Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 19/11/2011 @ 09:50:02, in Europa, visitato 1866 volte)
Chiara-di-notte.blogspot.com
In un commento al mio terzo articolo sull'intolleranza fra tzigani e gadje' in
Ungheria, mi e' stato chiesto di spiegare qualcosa di piu' riguardo
all'Autogoverno Nazionale Rom di cui, appunto, parlo. Non smentendomi mai quando
qualcosa mi prende e sento di essere in grado di dare un piccolo contributo - ed
avendo un po' di tempo libero - avevo preso la tastiera e iniziato a
scrivere, salvo accorgermi alla fine che la mia risposta era venuta talmente
lunga da avere la struttura non piu' di un semplice commento, ma di un nuovo
articolo che avrebbe potuto benissimo integrare gli altri tre gia' scritti
sull'argomento. Ecco dunque, per chi fosse interessato, di cosa si tratta quando
si parla di sistema di autogoverno nazionale per le minoranze.
Creato nel 1993, il sistema di autogoverno avrebbe dovuto permettere ad ognuna
delle centotrentadue minoranze riconosciute in Ungheria di stabilire forme
locali, regionali e nazionali di autogoverno. L'Autogoverno Nazionale Rom (Országos
Roma Önkormányzat oppure Országos Cigány Önkormányzat), dunque, non si
differenzia da ogni altro autogoverno nazionale delle minoranze, come ad esempio
quello rumeno o tedesco che formalmente e sostanzialmente hanno identiche
funzioni.
Questi organi elettivi, che sono paralleli alle principali istituzioni, ma non
ne sostituiscono le funzioni, hanno soprattutto il compito di prendere decisioni
in materia di istruzione locale, sulla protezione delle tradizioni e della
cultura, e sulla lingua da utilizzare nelle istituzioni pubbliche e nei mezzi di
comunicazione stampati ed elettronici.
"Il nostro obiettivo e' quello di rappresentare i Rom ed aiutare il governo
locale a costruire ed operare in linea con quelle che sono le necessita' della
comunita'. E' importante per noi la legalita', la professionalita' e la
moralita'. Il nostro interesse comune e' quello di preservare i nostri valori e
la nostra identita', concorrendo allo sviluppo rurale e alla creazione di nuovi
posti di lavoro. Crediamo che in molti casi lo sviluppo vada oltre gli interessi
specifici delle comunita' locali, i comuni, le province, perche' in tutto il
paese, operando insieme, possiamo rafforzarci a vicenda."
Questo e' cio' che sta scritto nei propositi e nelle intenzioni, e i
rappresentanti dell'Autogoverno Nazionale Rom tentano di farlo contribuendo a
tutte le questioni che riguardano la minoranza Rom locale attraverso l'accesso
garantito alle riunioni del consiglio comunale, oppure tramite altre funzioni
speciali che vengono stabilite dallo stato centrale a seconda delle esigenze
contingenti del momento.
Oggi ci sono oltre 1.100 Autogoverni Rom locali in Ungheria e perche' un
autogoverno sia formato trenta persone, appartenenti ad un gruppo di minoranza e
residenti nello stesso comune, devono registrarsi e partecipare alle elezioni.
Fin dall'inizio, giuristi, studiosi e politici vari hanno espresso
preoccupazione per un sistema di governo separato in grado di deliberare sulle
questioni delle minoranze. Cio' anche a causa di vari ed evidenti problemi
procedurali. Nel 1997, in una conferenza a tre (il Consiglio d'Europa, l'Ufficio
del premier ungherese, e i rappresentanti degli autogoverni nazionali) che aveva
lo scopo di valutare il funzionamento del sistema, sono stati individuati molti
problemi: competenze poco chiare, mancanza di differenziazione tra i bisogni
delle varie minoranze, carenze di finanziamento, nonche' una scarsa
emancipazione degli elettori, indipendentemente dall'appartenenza etnica.
Quest'ultimo problema, combinato al fatto dei molti candidati che cercavano di
rappresentare gruppi di minoranza a cui non appartenevano, ha portato a casi,
come quello nella comunita' di Jászladány, di non rom (eletti da elettori non
rom), che in realta' avevano come finalita' quella di limitare l'efficacia
dell'Autogoverno Nazionale Rom locale.
Per risolvere alcuni di questi problemi, nel 2005, dopo anni di negoziati, il
Parlamento ungherese ha approvato una serie di modifiche al sistema di
autogoverno. I cambiamenti riguardano una piu' chiara definizione delle
competenze, il rapporto con il governo locale, e l'istituzione di meccanismi di
maggiore trasparenza per supervisionare i fondi destinati alle varie minoranze.
Queste modifiche hanno anche corretto parzialmente il problema che
nell'autogoverno fossero eletti cittadini non appartenenti a quel gruppo di
minoranza, esigendo che i candidati fossero nominati solo dagli appartenenti
alla minoranza stessa e che gli elettori registrati per eleggerli dovessero
ufficialmente dichiarare la loro etnia.
Ma anche se le modifiche hanno prodotto dei miglioramenti, non hanno affrontato
i problemi inerenti al modo in cui il sistema e' stato progettato, cioe' la
tendenza a marginalizzare le questioni delle minoranze, depositandole su una
struttura semi-governativa parallela molto limitata nelle sue funzioni,
piuttosto che affrontarle con veri e propri strumenti istituzionali.
Percio', seppur il sistema sia chiamato "autogoverno", tale termine e' improprio
in quanto la gamma delle sue competenze e' ben lungi da quelle che dovrebbe
avere un vero autogoverno. L'Autogoverno Nazionale Rom non ha, infatti, l'autorita'
di agire al di fuori di un ambito molto limitato di funzioni ed assomiglia piu'
ad una ONG che ad un organo elettivo. L'uso del termine "autogoverno", dunque,
non e' solo impreciso, ma in realta' danneggia la credibilita' e la legittimita'
dell'intero sistema tra i rom, in quanto suscita aspettative irrealistiche che
non vengono quasi mai realizzate nei fatti.
Tutto il difetto sta nel modo stesso in cui il sistema e' stato progettato che
gli impedisce di avere un impatto significativo sui temi di maggiore interesse
per la maggioranza dei rom e ne ostacola subdolamente l'integrazione politica.
Cio' e' dovuto al fatto che non era una vera integrazione politica l'intento
iniziale del governo quando lo ha creato. Piuttosto, il vero obiettivo era
quello di dare alle minoranze una salvaguardia per preservare le diverse
tradizioni culturali e linguistiche, ma soprattutto - secondo l'opinione di
molti – era un modo per incoraggiare i paesi vicini a fare la stessa cosa, cosi'
da permettere alle comunita' di minoranza ungherese lo stesso privilegio.
Gli Autogoverni Nazionali Rom, in ogni caso, non sono adeguatamente finanziati.
Soprattutto a livello locale mancano finanziamenti sufficienti per svolgere
entrambe le funzioni che erano l'intento originario del sistema: quella
socio-culturale, e quella di promuovere ulteriori progetti per migliorare le
condizioni di vita dei membri della comunita'. Con un budget bassissimo, di
appena tremila dollari l'anno, destinato ad ogni "cellula", senza che vengano
considerate le dimensioni della citta' o della popolazione, un Autogoverno
Nazionale Rom da solo non puo' coprire che un modesto stipendio per un
dipendente a tempo parziale incaricato di coordinare il lavoro dei suoi
rappresentanti eletti. Per tale motivo, i fondi stanziati dallo stato vengono
spesso integrati anche con aiuti che giungono a sostegno, come finanziamenti da
parte di privati e enti religiosi.
Gli Autogoverni Nazionali Rom sono autorizzati a distribuire tali fondi
sottoforma di aiuti a imprese, sostegno a famiglie oppure come borse di studio,
e cio' puo', in molti casi, essere fonte di manipolazione e uso improprio di
questi soldi. Ovviamente, come si puo' ben capire, tutto cio' crea contrasti e
conflitti all'interno della stessa comunita' rom.
Il mio parere - e non solo il mio - espresso piu' volte in varie occasioni, e'
che pur riconoscendo le carenze inerenti alla progettazione iniziale del
sistema, gli Autogoverni Nazionali Rom debbano innanzi tutto favorire una
maggiore partecipazione (ed inclusione) politica degli appartenenti alla
comunita'. Cosa che non puo' avvenire se non si allarga la base di persone
istruite. Il rischio, infatti, e'che a gestire gli autogoverni e ad essere
eletti siano in fondo sempre le stesse persone, per questo necessitano maggiori
fondi a sostegno dell'educazione e dell'istruzione. Oltre a cio', Autogoverni
Nazionali Rom e ONG, insieme, dovrebbero svolgere non solo un ruolo piu'
importante nel monitoraggio delle politiche dei governi locali e nazionali,
soprattutto per cio' che riguarda la trasparenza nei criteri con i quali vengono
assegnati e ripartiti i fondi, ma anche una funzione istituzionale di
monitoraggio ed eventuale denuncia laddove venga ravvisata una violazione dei
diritti umani.
Da
Roma_Francais
MENDICANTI IN TRIBUNALE: "LA CACCIA AI ROM CONTINUA"
Intervista: due rumene compaiono lunedì davanti al Tribunale di Bobigny per
"abbandono" dopo essere state arrestate mentre mendicavano insieme ai loro
figli. Il loro avvocato denuncia un'infrazione aberrante e chiaramente contro i
rom.
TF1 NEWS:
"In quali circostanze sono state arrestate le Sue due clienti e cosa viene
esattamente contestato loro?"
HENRI BRAUN, AVVOCATO:
"Maria e Genovita sono due giovani donne rom, originarie dalla Romania. Hanno
circa venti anni e sono arrivate in Francia alcuni mesi fa, con i loro mariti e
i loro figli. Come tutte le cittadine rumene e bulgare in Francia, non hanno
accesso al mercato del lavoro. Vivevano quindi in condizioni molto precarie, e
sono state costrette a mendicare per sopravvivere e nutrire i loro figli. Sono
state arrestate il 6 settembre al Bourget, mentre chiedevano l'elemosina per
strada, con i loro figli. Questi ultimi sono stati loro tolti per otto giorni,
poi finalmente restituiti. Da allora, sono citate per "abbandono" presso il
Tribunale di Bobigny.
Questo reato, che figura nel C.P. Art. 227-15 comma 2, è stato creato per mezzo
della legge di sicurezza interna del 2003. Stipula che costituisce un abbandono,
in particolare il fatto di mantenere un bambino di meno di sei anni sulla via
pubblica o in uno spazio riservato al trasporto collettivo di viaggiatori, con
lo scopo di sollecitare la generosità dei passanti. La sanzione prevista è di 7
anni di reclusione e di € 100'000 di multa. In seguito all'istituzione di questo
reato, c'è stata una prima ondata di controlli nel 2004 e nel 2005. Poi, il 12
ottobre 2005, la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza che impone alla
procura di apportare la prova che la salute del bambino è stata intaccata,
perché il reato possa essere costituito. Siccome non è mai il caso, gli arresti
si sono fermati di netto.
Ma l'attacco è chiaramente ripartito, dall'estate scorsa. La caccia ai rom
continua. Questo si ricollega all'offensiva lanciata un po' più di un anno fa,
con lo smantellamento di tutti i campi nomadi, in particolare nella zona di
Seine-Saint-Denis."
TF1 News:
"Questo lunedì sarà esaminata una questione prioritaria di costituzionalità (QPC),
depositata da Lei a metà ottobre, durante una prima udienza: perché Lei si
augura che questo testo venga abrogato?"
H.B:
"Ciò che sorprende, nei fascicoli delle mie due clienti, è che possiamo leggere
che i poliziotti hanno dichiarato abbiamo reperito e interpellato una donna di
tipologia rom. Il mio obiettivo è di fare sparire quest'articolo di legge, che
considero chiaramente contro i rom, in quanto fino ad oggi, ho visto soltanto
rom essere incriminati sulla base dell'art. 227 -15 comma 2. Quest'ultimo è
stato pensato in un senso discriminatorio ed è applicato in modo
discriminatorio. Semmai la mia QPC dovesse essere rifiutata oggi, mi rivolgerò
alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nel Lussemburgo, per violazione
della Carta europea dei diritti fondamentali. Ritengo infatti che la mendicità
non sia un reato. E quanto bene verrebbe stabilito che lo sia, la sanzione
proposta è totalmente spropositata. E' aberrante. Come è possibile che un furto
semplice sia punito con tre anni di reclusione, mentre il semplice fatto di
mendicare sia punito con sette anni?"
TF1 News:
"E' il fatto di mendicare con il proprio figlio, che è punito con sette anni di
reclusione."
H.B.:
"Sono d'accordo, ma il problema è che queste donne non hanno accesso né ai nidi,
né ai baby-parking. Quindi, come devono fare? La giustizia penale è lì per
reprimere dei comportamenti nocivi nei confronti della società. Ma nella
fattispecie, si mira semplicemente a stigmatizzare una parte della popolazione.
Trovo questo insopportabile. E senza fare alcun amalgama o volere tentare di
paragonare l'incomparabile, è ancora più insopportabile per il fatto che gli
zigani sono stati spesso stigmatizzati nella storia."
TF1 News:
"Nello stesso tempo però, la nostra società non può tollerare di vedere bambini
mendicare fuori tutto il giorno, con i loro genitori."
H.B.:
"La questione non è di sapere se si approva o meno moralmente questa situazione.
Nel fondo, sono ovviamente completamente d'accordo nel dire che il posto dei
bambini di meno di sei anni non è per strada a mendicare. La vera questione è di
capire se questo merita una repressione penale. All'ora attuale, non facciamo
nulla per questi bambini. Un inizio di soluzione sarebbe di dare a questa gente
l'accesso al lavoro. Hanno piene capacità per farlo. Allora, non avranno più
bisogno di mendicare."
TF1 News:
"La votazione di questo articolo di legge mirava ugualmente a mette un fermo
alle reti organizzate..."
H.B.:
"Può darsi che ciò esista, ma io non ne ho mai visto. Ho semplicemente visto
mariti e donne che provavano ad avere una vita migliore per i loro figli. Ma se
fosse il caso, esiste un altro testo che condanna lo sfruttamento della
mendicità e che non ho ancora mai visto applicato. Allora iniziamo da questo."
TF1 News:
"Durante la prima udienza a metà ottobre, un'altra donna arrestata alla Courneuve
e alla quale si rimproverava gli stessi fatti, è stata finalmente rilasciata.
Lei si aspetta la stessa clemenza da parte del Tribunale, nei confronti delle
Sue clienti?"
H.B.:
"Sono molto fiducioso in quanto all'ottenimento del rilascio, in quanto gli
esami clinici effettuati sui bambini hanno dimostrato che godono di perfetta
salute. I servizi di polizia stessi, hanno giusto constatato che il pannolino di
uno di loro era stato cambiato con un po' di ritardo, e che di conseguenza, il
piccolo aveva il sederino leggermente arrossato... Siamo quindi lontano dal
maltrattamento o dall'abbandono. Però il mio obiettivo si sposta più in là del
rilascio. Il mio obiettivo, come ve l'ho detto, è di ottenere l'abrogazione di
questo testo di legge."
Di Fabrizio (del 07/12/2011 @ 09:30:10, in Europa, visitato 1397 volte)
di Slavoj Žižek - 29-Nov-11
La paura degli immigrati contagia anche il multiculturalismo progressista
disposto ad accettare l'Altro a patto di privarlo della sua Alterità
Dopo decenni di speranza sostenuta dallo Stato sociale, durante i quali i tagli
finanziari venivano spacciati per temporanei, e compensati dalla promessa che le
cose sarebbero presto tornate alla normalità, stiamo entrando in una nuova epoca
nella quale la crisi - o, meglio, una specie di stato economico d'emergenza, con
il relativo bisogno di misure d'austerità d'ogni tipo (tagli dei sussidi,
riduzione dei servizi sanitari e scolastici, maggiore precarietà dei posti di
lavoro) - si è fatta permanente. La crisi sta diventando uno stile di vita. Dopo
la disintegrazione dei regimi comunisti, nel 1990, siamo entrati in una nuova
era nella quale un'amministrazione tecnica, depoliticizzata, e il coordinamento
dei diversi interessi sono diventati la forma predominante di esercizio del
potere statale. L'unico modo di introdurre passione in questo tipo di politica,
l'unico modo di mobilitare attivamente le persone, è fare leva sulla paura: la
paura degli immigrati, la paura del crimine, la paura dell'empia depravazione
sessuale, la paura di uno Stato invadente (con il suo fardello di tassazione
elevata e controllo), la paura di una catastrofe ecologica, e inoltre la paura
delle molestie (il politicamente corretto è la forma progressista esemplare
della politica della paura).
Una politica di questo tipo si fonda sempre sulla manipolazione di una
moltitudine paranoica: la spaventevole mobilitazione di donne e uomini
spaventati. Per questo il grande evento del primo decennio del nuovo millennio è
stato il momento in cui la politica anti-immigrazione è diventata largamente
diffusa e ha reciso il cordone ombelicale che la legava ai partiti minoritari di
estrema destra.
Dalla Francia alla Germania, dall'Austria all'Olanda, cavalcando il nuovo
spirito di orgoglio della propria identità storica e culturale, i partiti
maggioritari ora trovano accettabile sottolineare che gli immigrati sono ospiti
tenuti a adattarsi ai valori culturali che definiscono la società ospite: «Č il
nostro Paese, prendere o lasciare», questo è il messaggio.
I progressisti, ovviamente, sono inorriditi da questa forma di razzismo
populista. Tuttavia, un esame più attento rivela quanto la loro tolleranza
multiculturale e il loro rispetto delle differenze condividano con coloro che si
oppongono all'immigrazione il bisogno di tenere gli altri a debita distanza.
«Gli altri sono okay, li rispetto», dicono i progressisti, «ma non devono
invadere troppo il mio spazio. Nel momento in cui lo fanno, mi molestano...
Sostengo senza riserve l'affermazione della propria identità, ma non sono
disposto ad ascoltare musica rap ad alto volume». Ciò che si sta imponendo come
diritto umano centrale nelle società del tardo capitalismo è il diritto di non
essere molestati, ossia il diritto di essere tenuti a distanza di sicurezza
dagli altri. Il posto di un terrorista i cui piani micidiali debbano essere
sventati è a Guantánamo, la zona vuota sottratta all'esercizio della legge; un
ideologo del fondamentalismo dovrebbe essere ridotto al silenzio perché istiga
all'odio. Persone simili sono soggetti tossici che compromettono la mia
tranquillità.
Sul mercato odierno troviamo un'intera serie di prodotti privati delle loro
proprietà nocive: caffè senza caffeina, panna senza grassi, birra senza alcol. E
la lista potrebbe continuare: che dire del sesso virtuale, ossia sesso senza
sesso? E della dottrina di Colin Powell sulla guerra senza vittime (del nostro
schieramento, naturalmente), ossia guerra senza guerra? E dell'attuale
ridefinizione della politica come arte dei tecnici dell'amministrazione, ossia
politica senza politica? Tutto ciò conduce all'odierno tollerante
multiculturalismo progressista come esperienza dell'Altro privato della sua
Alterità: l'Altro decaffeinato.
Il meccanismo di questa neutralizzazione è stato teorizzato nella maniera
migliore possibile, come ho detto spesso, nel 1938 da Robert Brasillach,
l'intellettuale fascista francese, che si vedeva come un antisemita «moderato» e
inventò la formula dell'antisemitismo ragionevole. «Ci concediamo il permesso di
applaudire Charlie Chaplin al cinema, un mezzo ebreo; di ammirare Proust, un
mezzo ebreo; di applaudire Yehudi Menuhin, un ebreo... Non vogliamo uccidere
nessuno, non vogliamo organizzare pogrom. Ma pensiamo anche che il modo migliore
di intralciare le sempre imprevedibili azioni dell'antisemitismo istintivo sia
organizzare un antisemitismo ragionevole». Non è forse lo stesso atteggiamento
che troviamo diffuso nel modo in cui i nostri governi trattano la «minaccia
immigrazione»?
Dopo avere sdegnosamente respinto il razzismo populista esplicito in quanto
«irragionevole» e inaccettabile per i nostri standard democratici, appoggiano
misure «ragionevolmente» razziste, ovvero, come ci dicono i Brasillach del
giorno d'oggi, alcuni dei quali persino socialdemocratici: «Ci concediamo il
permesso di applaudire atleti africani ed est-europei, medici asiatici,
programmatori di software indiani. Non vogliamo uccidere nessuno, non vogliamo
organizzare pogrom. Ma pensiamo anche che il modo migliore di intralciare le
imprevedibili, violente azioni istintive anti-immigrazione sia organizzare una
protezione anti-immigrazione ragionevole».
Questa prospettiva di disintossicazione del prossimo suggerisce un netto
passaggio dalla barbarie diretta alla barbarie dal volto umano. Rivela la
regressione dall'amore cristiano del prossimo all'istinto pagano di privilegiare
la propria tribù rispetto all'Altro, il barbaro. Seppure travestita da difesa di
valori cristiani, costituisce la minaccia maggiore all'eredità culturale del
cristianesimo.
[Traduzione di Alba Bariffi]
http://www3.lastampa.it
14/11/2011
Slavoj Žižek, 62 anni, sloveno di Lubiana, è un
filosofo (e psicanalista) tra i più popolari d'oggi. Il testo di cui qui
proponiamo uno stralcio è pubblicato sull' Almanacco Guanda 2011 (pp. 149, 25),
curato da Ranieri Polese, che ha per titolo «Con quella faccia. L'Italia è
razzista? Dove porta la politica della paura». Tra gli altri autori Gianni
Biondillo, Andrea Camilleri, Luciano Canfora, Franco Cardini, Marcello Fois,
Edoardo Nesi.
Di Fabrizio (del 12/12/2011 @ 09:40:56, in Europa, visitato 1920 volte)
Lunedì 19 dicembre 2011 alle ore 21.00
Circolo ARCI Martiri di Turro - Via Rovetta 14 a Milano
Documentario di Gianmaria Carrara, Luca Orioli e Lorenzo Giglio (www.aroproductions.it)
– Italia - 2011 – terzo appuntamento della III^ edizione della rassegna di film
"HO INCONTRATO ZINGARI FELICI" (Maladilem Bachtale Romenca - da Upre Roma),
organizzata dall'Associazione La Conta in collaborazione con l'Associazione Aven
Amentza – Unione di Rom e Sinti, con l'Associazione ApertaMente, con la
redazione di Mahalla e con il Circolo ARCI Martiri di Turro, con
ingresso gratuito, con tessera Arci.
Sarà presente il regista Gianmaria Carrara. Presenta la serata Fabrizio Casavola
- Redazione di Mahalla che parlerà anche della situazione dei Traveller
irlandesi e degli ultimi allevatori di cavalli a Milano.
"The million dollar kid" è un puledro appena comprato da Dennis alla
fiera dei cavalli di Ballinasloe, in Irlanda. Dennis è un "traveller",
ovvero un viaggiatore, così vengono chiamati per il loro nomadismo gli
zingari irlandesi. La vita di Dennis, come di molti altri travellers, è
legata di generazione in generazione all'allevamento ed il commercio di
cavalli. Questo documentario lancia uno sguardo ad una Irlanda poco
conosciuta, alla scoperta della vita, cultura e tradizioni di questo popolo
nomade.
Oltre al documentario sarà proiettato uno slide show multimediale
realizzato con l'integrazione
Di Fabrizio (del 12/12/2011 @ 09:53:14, in Europa, visitato 1568 volte)
Da
Romanian_Roma
Rispetto linguistico per un popolo una volta deriso come zingaro - By Gerry Hadden
05/12/2011 - In Romania, il termine ufficiale per la minoranza zingara del
paese è stato modificato, dopo quasi un secolo di pressioni.
Il dizionario rumeno ufficiale usa ora il termine Rom, e riconosce che la
parola Zingaro, o Tigan, ha una connotazione peggiorativa. Festeggiano i gruppi
che promuovono i diritti dei Rom, ma molti rumeni - ed alcuni degli stessi rom,
sono contro il cambiamento.
In una stradina dietro ad un affollato mercato agricolo nella capitale,
Bucarest, un Rom di nome Aurika dice che tra di loro ci si chiama Tigan, e non
Rom.
"Per me non è una parola negativa," dice. "Ma, se tu ed io stiamo discutendo,
e mi chiami Tigan, avremo un problema."
Interviene suo figlio, Antoni.
"Io voglio essere chiamato Rom," dice, timidamente.
Suo padre si arrabbia.
"Perché?" chiede. "Perché a scuola ti hanno detto che gli Tigan sono
cattivi?"
Il ragazzo risponde di sì.
"E' sbagliato," dice Aurika. "Tu sei tanto Tigan che cittadino rumeno."
Pregiudizio, rabbia e confusione simili non sono nuovi in Romania. Alcuni
gruppi Rom hanno chiesto un cambiamento sin dall'inizio del XX secolo.
Finalmente, l'hanno ottenuto quest'anno.
Monica Busuioc, linguista presso l'Accademia Rumena, è tra quanti hanno
deciso di rimpiazzare la parola Zingaro o Tigan con Rom. (Foto: Gerry Hadden)
L'Accademia Rumena, il guardiano della lingua, ha ufficialmente definito il
gruppo come Rom. Dietro questo grande cambiamento c'è la minuscola Monica Busuioc,
un'anziana donna con gli occhiali che lavora al quarto piano dell'Accademia.
Recentemente, Busuioc era seduta con di fronte a sé l'ultima edizione del
dizionario ufficiale rumeno. Disse che non solo riconosceva Rom come nome
corretto del gruppo etnico, ma faceva anche una modifica antrettanto importante
al vecchio nome, Tigan.
Prima definiva -qualcuno con comportamento malvagio-. Abbiamo aggiunto
-epiteto insultante rivolto a chi ha un comportamento incivile-."
Busuioc dice che i linguisti non hanno il diritto di rimuovere termini come
Tigan dai dizionari, non importa quanto sia offensivo, perché sono parte della
storia. La parola Tigan, dice appare in documenti che risalgono al XIV secolo.
Ma l'Accademia può modificare le definizioni per riflettere la realtà
sociale.
"Questo termine era usato frequentemente nei detti, proverbi e così via. Non
si può eliminarlo dalla lingua rumena. Un dizionario non può eliminare una
parola," dice Busuioc.
Introdurre Rom nel dizionario è offensivo anche per alcuni Rumeni perché,
nella loro lingua, i due termini si assomigliano. (VEDI,
ndr)
Molti Rumeni non vogliono essere confusi con i Rom.
A Bucarest, alla fermata dell'autobus, una donna che dice di chiamarsi Julia,
ci dice che i Rom sono pericolosi e danno una cattiva fama ai Rumeni,
soprattutto oltremare. Dice che sua sorella è un'infermiera onesta e gran
lavoratrice, in Italia.
"Ogni giorno, i suoi colleghi le mostrano gli articoli sul giornale dicendo,
guarda cosa fanno i tuoi Rumeni," dice. "Ma quello che le mostrano sono i
crimini commessi dagli zingari."
Ana Avasiuc, che lavora con una OnG di Bucarest chiamata
Impreuna, dice che quando la gente si riferisce ai Rom come Tigan, è un
ulteriore isolamento dalla cultura maggioritaria
I gruppi per i diritti dei Rom dicono che è l'attitudine che vogliono
cambiare, e togliere il termine Tigan dall'uso popolare può aiutare. Ana Avasiuc,
assieme all'OnG di Bucarest chiamata Impreuna, dice che usare la parola Tigan
aumenta la ghettizzazione linguistica.
"Leggevo della comunità rom di Baia Mare nella Romania centrale, attorno alla
quale il municipio ha fatto costruire un muro del costo di 60.000 euro," dice.
"Invece di spenderli perché i Rom riprendessero il loro diritto ad essere
cittadini, sono stati usati per spingerli il più lontano possibile dalla vita
cittadina." (VEDI,
ndr)
Il muro è di cemento. In un'altra città rumena, ne è stato costruito uno di
metallo. Allora i Rom l'hanno buttato giù e rivenduto come rottame. (VEDI,
ndr)
Questi incidenti non hanno certo contribuito a migliorare l'immagine dei Rom
o della Romania, tanto localmente che all'estero. La domanda è: cambiare una
parola sul dizionario, può cambiare realmente le cose? Busuioc dice di non
esserne sicura.
"Non posso combattere la discriminazione solo a livello di parole. E' un
problema di mentalità da cambiare. Di sicuro le parole aiutano. Se al posto di
Tigan senti Rom, Rom, Rom, allora comincerai ad usare Rom anche tu."
Per cambiare, una lingua ha bisogno di secoli, dice, ma da qualche parte si
deve iniziare.
Oltre al linguaggio, il governo presenterà a breve un piano per migliorare le
condizioni dei Rom, attraverso l'integrazione sociale e programmi di lavoro,
miglioramento degli alloggi ed istruzione per i giovani.
L'Unione Europea ha dato il termine di fine anno a tutti gli stati membri,
per predisporre piani volti al miglioramento della situazione dei Rom.
Di Fabrizio (del 20/12/2011 @ 09:36:52, in Europa, visitato 1661 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso di Cristina Bezzi 15 dicembre 2011
Foto di Cristina Bezzi
Che impatto hanno i fenomeni migratori sui diritti dei bambini? In questo
reportage Cristina Bezzi, antropologa, visita la Moldavia romena, una delle aree
più povere della Romania e più colpita dall'emigrazione
Secondo le stime UNICEF sono 350.000 in Romania i bambini con uno o entrambi
i genitori all'estero per lavoro. Mentre madri e padri sono in Italia, Spagna e
Francia per contribuire ad un bilancio famigliare altrimenti impossibile, loro
vengono accuditi da zii, nonni o altri parenti. A volte vivono praticamente
soli, magari affidati a qualche vicino di casa.
Anche a seguito di recenti e drammatici fatti di cronaca al destino di questi
"orfani bianchi", così vengono chiamati, si inizia a prestare sempre più
attenzione. Ci siamo recati nella Moldavia romena - nordest della Romania, una
regione tra le più povere del Paese e quindi più colpite dal fenomeno migratorio
- accompagnati dai volontari dell'Albero della Vita, Onlus impegnata nella
tutela e salvaguardia dei diritti dei bambini.
Il progetto children rights in action
Il progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea "Children's
rights in action. Improving children's rights in migration across Europe"
è coordinato dalla fondazione L'albero della vita di Milano e vede come
partner la fondazione ISMU, l'Università di Barcellona, la Fundaciò
Institut de Reinserciò Social e l'associazione Alternative Sociale di
Iaşi. Scopo del progetto analizzare le condizioni dei bambini romeni
coinvolti nel processo migratorio familiare, in Romania, Italia, Spagna
e sviluppare delle buone prassi per ridurre la loro condizione di
vulnerabilità. Spesso i loro diritti fondamentali vengono violati sia
nel paese di origine ma anche in quello di accoglienza a causa delle
difficoltà d'integrazione nel nuovo sistema. L'importanza della ricerca
appare evidente se si pensa che solo in Italia sono 105 mila i romeni
iscritti alla scuola dell'obbligo e che molti si ricongiungono ai loro
genitori solo dopo anni di distanza.
L'economia della zona è basata prevalentemente su un'agricoltura
di sussistenza che, già fragile, è stata messa in ginocchio dalle
alluvioni che nel 2008 hanno colpito l'intera area. Molti hanno dovuto
considerare la migrazione, per poter far fronte ai bisogni familiari. E
sono partiti per periodi più o meno lunghi, lasciando i figlia a casa.
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Liteni: vivere a ritmo del passato, abitare nelle case del futuro
Parto dall'affollata autostazione di Iaşi, principale città della Moldova
romena, alle 6.30 del mattino con il minibus che ogni mattina accompagna gli
insegnanti della scuola media ed elementare del paese al lavoro. Trascorso un
primo pezzo di superstrada svoltiamo su una strada bianca che ci porta dalla
veloce e moderna città a Liteni, paesino a circa 50 chilometri da Iaşi dove il
30% dei 2.200 abitanti lavora all'estero. "In realtà sono molti di più", spiega
il sindaco, Petraş Constantin, perché molti continuano a rimanere registrati
all'anagrafe pur non vivendo più nel paese".
Qui il ritmo è ancora scandito dalle stagioni e al posto delle macchine che
hanno oramai invaso la città, la gente si sposta utilizzando carretti di legno
trainati da cavalli. Tutt'intorno distese di campi in passato coltivati da
un'azienda agricola di stato, restituiti poi negli anni '90 ai vecchi
proprietari. L'attività agricola è la principale occupazione delle persone che
vivono nel paesino di Liteni; in questo periodo uomini, donne, vecchi e bambini
sono impegnati nella raccolta del mais e il paese, nelle prime ore del
pomeriggio, è attraversato da carri carichi di pannocchie seguiti da intere
famiglie che tornano verso casa.
E' proprio l'immagine di un cavallo che rimane bloccato dal peso esagerato del
carro davanti al cancello di un'enorme e moderna villa in costruzione che mette
in risalto la doppia identità del luogo.
La vita del villaggio procede con il suo antico ritmo di campi arati dal
cavallo, giornate che iniziano con il sorgere del sole e terminano con il suo
tramonto, ma accanto alla strada bianca e polverosa si innalzano case
modernissime quasi tutte non intonacate, che stanno sostituendo le piccole
abitazioni tradizionali dai caldi colori pastello.
Dietro ad ogni casa nuova o in costruzione c'è una storia di migrazione. Lo
stile delle costruzioni spesso racconta anche la storia di quella migrazione,
come osserva Gheorghe Moga, direttore della scuola del paese: "Se osservi le
caratteristiche delle case puoi capire anche dove le persone sono emigrate". Da Liteni le persone si sono dirette principalmente in Italia, Spagna, Francia e in
misura minore in Germania.
La maestra
Entriamo nella prima elementare con la maestra Ileana, i bambini le si fanno
attorno e la stringono forte in abbracci. "Manifestano così la loro carenza
affettiva", mi spiega. Ileana chiede quanti di loro hanno un genitore
all’estero, più della metà dei circa venticinque bambini alza la mano, la
maggior parte ha la mamma lontana; nel villaggio questa è la normalità.
Ileana stessa è tornata in paese solo per alcuni mesi, in realtà lavora in
Italia già da due anni e a breve ritornerà lì per accudire una persona anziana.
"Nel 2009 c'è stato un' ulteriore riduzione degli stipendi per coloro che
lavorano nel pubblico, tutti gli stipendi sono stati ridotti del 25%, se prima
prendevo circa 300 euro dopo il 2009 lo stipendio è arrivato a 250. Ho una
figlia che sta studiando a Iaşi al liceo, solo per il vitto e l'alloggio devo
pagare 100 euro al mese più tutte le altre spese. Mio marito lavora la terra,
non ha un salario fisso e trovare lavoro qui è molto difficile. Semplicemente se
io non fossi partita non ce l'avremmo fatta".
Cerco un posto dove potermi risciacquare le mani. Maria, una ragazza di 14 anni,
mi sorride e si offre di aiutarmi. Mi guida verso il pozzo azzurro proprio di
fronte alla scuola; il villaggio infatti non è dotato di acqua corrente. Maria
stringe forte la catenella del secchio alla corda e con movimenti decisi inizia
a calare. Maria è molto curata e sembra essere serena nonostante l'assenza del
padre e la distanza della madre partita per lavorare in Italia quando lei aveva
otto anni. Vive con gli zii e i cugini, sembra capire i motivi per cui la madre
è lontana, ma parlando con lei hai l'impressione di rivolgerti ad un' adulta
responsabile più che ad un'adolescente.
Quando la crisi fa migrare le donne
Spesso sono le mamme a partire perché in questo periodo è più facile per una
donna trovare lavoro. Dopo l'entrata della Romania nell'Unione Europea (2007),
il flusso migratorio femminile è andato aumentando, mentre in seguito alla crisi
economica sono stati molti gli uomini a rimanere senza lavoro e a tornare in
Romania. A Liteni ci sono diverse donne che lavorano principalmente in Spagna ma
anche nel sud Italia. Maria parte per circa 3-4 mesi all'anno, non vuole
prolungare di più la sua assenza perché ha due bambini di 7 e 9 anni. Suo marito
aveva lavorato per un periodo in Germania ma negli ultimi anni non è più
riuscito a trovare lavoro.
Come lui anche Vasile, un 42 enne di Liteni, e rientrato dopo aver perso il
lavoro all'estero. Ha lavorato come manovale a Torino per ben 7 anni, ma
ultimamente faceva fatica a trovare lavoro ed inoltre spesso i datori di lavoro
non lo pagavano: "Succede spesso, lavori per mesi e poi il datore non ti paga e
quindi alla fine ho cercato un posto per mia moglie come badante. Adesso lei è
lì".
Vasile e la moglie hanno quattro figlie: sei, otto, dieci e quattordici anni.
Attualmente è lui a prendersene cura; ha dato la sua terra in affitto per poter
seguire le figlie e le faccende di casa. A breve però desidera tornare a Torino
dove spera di trovare nuovamente lavoro e lascerà le figlie in custodia alla
sorella.
La sua idea è quella un giorno di rientrare definitivamente in Romania, ma non
riesce ad immaginare quando: "Fino a quando le figlie non saranno grandi saremo
costretti a lavorare all’estero. Qui la gente vive di ciò che produce la terra,
non ci sono posti di lavoro, sarebbe necessario andare in città ma anche lì è
difficile e un salario medio, di circa 250 euro, non è comunque sufficiente a
far sopravvivere una famiglia". Vasile alza lo sguardo e mi mostra con orgoglio
la casa che stanno costruendo attraverso le rimesse, anche se non è finita a
breve potrà trasferirsi lì a vivere con le figlie. In lontananza la sua casa non
intonacata si confonde con le pareti grige di numerose altre case. Ma sarà
possibile per gli abitanti di Liteni tornare un giorno a vivere stabilmente nel
loro paese?
Ancora bambini con la "chiave al collo"?
Come spiega lo psicologo Catalin Luca, direttore dell'associazione Alternativa
sociale, la prima in Romania ad occuparsi dei bambini soli a casa, il fenomeno
non è nuovo in Romania: "Durante il comunismo ci sono state diverse generazioni
di bambini che sono cresciuti da soli, poiché ambedue i genitori lavoravano
tutto il giorno. Questi bambini sono conosciuti come la generazione dei "bambini
con la chiave al collo", perché passavano le giornate davanti al block con la
chiave di casa appesa al collo, in attesa che i genitori rientrassero. Questa
stessa generazione è quella che oggi emigra e lascia i figli a casa pensando
che, così come è stato per loro in passato, il compito del genitore sia quello
di sostenere i figli da un punto di vista materiale, proprio perché anche loro
sono stati abituati alla distanza emotiva e a volte anche fisica dai genitori".
L'Associazione Alternative Sociale di Iaşi ha iniziato ad occuparsi di questo
fenomeno impegnandosi attraverso campagne di sensibilizzazione e di informazione
per i genitori, attività di prevenzione e counseling per i minori e proposte di
legge per la tutela dei minori rimasti soli a casa.
Catalin Luca ha recentemente concluso la sua ricerca di dottorato in cui ha
indagato le conseguenze causate dalla lontananza dei genitori, utilizzando un
approccio che tiene in considerazione il punto di vista del bambino: "Dal loro
punto di vista non sono le cose materiali di cui hanno bisogno ma la presenza
dei genitori, la possibilità di discutere con loro. Spesso i bambini non vengono
coinvolti nella decisione dei genitori di partire; la loro impressione è che non
possono chiedere aiuto a nessuno per risolvere i loro problemi".
Drammatiche conseguenze
I bambini vengono accuditi dal genitore rimasto o da una zia, altre volte dai
nonni, nei casi più gravi da un vicino o da un fratello maggiore. La mancanza di
supervisione da parte dei genitori spesso pregiudica lo stato di salute del
minore che tende a non nutrirsi regolarmente, peggiora l'apprendimento
scolastico e può determinare soprattutto tra gli adolescenti la frequentazione
di entourage negativi. Dal punto di vista psicologico le conseguenze possono
andare da una disposizione alla depressione fino ad arrivare nei casi più
estremi al suicidio.
Lo scorso settembre ad Arad, Romania occidentale, è morta Monica, una bambina di
dieci anni che a causa della nostalgia della madre, che lavora in Spagna, ha
smesso di alimentarsi fino a che i suoi organi non hanno più retto.
Il caso di Monica, ha creato un grande scandalo. La madre è stata demonizzata
assieme a tutte le madri che partono "senza preoccuparsi abbastanza dei loro
figli". Davanti a questo caso anche i politici hanno mostrato un cenno
d'interesse tanto che il parlamentare Petru Callian ha proposto un disegno di
legge che prevede una multa per i genitori che lasciano il Paese senza aver
affidato i figli ad un legale rappresentante.
Come spiega Alex Gulei, assistente sociale di Alternativa Sociale, in Romania
esiste già una legge che obbliga i genitori a nominare un tutore legale prima di
partire per l'estero, ma poiché non è prevista nessuna sanzione, quasi nessuno
si preoccupa di farlo.
E' il caso di Nicu un ragazzino di nove anni, che partecipa al programma del
centro diurno Don Bosco della Caritas di Iaşi. La mamma è partita per l'Italia
quattro anni fa e quindi vive con la nonna settantenne e la sorellina di sei
anni. Da anni Nicu dovrebbe sostenere un'operazione chirurgica molto delicata,
ma non può farlo perché per questo sarebbe necessaria la firma della madre che è
la legale rappresentante del figlio, ma che è da anni che non si mette in
contatto con loro. La nonna sta pensando di far togliere per abbandono la
rappresentanza legale alla madre per ottenerla lei, cosicché il piccolo Nicu
possa essere operato, la sua paura è però che non le restino molti anni di vita
e che se lei morisse il nipotino sarebbe affidato ai servizi sociali.
Le conseguenze psicologiche ed emotive della privazione dell'affetto materno e
paterno sono un prezzo altissimo pagato dai minori romeni le cui famiglie sono
coinvolte nel processo migratorio. Purtroppo spesso anche per chi segue i
genitori nel Paese di accoglienza il processo di adattamento è lungo e non
sempre facile. In molti casi tra l'altro accade che il minore rientri in patria
con o senza la famiglia subendo un ulteriore fase di adattamento.
La tutela dei diritti dei minori coinvolti in processi di migrazione è complessa
e non può che passare attraverso un approccio che coniughi il livello locale a
quello nazionale ed europeo. Un primo passo in questa direzione è l'analisi
delle loro condizioni di vita e l'individuazione di buone prassi per ridurre la
loro vulnerabilità.
Di Fabrizio (del 21/12/2011 @ 09:30:13, in Europa, visitato 1644 volte)
Da
Nordic_Roma
Rom frugano nei cassonetti della ricca Norvegia - AUDREY ANDERSEN
- 7-12-2011
LETTERA DA OSLO: E' un freddo venerdì mattina d'autunno e già si sta
formando una fila di persone fuori da Fattighuset (La Casa Povera) nel centro di
Oslo. Si va dai ragazzini ai pensionati, e la coda finisce quando il centro di
carità chiude le porte al pubblico alle 15.30.
Mentre la Norvegia è uno dei paesi più ricchi al mondo, le statistiche
recenti mostrano che il 9,68% di chi vive ad Oslo viene definito povero.
In Norvegia circa 85.000 bambini vivono in povertà, ma è nella parte est di
Oslo, la più etnicamente sfaccettata, che il fenomeno si concentra. Una famiglia
di 3 componenti che vive con un reddito annuo di NOK 273.000 (€ 35.330) viene
considerata sotto la soglia di povertà.
In un'altra parte della città, un altro gruppo si riunisce per affrontare la
giornata. A Frogner Park, alcuni Rom sono rannicchiati su una panchina, mentre
alcuni turisti giapponesi sono in posa davanti alle famose sculture Vigeland che
delimitano il ponte principale.
Una Romnì di mezza età suona una pittoresca fisarmonica mentre passano i
turisti. Altri del gruppo, attrezzati con grandi buste di plastica Ikea,
iniziano il giornaliero rimestare nei bidoni, in cerca di bottiglie d'acqua e di
birra che siano rimborsabili.
Frogner ospita alcuni tra i cittadini più ricchi. Mentre il reddito medio è
in aumento, si allarga anche il divario tra ricchi e poveri. D'estate, diventò
una sorta di rifugio per alcuni Rom che vivevano in un campo improvvisato,
nascosto alla vista, in un bosco ai margini del parco. Tutto ciò che ora rimane
è il guscio di una struttura in legno improvvisata. A luglio, come altri in
città, il campo venne sgomberato dalle autorità comunali senza preavviso.
Per qualche periodo i problemi connessi con i Rom sono stati la produzione di
birra, con annesse questioni legate all'igiene ed alla criminalità. L'argomento
ha coinvolto tutto lo spettro politico, da ambo le parti. Sembra esserci
consenso sul fatto che, pur essendo poveri, trattare con loro è più problematico
rispetto agli altri gruppi.
Da un lato dello schieramento politico, sono visti come una minaccia
sanitaria, principalmente perché non hanno accesso a docce e servizi igienici.
Dall'altro, come vittime della xenofobia con i sostenitori dei diritti umani che
chiedono tolleranza e compassione. Marianne Borgen, del partito socialista di
sinistra (SV) e Kirkens Bymisjon, di un'associazione caritatevole ecclesiastica,
vorrebbero che ai Rom venissero forniti servizi di base, come docce e servizi
igienici.
D'altra parte, le autorità ritengono che offrire docce e servizi igienici sia
una pericolosa seduzione che potrà aprire i cancelli all'arrivo di un maggiore
numero di Rom.
Kari Helene Partapuoli, del Centro Antirazzista, è abituata a questo tipo di
retorica ufficiale, usata spesso per discriminare i Rom. "Vogliono gestirli come
nel resto d'Europa, come -spazzatura-, perché non ne arriva altra."
Ma sono stati i mezzi d'informazione a dipingere banchetti dei Rom a base di
topi, cani e piccioni selvatici, cosa che ha fatto infuriare tanto la comunità
rom che i suoi sostenitori.
La foto di un giornale ritrae i resti di un barbecue rom, con alcune ossa di
animale che si diceva fossero quelle di un topo. Poi la notizia si rivelò
infondata, e le ossa si rivelarono essere quelle di un pollo.
Il musicista zingaro Raya Bielenberg, da tempo residente a Oslo, ha reagito
con rabbia alle speculazioni dei media: "Siamo un popolo con un orgoglio, e
morire3mmo piuttosto che mangiare topi o cani," ha detto. "E se hanno il diritto
di venire qua e mendicare, dovrebbero almeno avere un posto dove andare in bagno
e lavarsi."
Concorda
Kari Gran, portavoce della missione ecclesiale (Kirkens Bymisjon) di Oslo, e
sente che la situazione sta arrivando ad un punto critico. Dice di incontrare
ogni giorno i Rom a Bymisjon, dato che sono l'unica organizzazione che li aiuta
attivamente
"Forniamo loro un posto dove incontrarsi, mangiare, usare i servizi igienici,
oltre ad un servizio di consulenza," dice. "Ma non abbiamo docce o lavanderia."
Kirkens Bymisjon è il solo posto che si prende cura dei Rom, ma la sola
carità non può fare molto.
Un problema è che i Rom, soprattutto dalla Romania, arrivando qui con visto
turistico non possono beneficiare dell'assistenza sociale o di servizi come un
posto dove dormire la notte, usufruire di docce o di lavanderia. Non possono
equipararsi ai bisogni di altri gruppi emarginati.
Gran ed altri sono molto preoccupati per i Rom, particolarmente per
l'avvicinarsi del rigido inverno. Alcuni Rom per l'occasione torneranno a casa,
ma per molti la tetra prospettiva è di dover dormire all'aperto.
Di Fabrizio (del 05/01/2012 @ 09:27:58, in Europa, visitato 1432 volte)
Da
Djelem_Djelem
The
voice of Russia 16-12-2011-
Photo: RIA Novosti
Il Teatro Romen di Mosca, il più antico e famoso teatro rom nel mondo, sta
celebrando il suo 80° anniversario.
I primi artisti rom erano giovani, che spesso non sapevano leggere o
scrivere.
Oggigiorno, il repertorio del teatro comprende 14 produzioni, classiche
incluse ed un dramma moderno.
La compagnia ha girato in diversi paesi del mondo, ottenendo la calda
approvazione di milioni di spettatori.
Canale Cultura - Культура канала
Di Fabrizio (del 09/01/2012 @ 09:37:09, in Europa, visitato 1850 volte)
Da
Bulgarian_Roma
03/01/2011 - Secondo un rapporto, interi quartieri della città di Plovdiv si
stanno spostando verso Germania, Francia o Svizzera.
I Rom di Plovdiv stanno cercando una vita migliore in Europa Occidentale,
secondo il giornale locale "Maritsa", con la Svizzera nel ruolo di ultima
destinazione preferita tra tutte.
In Svizzera i Rom bulgari spesso chiedono asilo nei campi rifugiati per
curdi, dove potrebbero ottenere riparo, cibo ed i 600 euro al mese in quanto
rifugiati politici.
Di solito chiedono asilo accusando la Bulgaria di discriminazioni, spiega Yashar
Asan, a capo del Comitato d'Iniziativa delle Persone in Necessità.
Secondo le sue parole, 20 tra le famiglie rom più ricche della mahala Adzhisan
di Plovdiv sono emigrate in Svizzera negli ultimi 2 mesi, anche se alcuni di
loro sono già in attesa di essere estradate via aerea dalle autorità svizzere.
A Stolipinovo, il più grande quartiere rom della Bulgaria, con una
popolazione di circa 40.000, la città tedesca di Dortmund è vista come un posto
da sogno.Secondo Asan, ogni giorno ci sono cinque autobus da 50 posti che
partono ogni giorno da Stoliponovo verso Dortmund.
Asan ritiene che siano 500 le famiglie di Stoliponovo, tra le 3000 e le 5000
persone, emigrate in Francia e Germania negli ultimi dieci anni, con gli uomini
occupati soprattutto nel settore edile e molte donne preda della prostituzione.
Di Fabrizio (del 10/01/2012 @ 09:22:28, in Europa, visitato 1715 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
28 dicembre 2011
La maggior parte dei Rom si isola dalla stessa società -
Svista o fatto ignorato?
La maggior parte dei Rom non è informata sui cambiamenti che stanno accadendo
nella nostra società, spesso non sanno che è entrata in vigore una nuova legge,
non sono interessati ai loro obblighi e responsabilità di cittadini.
Semplicemente, si isolano dal resto della società. Questo è quanto affermano
alcune OnG che lavorano per migliorare i diritti dei Rom [...]. Una di queste è
il National Roma Centrum (NRC) di Kumanovo, che per anni ha operato nei
quartieri rom di 16 città macedoni.
L'esperienza di questi anni mostra che è proprio la società che ha creato e
crea tuttora stereotipi e pregiudizi sui Rom e la loro comunità. Come
interpretare il fatto che questo sentimento è comune? Perché i Rom
vogliono isolarsi dalla società e non sono interessanti ai cambiamenti che vi
avvengono? Cambiamenti che sono cruciali per loro e le loro famiglie, ad esempio
nelle aree dell'istruzione, della sanità, dei benefici statali, della casa...?!
Quanti hanno familiarità con i temi dell'esclusione/inclusione rom, dicono che
le ragioni risiedono in diversi fattori - diffidenza epocale, pregiudizi, grado
di istruzione dei Rom, e volontà di conoscere le persone "altre".
Il professor Rubin Zemon dell'Università statale di Ohrid
pensa che l'isolamento dei Rom dalla società (intendendo qualsiasi società, non
solo quella macedone) data da secoli per gli stereotipi ed i pregiudizi che le
società hanno verso i Rom.
- I Rom erano e sono tuttora sensibili riguardo la loro esclusione che dura
da secoli. Altri guardano ai Rom con disprezzo. Sono stati trattati come un
bersaglio invece che come partecipanti nei processi. Non sono problemi di un
decennio. Solo pochi Rom sono inclusi nelle nostre istituzioni. Ma, ancora una
volta, non prendono parte ai processi decisionali, commenta Zemon.
Pregiudizi doppi
Puntualizza poi un altro fattore per cui i Rom, almeno in questo paese,
restano consapevolmente ai margini degli eventi della società.
- sono delusi dai loro rappresentanti politici. Il soggetto politico tra i
Rom è molto debole. I loro rappresentanti sono considerati dei corruttibili
entrati in politica per interessi personali, invece che per lottare per il
miglioramento delle condizioni di vita, aggiunge Zemon.
Secondo lui, la soluzione del circolo vizioso di sfiducia ed isolamento,
risiede in un maggior coinvolgimento dei Rom nelle questioni politiche e
sociali.
Il professor Zemon calcola che il "ghiaccio della diffidenza" può rompersi
solo se i Rom vengono inclusi non come destinatari, ma come decisori nelle
politiche sociali.
Charles Van Lith è un fotografo belga che sta prestando
molta attenzione ai Rom. Ha partecipato alla creazione del Consiglio Nazionale
Rom del Belgio. Sulla base di quell'esperienza, Van Lith dice
che ci sono forti pregiudizi anche tra le numerose comunità belghe, [...] dovute
al fatto che i Rom non si conoscono tra loro. Ma c'è anche un'altra questione:
- I Rom, ma anche gli altri - Sinti, Manush, Jenish, sono micro-comunità
dentro una più grande, governate spesso da regole diverse. Personalmente penso
che meno siano istruiti, più diventino isolati nel lro stesso mondo, con una
noiosa tendenza a preferire la speculazione reciproca invece della verità.
Ricordo ancora un Sinto-Rom, che conoscevo ed anche istruito, che criticava gli
altri Rom della città dicendo che "quelli" creavano una cattiva reputazione a
lui ed alla sua comunità. Dopo un certo periodo di tempo, avendo avuto lui la
possibilità di conoscere meglio questi Rom, [...] si sono avvicinati e le loro
relazioni sono migliorate, sottolinea Van Lith.
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