazione vinicola. L’embargo russo, che dietro futili motivazioni
igieniche cela in realtà ragioni politiche, ha messo in ginocchio la produzione
del più antico vino del mondo. Da qualche anno, anche grazie al presidio di Slow Food e al lavoro di diversi enti locali, si punta di nuovo sui metodi
tradizionali di vinificazione, a rischio di estinzione. Principale
caratteristica di questi metodi è l’utilizzo di vasi interrati in terracotta (Qvevri)
nei quali viene fatta fermentare tutta la vinaccia insieme al mosto. La
macerazione può arrivare fino a sei mesi. I vini georgiani così prodotti
risultano tutti diversi poiché racchiudono le caratteristiche del luogo in cui
sono stati prodotti. Oltre al vino, cercheremo di approfondire un altro tema dal
forte impatto ambientale, la produzione di energia idroelettrica. In particolare
della centrale idroelettrica Khudoni: il progetto prevede la costruzione di una
diga ad arco in cemento dell'altezza di circa 200 metri, situata circa 34 km a
monte della diga Enguri, nei piani la Khudoni HPP avrà una capacità di 700 MW,
con una produzione di 1,7 miliardi di kw, sarà inoltre completata da una serie
di altre centrali idroelettriche a monte, anch'esse sul fiume Enguri. Secondo i
calcoli del governo, la costruzione della Khudoni HPP incrementerebbe del 20% la
produzione elettrica del paese, per un costo di 1,2 miliardi di dollari ed una
durata dei lavori di 5-6anni.
Sembra un progetto impressionante che potrebbe produrre letteralmente tonnellate
di energia pulita, ma è questa energia davvero pulita? Qual è il prezzo e chi lo
pagherà? Il progetto Khudoni non è una idea nuova. Fu bloccato dalle ong nei
primi anni 1990, tra questi un ruolo importante è stato giocato da Green
Alternative. Secondo questa associazione il progetto Khudoni è un'opera ad alto
rischio di disastro ecologico, intensifica la devastazione di foreste e di
habitat della fauna selvatica, la perdita di popolazioni di specie fluviali e il
degrado dei bacini imbriferi a monte, a causa della inondazione della zona
serbatoio in una delle regioni montuose più straordinarie della Georgia. La
parte superiore del bacino del fiume Enguri combina foreste sub-alpine e
praterie, ambienti rocciosi e tundra alpina. La zona è ben conosciuta per la sua
fauna endemica. Questa include diverse specie forestali di uccelli, una comunità
di grandi rapaci e uccelli. Stambecchi, camosci, orsi bruni, lupi, linci,
caprioli e cinghiali sono abbastanza comuni. L'impatto cumulativo delle centrali
Khudoni, Enguri e Tobari avrà effetti negativi sulla qualità delle acque, sulle
esondazioni naturali e sulla composizione della fauna fluviale. Se questo non
fosse ancora abbastanza, il progetto "richiede il reinsediamento di un certo
numero di villaggi unici (tra cui Khaishi), il sito di Khudoni si trova a Zemo
Svaneti (Alta Svanezia), una zona di bellezza unica. Preservata dal suo lungo
isolamento, la regione caucasica dell'Alta Svanezia è un eccezionale esempio di
paesaggio montano, constellato da decine di villaggi medievali e case-torri. Il
villaggio di Khaishi comprende ancora più di 200 delle proprie rinomate ed
inusuali costruzioni, utilizzate nella storia sia come abitazioni, che come
postazioni di difesa contro gli invasori che hanno afflitto la regione in epoca
medievale e precedenti. La regione Zemo Svaneti è entrata a far parte del
patrimonio mondiale dell'UNESCO nel 1996. Il numero di villaggi da inondare
sarebbe 14, patrie di 769 persone, 524 ettari di terreno, mentre in uno studio
preliminare banca mondiale le persone da "ricollocare" sarebbero più di 1600. Il
processo di reinsediamento è legato ad un altro problema, la controversia sulla
proprietà della terra. Secondo la burocrazia georgiana la maggior parte di
queste terre non appartengono ufficialmente a nessuno, il governo ne ha quindi
disposto il trasferimento agli investitori per la cifra simbolica di 1 USD. Si
tratta di più di 1500 ettari di terreno, tra cui terreni agricoli, boschi,
strade, infrastrutture, eccetera. Secondo Tabula, dopo aver raggiunto un accordo
con il governo della Georgia, Trans Electrica ha deciso di restituire queste
terre alla popolazione, aiuterà la gente del posto a registrarle, a spese della
società stessa, e solo allora inizierà con l'acquisizione dei terreni. A tal
fine, la società ha assunto una società canadese , RePlan. Ad oggi tutto questo
è ancora unicamente un proclama".
Elena e Daniele chiedono però l’aiuto di chi, come loro, vuole saperne di più.
"La realizzazione di questo progetto non è semplice, richiede molto lavoro di
documentazione e anche risorse economiche. Per ora abbiamo trovato due sponsor,
Extrawheel, che ci fornirà i rimorchi per le biciclette, e l’officina di
riparazione bici Pedalando, che si occuperà di preparare le biciclette per il
viaggio. Per chiunque volesse contribuire alla nostra avventura c'è la nostra
pagina di
crowdfunding".
Giovedì 6 marzo, ore 20.45
Libreria Popolare Via Tadino, 18 - 20124 Milano
partendo dal libro I Rom di Rubattino, una scuola di solidarietà
...dove sono andati, cosa hanno fatto
Incontro con la co-autrice Flaviana Robbiati - Assunta
Vincenti di "Mamme e maestre di via Rubattino" - Stefano Pasta
della Comunità di Sant'Egidio
coordina Fabrizio Casavola dell'associazione MAHALLA
Era il 19 novembre 2009, GIORNATA DEI DIRITTI DELL'INFANZIA, pioveva mentre si
stava svolgendo una grande iniziativa a tema in Comune. Quello stesso giorno
alcuni bambini DIVERSI venivano sbattuti per strada con i loro genitori e niente
da portarsi dietro, dallo stesso comune di Milano.
Iniziò allora la RESISTENZA di Rubattino, che vide assieme le famiglie rom, gli
insegnanti, i genitori dei loro compagni di scuola, cittadini, sacerdoti,
persino un produttore di vino... Si concretizzò l'idea di una Milano diversa e
solidale, che non si limitava a protestare, ma sapeva reagire.
Quelle e altre vicende furono narrate nel libro che rivedremo stasera, e che
raccoglieva esperienze e testimonianze dirette delle protagoniste di quelle
vicende.
Nel frattempo, è cambiata la giunta comunale, e soprattutto sono nati diversi
progetti di integrazione. Al di là delle ricorrenti attenzioni e smemoratezze
dei mezzi di informazione, tenteremo di fare un bilancio su come silenziosamente
prosegue l'esperienza milanese di questa storia che per la prima volta ha unito
cittadini rom e no in un progetto.
Segnalato e tradotto da Lia Didero e Anita Silviano, da
Una antropologa en la luna
Non parola di Gitano ma Gitane con Parole.
"Ci sono tanti stereotipi da dovere abbattere, molta mitologia e la tendenza dei
non-gitani europei a considerarsi l'unico modello, le uniche libertà. Le nostre
dinamiche sono diverse, vogliamo emanciparci a modo nostro. Perché non può
esistere la diversità?"
Rosa Jimenez, direttore dell'associazione Romi Sinti.
A tutti costa molto sapere chi si è. Cos'è essere gitani? Spagnoli? Europei?
Cos'è essere donna? O uomo? L'identità è qualcosa sulla quale tutt* devono
lavorare, riflette Araceli Cañadas, dottoranda presso l'Università di Alcalá,
dove insegna "Gitani di Spagna, storia e cultura". "La differenza tra
l'identità Romì e le altre, è che se tu volessi approfondire la tua identità
non-gitana, trovi argomenti, libri, documenti, professori, ecc, ma se voi
voleste approfondire la vostra identità gitana, manchereste di un corpus
bibliografico o documentale, manchereste di una tradizione accademica... Per ora,
devi riferirti a questi schemi fissi e stereotipati, o questo o nulla.
L' ultimo rapporto della Fundación Secretariado Gitano in collaborazione con il
Centro Nacional de Innovación e Investigación Educativa (CNIIE), dà alcuni dati
scoraggianti: "Solo il 62,7% ha completato al massimo istruzione primaria, il
24,8% ha conseguito la licenza della scuola secondaria obbligatoria (ESO) e solo
il 7,4 % ha raggiunto l'istruzione secondaria superiore completa (liceo e
formazione professionale)".
Il primo documento finora conosciuto, in cui si parla dell'arrivo dei gitani in
Spagna, risale al 1425 - cioè, stiamo parlando del XV secolo - spiega Canadas."
Stiamo forse dicendo che, in sei secoli, la comunità gitana, si è dedicata solo
a leggere la mano e a delinquere? E' assurdo. Ci sarà stata una parte della
popolazione gitana, che è stata all'università, però i gitani sono invisibili,
perché non si vuole mostrare questa realtà".
"Ho visto in alcune classi come i /le professor* trattano i bambini e le
bambine gitane, dicendo che dormono, che non leggono... perché questa è l'immagine
che si ha del popolo gitano. Come se fossero sempre la causa dei problemi in
classe, quando in realtà non è così," dice Gina, una studentessa di Lavoro
Sociale.
"Questo è chiamato effetto Pigmalione", dice Patricia Caro, studente di
psicologia e membro dell'Associazione femminista per la diversità zingara.
"E' fascismo. Al sistema è utile che i gitani siano una frangia sociale dalla
quale non si può uscire - afferma Pepi Fernandez, lavoratrice sociale.
Soraya Giménez, che lavora presso l'Istituto di Cultura Gitana, rileva
l'importanza di apprezzare e lavorare quanto è stato realizzato: "Se i media ci stereotipizzano e ridono di noi [...] realizziamo mezzi di comunicazione gitani e
lottiamo. E' davvero un problema di autostima".
Isabel Jiménez, Responsabile territoriale FSG in Aragona, sottolinea: "I
programmi televisivi ci hanno recato molto danno. Mostrano la parte più folclorica e lontana dalla realtà
",osserva inoltre che "gli atti come nozze e
rituali che insegna la televisione, hanno fatto il loro tempo per la maggior
parte delle famiglie, che preferiscono come tutte le altre, qualcosa di più
discreto".
Celia Gabarri, tecnica nella FSG, è la quinta di sei figli e l'unica che ha
deciso di studiare. "Una è libera se può scegliere. Non si può dire che si
sceglie liberamente, se si conosce un solo percorso e la formazione è la strada
per le pari opportunità". "Il cammino tradizionale, era sposarsi a 16 anni,
diventando donna, senza un processo di maturazione emotiva. Adesso, questo è
cambiato. Le madri vogliono che le loro figlie scelgano, vedano il mondo e
studino".
... "Ho udito un professore dire a una bambina: "Ma tu, perché sei qui, se puoi
vendere al mercato? Non sprecare tempo", se si demoralizza una bambina, ciò si
unisce alle sue paure di essere diversa tra i non-gitani" afferma Rosa Jiménez,
direttora dell'associazione Sinti Romí.
Uno dei temi ricorrenti quando si parla di sessismo nella comunità romì è il
fazzoletto: un simbolo che raffigura la verginità della sposa il giorno delle
nozze. Soraya Motos, anch'essa dell'associazione sostiene che è una questione
culturale. "Anche le cattoliche si vestono di bianco per andare all'altare,
simbolo della purezza. Non c'è molta differenza. Le cose sono molto più evolute
e modernizzate rispetto a ciò che tutti pensano Preserviamo le cose buone che ha
la nostra cultura e lasciamo alle spalle quelle che non ci piacciono, che erano
negative e limitavano le libertà".
Jiménez si lamenta delle "scemenze" che si dicono sulle gitane. "C'è bisogno di
contestualizzare. Il machismo è ovunque, non solo tra il popolo zingaro. Quello
che accade è che esso è più stereotipato nella nostra cultura. Ci vedono girare
in pantofole a casa e ci assegnano l'emarginazione in alcuni o molti casi può
anche essere, ma è anche vero che non si rendono visibili altre forme di essere
gitane".
"Ci seguono nei negozi, al momento di affittarci un appartamento, danno per
scontato che lo distruggerai, se vai a cercarti un lavoro, ti guardano in
cagnesco, se chiediamo una sovvenzione, siamo indicati come migranti... racconta
ridendo. "Quando sento gli stereotipi, mi chiedo dov'è il rispetto della
differenza, perché non si può essere diversi, perché per integrarmi, devo
diventare te, Nonostante abbia studiato, conquistato spazi, sia uscita da casa,
partecipo alla vita pubblica. Non voglio smettere di essere gitana, perché sono
orgogliosa di esserlo".
"Siamo sempre più visibili, vedono i nostri volti l'8 marzo, lottiamo mano
nella mano con le altre donne. "Ci sono tanti stereotipi da dovere abbattere,
molta mitologia e la tendenza dei non -gitani europei a considerarsi l'unico
modello, le uniche libertà. Le nostre dinamiche sono diverse, vogliamo
emanciparci a modo nostro. Perché non può esistere la diversità?"
"Vogliamo che capiscano la formazione delle donne come qualcosa di buono per la
famiglia e la comunità. Vogliamo che gli uomini ci accompagnino in questo
percorso di lotta. Andiamo lentamente, ma arriveremo" (Nelle nostre
dinamiche) prevale la collettività sull'individualismo. Intendiamo la libertà in
modo diverso".
"E ' un patrimonio impressionante che non si apprezza, che non è valorizzato. E'
bello il fatto dell'identità, la famiglia, i riti sui defunti, il rispetto tra i
gruppi di età, l'amore per i bambini. Ci sono tantissime cose importanti",
afferma Ana Giménez Adelantado, gitana kalé e Dottora in Antropologia.- . "Un
essere umano è in primo luogo, la sua cultura e le sue esperienze. Probabilmente
l'antropologia mi aiuta a capire meglio il mio mondo gitano, in cui io vivo e
posso analizzare la famiglia, i bambini, la scuola, le relazioni o la quotidiana
realtà. Essere, però, una zingara è una condizione assolutamente differente.
Viviamo in una società pluralistica e multiculturale in molti sensi. A questo
proposito, l'astrazione che facciamo della donna zingara è falsa, è teorica,
perché non ha nulla a che fare con la vita quotidiana di molte donne. C'è da
fare quest'astrazione, ma deve essere spiegata attraverso le esperienze di
differenti donne e permettere che esse la spieghino".
Può esistere un'immagine più "irrispettosa" di questa,
riguardo il GIORNO DELLA MEMORIA? Cosa ci fa qua e perché, lo scoprirete leggendo
questo post...
di Jovica Jovic - Cari amici, c'è una cosa che da tempo mi fa stare
molto male, soprattutto di questo periodo. E non è la salute, non sono i
soldi... è quella parola: PORRAJMOS.
Ogni anno, l'ultima settimana di gennaio ci incontriamo, voi a sentirmi e io
a suonare, per la Giornata della Memoria, e quella parola ritorna puntuale.
Voi, magari, la dite perché l'avete sentita da qualcuno istruito e, come noi
Rom, la ripetete perché quello che è accaduto allora fu di una tale violenza,
che dopo tutti cercarono un termine per descriverlo. Gli Ebrei trovarono la
parola Shoa, tra i Rom cominciò a diffondersi "porrajmos".
Quello che molti di voi non immaginano, è che la parola nella mia lingua
significa STUPRO (si può usare solo per gli organi sessuali), quindi è estremamente violenta, ma del tutto inadatta ed
offensiva ad essere pronunciata per descrivere gli stermini della seconda guerra
mondiale. Può andare bene per qualcuno di voi, ma io non potrò mai dirla di
fronte alle mie figlie, di fronte a una qualsiasi famiglia rom.
Ecco, parlerò a qualcuno di voi, sperando che mi capiate. Tenterò di essere
calmo e comprensibile, e per questo devo spiegarvi alcuni termini della mia
lingua (i termini in lingua romanés sono stati adattati alla grafia
italiana, ndr.) :
- PORADJOS: donna, apri le gambe.
- PORAVESLES tu
- PORAVASLES noi
- PORAJMOS in tanti, assieme, come fare un'ammucchiata.
Per essere completi, esiste nella nostra lingua anche (due parole staccate) PO RAJMOS,
che si può tradurre con "la signorilità", ma è ovvio che questo non ha alcuna
relazione con l'uso che si dovrebbe fare della parola.
Quello che ho detto vale per la maggioranza dei Rom e dei Sinti - non pensate che il mio sia un capriccio: ho 60 anni, e sono figlio di una
famiglia che ha partecipato alla II guerra mondiale, lì sono morti mio nonno,
mio zio e poco dopo mio fratello che aveva contratto il tifo. La storia è
raccontata nel libro
Niente è più intatto di un cuore spezzato. Per me ricordare oggi quegli
anni, usando quella parola, è come mancare di rispetto a loro e ucciderli
nuovamente.
Tra i Rom, c'è chi non parla più il romanés, e altri che lo parlano per
sentito dire, magari adattandolo alla lingua del paese dove vivono. Anche loro
parlano allora di "porajmos" senza sapere di cosa si tratti. A loro non posso
rimproverare molto. Ma quando ho parlato di questi miei sentimenti a Rom
influenti e di cultura, mi è stato risposto pressappoco così: "Jovica, tu
hai ragione. Ma ormai è tardi, è una parola che sta circolando da tempo e quello
che tu chiedi non ha un valore pratico, anzi sarebbe anche impopolare".
Avrà poco valore e sarà impopolare forse per loro, per me è una questione di
rispetto per me e per l'affetto alla mia famiglia.
Con voi gagé le cose non sono andate molto diversamente. Ho scritto a molte
persone di cultura, a molti che vivono nel mondo dell'informazione e della
divulgazione. Le stesse persone che mi chiamano a suonare. Non ho avuto
risposta. Durante i concerti, chiedo che se ne parli, ma non c'è mai il tempo
pratico per farlo. Solo Moni Ovadia, durante la presentazione milanese
del libro "La meravigliosa vita di Jovica Jovic", che ha scritto con Marco
Rovelli, ha rotto infine il muro del silenzio.
Allora che termine usare, mi chiederete? Ultimamente, ho sentito adoperare
SAMUDARIPEN, viene dalla parlata dei Rom Khorakhané, significa "totale
omicidio". Anche i Rom Abruzzesi hanno un termine simile: MUNDARIPE'. Il termine
esatto da adoperare sarebbe BARO MUNDARIMOS LE MANUCHENGO, cioè:
- BARO = grande
- MUNDARIMOS = omicidio totale
- LE MANUCHENGO = dell'umanità.
Si sarebbe potuto dire LE RROMENGO, ma in questo caso si sarebbe reso omaggio
solo alle vittime rom, con MANUCHENGO invece io ricordo anche gli Ebrei, gli
omosessuali, i Testimoni di Geova...
Questo è tutto. Non mi importa di quanti sono stati zitti sinora, io andrò
avanti finché campo a difendere le mie idee e i miei ricordi. Se volete, se
avete capito, datemi una mano a far circolare questi pensieri, anche sulla
stampa, anche su Facebook, dovunque. E forse, riusciremo assieme a fare un po'
di luce, su tutti i defunti uccisi dal razzismo e dal fascismo
Grazie.
Nota del redattore: Sembra destino che sul Giorno della
Memoria io debba incrociare la strada di Jovica: è successo nel
2011 e poi nel
2012 fu lui a stimolare le mie riflessioni. Come mai?
- Jovica, valente musicista, è un amico che rispetto.
Conoscendolo, trovo che quell'etichetta "musicista" sia
limitativa per una persona intelligente e di grande senso morale
come lui.
- Non ha importanza (anzi, ne ha molta, ma non intendo
scrivere di questo) se quanto Jovica ha affermato sopra possa
essere condivisibile o di vostro gradimento. La cosa importante,
per me, è che possa esprimersi sulla storia della sua famiglia,
sui suoi valori, e questo non possiamo portarglielo via, come se
fosse un campo o un documento.
Non so neanche dove arriveranno le sue parole, la strada è lunga e
affollata da gente che ruba idee e frammenti di vita ai Rom, e tenta poi di
spacciarli come se fossero una loro invenzione. In mezzo a tante grida, Jovica ha
salvato la sua fisarmonica. E' ora che si salvino anche le sue idee.
Anche questo video, per terminare, potrà sembrare irrispettoso, ma almeno è
allegro. Perché, ricordando questa giornata, le giovani generazioni e la loro
gioia sono il nostro solo comune futuro.
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