Di Fabrizio (del 21/11/2012 @ 09:09:40, in sport, visitato 1245 volte)
E' stato quello che mi son detto quando ho letto questa notizia su
Yahoo.
Un chiarimento per chi non mastica l'argomento: Ricardo Quaresma era (una
volta) un giovin calciatore di belle speranze, finché non mise piede nell'Inter,
da cui uscì senza troppi rimpianti e, come è successo a molti, da quel
momento ha tirato praticamente a campare. Ma è anche frutto dell'unione tra un
gitano portoghese ed un angolana. Ed a differenza di altri nomi noti, non ha mai
rinnegato la sua appartenenza al mondo romanì.
Mi immagino
i soliti cori che avrà dovuto subire in una carriera che ormai si è fatta
lunga. Invece, mentre testimoniava in tribunale per un furto che aveva SUBITO,
succede che pure sua madre viene rapinata! Tanto per riequilibrare la notizia,
non si capisce se da una rom o da una rumena o da una
rom rumena...
Il tutto, sembra sia terminato con l'aggressione del calciatore ad un
poliziotto turco (da quel che ne so, tipini da prendere con le molle). Che
mondo!!
taz.deIN BICICLETTA NELLO SLUM DEI ROM Pornopovertà illuminata? I Rom della Slovacchia orientale erano chiaramente sopraffatti
dall'invasione ciclistica. Perché, nonostante tutto, l'incontro di un giro
ciclo-politico può dirsi riuscito. Von PAUL
HOCKENOS
Lunik IX: il complesso residenziale alla periferia di Kosice è stato
costruito tra gli anni '60 e '70. Immagine: imago/ecomedia/Robert Fishman
"Turisti tedeschi verranno in bici a visitare le baraccopoli dei Rom" mi
diceva al telefono la mia amica Juliana da Kosice. "Questa è la goccia che fa
traboccare il vaso!" mi sono alterato. Mi aspettavo le loro critiche, ma non
così in fretta. "Però, sono un giornalista," ho ribattuto, "e ci scriverò sopra.
Questa è la differenza fondamentale - o no?"
Dietro il viaggio di una settimana a tema "Tra letargia e abbandono,
rassegnazione ed auto-organizzazione: un viaggio politico in bicicletta nella
patria dei Rom nella Slovacchia orientale" c'è l'organizzazione berlinese "Politische Radreisen".
La spedizione faceva parte del "turismo politico" sempre di moda. Viaggi
istruttivi su temi politici spuntano come funghi, in particolare quelli pittati
da sinistra. Invece di sorseggiare cocktail a Maiorca o sull'Adriatico,
visitiamo baraccopoli in Honduras o le misere capanne dei lavoratori migranti in
Malesia.
L'offerta dei taz ai "Viaggi nella civiltà" si è notevolmente allargata negli
ultimi anni. Comprende dai viaggi nei luoghi dei massacri di Srebenica/Bosnia-Herzegovina,
alla guerra nella dilaniata Gaza sino al Ruanda (La vita dopo il genocidio"),
tutti sotto la guida di un taz-corrispondente esperto che risiede in loco.
One-man event
I "Viaggi politici in bici" sono un evento one-man. L'operatore è Thomas
Handrich, politologo ed già presidente della Fondazione Heinrich-Böll nell'ex
Germania dell'Est. Questo cinquantunenne ha lavorato come consulente per una OnG,
il cui scopo era permettere ai giovani Rom di prendere in mano i propri
interessi.
Il viaggio di una settimana aq piedi sui Carpazi costò 800 euro a ciascuno dei
partecipanti - senza noleggio delle biciclette. 50 euro erano destinati a gruppi
locali di giovani rom.
A differenza della mia amica Juliana ho dovuto mettermi in viaggio per iniziare
a capire che questa spedizione potesse essere corretta, ma che ciò dipendesse da
molti fattori.
Solo alcuni punti critici
La prima domanda era se il nostro viaggio fosse un voyeuristico depravato "Pornopovertà",
o avrebbe permesso un incontro reale. Alla fine del viaggio mi sono convinto che
la nostra spedizione aveva giustificazione - con alcuni limiti, alcuni punti
critici.
Sono state le motivazioni dei partecipanti ad eliminare molti dei miei dubbi.
Nell'eterogeneo gruppo c'era un componente della frazione di sinistra del gruppo
parlamentare, un docente e ricercatore sull'antiziganismo della Alice-Salomon-Hochschule,
una studentessa di sociologia che ha lavorato sul tema dei Rom migranti da
Romania e Bulgaria, un pastore la cui chiesa si occupa di rifugiati, tre
giornalisti, un berlinese di 17 anni di origine rom e un appassionato di moto,
poco interessato ai Rom.
Spiegava uno squatter di Kreuzberg che voleva affrontare i propri pregiudizi nei
confronti dei Rom. Aveva trovato lavoro come custode in un campo profughi, dove
vivono molti Rom.
Il fattore di disturbo: un grande gruppo
Anche se nessuno nel gruppo era alla ricerca di brividi a buon mercato, la prima
visita in un quartiere rom a Kosice si è dimostrata difficile. Con
l'organizzatore, i traduttori ed un operatore sociale slovacco eravamo circa 20
persone - troppe.
Siamo giunti nell'angusto ufficio del sindaco o dentro una lodevole OnG con le
nostre biciclette ed i caschi in mano, come il proverbiale elefante nel negozio
di porcellane.
Asilo nel complesso residenziale Lunik IX. Immagine: imago/ecomedia/Robert
Fishman
Una barriera insormontabile
Il muro tra "noi" e "loro" sembrava almeno di due metri di spessore. I Rom delle
campagne dell'est erano chiaramente sopraffatti dall'invasione straniera.
Chi era questa gente? E cosa volevano qui? Naturalmente, non si erano mai visti
così tanti tedeschi rivestiti di goretex ad invadere la loro scuola
professionale o il loro circolo giovanile.
Tuttavia i Rom hanno risposto a molte delle nostre domande, nella maniera più
completa. Certo, abbiamo fotografato molto - finché i Tedeschi sono
rimontati sulle loro biciclette verso l'appuntamento successivo in programma.
Ciclisti, beninteso, che non erano soddisfatti delle risposte ricevute. Un
interprete slovacco ha espresso chiaramente il disagio per la situazione. A ciò
sono seguite discussioni, critiche, autocritiche - molto pazienti, accurate,
tutto molto tedesco.
Informazioni mancanti
E' apparso chiaro che a molti partecipanti mancavano informazioni necessarie
alla comprensione. La distanza tra noi e i Rom ci metteva a disagio. Sarebbero
stati necessari maggior dialogo e sensibilità.
Il resto del viaggio è andato meglio - con poche eccezioni. L'interprete di cui
sopra si è rifiutata di tradurre alcune domande che giudicava inappropriate.
Come quando uno dei giornalisti aveva chiesto ad un Rom disoccupato come
passasse le sue giornate.
Gli stessi Rom non ci sono sembrati infastiditi. Ad una nostra domanda
specifica, ci hanno risposto che erano grati perché qualcuno da fuori si
interessava sulle loro condizioni.
Ed una sera, ben pieni di birra e salsicce alla griglia, pedalando attraverso un
insediamento rom, i bambini ci hanno applaudito come se passasse il
Tour de France.
Il gruppo mostra qualcosa di sé
Alcuni ragazzi rom hanno improvvisato uno spettacolo di danza per gli ospiti, le
truppe in velocipede si sono vendicate con alcune canzoni. La nostra performance
è stata parecchio al di sotto del loro livello - ma avevamo infranto, almeno
stavolta, il nostro ruolo passivo e mostrato qualcosa di noi.
Il momento più difficile del viaggio è stata la visita a Lunik IX. La discesa
dalla torre posta alla periferia di Kosice verso il quartiere rom, simile a come
poteva essere Manchester al tempo del primo capitalismo industriale.
Lunik IX è il più rande ed oscuro slum nell'Europa centrale. 9.000 Rom in
condizioni di assoluta povertà vivono in edifici senza finestre. L'elettricità
ed il riscaldamento sono stati tagliati da anni.
Rispetto della privacy
A Lunik IX c'erano così tanti giornalisti, che il distretto avrebbe potuto
aprire un proprio ufficio turistico, scherzava la mia amica Juliana. O vendere i
biglietti.
Per rispetto il nostro gruppo si è mantenuto fuori dagli edifici. Abbiamo invece
visitato l'asilo locale e lasciato le le aule con i regali fatti a mano dai
bambini. Uno di questi regali adorna ora la porta del mio frigorifero.
Il complesso residenziale è stato concepito per oltre 50.000 persone. Foto:
imago/Pius Koller
E' da lodare l'organizzatore del tour, perché non solo ci ha guidato nei punti
caldi, come nella tipica due giorni giornalistica nella regione. Abbiamo
incontrato Rom di diverse classi sociale e diversi stili di vita.
I nostri partner si sono presi il tempo per spiegarci l'eterogeneità della
questione rom. Abbiamo parlato con diverse persone, dagli assistenti sociali ai
creativi, i cui punti di vista ci hanno permesso di comprendere meglio la
complessa realtà di vita dei Rom.
Quando siamo andati in visita al vice-sindaco di Kosice, sapevamo molto di più
rispetto all'inizio del nostro viaggio. Abbastanza, comunque, da fargli diverse
domande spiacevoli. Così tante, che uno degli attivisti rom che ci accompagnava
durante l'incontro, ha iniziato a difendere il sindaco.
La loro OnG lavora quotidianamente con gli amministratori, che sono stati eletti
da poco. Forse il nostro intervento spiritoso avrebbe potuto danneggiarli, senza
che lo volessimo [...].
Gruppi più piccoli
Da un progetto pilota - cioè il primo viaggio ciclistico-politico tra i Rom
della Slovacchia orientale - certo non ci si aspetta che tutto funzioni. Tutti i
partecipanti concordano sul fatto che la prossima spedizione avrà bisogno di
un'introduzione migliore - prima di visitare un insediamento rom. E che i gruppi
debbano essere più piccoli.
E' stato troppo breve anche l'introduzione del tema delle politiche regionali e
politiche negli ultimi anni, intervenute nel bel mezzo del Decennio EU
dell'Integrazione dei Rom.
La prossima volta andranno discusse e aggiunte regole sulle fotografie da
scattare, sulle domande scomode e sul ruolo dei giornalisti. Questi ultimi,
devono aggregarsi come gli altri giornalisti? O per loro vale il codice adottato
per gli altri turisti politici?
Da turisti a moltiplicatori
Per me questi viaggi sono un successo. Ogni viaggiatore, tutti i viaggiatori,
hanno oggi una visione più chiara del complesso quadro dei Rom e di uno dei
problemi più gravi d'Europa, di quanto potrebbero ottenere da uno sguardo sulla
globalità dei media.
Quasi tutti hanno appreso qualcosa, che sarà utile al proprio lavoro politico o
professionale. Siamo partiti tutti come turisti - e ritornati come
moltiplicatori.
Cosa può significare, in generale, per il turismo politico? Dipende da come
funziona. E da chi. E perché. In ogni caso, sono necessarie molte discussioni su
questi temi.
Di Fabrizio (del 05/01/2013 @ 09:01:24, in sport, visitato 1341 volte)
... ma soprattutto un BRAVO al Milan. Per due ragioni (le stesse che mi
hanno spinto a scrivere COCCI):
il razzismo non è un problema che riguarda solo chi ha una
pelle, una religione, diversa. Coinvolge tutti: neri e bianchi,
zingari e gagé;
una squadra, un collettivo, una società, non sono tali solo
quando c'è da dividere soldi e gloria, ma soprattutto nei
momenti difficili. Lo sono anche e soprattutto per difendere lo
stare assieme, che il bersaglio sia il fuoriclasse o un
raccattapalle. E si deve reagire ASSIEME.
E dato che non siamo ancora in par condicio, trovo che Renzo Ulivieri,
presidente dell'Assoallenatori,
centri perfettamente il punto: "E' stata una cosa importante, credo che
vada fatta anche nelle partite ufficiali. Credo che al di là della politica si
debba cercare di riappropriarsi del nostro 'mestiere' di cittadini. Purtroppo lo
abbiamo dimenticato, c'è una deriva ma tutti dovremmo chiederci: 'e io cosa ho
fatto per evitarla?'".
Basterà questo soprassalto di civiltà a contrastare secoli di malcostume?
Leggo:
Abbiamo ricevuto numerose mail di persone che confondono il sito del Pro
Patria Club con quello della società. L'oggetto delle mail è per tutti lo
stesso: come avere il rimborso per la gara interrotta.
In queste mail si coglie occasione per esprimere giudizi su quanto accaduto e
spesso ci si lascia un po' andare. Chiudiamo gli occhi, ma non su tutto, e
pubblichiamo quanto scritto da Milena T..... che scrive testuali parole:
[...]
La sottolineatura è mia. Le "testuali parole" le trovate sul sito del
Pro Patria Club.
Di Fabrizio (del 09/01/2013 @ 09:08:40, in sport, visitato 1323 volte)
Most, 3.1.2013 15:58, (ROMEA)
Tifosi cechi spargono voci su sussidi al calcio dei Rom - ryz,
Mostecky' deni'k, translated by Gwendolyn Albert
--ilustrachni' foto--
Il giornale Mostecky' deni'k riporta che diversi tifosi dell'Accademia
Calcistica di Most hanno lanciato accuse contro la locale associazione romanì,
che secondo loro beneficerebbe ingiustamente dei contributi comunali.
L'associazione civica Aver Roma (Jini' Romové - Altri Rom), che per il
secondo anno sta prendendosi cura dei giovani nella residenza di Cha'nov che
abbiano talento calcistico, respinge l'accusa che il municipio stia "buttando un
sacco di soldi" in questo lavoro.
"E' una sciocchezza. Non riceviamo questi importi mozzafiato. Come gli altri
club sportivi, non otteniamo una singola corona più di quanto non ci sia
dovuta," dice Petr Badzo di Aver Roma.
L'associazione ha ricevuto 27.500 corone (1.089 euro) nel 2011, anno in cui
iniziò a lavorare con 80 bambini, per finanziare le sue attività e comprare le
divise. Badzo dice che è stato il maggior contributo ricevuto, a cui sono seguiti
contributi del tutto ordinari per coprire le spese di trasporto.
Scrive il giornale che la squadra di Cha'nov ha terminato terza in classifica
lo scorso campionato. Gli è stata anche conferito il titolo di "squadra più
corretta". Ai bambini viene permesso di giocare a calcio purché siano
soddisfatti i loro obblighi scolastici.
Il contesto è dato da un
intervento del sindaco di Torino, volto a rilanciare la strategia
cittadina su Rom e Sinti. Intervento che, a parte i plausi per il coraggio
dimostrato a parlarne nel pieno della campagna elettorale, ha
(ovviamente) anche risvegliato le voci di chi è contrario: da una sommaria
lettura di altri siti web mi pare che i punti più criticati sono i ritardi
rispetto agli impegni già presi tempo fa, oltre alla solita domanda "Con quali
soldi??"
Dibattiti simili stanno fiorendo un po' in tutte le città, e anche le
modalità si somigliano. Dell'opinione del capogruppo leghista, mi interessa la
parte finale: FARLI SPARIRE. Mi chiedevo (linguaggio a
parte) in cosa si differenziassero le sue parole dall'altro mantra che
viene ripetuto dall'opposto schieramento: IL SUPERAMENTO DEI CAMPI.
I campi (parlo per esperienza personale) so come sono fatti: un insieme
di strutture dall'aria provvisoria ma che spesso durano decenni, abitati da gente
abbastanza strana. Li si SUPERA, come si supera un semaforo, un'indicazione
stradale ecc. andando oltre, oppure li si supera perché li si ignora. Come
qualsiasi cosa materiale, farli SPARIRE è impossibile: puoi usare la ruspa ma il
campo, beffardo, si ricrea qualche centinaio di metri più in là.
Così, magari per puro divertimento, entro in una storia trattata già tante
volte e da diversi punti di vista.
La questione dei Rom e' un problema complesso da
governare... dice il sindaco torinese.
Il tema dei rom è molto complesso e va affrontato nella
maniera opposta... risponde l'opposizione.
Consolante, direi. Altro tema che accomuna i due interventi è l'inciviltà
che regna in questi campi, che secondo l'esponente leghista è dovuta ai Rom
stessi, che non vogliono (lo si intuisce dal pensierino finale) andare a
lavorare, accendere un mutuo o pagare un affitto. Inciviltà che c'è
anche per il sindaco, ma non
si capisce di chi sia la colpa (dei Rom, del comune, della società malvagia?).
Come lettore, sono già disorientato da questo politichese, mi sembra di
nuotare nella marmellata. Per il momento:
PIERO FASSINO: 0 - FABRIZIO RICCA: 1
Sulla complessità, in effetti, l'opposizione tenta di fare pressing su
tempo
e soldi già passati. Ma, chiede il solito lettore, voi opposizione cos'avete
fatto? E qua, ci sta un clamoroso autogol, perché disorientato dal termine, il
capogruppo e la sua squadra rilanciano vecchie parole d'ordine che con la parola
complessità fanno a cazzotti: far scomparire tutti i campi nomadi, rimpatriare
gli zingari tramite i centri di identificazione ed espulsione e trasformare gli
spazi attualmente occupati abusivamente in aree di transito, da usare come sosta
temporanea previo pagamento dell'occupazione del suolo pubblico.
PIERO FASSINO: 1 - FABRIZIO RICCA: 1
Può sembrarvi generoso il punto a Fassino (che di suo ci ha messo poco), ma
parliamo di complessità e di saper governare (non di noccioline del
Piemonte!):
quanti "zingari" finirebbero nei CIE? Per quanto tempo?
Rimpatriati quando?
domanda ingenua: i CIE funzionano? A cosa servono?
campi sosta a pagamento? Chi mi da la garanzia che i
sostanti possano pagare? Se non hanno soldi e continuano a
vagare, cosa cambia rispetto a oggi?
Lasciamo perdere (ahi che guaio la complessità!) che ci sono
"zingari" italiani, stranieri comunitari, stranieri extracomunitari. Lasciamo
anche perdere che i CIE altro non sono che posti dove i diritti sono meno
rispettati che nelle prigioni (non sto facendo il solito estremista, sto
leggendo Wikipedia). La domanda, piatta-piatta, è: sinora i CIE hanno
influito sull'afflusso di migranti irregolari (o di migranti che hanno perso
i titoli legali di restare in Italia), oppure questi arrivi sono
proseguiti (aumentati addirittura)?
Il più grande deterrente all'arrivo di migranti (regolari o meno), non sono i
CIE, non sono neanche i nipotini di Borghezio. Gli arrivi in Italia stanno
diminuendo, per il solo motivo che qua non ci sono più soldi, e visto che i migranti (tra
cui i Rom) non sono stupidi, se possono cercano altre mete. Quanti tra loro
continuano il gioco eterno di rimpatrio-ritorno, sono quelli che sono stati
espulsi nonostante avessero qua una famiglia, un lavoro, qualsiasi interesse,
che fosse o meno riconosciuto dalla legge. Insomma, sto dicendo, finché non
risolveremo il problema NOSTRO della crisi, è fuorviante prendersela con i Rom.
A meno che, non si voglia iniziare da loro per prendersela in futuro con gli
altri stranieri (FALLO DA AMMONIZIONE).
Il fallo da ammonizione suscita (al solito) vivaci contestazioni dalla
panchina. Volendo (anche se non capisco come) si potrebbe rimpatriare TUTTI GLI
ZINGARI, italiani o meno, in India da dove sono arrivati qualche vagonata di
secoli fa. Ricca, ad esempio, è un cognome diffuso nell'imperiese ma che è
originario della Sicilia, non è che in caso di secessione nordista (sempre
di fantapolitica si parla), sarebbe rimpatriato anche il capogruppo leghista?
PER DIRLA CHIARA: se volevate chiudere le frontiere (o crearne di nuove), ne avete avuto tutto il
tempo. Non ne siete stati capaci (meglio così, ma resti tra noi...)?
Come succede in qualsiasi paese civile (e anche in quelli incivili), fatevene
una ragione. E date tempo e risorse a chi è arrivato qui QUANDO ERAVATE ANCHE
VOI AL GOVERNO, per sistemarsi e organizzarsi, perché adesso il problema è
questo e l'avete creato voi.
A parte ciò, sinora FAR SPARIRE un campo ha significato solo spostarlo di
poco, un po' come nascondere la polvere sotto il tappeto. I rimpatri, sono un
gioco simile, soltanto giocato su grande scala: i Rom vengono "deportati" in
paesi che non li vogliono, e che faranno di tutto a spingerli ad emigrare
nuovamente, Un eterno ping-pong. Sono quegli stessi paesi dove da un lato
investiamo per ridurre i costi della manodopera nostrana (ahi la crisi!), e dove
rimandiamo gente disinteressandoci di cosa succede loro dopo. E così, ritornano.
Dimenticavo, a proposito dell'autogol di prima: il capogruppo Lega Nord provi
a spiegare cosa deve fare un Rom per andare a lavorare, accendere un mutuo o
pagare un affitto, visto che, anche se fosse italiano, gli viene risposto
PRIMA NOI.
FINE PRIMO TEMPO
SUPERAMENTO: sentite com'è un termine più civile ed elegante? Fassino e tutta
la sua squadra giocano sicuramente un calcio più signorile, ma "semanticamente"
mi sfugge la differenza. E' un difetto molto italiano: ad un certo punto
qualcuno scopre una parola fortunata, che altri riempiono di una serie di
concetti tutti da dimostrare e valutare, dimenticando vincoli molto pratici come soldi e
tempi... e talvolta persino l'avversario!
Si è partiti il giugno scorso con
il piano del ministro Riccardi. Da allora, e non solo a Torino, ho letto un
susseguirsi di buone intenzioni, con pochissimi fatti. Perché, se la politica
del "chiudere e mandare via" ha i suoi costi (nonostante le semplificazioni
leghiste), che vengono ripagati solo in chiave ideologica (avremo
comunque nuovi arrivi e ritorni: l'inefficacia del risultato crea nuovi bersagli),
anche per superare i campi occorrono fondi e investimenti. Che, guarda caso, non
si trovano, sono bloccati, qualcuno li ha usati per altro... C'è addirittura chi
non si è posto il problema!
Il discorso, se ascoltiamo anche la controparte che si oppone, è: LI VOGLIAMO
O NO? Perché se non li vogliamo questi "zingari", allora a cosa serve investire
in casa, lavoro, sanità ecc? Magari salterà fuori qualche spicciolo che farà
gola a qualcuno, e si inizierà timidamente a fare qualcosa, per bloccarsi alla
prima difficoltà. E, se non li vogliamo, cosa ne facciamo? ATTENTI, se non
sappiamo che farne di questi zingaracci, c'è l'altra squadra pronta a segnare
in contropiede.
Il secondo ragionamento è: chi è il soggetto che attua il SUPERAMENTO? Per
essere chiari: chi gioca nella formazione di capitan Fassino? Al momento, posso solo
intuirlo: mediatori culturali (mi sa che sono i soliti),
associazionismo dal bel nome (mi sa che sono i soliti), imprese e
cooperative che qualche lavoretto - anche in tempo di crisi - lo chiedono (mi
sa... ops, l'ho già detto). Schierata sul campo di gioco, vedo la stessa
formazione che sino a qualche anno fa sui campi ci ha marciato alla grande (grandi
insuccessi, intendo). Come
sempre in panchina Rom e Sinti.
No, non parlo di qualche Rom e Sinto autoproclamatosi rappresentante di tutta la
galassia, parlo di quella massa che in quelle COSE SCHIFOSE CHE VORREMMO (forse)
SUPERARE ci vive, che lo
voglia oppure no. Vedete, se superiamo i campi con le stesse precondizioni con
cui li abbiamo ideati, cioè limitandoci a sentire gli autoproclamati ESPERTI e
consorterie,
non saremo (ancora!) in grado di superare la marginalità creata da
questi campi. Perché chi ci vive o chi lo lascia, viene trattato come un bravo
giocatore, anche indispensabile, ma da tenere in panchina.
Inoltre i campi, che piacciano o no, ci sono ancora. Ma il messaggio
che le tutte le amministrazioni (destra e sinistra) si sono trasmesse
sottotraccia è che non ci sono più i soldi per il loro mantenimento (manutenzione
elettrica e idraulica, sgombero delle fogne, supporto sanitario e scolastico),
Così il paradosso è che mentre si parla (si parla, ricordatelo: non che nei
fatti sia cambiato nulla) del loro superamento, anche il campo, anche
quello regolare, diventa sempre più invivibile, difficile e oneroso da gestire.
Chi vi abita, che sino a qualche anno fa aveva speranza e capacità per alzarsi
dalla panchina, in questa situazione ha sempre più problemi, URGENTI QUOTIDIANI
BASILARI, e di giocare non ci pensa, perché TUTTO GLI SEMBRA
LONTANO E ASTRATTO.
UNA PARTITA GIOCATA SENZA DI LUI.
Qui termina la telecronaca.
1-1, secondo me. Se avessi dimenticato qualche
bel
momento di gioco, fatemelo sapere. GRAZIE, PER IL MOMENTO E' TUTTO DAL VOSTRO
SANDRO CIOTTI.
Di Fabrizio (del 31/03/2013 @ 09:00:27, in sport, visitato 1634 volte)
ROMEDIA FoundationThe sound of silence: Calcio ungherese, razzismo
vergognoso - by Alastair Watt, 26 marzo 2013
Il 22 marzo a Budapest si è giocata Ungheria-Romania, importante partita di
qualificazione per la Coppa del Mondo di calcio che si terrà in Brasile nel
2014, e dopo molti anni entrambe i paesi sono nella migliore posizione per
partecipare a questo importante evento sportivo. Lo stadio Ferenc Puskas,
che può contenere oltre 50.000 spettatori, avrebbe dovuto essere un'esplosione
di suoni e colori, unendo un paese nella vittoria.
Invece, c'era silenzio. Assordante e, per l'Ungheria, imbarazzante
silenzio. All'inizio dell'anno la FIFA, l'organo di governo del calcio mondiale,
annunciava che l'Ungheria avrebbe giocato la sua prossima partita casalinga a
porte chiuse, come punizione per i cori antisemiti dei suoi fan, prima e durante
la partita con Israele dell'agosto scorso. Venerdì, l'Ungheria ha pareggiato con
la Romania con un potenzialmente pericoloso 2-2, in un'atmosfera decisamente
strana. Dopo aver segnato i goal, i giocatori ungheresi correvano per celebrare
davanti ad un pubblico che non c'era. Ben presto la confusione è subentrata alla
gioia iniziale.
Nel frattempo, fuori dallo stadio veniva disperso coi gas lacrimogeni dalla
polizia anti-sommossa un folto gruppo di manifestanti in passamontagna che
sventolavano le bandiere dello Jobbik. Il bel gioco veniva marchiato da atti
orribili.
Una partita tra Ungheria e Romania sarebbe comunque surriscaldata in ogni
circostanza, data la lunga rivalità tra i due paesi, e una significativa
minoranza di Ungheresi che vivono in Romania. Dal punto di vista calcistico è
uno scontro tra due3 nazioni riemergenti, con una generazione nuova ed
emozionante di giocatori. Tuttavia, l'incontro non è stato marcato né da
rivalità né da tecnica brillante. E' stato più caratterizzato da quell'atmosfera
vuota ed inquietante, che ha mostrato la malattia pervasiva ma raramente
affrontata dal paese: il razzismo. L'Associazione Calcistica Ungherese,
distintasi per la perdita di oltre 100.000 euro a seguito del divieto, ha
reagito, no condannando quei canti vili, ma facendo ricorso contro la decisione.
Ha sostenuto che la punizione era "dura" e "sproporzionata". Eppure, sono gli
stessi che promettono di "espellere le voci estremiste dal calcio ungherese".
Senza dubbio, un messaggio ambivalente. Da un lato, si vuole liberare il gioco
nazionale dal razzismo. Dall'altra, quando un incidente razzista nazionale viene
perpetrato dai propri sostenitori, nel proprio stadio, si reagisce con debolezza
e indulgenza. E' stata un'occasione tristemente mancata per prendere una
posizione contro il razzismo. Il loro ricorso è stato ovviamente respinto dal
Tribunale arbitrale per lo Sport. Erano gli Ebrei il bersaglio di agosto, ma il
razzismo e l'odio contro i Rom e i giocatori di colore si sono diffusi da anni
nel calcio ungherese.
Assistetti alla mia prima partita in Ungheria nell'ottobre 2011, al Florian Albert
Stadium, sede del Ferencvaros, la squadra più popolare di Budapest. Non
memorabile la partita contro il Videoton. Ma ciò che vidi e sentii sugli spalti
lo fu. "Cigano" (zingaro) gridò una coppia di tifosi Fradi (Ferencvaros)
alla mia destra, quando il portiere avversario corse verso la fine dello stadio.
Epiteto che, imparai presto, è tra i preferiti dalla folla. E' usato per ogni
apparente infrazione. L'arbitro prende una decisone da contestare: "Cigany!". Un
giocatore del Ferencvaros compie un errore: "Cigany!". I tifosi avversari
arrivano allo stadio: "Cigany!".
Questi cori sono stati resi illegali, ma la polizia non ha fatto niente. Se
avessero applicato la legge alla lettera, ci sarebbero stati migliaia di
arresti. Da altre parte in città, ad Ujpest per esempio, cori simili sono meno
comuni nella mia esperienza, ma sono esistiti. Nel contempo, vengono diretti a
gran voce fischi discriminatori e slogan di "scimmia" verso i giocatori di
colore. Raramente c'è un servizio d'ordine o qualche forma di autocontrollo
sugli spalti. Ci vorrebbe qualcuno di coraggioso che dicesse ai suoi compagni di
tifo che questi cori razzisti sono inaccettabili, ed il coraggio è una merce
rara nel calcio ungherese di oggi.
L'allenatore di un noto club ungherese, che preferisce rimanere anonimo, mi ha
detto che sarebbe un "suicidio per la carriera" ingaggiare un giocatore romanì
in Ungheria. Gli esempi sono dappertutto. Nel 2008-2009 il portiere Jan-Michael
Williams, di Trinidad, giocò nel Ferencvaros. Quella che avrebbe dovuto essere
una mossa interessante da parte di una squadra una volta famosa, diventò un
acido autogol, dato che Williams era sottoposto a frequenti abusi razziali,
anche da parte dei suoi "sostenitori".
Ricordando quella che descrive come la peggior esperienza della sua vita: "Sin
dall'inizio c'erano abusi razziali, sia da parte della nostra che degli
avversari. C'era il gesto della scimmia, "tornatene in Africa", manifesti e
cartelli." I tifosi ed i giocatori del MTK Budapest, fondato anche da ebrei
ungheresi, sono sottoposti a terribili abusi, tra cui il più inquietante è il
"sibilo" (che imita ipl suono delle camere a gas naziste), ripetuto dai tifosi
del Ferencvaros durante una partita agli inizi degli anni 2000.
Ne3gli anni recenti la scomparsa del calcio ungherese e le susseguenti scarse
presenze in Europa e Champions League, hanno mantenuto a livello locale questo
razzismo rampante, nascosto tra i confini ungheresi. Di tanto in tanto le
autorità europee o mondiali mandano ammonimenti, ma le reazioni a livello
nazionale riguardo al razzismo nel calcio sono di un'incertezza allarmante.
Hooligans di diverse squadre ungheresi sono noti per essere affiliati al partito
di estrema destra Jobbik, che si sposta con rapidità per trarre profitto dai
provvedimenti punitivi. Durante le manifestazioni tenutesi fuori dallo stadio
prima, durante e dopo la partita, lo Jobbik faceva opera di proselitismo tra i
tifosi colpiti dal divieto.
Questo è un test per i tifosi di calcio ungheresi. Si sentiranno accusati a
torto come gruppo, aggiungendo le loro grida all'eco del pianto degli estremisti
vittimizzati? O si coalizzeranno contro i razzisti i cui comportamenti minano i
progressi della migliore selezioni di giovani calciatori dopo decenni?
Lo dirà il tempo, ma se il danno auto-inflitto alle loro speranze di prendere
parte alla Coppa del Mondo non porterà ad una resistenza più attiva contro il
razzismo, non so cosa potrà succedere. Sono passati sessant'anni da quando la
più forte selezione ungherese (conosciuta come i magici Magiari) ottenne il suo
miglior risultato, battendo l'Inghilterra a Wembley, ispirata dal grande Puskas.
Che farsa, quindi, che lo stadio a lui intitolato fosse deserto per colpa degli
estremisti, che pure manifestavano al suo esterno, mentre il razzismo continua
senza essere affrontato nel calcio ungherese.
Di Fabrizio (del 05/06/2013 @ 09:03:30, in sport, visitato 2631 volte)
Mercoledì 12 giugno 2013, h. 21.00 Libreria Popolare di via Tadino 18
- MILANO
Il libro di Roger Repplinger, pubblicato dalle
Edizioni Upre Roma in
collaborazione con l'Istituto
di Cultura Sinta, racconta la vicenda di due eroi dello sport tedesco che si
intreccia negli anni dei grandi e drammatici rivolgimenti della storia europea,
nel secolo delle due guerre mondiali, delle rivoluzioni e degli stermini
razziali. Uno è un pugile "zingaro", l'altro un centravanti "ariano": si
incroceranno in un campo di concentramento dove il destino dell'uno è di porre
fine al destino dell'altro.
"Rukeli" Trollmann, sinto tedesco cresciuto nella città vecchia di Hannover, è
il pugile danzante, beniamino del pubblico maschile e femminile della Repubblica
di Weimar. Nei primi anni Trenta all'apice della forma diventa un pretendente
per il titolo di campione nazionale nei pesi mediomassimi, ma ha un difetto: è
uno "zingaro" e inoltre il suo stile non è "ariano". Ciononostante non si può
impedirgli di competere e nel giugno del 1933 combatte e vince il suo match per
il titolo. I nazisti, preso il potere hanno già iniziato le epurazioni razziali
e controllano anche la federazione dei pugili tedesca, dopo una settimana gli
tolgono il titolo.
Ma la cosa è troppo grossa, devono concedergli un'altra opportunità, ma lo fanno
a condizione che rinunci al suo stile e combatta da "ariano", fermo in mezzo al
ring a scambiarsi pugni. Il suo avversario è il più forte picchiatore europeo.
Rukeli sa che a quelle condizioni perderà e allora risponde a suo modo: vogliono
un ariano, farò l'ariano. Si presenta sul ring con i capelli tinti di biondo e
il corpo coperto di borotalco, si mette in mezzo al ring e per 5 round si
scambia pugni fino a cadere sul tappeto in una nuvola bianca. Con questo gesto
straordinario di sfida al razzismo del regime la sua carriera è finita, così
come è finita la convivenza di rom e sinti nella Germania nazista che dal 1942
saranno perseguitati perché "razza" da sterminare come la "razza" ebraica.
Espulso dall'esercito perché sinto, Rukeli finisce nel campo di concentramento
di Neuengamme dove incrocia Tull Harder, il grande centravanti dell'Amburgo e
della nazionale tedesca. L'eroe del calcio è l'opposto di Rukeli: di famiglia
borghese, aderisce subito al nazionalsocialismo, entra nelle SS, impiegato nei
Lager partecipa al Porrajmos, lo sterminio di massa di rom e sinti.
La fine di Rukeli sarà l'ultima espressione dell'orgoglio e della dignità sinta.
Costretto a sfidare uno dei kapò più feroci in un match davanti a tutti
prigionieri e alle SS del Lager, Rukeli sa che se perde si salva, ma
ciononostante mette ko l'aguzzino, ridicolizzandolo, così come aveva
ridicolizzato il razzismo nazista. La vendetta del kapò sarà la stessa,
annientare: pochi giorni dopo lo smacco, ucciderà Rukeli. Ma sarà il sinto a
vincere 70 anni dopo, quando la Germania restituirà ai famigliari di Rukeli,
scampati al Porrajmos, la corona di campione e con essa onore e dignità a lui e
a tutti i rom e sinti discriminati e perseguitati.
Ne parlano con il curatore PAOLO CAGNA NINCHI
DANIELE NAHUM già vicepresidente della comunità ebraica di
Milano
Di Fabrizio (del 27/06/2013 @ 09:08:00, in sport, visitato 1846 volte)
Se Pirlo non ammetterà mai di essere Sinto (mah... ce ne
faremo una ragione), consoliamoci con un vero Manouche (ndr.)
Eric Cantona con la maglia dello United nel 1996.
A destra la copertina del libro di Daniele Manusia - Nel libro di Daniele Manusia
la parabola dell'ex campione
tra colpi di genio e gesti folli
FILIPPO FEMIA -
LA STAMPA
Come si diventa una leggenda del calcio? I piedi buoni e la classe non bastano,
questo è certo. Sono fondamentali carattere, istinto e genialità (dentro e fuori
dal campo). Ma anche una buona dose di follia. Tutte caratteristiche che nel
"pedigree" di Eric Cantona non mancavano. Anzi. Nel libro "Cantona, come è
diventato leggenda" in uscita il 27 giugno (Add Editore, 14 euro) Daniele
Manusia ripercorre la storia di un campione indimenticabile. Una parabola
lastricata di gol, polemiche, trionfi, scivoloni e ritorni trionfali. Senza
dimenticare quelli che Manusia definisce i "grandi brutti gesti", che hanno
segnato la carriera del francese. "Cantona è un calciatore che ha sbagliato, si
è redento, è inciampato di nuovo, ha deluso alcuni tifosi, ne ha mandati in
delirio altri: è un enorme contenitore di storie, una più complessa dell'altra",
spiega l'autore.
Il suo ego smisurato emerge già al liceo, quando i compagni lo vedono aggirarsi
per i corridoi urlando "I am the king!". A 17 anni e mezzo debutta nella serie A
francese con la maglia dell'Auxerre, dopo essere stato scartato dal Marsiglia
perché "troppo lento". Il rapporto con i compagni è problematico, quello con gli
avversari turbolento. Eric è un personaggio schivo: vive in mezzo a un bosco,
legge Freud, dipinge e scrive poesie. Ed è estremamente suscettibile. A farlo
infuriare è il senso dell'ingiustizia: quando crede che qualcosa stia prendendo
una piega sbagliata, sente di dover reagire. Spesso nel peggiore dei modi. Come
nel 1991, quando in disaccordo con alcune decisioni dell'arbitro gli scaglia il
pallone addosso. Viene squalificato un mese, poi dà degli idioti ai membri della
commissione disciplinare, che aumenta la pena a tre mesi. E' qui che Cantona
sorprende tutti: "Mi ritiro". Ha solo 24 anni.
Michel Platini, ct francese e suo grande estimatore, lo convince a fare marcia
indietro e a trasferirsi oltremanica. Lo compra il Leeds, dove diventa presto un
idolo dei tifosi. E rivoluziona un calcio ancorato alla vecchia tattica del kick
and rush: ha un'eleganza impensabile per il suo metro e ottantotto, un fisico da
panzer con movenze da cigno. Uno dei primi attaccanti moderni. "Cantona ha
mostrato cose che fino ad allora nessuno aveva provato. Era un visionario:
faceva gol e assist che tutti credevano impossibili", spiega Manusia. Un vero e
proprio esteta nel rettangolo di gioco: "Non sono ossessionato dal gol,
preferisco fare un assist che spingere il pallone in rete a porta vuota: godo
troppo a toccare il pallone per limitarmi a segnare", diceva il francese.
Manusia descrive con minuzia le magie sportive del francese, ma ha il merito di
indagarne il lato più intimo, il Cantona uomo. Dall'ossessione per la follia -
"Non potrò mai essere altro che pazzo, perché ne ho bisogno per essere felice",
ripeteva -, alla fragilità esorcizzata con le spacconate.
Il suo punto più alto - e più basso insieme - lo raggiunge a Manchester, dove si
consacra con la maglia dello United. Riporta al successo una squadra a digiuno
da 26 anni, aprendo uno dei cicli più travolgenti della storia inglese. E ha la
forza di ripartire anche dopo il famigerato calcio da kung-fu rifilato a un
tifoso del Crystal Palace, in seguito al quale è squalificato otto mesi. Poi
l'uscita di scena discreta, con quell'assist di "rabona" per Yordi Cruyff,
figlio del suo unico mito d'infanzia. Quando si ritira non ha neanche 31 anni.
"Ha lasciato al top, mentre era ancora protagonista, evitandosi il lento declino
di molti colleghi", dice Manusia. I tifosi, coscienti di aver potuto ammirare
uno dei calciatori più forti della storia, sono in lacrime. "Il Re se n'è
andato, lunga vita al Re", recitano i cori e gli striscioni. E inizia la
leggenda Cantona.
Di Fabrizio (del 04/09/2013 @ 09:04:06, in sport, visitato 1835 volte)
Segnalazione di Paolo Teruzzi
E' lo sponsor sulla nuova maglia Calcio, il presidente del Monza con la bozza della maglia con la scritta
"Stop racism" (Foto by RADAELLI)
Il cittadino MONZA BRIANZA
Monza - "Stop racism". Non ci sarà uno sponsor commerciale
sulla maglia del Monza per la stagione 2013-2014, ma un messaggio importante:
"Stop al razzismo". Lo ha annunciato il presidente Anthony Armstrong-Emery
lunedì in municipio in occasione della presentazione di "Playing for Children",
in programma mercoledì 4 settembre allo stadio Brianteo alle 20.30.
In programma la presentazione della squadra di mister Asta e di tutte le
giovanili, la partita tra la Nazionale Piloti e i Giornalisti Sky (che
trasmetterà l'evento) per il centenario dell'Ac Monza Brianza. Il presidente ha
acquistato i biglietti di entrambe le curve per l'intero evento, per regalarli
ai tifosi e trasformare la partita in una festa dello sport. Il ricavato
sostiene il Comitato Maria Letizia Verga Onlus e l'Associazione Dynamo Camp per
il progetto Radio Dynamo in aiuto ai bambini ricoverati in ospedale.
Il presidente ha già chiamato più volte a raccolta i monzesi dalla sua pagina
facebook.
Di Fabrizio (del 27/09/2013 @ 09:06:44, in sport, visitato 1768 volte)
24 settembre 2013 - Iniziativa dell'Università Ca' Foscari e
dell'Associazione italiana calciatori.
Osservatorio calciatori sotto tiro è la risposta del mondo del calcio ai cori e
agli episodi di razzismo. Presentato ieri a Venezia, nel corso del convegno
Calcio e culture. Uniti contro il razzismo, è un'iniziativa dell'Università Ca'Foscari
di Venezia e dell'Associazione italiana calciatori (Aic).
L'Osservatorio nasce per sensibilizzare l'opinione pubblica, in primis i
giovani, sulla necessità di contrastare qualsiasi gesto di intimidazione, offesa
e minaccia rivolta a giocatori a livello sia agonistico sia dilettantistico. Nel
concreto, l'osservatorio si occuperà di analizzare i casi di razzismo che si
verificano in tutte le categorie. Ma l'attività di denuncia sarà affiancata
dall'impegno a scoprire e diffondere il positivo che esiste. "Per fare questo -
ha spiegato Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso pubblico, cui è
affidato l'osservatorio - abbiamo bisogno di un'alleanza con il mondo delle
scuole. Il nostro messaggio è che contrastare la violenza e difendere il calcio
pulito è compito di tutti coloro che amano lo sport e non può essere delegato".
Damiano Tommasi, presidente dell'Aic, ha spiegato l'importanza di "partire dai
ragazzi, imparando da loro: nemmeno si chiedono se Balotelli è italiano o meno,
non si pongono il problema del colore della pelle e sono incuriositi, non
spaventati, dalla diversità". Sugli episodi di razzismo che segnano il calcio ha
spiegato che "il rischio di chiusura degli spalti mette le società in allerta e
pronte a intervenire e condannare: in un mondo che ragiona cinicamente solo di
profitto il pericolo di perdere il guadagno rende tutti molto sensibili e questo
comunque ci fa gioco". Lilian Thuram, campione del mondo 1998, autore di
Le mie
stelle nere e creatore in Francia della fondazione Education contre le racisme,
ha sottolineato che "tante volte chiudiamo le persone dentro il colore della
pelle o dentro al loro genere e non andiamo oltre". (Red.)
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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