Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Gli Zingari fanno ancora paura?

La redazione
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\\ Mahalla : VAI : Europa (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 03/04/2014 @ 09:01:40, in Europa, visitato 1918 volte)

March 31, 2014 di Maurizio Stefanini - nota a margine di Mahalla

Il governo svedese chiede scusa agli zingari per un secolo di discriminazioni, vessazioni e abusi che sono arrivati fino all'estremo delle sterilizzazioni di massa, per impedire che crescesse troppo una minoranza classificata come "incapacitati sociali". Non solo è una bella botta allo stereotipo sulla multiculturalità e sulla tolleranza scandinava: anche se probabilmente cose anche peggiori sono accadute e accadono in tanti altri Paesi, senza che nessuno chieda scusa allo stesso modo. Il dato ancora più spiazzante, appunto dando retta agli stereotipi, e che è il governo di centrodestra del premier Fredrik Reinfeldt a chiedere scusa per abusi che furono compiuti soprattutto dai governi socialdemocratici, secondo i quali l'intervento eugenetico per ridurre il peso degli elementi "parassitari" era una condicio sine qua non irrinunciabile dello Stato sociale, per abbatterne i costi.
"La situazione che vivono gli zingari oggi ha a che vedere con la discriminazione storica cui sono stati sottomessi", afferma il Libro Bianco sulle violazioni dei diritti di questa minoranza dal 1900 in poi che è stato presentato a Stoccolma.

"Un periodo oscuro e vergognoso della storia svedese", è stato definito dal ministro dell'Integrazione, il liberale Erik Ullenhag. Forse non conclusosi del tutto, visto che una delle testimoni rom invitata a dare testimonianza si è vista negare l'ingresso dal personale di quell'Hotel Sheraton dove il rapporto veniva presentato. E lo scorso settembre ci fu lo scandalo della polizia della Scania che aveva schedato una lista di 4000 rom. Ma il clou fu tra 1934 e il 1974: cioè, quasi l'intero periodo di quel lungo predominio socialdemocratico al governo che durò dal 1932 al 1976. Non ci sono cifre ufficiali, ma secondo le testimonianze almeno una famiglia consultata su quattro era a conoscenza di casi di sterilizzazione o aborto forzato. Inoltre i bambini venivano spesso sottratti alle famiglie: neanche qui ci sono cifre ufficiali, ma secondo il Ministero durante i freddi inverni svedesi la pratica era sistematica, con il pretesto di sottrarre i piccoli ai rigori del clima.

Sempre durante i governi socialdemocratici, fino al 1964 fu proibito agli zingari di entrare in Svezia. Anche durante quegli anni della Seconda Guerra Mondiale in cui rom e sinti nell'Europa occupata dai nazisti venivano sistematicamente mandati nei campi di sterminio. Porajmos, "devastazione", è chiamata quella versione zingara della Shoà in cui morirono oltre 600.000 persone. Anche per chi risiedeva in Svezia in molti municipi era inoltre proibito agli zingari insediarsi in modo permanente, nelle scuole i bambini erano segretati in aule speciali e in generale i servizi sociali erano loro preclusi. Come ha spiegato il Ministero, "l'idea era di rendere loro la vita impossibile perché se ne andassero dal Paese". Per il momento, il Libro Bianco non contempla la possibilità di risarcimenti agli zingari, che in Svezia sono 50.000 su una popolazione di 9 milioni e mezzo di persone. Però l'apertura degli archivi e le scuse ufficiali ne pongono probabilmente le premesse.


Nota

Occorreva un quotidiano di destra perché sulla stampa emergesse questa storia. Che è ancora incompleta: non fu soltanto la Germania nazista a perseguire quelle politiche - i colpevoli sono da tutte le sponde politico-ideologiche - ci fu la democratica Svizzera tra gli anni '50 e gli anni '70, ma anche la comunistissima Cecoslovacchia del dopo Dubcek, con processi di risarcimento che si trascinano ancora oggi. E la Svezia socialdemocratica.

Cosa può legare tra loro regimi così diversi? Direi, il tentativo di stabilire il primato dello stato, che deve essere non solo forte (anche se ogni stato intende la forza in una sua maniera diversa), ma deve anche intervenire nel "plasmare" l'identità dei propri popoli. Qualcuno con la forza, altri con una sorta di "moral suasion". Facendo valere la forza soprattutto sulle fasce più deboli ed esposte della popolazione.

Cosa aggiungere sulla socialdemocrazia (svedese)? Che nei medesimi anni, i Rom e Sinti venivano schedati e i dati raccolti in schedari segreti di cui solo l'anno scorso si è venuto a conoscenza. Nel frattempo, la Svezia ha virato a destra, e questi episodi di chiarezza sul suo passato vanno in corto circuito con pulsioni che prima erano più rare: è di settimana scorsa la notizia, lanciata dalla testata THE LOCAL e ripresa anche all'estero, di un ristorante della catena Sheraton ha rifiutato di servire un proprio cliente perché di etnia rom.

Nel contempo, nella Serbia che per gli "occidentali" rimane un posto esotico e selvaggio, si è concluso il processo contro un Mc Donald che si era reso colpevole di un comportamento simile a quello svedese.

 
Di Fabrizio (del 14/04/2014 @ 09:03:31, in Europa, visitato 1867 volte)

(flickr/ Massimiliano) - Daniela Mogavero 8 aprile 2014 su Osservatorio balcani e caucaso

Il quadro delle politiche sociali romene in un'intervista al commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa Nils Muižnieks: tutela dei minori, integrazione delle minoranze e il profilo dell'estrema destra sull'orizzonte delle prossime elezioni europee

La situazione dei minori, dei rom e dei disabili in Romania ha dei lati molto oscuri. Passi avanti sono stati fatti, ma "c'è ancora molto lavoro da fare". Parola di Nils Muižnieks, commissario per i Diritti umani del Consiglio d'Europa, che la settimana scorsa, durante cinque giorni di visita in Romania, ha esaminato i dossier con le autorità romene e ha visitato di persona alcune delle strutture dedicate a orfani e disabili. A preoccupare il commissario sono soprattutto l'esclusione sociale, le condizioni socio-sanitarie in cui versano decine di migliaia di minori e i reati d'odio razziale. Ma ci sono anche segnali positivi, soprattutto nel settore dell'inclusione sociale della comunità rom.

Secondo l'ultimo studio pubblicato dall'Unicef sulla situazione dei minori in Romania, il paese detiene la terribile maglia nera per il primato di bambini abbandonati: la principale causa è la povertà che porta con sé disoccupazione, mancanza di cure adeguate e di un alloggio decente.

    Nils Muižnieks

    Quello che mi preoccupa di più è come sarà ridisegnato il Parlamento europeo con l'ingresso massiccio di queste forze estremiste. Ad essere danneggiata potrebbe essere la stessa Unione europea e il suo lavoro sulle politiche di immigrazione

"In Romania non c'è una sola categoria di minori in pericolo, esistono diversi sottogruppi. Da un lato gli orfani, i minori disabili, i bambini di strada, 1.000 solo a Bucarest e altri 5.000 nel resto del paese, e poi ci sono i figli di coloro che hanno dovuto lasciare la Romania per andare a lavorare all'estero e anche circa 500 che si trovano nelle strutture di detenzione - ha spiegato in un'intervista a Osservatorio Balcani Caucaso il commissario Muižnieks - tutti questi sottogruppi sono altrettanto vulnerabili e meritevoli di attenzioni. Un primo passo molto positivo che è avvenuto appena dieci giorni fa, poco prima della mia visita, è stata la riapertura dell'Autorità nazionale per la protezione del bambino, che era stata chiusa nel 2010 per mancanza di fondi. E' il primo passo, ma c'è ancora molto lavoro da fare".

Nel corso della sua visita il commissario ha visitato anche un orfanotrofio a Tancabesti, nei pressi di Bucarest. La struttura ospita 50 minori, tra bambini, adolescenti e in alcuni casi disabili. "Isolare minori con disabilità negli istituti porta al peggioramento delle condizioni sanitarie e alla loro esclusione sociale - ha sottolineato Muižnieks - con la reclusione in queste strutture si continua a stigmatizzarli e emarginarli, in violazione della Convezione ONU dei diritti dei disabili, a cui la Romania si deve attenere. Bisogna promuovere l'uscita dalle strutture sanitarie e nel contempo l'autonomia di queste persone per superare pratiche incresciose".

Gli orfani dell'UE
E poi ci sono "gli orfani dell'UE", così il commissario definisce quei minori lasciati nel Paese d'origine dai genitori che sono andati a lavorare all'estero, una categoria non meno vulnerabile e che esce fuori dagli schemi dell'assistenza dei minori: "Non è un fenomeno solo romeno, anche se nel paese sono 80mila i minori che vivono senza genitori perché emigrati per lavoro. Hanno problemi psicologici, un alto tasso di abbandono scolastico e non esistono misure studiate per proteggerli. Per questo voglio sollecitare le autorità affinché rafforzino il sostegno a questi bambini che sono fortemente colpiti dall'assenza dei genitori".

Di questi 80mila, circa 20mila hanno entrambi i genitori all'estero, secondo le ultime stime del governo romeno e quindi vengono lasciati alle cure dei parenti o in alcuni casi anche affidati a altre famiglie o a istituti. Alcuni scappano e entrano a far parte di un altro dei sottogruppi individuati da Muižnieks, quello dei bambini di strada "che vivono in condizioni di degrado a Bucarest e in altre città. Per questo ritengo positivo il piano del ministero della Sanità per la creazione di centri di assistenza medica. Ma per evitare che questi bambini diventino preda della delinquenza o del traffico di esseri umani è necessario che Bucarest migliori e velocizzi le pratiche per le adozioni". I minori che si trovano negli orfanotrofi romeni sono in media 60mila.

La minoranza rom

Un altro dei fronti di interesse e impegno nell'ambito dei diritti umani è quello legato alla comunità rom, che in Romania è una delle minoranze più grandi, con circa due milioni di persone, ma anche una delle più discriminate e emarginate socialmente. "Una parte della comunità rom è ben integrata, ma c'è una grossa fetta che resta ai margini. Da parte delle autorità romene - ha assicurato il commissario - c'è un grosso impegno a lavorare per l'integrazione. Il progresso più marcato è stato realizzato nel settore dell'istruzione: molti rom finiscono le scuole dell'obbligo e frequentano l'università. E anche se il tasso di abbandono scolastico è ancora troppo alto, il 36%, e più del doppio rispetto a quello dei minori non rom, è comunque significativamente diminuito".

    Romano Dives
    Oggi, 8 aprile, si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale "Romano Dives" (Giornata di rom e sinti) riconosciuta nel 1979 dall'ONU grazie alle attività e alle pressioni dell'Unione mondiale di rom e sinti fondata a Londra nel 1971 (poi divenuto IRU - International Roman Union). La Commissione europea ha avviato fin dal 2010 precise politiche dedicate all'integrazione dei rom e sinti nei paesi membri, che hanno portato all'approvazione della Risoluzione denominata 'Strategia europea sull'integrazione dei rom' poi adottata dal Consiglio. In essa si stabilisce che a tutti i rom devono essere garantiti standard minimi in materia di accesso a occupazione, educazione, alloggio e assistenza sanitaria. Nell'Ue vivono circa 12 milioni di rom dei quali la maggioranza in Romania e Bulgaria.

Inoltre nel 2013 le autorità romene hanno censito 5.000 bambini rom e 30.000 adulti: "Bisogna continuare sulla strada per garantire i diritti di accesso ai servizi sanitari e d'istruzione, puntando sullo sviluppo dei mediatori socio-culturali. Un fiore all'occhiello della Romania, ma con la crisi, le misure di austerità e la decentralizzazione la metà dei mediatori non fa più questo mestiere, con il rischio di perdere una grande risorsa per il paese".

Muižnieks non vuole tralasciare, però, un punto fondamentale del suo mandato: la lotta contro i reati d'odio. "Pur apprezzando il lavoro del Consiglio nazionale per la lotta alla discriminazione, sono molto preoccupato dal fatto che le autorità romene sembrano sottostimare l'incidenza dei crimini legati all'odio razziale nel paese e che hanno come vittime principali i rom - ha dichiarato il commissario - nonostante i media e le organizzazioni non governative denuncino questi episodi, nel 2013 nessun caso è finito in tribunale, questo non rispecchia la realtà. Bisogna porre molta attenzione agli incitamenti al razzismo e ai crimini d'odio e dare la necessaria formazione alle forze dell'ordine affinché sappiano riconoscere e sanzionate questi reati legati al razzismo".

Le elezioni europee
Un tema, quello del razzismo e della xenofobia che si lega in modo indissolubile con le prossime elezioni europee, soprattutto dopo i risultati delle elezioni amministrative francesi che hanno visto la crescita della destra estremista, come dimostrano anche i sondaggi condotti in altri paesi UE.

"Più che dai sondaggi sono preoccupato da quello che potrebbe accadere alla democrazia dopo le elezioni europee - ha sottolineato Muižnieks - con l'approssimarsi del voto in molti paesi membri la destra estremista sta portando avanti campagne contro l'immigrazione o i rom: ci sarà un dibattito pieno di veleni su questo tema. Ma quello che mi preoccupa di più è come sarà ridisegnato il Parlamento europeo con l'ingresso massiccio di queste forze estremiste e di come verranno condotti i dibattiti. Ad essere danneggiata potrebbe essere la stessa Unione europea e il suo lavoro sulle politiche di immigrazione".

 
Di Fabrizio (del 25/04/2014 @ 09:02:19, in Europa, visitato 2659 volte)

Lo ripropongo per chi si fosse perso l'ultima trasmissione di Assetto Variabile. Buon 25 Aprile!

 
Di Fabrizio (del 01/05/2014 @ 09:00:36, in Europa, visitato 2208 volte)

30 Aprile, 2014, Nazzareno Guarnieri su Fondazione Romanì Italia

Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera (vedi QUI, ndr.) dall'amico di Spagna Juan De Dios Ramirez-Heredia con alcune personali considerazioni sul recente summit sui rom a Bruxelles promosso dalle istituzioni europee.
Riporto integralmente la lettera di Juan De Dios e ringrazio il prof. Marco Brazzoduro per la traduzione in Italiano.

IL SUMMIT DI BRUXELLES SUI ROM E' STATO UN GRANDE INGANNO

Sapevo dal primo momento, e i miei timori sono stati confermati quando ho letto i contenuti del programma, che ci troviamo ancora una volta di fronte a un incontro di importanti uomini politici e di gagé "che ci amano tanto" e sono pronti a parlare per conto nostro privando i presenti al summit della possibilità di ascoltarci in quanto veri e insostituibili portavoce della nostra identità e dei nostri interessi.

Per questo motivo ho deciso di non andarci, nonostante che sia stato personalmente invitato. Non volevo avallare con la mia presenza questa esibizione di politici che in periodo elettorale dichiarano a turno quanto siano interessati alla nostra situazione.

Prima di scrivere queste note ho lasciato passare del tempo. Volevo informarmi sulla questione ricorrendo a fonti rom, oneste ed equilibrate, per capire la complessità del summit. I miei timori sono stati confermati.

Comunque desidero fare riferimento alla lettera che Rudko Kawczinski, presidente del European Roma and Travellers Forum ha indirizzato a Viviane Reding, Commissario alla Giustizia, a Schulz , Presidente del Parlamento europeo. Faccio mie le sue parole quando ha detto:

"...Questo meeting di un giorno che consiste , prevalentemente, in una serie di discussioni portate avanti da personalità non rom, crea serie preoccupazioni riguardo allo scopo, ai contenuti e alla partecipazione".

Il summit è diventato un gioco di discorsi ripetitivi. E noi rom di ciò ne sappiamo abbastanza perché siamo spesso infastiditi da quelli attorno a noi dotati di spirito di redenzione e mani piene di euri ottenuti a nostro nome. Pronti a salvare le nostre vite.

Rudko Kawczinski lo ha detto con grande chiarezza:

"Per noi è difficile capire quale sia esattamente lo scopo del summit e il suo valore aggiunto in termini di quello che ha conseguito finora. Le piattaforme tematiche creano politiche inclusive per i rom a livello locale e fanno arrivare denaro dell'UE alle autorità locali e regionali per aiutarle a integrare i rom. Fanno diventare l'integrazione dei rom una realtà locale anche negli stati appena cooptati, tematiche che sono state dibattute in forum nazionali e internazionali e hanno costituito l'oggetto di numerose raccomandazioni e decisioni emesse dalla Commissione Europea e altri organismi internazionali. Non sembra che la serie di discorsi di ministri e viceministri siano in grado di generare quell'impegno così tristemente carente"

Perciò Rudko Kawczinski ha colto il punto chiave quando ha affermato:

"E' un peccato, per dire il minimo, che dopo anni di affermazioni secondo le quali il lavoro dovrebbe essere compiuto dai rom e non per i rom, ci viene offerta un'agenda dove in un elenco di 30 oratori non c'è quasi nessun rom (...) D'altra parte si suppone che noi dovremmo ammirare le persone che conoscono e seguono i consigli di un gruppo di partecipanti non rom, alcuni dei quali non hanno mai conosciuto gli stessi rom o che non hanno mai visitato un insediamento rom".

Un ampio numero di rom che vivono in Europa hanno alzato la voce per denunciare la manipolazione cui sono assoggettati. Per la maggior parte delle istituzioni e per una larga parte di quelli che vivono a spese del nostro nome noi siamo considerati un gruppo di mendicanti analfabeti e affamati che debbono essere salvati ad ogni costo. E, sempre in nostro nome, organizzano conferenze, incontri e giornate come questa che finiscono quasi sempre in completi fallimenti . E sapete perché ?

Ascoltate Rudko Kawczinski:

"Finora molti degli sforzi della Commissione Europea si sono conclusi con risultati minimi o inesistenti. Questo accade sempre quando la comunità rom e i suoi rappresentanti non sono stati né coinvolti e né consultati nella progettazione dei programmi e delle iniziative".

Non pretendiamo di capire come fanno la signora Reding e il commissario Laszlo Andor, responsabili per le materie sociali, il lavoro e l'integrazione. Hanno consentito di essere presi in giro dagli organizzatori di questo spettacolo volgare. Non é stato portato alla loro attenzione quello che l'European Roma and Travellers Forum non ha visto, la più elevata rappresentanza dei rom in Europa, la cui creazione è stata aiutata dal Consiglio D'Europa, dalla Commissione Europea e dall'OSCE ?

"A peggiorare le cose - continua Rudko Kawczinski - la Commissione Europea ha ritenuto opportuno invitare come oratore nella cerimonia di apertura del summit, niente meno che Traian Basescu, Presidente della Romania, che è stato recentemente condannato dalla Commissione Nazionale di Romania per la lotta alla discriminazione, per i suoi commenti discriminatori verso la popolazione rom. D'altra parte hanno invitato in alcuni dei già menzionati tavoli, rappresentanti di città e regioni che hanno sistematicamente cacciato i rom dai loro territori".

Per concludere faccio mie le parole del Presidente del European Roma and Travellers Forum:

"In queste circostanze crediamo che la nostra partecipazione in questo summit sia stata meramente decorativa. Ciò è qualcosa che non possiamo accettare in qualsiasi caso. Noi rom vogliamo una partecipazione reale ed onesta e non ci auguriamo di essere usati solo come marionette in uno spettacolo".

Juan de Dios Ramirez-Heredia - Presidente dell'Unione Romanì spagnola

Già deputato al Parlamento europeo

Avvocato e giornalista

 
Di Martina Zuliani (del 02/05/2014 @ 09:07:16, in Europa, visitato 2296 volte)

Deutsche Welle - Autore: Nevena Cukućan. Redazione: Jakov Leon

Serbia - Richiedenti asilo bugiardi, li chiamiamo così. In Germania, i conservatori li hanno usati come spauracchio e gli abitanti dei Balcani temono che per loro si chiuderanno le frontiere. Abbiamo qualche comprensione per le persone senza il loro "posto al sole"?



Hamit Kurtehi (27), noto come Apu, è apparentemente un ragazzo normale, attivista nel tempo libero, che ama suonare la chitarra e girare sui rollerblade. Sarebbe un saldatore ma, come tanti altri suoi coetanei, è disoccupato e vive coi genitori. Tuttavia, ciò che differenzia Hamit dai suoi coetanei è la logorante esperienza come richiedente asilo. Lui e i suoi genitori hanno aspettato 3 anni per ricevere asilo in Belgio. Dopo questo periodo pieno di gioie e dolori, nel 2013, la famiglia Kurteshi è stata costretta a lasciare il Belgio per ritornare in Serbia.

Kurteshi ed altri attivisti protestano per ottenere acqua potabile

DISCRIMINAZIONE: la famiglia di Hamit, composta da sei membri, è arrivata a Zrenjanin dalla città kosovara di Lipljan negli anni ottanta. Lui è l'unico membro nato a Zrenjanin ed ha subito discriminazioni dovute alla sua origine per tutta la vita. A causa di scontri frequenti e dei compagni che lo insultavano, Hamit non ha terminato la scuola primaria e si è ritirato presto anche dalla scuola secondaria, cosa di cui è pentito. "Questo è uno dei nostri più grandi errori, come rom" dice "perché così rimaniamo ignoranti e avere una vita normale non ci è facile. Č come quando si ha la febbre e, pur non conoscendone la causa, si prendono comunque farmaci contro la febbre. Mentre in realtà hai un cancro che ti uccide, ma non lo sai."

Prima di decidersi a richiedere l'asilo, la famiglia di Hamit aveva tentato di ritornare in Kosovo, dove un tempo aveva una casa, andata bruciata nel 1999. L'UNHCR aveva loro costruito una nuova abitazione, nella quale sono vissuti fino al 2006. Dopo aver passato qualche tempo fuori Lipljan, hanno trovato la casa bruciata al loro ritorno. Hanno così capito di non essere i benvenuti in Kosovo e sono tornati a Zrenjanin, dove sono incorsi in un processo a causa dell'alloggio in cui vivevano.

"Quando lasci la tua città e tutto quello che hai, soprattutto quando è contro la tua volontà, arrivi in una nuova città e devi ricominciare da zero, ma tutto ciò richiede tempo" dice Hamit. "Ora tutti dicono, la guerra è stata 15 anni fa, ma dai, devi recuperare per il periodo in cui hai perso tutto. Nel posto in cui hai vissuto prima è stato costruito qualcosa di nuovo e, se non l'hanno fatto, lo faranno tra un anno. Poi tutti cercano di fare qualcosa, ma spesso non può fare nulla, e fuggono via. Così abbiamo deciso di andarcene e di chiedere asilo." Ha aggiunto che la situazione finanziaria era critica, perché attualmente in Serbia "nessuno ha soldi ", ma che è stato soprattutto il desiderio di una vita normale, nel quale non dovesse temere la reazione degli altri alla vista della sua carnagione scura o al sentire la lingua in cui parla. E lui parla serbo, romanes, albanese, olandese, inglese, tedesco e sta imparando l'italiano.

Hamit di fronte al suo alloggio a Zrenjanin

PARTENZA: La prima tappa del viaggio della speranza della speranza era Aachen, in Germania, dove Hamit e i suoi genitori hanno incontrato dei parenti, dopo di che si sono diretti a Bruxelles per presentare la domanda d'asilo. Al colloquio hanno dichiarato di non avere documenti e di essere arrivati direttamente in Belgio dalla Serbia. "Č stata una bugia giustificabile, a mio parere" dice Hamit "Se avessimo avuto i passaporti ci avrebbero rimpatriati subito poiché, in Serbia, ufficialmente non ci sono più violenze. In questo modo siamo stati in Belgio per tre anni. Abbiamo visto persone richiedere asilo mostrando i passaporti e sono state rimpatriate immediatamente."

All'epoca non parlava fiammingo ed ha trasmesso la sua storia alle autorità tramite interprete. Quando ha imparato la lingua ha notato che lo scritto della sua storia non coincideva con quelli degli altri membri della sua famiglia e che, pur essendosi dichiarati tutti della stessa etnia, suo padre era stato registrato come albanese, sua madre come rom e lui come serbo. "Ti rendi conto troppo tardi che ti va bene solo se sei bravo con questo interprete. Ma quando arrivi, non capisci nulla, e ti sembra di essere su un altro pianeta. Lui ti porta a fare un giro, ti controllano i polmoni, ti prendono le impronte, la prima per controllare se sei sano, poi segue una breve intervista e alla fine ti danno una scheda con l'indirizzo a cui recarsi e ti mandano fuori " descrive Hamit.

Così, la famiglia Kurteshi entrò in un campo profughi e vi rimase per quattro mesi. Il campo si trovava in una vecchia caserma, dove le camerate erano divise in piccole camere per più persone, le cui pareti prefabbricate non raggiungevano il soffitto e mancavano molte finestre. Hamit e i suoi genitori erano alloggiati in una piccola stanza di otto metri quadri. Questa camera era quasi un lusso, per gli standard del campo. La famiglia era circondato da centinaia di persone provenienti da tutto il mondo. Le risse, i feriti e i furti erano all'ordine del giorno. Hamit ha imparato in fretta la lingua e ha iniziato a lavorare come traduttore per i nuovi richiedenti asilo. Ha visto come tra loro ci fossero anche quelli che non erano arrivati a causa di circostanze di vita che li avevano costretti, ma solo per approfittare del sistema sociale belga. "Allora ho cominciato a capire il motivo per cui belgi, tedeschi e tutti gli altri Paesi ospitanti odino gli stranieri, perché arrivano, non fanno niente, prendono soldi e questi ultimi vengono detratti dal tuo stipendio per darli a loro." dice.

Le condizioni di salute di suo padre stavano peggiorando e Hamit insistette che i genitori si trasferisse nella "casa sociale" a Vorselar durante l'attesa del verdetto sulla domanda d'asilo . Rimasero lì fino alla fine del 2013, quando sono stati costretti a lasciarla. " La casa aveva due piani, tre camere da letto al piano superiore, soggiorno, cucina , bagno e un grande giardino ... è stato incredibile. Per la prima volta nella mia vita avevo la mia stanza." dice. Giacché voleva che le cose funzionassero e poter guadagnare soldi per vivere, Hamit ha presentato una richiesta per permesso di lavoro e l'ha ottenuto, per un periodo di un anno. Ha trovato lavoro presso una fabbrica di lastre di cemento prefabbricate dove è stato pagato tanto quanto gli altri lavoratori, salvo rifiutarsi di ricevere una percentuale data dal suo stato di richiedente asilo. "Volevo mostrare loro che ero diverso e che non volevo vivere sulle spalle degli altri." dice, aggiungendo che è stato il suo periodo più bello, rovinato solo dai problemi di salute di suo padre.

CARCERE: L'idillio non durò, la domanda di asilo fu respinta, e allo stesso modo tutti i ricorsi e le lamentele presentate. Il permesso di lavoro era ampiamente scaduto, ricevette un ordine di espulsione e la polizia arrestò i genitori Hamit in sua assenza. Dopo di che, Hamit andò volontariamente alla stazione di polizia disse di voler rimanere vicino alla sua famiglia, anche se sapeva che avrebbe dovuto lasciare il Paese. "Allora vennero gli assistenti sociali e le guardie del campo e ci hanno riportati lì, insieme con la polizia, ammanettati, come se fossimo dei prigionieri" ricorda. "Durante le prime due settimane al campo non ho parlato con nessuno, non volevo mangiare ne bere. Ho perso peso, da 80 chili a 50. Nel mio file sono stato classificato come 'molto aggressivo', anche se non ho parlato affatto." Ha lasciato il Paese più tardi del previsto, con una multa per ogni giorno trascorso nello spazio Schengen, più di tre mesi. Lui e la sua famiglia hanno vissuto tre anni in Belgio.

La storia di Hamit ha attirato l'attenzione dei media belgi, anche quando gli fu concesso l'asilo. Nel maggio 2012 il giornale Gazet van Antwerpen disse che Hamit e la sua famiglia dovevano lasciare il Paese. "Vicini e conoscenti non capiscono perché debbano andarsene", dice il testo. Sui Somers, giornalista del settimanale Humo pubblicato in fiammingo ha scritto su di lui chiamandolo "l'opposto del richiedente asilo." Voleva far capire ai suoi lettori come ci siano dei giovani richiedenti asilo disposti a guadagnare i loro soldi e a contribuire alla società belga. "Non ho mai incontrato nessun richiedente asilo così pieno di energia, così determinato ad avere successo in Belgio, così disposto a fare. Penso che la sua espulsione sia una grande perdita per la nostra società" dice Somers su DW. Dati dell'UNHCR indicano che solo il 6 per cento delle richieste presentate da cittadini serbi vengono accettate in Belgio.

La giornalista Somers

Ricorda anche che, alla fine dello scorso anno, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato il Belgio per la pratica dei rigetti di persone provenienti da Paesi dilaniati dalla guerra come l'Afghanistan. "Vi è il caso di due afghani che hanno richiesto asilo, trascorso diversi anni qui, imparato la lingua, trovato un lavoro, ma a dispetto di tutto ciò sono stati rimpatriati. Ciò ha causato un putiferio nel Paese e un grosso imbarazzo per il nostro segretario federale per l'immigrazione, la liberale Maggie De Block." conclude Somers.

MATRIMONIO: Ma non è tutto. "C'é la mia attuale ragazza, che ho conosciuto quando ho visitato i parenti in Germania" continua Hamit. "Ho attraversato il confine, ma i richiedenti asilo in Belgio non hanno il diritto di viaggiare, dovevo rimanere in Belgio. Stavo passeggiando da solo, e la polizia tedesca mi ha catturato, ora ho una condanna per questo." Ha detto che non avrebbe voluto sposare una ragazza solo per risolvere il problema del suo soggiorno, ma che nella sua attuale fidanzata ha trovato ciò che desiderava. Il matrimonio è stato programmato, ma era necessario ottenere i documenti in Serbia. "Le ho detto che torno per certo, e il suo unico commento è stato: " No, tu non vuoi tornare, ma vuoi tornare da me.'"

Hamit allo skate park di Zrenjanin

Hamit stava progettando di andarsene volontariamente in Serbia e di ottenere i documenti necessari, ma quei piani sono stati rovinati dall'arresto dei suoi genitori. Quando, due mesi dopo il rimpatrio forzato a Zrenjanin, ha cercato tornare in Germania con tutti i documenti necessari, gli è stato concesso di attraversare il confine serbo ma non quello olandere, dove il suo aereo è atterrato. Venne a sapere di avere un divieto di ingresso nell'Unione europea fino al pagamento della multa. Ha trascorso tre giorni in un carcere olandese per immigrati ed è tornato a casa.

Dal momento del suo ritorno, Hamit è preoccupato per malattia del padre che è stato ricoverato in ospedale un mese fa. Ha intenzione di assumere un avvocato e di avviare una richiesta per diminuire la condanna che ha ricevuto, non appena la salute del padre migliorerà. Si sente ancora con la sua ragazza, lei lo attende, e non pensa più molto all'asilo. "Fino a quando non superiamo il passato non possiamo andare verso il futuro. Il mio passato, per me, è il divieto che mi impedisce di avere indietro la mia amata." conclude. Nonostante tutto, questo ragazzo non perde ancora non le speranze e dà l'impressione di essere disposto a combattere tutto il tempo necessario.

 
Di Fabrizio (del 12/05/2014 @ 09:01:01, in Europa, visitato 3409 volte)

Osservatorio Balcani e Caucaso Nicola Pedrazzi | Tirana 7 maggio 2014 | foto di Nicola Pedrazzi

Sono circa otto milioni i rom europei, la maggior parte dei quali è concentrata nell'Europa dell'est e nei Balcani occidentali. In Albania, una delle comunità più numerose è stanziata a Fushë-Kruja, alle porte della capitale. Un reportage

Prima di arrivare in Albania non mi ero mai interrogato sulla cultura rom, né sul problema che essa pone al "buon governo". Mi era sempre bastato quanto descritto in Khorakhanè , struggente pezzo che Fabrizio De Andrè ha dedicato ai rom del Kosovo giunti in Lombardia agli inizi degli anni Novanta. In buona sostanza, mi ero sempre accontentato della poesia. Le parole, supreme, di quella canzone, lasciano in chi la ascolta un vago senso di mistero, l'indefinibile sensazione che quei nomadi in grado di "leggere il libro del mondo con nessuna scrittura" custodiscano nella loro scelta di vita non proclamata un segreto inesprimibile.

In effetti, la capacità dei rom di frequentare modernità e benessere senza esserne conquistati genera stupore negli abitanti di tutte le città europee a cui sono approdati: da un punto di vista filosofico, lo stile di vita di queste genti incarna meglio di qualsiasi altro sistema culturale la domanda ancestrale, il dubbio che in tutto il mondo le periferie dell'umanità pongono alle certezze del mondo civilizzato, alle regole del suo sviluppo.

Purtroppo, nella ben più prosaica realtà di tutti i giorni, una volta che queste persone varcano le soglie della civitas, si trasformano quasi sempre in piaga sociale, in problema politico, in emergenza da risolvere: ad accoglierli, nella migliore delle ipotesi, è un vago relativismo terzomondista ad uso e consumo delle classi colte. Abitando a Tirana, il quotidiano mi ha fornito per la prima volta un'alternativa alla poesia di De Andrè: per cercare di comprendere il problema all'origine, affrontando senza sofismi il dubbio che i rom d'Albania pongono oggi alle autorità e ai cittadini, ho pensato che potevo muovermi io: da casa mia a casa loro.

I rom d'Albania
Di lontana origine indiana, provenienti dalla Persia e dall'Asia, popolazioni rom approdarono nei territori dell'odierna Albania a partire dal XV secolo, subito prima dell'invasione ottomana. Le comunità più numerose sono oggi stanziate nel centro e nel sud-est del paese, all'interno o nell'hinterland delle grandi città: Tirana innanzitutto (solo nei quattro distretti della capitale vivono più di 5000 rom), ma anche Fier, Argirocastro, Korça e Berat.

Le tribù principali sono quattro, e si distinguono per l'attività socio-economica che storicamente le caratterizza: i Meckars erano principalmente contadini e pastori, i Kurtofs artigiani e venditori, i Kabuzis artisti e musici, i Cegars commercianti nomadi. Lo standard di vita di tutte le minoranze rom d'Albania ha risentito pesantemente della transizione post-comunista: il collasso delle industrie statali in cui erano in larga parte impiegati, combinato al disordine politico-sociale degli anni Novanta, ha contribuito alla progressiva discriminazione dei rom, che proprio durante il regime avevano invece conosciuto una sorta di assimilazione - dovuta principalmente all'occupazione ma anche alla soppressione di tutte le differenze tradizionali e religiose.

Non esiste una fotografia chiara dell'attuale situazione dei rom d'Albania. La cinghia di trasmissione tra le raccomandazioni europee sulla tutela delle minoranze - determinanti per la concessione dello status di paese candidato, al momento ancora in forse - e le politiche nazionali è rappresentata da una fitta rete di ONG, enti e organizzazioni internazionali; operatori che a vario titolo e con diverse risorse implementano progetti su specifiche comunità. Diverse organizzazioni producono diversi rapporti, e non è detto che le cifre coincidano. Il documento più onnicomprensivo al momento disponibile sui Rom d'Albania è stato redatto nel 2012 dal Segretariato della "Fondazione Decade of Roma Inclusion". Quest'ultima è un esperimento di cooperazione allo sviluppo basato sull'impegno a lungo termine di 12 stati europei (tra cui tutti i paesi balcanici) che per ridurre il gap esistente tra le popolazioni rom ed il resto dei cittadini hanno accettato di collaborare sia con le organizzazioni internazionali che con i rappresentanti della società civile rom.

Nel Civil Society Monitoring Report (CSMR) 2012 dedicato all'Albania, sono contenuti i risultati di questionari sottoposti direttamente ai rom residenti, dati interessanti perché alternativi a quelli governativi, i quali non sempre fotografano il reale livello di integrazione di queste persone. Una prova evidente delle difficoltà del governo albanese in questo campo è rappresentata dal censimento che l'Istituto Nazionale di Statistica (INSTAT) ha realizzato nel 2011, secondo il quale risiederebbero in Albania solamente 8.500 persone di etnia rom, pari allo 0,3% della popolazione: una cifra irrisoria, lontanissima da quelle indicate da altre fonti internazionali, alcune delle quali arrivano a stimare 120.000-140.000 unità.

Buone leggi, cattiva applicazione
Come spesso accade in Albania, le carenze del sistema non sono strettamente giuridiche. Lo stato albanese è firmatario dei più importanti trattati internazionali che regolano il rispetto delle minoranze - nel 1991 ha ratificato la Convenzione ONU sui diritti civili e politici, nel 1996 la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali - e sebbene i rom non vengano pubblicamente riconosciuti come minoranza a sé stante, la Costituzione del 1998 accorda alle minoranze etno-linguistiche presenti nel paese tutti i diritti di base.

Conformemente ai dettami costituzionali, nel 2010 il parlamento ha approvato una legge contro la discriminazione, per altro in linea con le quattro direttive europee in materia, dando poi vita a un gruppo di lavoro interministeriale sui rom aperto alle ONG operanti sul territorio. A questi impegni legali corrispondono però scarse politiche effettive e, quel che è più grave, i membri delle varie comunità non conoscono né godono delle misure che il governo ha attivato per loro.

La legge del 2010 prevede ad esempio la possibilità di denunciare i casi di discriminazione alle corti locali: ad oggi nessuna segnalazione è stata formalmente depositata, sebbene gravi episodi d'emarginazione abbiano avuto luogo - nel febbraio 2011, ma è solo il caso più eclatante, 45 famiglie accampate nei pressi della stazione dei treni di Tirana vennero rimosse con la forza da comuni cittadini, nella totale noncuranza del governo e delle forze dell'ordine.

Del resto anche sul piano europeo, la distanza tra normativa e realtà appare drammatica: secondo quanto riportato nel CSMR, gli strumenti finanziari messi a disposizione dall'Ue per migliorare l'inclusione sociale dei paesi in fase di pre-accesso sono gestiti senza il coinvolgimento dei rappresentanti delle minoranze: è opinione diffusa ad esempio tra i rom d'Albania che questi aiuti non riguardino le loro condizioni di vita, e che gli unici beneficiari siano le istituzioni: il fallimento del censimento 2011, finanziato e pubblicizzato dalla stessa Unione europea, ha certamente rafforzato questa percezione.

Ad oggi, secondo le stesse fonti, il livello di povertà dei rom d'Albania è due volte superiore a quello degli albanesi etnici, il tasso di disoccupazione tre volte più alto della media nazionale ed il reddito del 37% delle famiglie rom è inferiore ai 100 euro al mese. Circa l'87% della popolazione rom d'Albania si dichiara insoddisfatta dei propri diritti ed il 59% non ha abbastanza soldi per mangiare (solo il 4% degli albanesi etnici dichiara lo stesso).

I Rom di Fushë-Kruja e ADRA Albania
Fushë-Kruja è una piccola cittadina di circa 10.000 abitanti, trenta chilometri a nord di Tirana. Teatro di una delle storiche battaglie di Skanderbeg, questa piccola località di provincia è riemersa dall'anonimato grazie alla visita del presidente americano George W. Bush, era il 10 giugno 2007. In questo comune è stanziata una comunità rom di circa 1500 persone: una delle più grandi e problematiche del paese.

Popolazioni rom abitano quelle zone dai primi anni Sessanta: stabilitesi inizialmente nel villaggio di Halil, nel 1979 si spostano e si concentrano a Fushë-Kruja. Non è scorretto affermare che questi rom vivono in un ghetto: le loro abitazioni non sono certo lontane da quelle del resto della popolazione, ma costituiscono qualcosa di più di un quartiere, fanno "città a sé". A dimostrazione di ciò, vi è il fatto che non avrei potuto passeggiare nel quartiere senza Erinda Toska, una guida (e un'amica) che mi ha aperto le porte e i cuori dei locali, affatto abituati a ricevere visite dall'esterno.

Erinda ha lavorato per tre anni a stretto contatto con la comunità rom di Fushë-Kruja: come project coordinator di ADRA Albania, ONG attiva in altri 26 paesi europei, ha scritto e implementato diversi progetti educativi mirati alla formazione, l'alfabetizzazione e l'emancipazione delle giovani donne e dei loro figli. Le attività e i risultati di questi percorsi vengono pubblicati in tempo reale su questo blog .

I problemi dei rom di Fushë-Kruja non sono diversi da quelli di altre comunità albanesi - dalla mancanza di educazione igenico-sanitaria all'assenza di istruzione, dal fenomeno delle spose bambine alla disoccupazione endemica - tuttavia la dimensione, la chiusura e la posizione di questa comunità, alle porte della capitale ma estremamente conservatrice, hanno contribuito alla sua reputazione, che di bocca in bocca è giunta alle mie orecchie. "Č una delle realtà più complicate", conferma Erinda che, forse un po' stanca dei miei interrogativi via WhatsApp, alla fine ha capitolato: "Se ti interessa così tanto, un giorno ti ci porto".

Nel campo: il cuore rallenta, la testa cammina
Č sabato 12 aprile, e il sole brilla sul cemento della capitale. Io, Eri e Francesco fatichiamo a trovare un furgon - camioncini uso taxi su cui il governo ha recentemente inasprito i controlli di sicurezza - ma una volta partiti non c'è troppo traffico, e dopo mezz'ora di sorpassi siamo già a Fushë-Kruja. Ai confini del quartiere rom ci aspetta la nostra guida. Fatmira Dajlani è una ragazza rom che ha potuto studiare: collega ed amica di Eri, collabora con Adra e con altre organizzazioni internazionali, fungendo da tramite tra i membri della sua comunità e la realtà esterna.

Ci scambio due parole e tre sorrisi, questi ultimi dovuti principalmente al mio albanese: quanto basta per farmi cogliere l'importanza di figure come Fatmira, ambasciatrice della propria gente nel mondo e del mondo presso la propria gente. Eri esce dal bar con due sacchetti di caramelle, ci avviamo su una sterrata in direzione campagna. Il primo edificio che incontriamo è un mekanik (meccanico). Intorno, solo uomini e alcuni bambini, che ovviamente corrono in braccio a Eri. Mi intenerisco, ma vengo distratto dal lavorio degli uomini: gli strani mezzi che stanno assemblando sono gli stessi che ho visto tante volte scorrazzare per le strade di Tirana: tricicli a motore, composti da un motorino potenziato cui al posto della ruota anteriore viene attaccato un carretto. Scopro finalmente il nome di questo mezzo geniale: si chiama karrocë.

Č con i karrocat, dunque, che i ragazzi rom svolgono buona parte delle loro attività cittadine: dal trasporto frutta alla raccolta della plastica, incentivata dal governo che paga a peso, ma che, di fatto, spinge i rom a rovistare nella spazzatura, nel tentativo di recuperare ciò che poteva essere differenziato prima. Mi fisso sull'oliaggio di una catena, operazione che ho sempre delegato per laute somme, ma le guide mi chiamano, e interrompono i miei pensieri. Prima di proseguire mi volto, la giornata è splendida, le montagne dominano lo sfondo. Scatto una foto e decido in quel momento che non ne farò altre.

Gli onori di casa li fanno i bambini. Frotte di bambini, spuntati da non si sa da dove, ci prendono per mano e ci accompagnano verso le loro case. La scena si ripete più volte: sbucano da in fondo alla strada, riconoscono Eri da lontano e le corrono incontro con le braccia tese. Eri ci ha lavorato per anni, li conosce uno ad uno, li chiama per nome, chiede loro se vanno a scuola; è da un po' che non tornava al campo, e li trova cresciuti. Ci addentriamo nel quartiere. Là dove mi aspettavo il fango, c'è un selciato perfettamente lastricato - "La strada è merito di UNDP", sorride Erinda, leggendomi nel pensiero.

A destra e a sinistra si aprono cortili antistanti ad abitazioni colorate: un cavallo rumina in un angolo, una mucca scuoiata è appesa all'ombra di un albero. Una vecchia dalle rughe leggendarie ci viene incontro con aria solenne. Le mani completamente viola, due occhi verdi ipnotici, gesticola con Eri per cinque minuti e poi si congeda. "Mi ha chiesto le polverine per colorare le uova, ha il rosa ma le manca il rosso". Trasecolo: ma i rom d'Albania non sono musulmani? "Non tutti, loro sono ortodossi. In ogni caso per i rom la religione non ha troppa importanza, mischiano volentieri le tradizioni. L'unico rito che conta per tutti è la festa di Ederlezi...".

Nonostante non abbia mai sentito parlare il Romanì , la parola non mi suona nuova, e solo con l'aiuto del telefono capisco il perché: "Ederlezi" è il titolo di una celebre canzone che fino ad allora avevo creduto di Goran Bregović, famosissimo interprete di musica balcanica che in questo caso ha ripreso un motivo tradizionale rom. Ignara delle mie elucubrazioni musicali, Eri prosegue la sua spiegazione: " Ederlezi è una festa di origine serbo-ortodossa che è stata adottata dai rom dei Balcani. Si festeggia il 6 maggio, giorno della rinascita, della primavera. La festa segna l'inizio del bel tempo: a partire da quel momento gli uomini della comunità partono per i villaggi dell'Albania, della Grecia e del Kosovo, per vendere vestiti e scarpe di seconda mano, o per raccogliere e rivendere metalli. Spesso si muovono con la famiglia, ma poi ritornano...". Il racconto mi affascina e chiedo i dettagli: "Immaginati una festa tradizionale: dopo la processione alla Chiesa di Laç le famiglie si riuniscono, si addobbano le case, ci si veste eleganti, si balla, ma soprattutto si cucina l’agnello che viene sgozzato e dissanguato giorni prima...".

Una giovane donna viene incontro a Eri, la abbraccia e la bacia. Si chiama Mimoza, e solo da quattro anni abita a Fushë-Kruja, da dopo il suo matrimonio. Prima viveva con la sua famiglia, a Tirana, in una casa che rimpiange perché molto più grande. Ci invita ad entrare e a verificare di persona quanto ci sta raccontando. La sua abitazione non è in muratura, è un tendaggio allestito nel cortile di un altro stabile, quello sì in mattoni, probabilmente dei suoceri. Mimoza ha due figli, e dorme con loro su un letto, su cui ci invita a sedere. Una prolunga si arrampica sul soffitto, per portare luce a una lampadina penzolante. C'è anche un TV. Cerco di immaginare come possa essere ripararsi lì dentro in caso di pioggia, ma non ci riesco. Tuttavia l'odore non è cattivo, l'ambiente è ordinato e tenuto con estrema cura. Mimoza ci mostra delle calzature di lana di sua produzione, e invita Francesco a provarne un paio arcobaleno: è certa che siano della sua taglia, ha ragione, ed esultante gliele regala. Vista l'eccellente ospitalità, ingenuamente attendo le stesse attenzioni, ma vado incontro a una delusione: Francesco è il burri (uomo, marito) di Eri, a lui e solo a lui gli oneri e gli onori.

Ad attenderci fuori da casa ci sono sempre più bambini, sempre più festanti. Io e Francesco cerchiamo un po' goffamente di farli divertire, di giocare con loro. Facciamo il piacevole errore di accennare un vola-vola, e scateniamo una vera e propria competizione. Alzo lo sguardo e noto un uomo in fondo alla strada: l'ultimo maschio adulto lo avevo visto dal meccanico. Faccio un cenno di saluto ma non sono ricambiato; Francesco, ben più esperto, anticipa i miei pensieri. "Non accettare alcuna provocazione, spesso lo fanno apposta. Se ci pensi hanno più che ragione: facciamo volare i loro figli, veniamo ricevuti dalle loro donne... Ma noi chi siamo?".

Più ci addentriamo, più l'ostilità maschile risulta palpabile. Fatmira e Eri non sembrano preoccupate, ma nel dubbio né io né Francesco ci avventuriamo lontano da loro, esattamente come gli altri bambini. Eri mi spiega che il problema è ben più profondo della questione territoriale maschile: "Tutte le nostre attività hanno sempre dovuto vincere le resistenze degli uomini. Tendenzialmente le donne sono disponibili, ci lasciano i loro figli e desiderano studiare in prima persona. Molto spesso sono i mariti o le loro famiglie a proibirglielo. Quando una ragazza si sposa, il che mediamente avviene molto presto, tra i 13 e i 14 anni, questa passa sotto la giurisdizione della famiglia del marito, in particolare della suocera, che in sostanza ne dispone". I tasselli del mosaico si ricompongono: capisco finalmente la tristezza della giovane Mimoza, lontana dalla famiglia in uno spazio che non sente suo. Ovviamente, mi spiega Eri, non tutte le famiglie hanno lo stesso approccio tradizionale, ma il dovere di servire nella casa del marito non è discutibile, e quand'anche la situazione risultasse inaccettabile - come nel caso di violenza fisica sulla giovane sposa - la stessa famiglia d'origine non approverebbe il ritorno della figlia tra loro: sarebbe al contrario una grande vergogna.

Centinaia di domande affollano la mia mente, ma le spiegazioni di Eri sono in italiano, e dunque rapide, per non escludere dalla conversazione le persone che ci vengono incontro. Suela Rama ha 16 anni e si è appena maritata. Eri mi informa di questa novità in albanese, e abbozzo un gesto di congratulazione. "Siamo orgogliosissimi del suo percorso. Suela ha sempre partecipato alle nostre attività, e nonostante le pressioni della famiglia si è sposata "solamente" adesso, a 16 anni. Per noi questo è un grande risultato".

Il fenomeno delle spose bambine, mi spiega Eri, è collegato al problema cruciale di ogni comunità rom: quello dell'istruzione dei bambini. Teoricamente, i bambini rom hanno il diritto di frequentare le scuole municipali albanesi, ma raramente le scuole pubbliche rappresentano un luogo accogliente per i ragazzi e le loro famiglie. La prima discriminazione che quei bambini incontrano è linguistica: non solo perché il Romanì non è una lingua riconosciuta - nessuna forma di istruzione è garantita nella lingua dei rom - ma anche a causa della noncuranza dei genitori, i cui figli spesso crescono senza imparare l'albanese - una scelta distruttiva, che esclude quei bambini da qualsiasi attività del paese in cui abitano. Se già è complesso convincere i genitori ad occuparsi dell'istruzione dei figli, si capisce come far studiare le giovani donne - sottraendole alle dinamiche famigliari e facendo sì che si sposino un po' meno bambine - risulti estremamente arduo: per un piccolo risultato, occorrono mesi e mesi di lavoro e di frequentazione diretta.

Cogitando arriviamo al bar, ovvero "in centro": come in ogni agglomerato umano del pianeta Terra. Finalmente un ragazzo mi saluta, sembra contento di vedermi. Mi viene incontro sorridendo, e mi chiede in albanese da dove vengo. Alla parola "Italia" si illumina, e mi dice che sta andando in Francia, partirà l'indomani mattina. Gli faccio i migliori auguri e gli stringo la mano. Eri mi spiega che in molti chiedono asilo politico in Francia, perché è più facile che negli altri paesi. Ancora oggi, l'asilo politico rimane il miglior passaporto per chi è disposto a partire: bisogna dimostrare di essere discriminati, il che, per chi sa leggere e scrivere e mantiene contatto con gli internazionali, non è nemmeno troppo difficile. A quanto pare in molti partono, ma altrettanti, alla fine, ritornano.

Il sole splende meno alto su Fushë-Kruja, e per i turisti è giunto il tempo di andare. I bambini ci hanno accolto e i bambini ci accompagnano fuori, come lo strascico di una sposa. Mentre volto le spalle a tutto quello che ho visto, penso a tutto, ma non saprei dire a cosa. Sono domande senza grammatica, in lingua pensiero. A nulla valgono i libri, i viaggi, le canzoni: a nulla vale quell'insieme d'informazioni diversamente accumulate che i sistemi educativi della civiltà qualificano come "esperienze formative".

Caffè, acqua e sapone
Di fronte alla vita vera, il cuore rallenta, la testa cammina: De Andrè aveva ragione. Ma la poesia omette per definizione la prosa: anche se nessun verso lo ammetterà mai, al ritorno dalle periferie ci attende, inevitabile, il sapone. Approfittando di una sosta al bar, sia io che Francesco visitiamo a turno il bagno. Eri resta seduta e ordina il caffè. Mentre mi sciacquo le mani con cui avevo fatto volare i bambini, un sottile senso di colpa mi attraversa il cuore: come me e prima di me, in tanti hanno toccato, e in tanti si sono lavati le mani. Chissà se, dopo aver scritto quest'articolo, mi occuperò mai più di quelle persone.

 

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