Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 13/03/2010 @ 09:25:48, in Europa, visitato 1877 volte)
Da
Nordic_Roma
TheLocal.se
05/03/2010 - Ha detto il Tavolo Svedese sulle Migrazioni, che circa 1.000
Rom, soprattutto dalla Serbia, sono stati attirati quest'anno da un viaggio
verso la Svezia, nella vana speranza di un permesso di residenza.
Bus riempiti di Rom sono arrivati a Gothenburg e Malmö quasi su basi
giornaliere.
"Agenzie viaggi guidate da affaristi senza scrupoli truffano persone già
vulnerabili di loro nel venire in Svezia," ha detto Dan Eliasson, direttore
generale del tavolo.
Il capo del tavolo sulle migrazioni consiglia ai Rom di non intraprendere il
lungo viaggio verso la Scandinavia, perché le possibilità di ottenere una
residenza garantita sono "straordinariamente poche".
"Probabilmente si trovano a vivere in difficili condizioni sociali e forse
subiscono anche discriminazioni, ma questo non da loro il diritto alla
protezione in Svezia. Generalmente verranno rapidamente informati che non
potranno avere un permesso di residenza e che dovranno tornare in patria," ha
detto Eliasson, aggiungendo che la gran maggioranza arriva in Svezia dalla
Serbia, ma anche dal Montenegro settentrionale e dalla Macedonia.
I Rom in Serbia sono considerevolmente più poveri del resto della
popolazione, e sono emersi sporadici rapporti di violazioni perpetrate contro i
Rom in Serbia, Kosovo e, recentemente, in Italia.
Ma per ottenere l'asilo bisogna essere capaci di mostrare di essere
perseguitati ed a rischio di trattamenti violenti. E' molto difficile ricevere
asilo dall'Europa," ha detto Eliasson.
TT/The Local (news@thelocal.se; 08 656 6518)
Di Fabrizio (del 15/03/2010 @ 09:19:14, in Europa, visitato 1400 volte)
Da
Roma_Francais
Par Chloé Leprince
05/03/2010
Eccetto che sulle pagine locali del Parisien, l'espulsione della gens du voyage
da un accampamento a Ris-Orangis (Essonne) ha fatto poco rumore. Tuttavia,
almeno in due avete allertato a riguardo Rue89 negli ultimi giorni. Piuttosto
offesi da ciò che ritenevate rilevare dai slittamenti elettoralisti in questo
dipartimento dell'Ile-de-France.
Al cuore delle vostre reazioni: il tono utilizzato da un sindaco dell'UMP dei
dintorni nel gridare vittoria. Precisamente Stéphane Beaudet, eletto nel 2001
sindaco della cittadina vicina di Courcouronnes.
In un messaggio inviato ai suoi amministrati il 1 marzo e sul suo blog, il
sindaco scrive in grassetto: "Abbiamo vinto!" Si bea che "l'appello alla
mobilitazione" abbia pagato - "un metodo che funziona", recita l'editto che
chiamava gli abitanti del suo comune a manifestare contro la presenza,
dall'estate 2009, di una quindicina di carovane in un piccolo bosco nella vicina
località.
Stéphane Beaudet quindi non era immediatamente coinvolto nella questione: il
terreno in oggetto appartiene allo stato ed è situato nel territorio di Ris-Orangis.
Ne le Parisien del 26 febbraio, lo riconosceva lo stesso sindaco:
"Il terreno non appartiene al comune, quindi non posso far ricorso alla
giustizia per far chiudere [l'accampamento]."
Crociata contro quanti "fanno marcire la vita degli abitanti".
Tuttavia, se la cosa esce dalle sue prerogative, il sindaco UMP sembra avere
deciso di partire per la crociata. Un po' troppo, il termine di "crociata"? L'
appello alla mobilizzazione era però esplicito. Un opuscolo, redatto in parte in
lettere maiuscole, che gridava così da alcune settimane:
"La partenza immediata della gens du voyage non sarà negoziabile."
Per arringare i suoi amministrati, Stéphane Beaudet non ha lesinato i toni
razzisti. In particolare ha accusato la gens du voyage di Ris-Orangis di
"avvelenare la vita degli abitanti".
Precisione significativa: il fatto è che l'eletto è, d'altra parte, candidato
della maggioranza presidenziale nell'Ile-de-France alle regionali. Caso del
calendario? Mentre la scadenza elettorale si avvicinava, il tono s'è fatto più
duro. Al punto che Stéphane Beaudet aveva semplicemente chiamato i suoi abitanti
a costruire pareti di terra attorno all'accampamento allo scopo di bloccarne l'
accesso. Ciò che non ha mancato di offendere il sindaco di Ris-Orangis.
Quest'ultimo è socialista.
Di Fabrizio (del 16/03/2010 @ 09:23:18, in Europa, visitato 1649 volte)
Da
Roma_Francais
I Rom: una libertà pagata cara
par D. Sabo
Le popolazioni nomadi zigane si confrontano a discriminazioni persistenti
e subiscono una profonda esclusione sociale. Iniziative cittadine ed azioni di
sensibilizzazione permettono, in alcuni casi, di contrastare gli attentati ai
loro diritti.
Occorre vedere il magnifico film "Liberté" di Tony Gatlif. Si riferisce
alla persecuzione dei Zigani durante la II guerra mondiale. Una zona d'ombra che
il cineasta ha superbamente messo in luce con la storia di Taloche, uno zigano
internato nel campo di Montreuil-Bellay, sotto Vichy, storia ispirata del libro
di Jacques Sigot "Questo filo spinato dimenticato dalla storia" (edizioni
Wallâda).. Non lo si ricorda spesso
ma sui due milioni di zigani che vivevano in Europa, tra i 250.000 ed i
500.000 furono deportati nei campi di concentramento. Pochi lo sanno: 40.000
zigani sono stati rinchiusi in trenta campi francesi durante la guerra. Il
rigetto della popolazione dei Rom è antico e persiste,, per quanto siano del
tutto cittadini europei. Dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007, i Rom
costituiscono la più grande minoranza etnica della UE. Malgrado la loro
cittadinanza europea, restano vittime di ostracismo e si confrontano con le
discriminazioni. Il considerevole apporto che queste popolazioni potrebbero
avere nella società europea è ignorato, per l'effetto di stereotipi e pregiudizi
che si esprimono con discriminazioni economiche, sociali e politiche. Tre
rapporti* sul razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo e
l'intolleranza in Repubblica Ceca, Grecia e Svizzera, sono stati pubblicati il
15 settembre 2009. Anche se si osserva un'evoluzione positiva in ciascuno dei
tre stati membri del Consiglio d'Europa, i rapporti rilevano, nel contempo,
alcuni fatti che rimangono preoccupanti. In Repubblica Ceca, i Rom si
confrontano con la segregazione nell'istruzione e l'alloggio ed alla
discriminazione nell'impiego. Si osserva un'intensificazione che lascia
ammutoliti, delle attività di gruppi di estrema destra. Un nuovo codice penale è
stato adottato nel 2008 e contiene disposizioni più complete in materia di lotta
al razzismo. In Grecia, i Rom conoscono ugualmente problemi di impiego, di
alloggio e di giustizia. La legislazione che proibisce l'incitamento all'odio
razziale è ancora poco applicata. Anche in Svizzera si assiste ad una
pericolosa intensificazione dei discorsi politici razzisti contro i nuovi
cittadini. La legislazione non è sufficientemente sviluppata per trattare la
discriminazione razziale diretta che tocca in particolare i musulmani, le
persone originarie dei Balcani, della Turchia, dell'Africa ma anche la gens du
voyage. Segnali incoraggianti La situazione è particolarmente
delicata per le donne rom. E non solamente in questi tre paesi. Il 12 gennaio
2010, le donne rom hanno urgentemente invitato i governi europei a rispettare i
loro diritti fondamentali. Alcuni di questi governi praticano la sterilizzazione
forzata. Misure concrete sono prese poco a poco per compensare le vittime,
sanzionare gli autori di tali atti ed avviare una riforma del settore medico
pubblico perché i diritti delle pazienti siano rispettati. Le conclusioni di
una conferenza delle donne rom europee che si è tenuta ad Atene l'11 ed il 12
gennaio 2010, hanno sottolineato la necessità di prevenire ogni segregazione di
fatto in materia di alloggio e d'istruzione, promuovendo i principi di qualità e
d'integrazione. Le partecipanti hanno ugualmente incoraggiato le militanti rom e
chi difende i diritti umani ad agire presso le comunità rom per sensibilizzarle
nei loro diritti fondamentali e facilitare il loro accesso ai servizi pubblici
ed ai dispositivi destinati a far rispettare la legge. L'integrazione delle
comunità rom dipende dalla responsabilità condivise tra gli stati membri e la
UE. La UE dispone di un solido arsenale giuridico per lottare contro le
discriminazioni. Ricorre ai fondi strutturali europei ed organizza iniziative di
sensibilizzazione sulle discriminazioni nei confronti dei Rom. Inoltre,
un'azione coordinata è condotta in alcuni grandi settori particolarmente
importanti per l'integrazione dei Rom, come l'istruzione, l'occupazione e
l'integrazione sociale. Nel quadro della sua partecipazione al "2010 - Anno
europeo di lotta contro la povertà e l'esclusione sociale", la direzione
Istruzione, Cultura, Multilinguismo e Gioventù della Commissione Europea
organizza un'esposizione ed una conferenza dedicate all'aiuto che forniscono i
programmi dell'UE alla minoranza rom. Ed in Francia? Neppure
nell'Esagono, la situazione dei Rom è facile. Per la maggior parte cittadini
dell'Unione Europea dopo l'entrata della Romania e della Bulgaria in
quest'insieme, sono trattati come "cittadini di seconda zona". Le Comunità
zigane sono le prime vittime della politica del numero e della paura in materia
d'immigrazione. Inoltre gli ostacoli all'azione umanitaria si sono intensificati
e moltiplicati nel 2008-2009. L'azione umanitaria è sistematicamente considerata
come sospetta dai pubblici poteri. È un fenomeno nuovo di cui si possono
purtroppo citare numerosi esempi. "Le popolazioni sono state incessantemente
sgomberate e rese precarie, ciò che impedisce alle OnG di di occuparsene e
mantenere un legame sociale. Le loro espulsioni ripetute senza soluzione di
rialloggiamento comportano esaurimento, interruzione di cure e di seguito
medico, in particolare delle donne incinte e dei bambini" deplora il dott.
Bernard dell'associazione Médecins du Monde. Occuparsi dei più poveri diventa
sempre più difficile. L'80 % dei pazienti non hanno alcuna copertura malattia
mentre vi avrebbero diritto ed il 20 % non dipendono da alcun dispositivo.
Nell'estate 2009, lo stato francese ha chiesto l'espulsione del campo
urgentemente installato a Saint Denis da Médecins du Monde per famiglie rom
sulla strada. La mobilizzazione de più di trenta associazioni (Fondazione Abbé
Pierre, Soccorso cattolico, Romeurope, ATD Quarto Mondo, il Droit au Logement
(DAL), la Lega dei Diritti dell'Uomo (LDH), Rete Istruzione Senza Frontiere) e
l'azione della giustizia hanno permesso tuttavia di contrastare questa
richiesta.
Il tribunale ha così respinto la domanda d'espulsione formata dal prefetto di
Seine Saint Denis, riconoscendo così la situazione urgentemente umanitaria nella
quale si trovano i Rom dell'Ile de France. "Una presa di coscienza della gravità
della situazione sanitaria dei Rom comincia ad emergere„ si rallegra
Médecins du Monde anche se rimane da trovare una soluzione definitiva per le
famiglie. * Questi rapporti fanno parte del quarto
ciclo seguito dall'ECRI. ECRI è un meccanismo indipendente dal Consiglio
d'Europa che si occupa dei problemi del razzismo e dell'intolleranza, prepara
relazioni ed indirizza delle raccomandazioni agli Stati membri. Le relazioni per
paese, con le osservazioni dei governi allegate, sono disponibili su:
www.coe.int/ecri
Di Fabrizio (del 17/03/2010 @ 09:07:03, in Europa, visitato 1624 volte)
Di questa
storia se n'è parlato più volte in Mahalla
Osservatorio sui Balcani - Fuori dall'ombra
12.03.2010 Da Capodistria, scrive Stefano Lusa
Foto di Fabrizio Giraldi
Era la più grave violazione dei diritti dell'uomo della sua storia recente.
Ora finalmente sanata. La Slovenia ha restituito ai cosiddetti ''cancellati'' i
loro diritti. In 13.000 potranno ora riottenere la residenza
La Slovenia ha posto rimedio alla più grande violazione dei diritti dell’uomo
nella sua storia recente. Il parlamento, infatti, ha varato una norma che
consentirà a quei cancellati, che non avevano potuto farlo sin ora, di
riottenere la residenza. Dei complessivi 25.761 sono ancora oltre 13.000 coloro
che non hanno regolato il loro status. Nessuno sa quanti di essi vivano ancora
in Slovenia e quanti sono coloro che, dopo anni passati all’estero, possano
essere interessati a riottenere la residenza.
Il ministro degli Interni Katarina Kresal, nel presentare[] il provvedimento,
aveva invitato i deputati ad approvarlo “se non già per un vincolo etico nei
confronti delle persone a cui lo stato 18 anni fa ha fatto un torto, per
rispetto della costituzione”. Da anni la polemica sui cancellati è altissima e
anche questa volta il centrodestra non ha lesinato strali nei confronti del
ministro e del provvedimento. Molto si è puntato sui risarcimenti che adesso i
cancellati potrebbero richiedere alle vuote casse dello stato. La Kresal non si
è scomposta più di tanto e come al solito ha continuato a ribadire l’importanza
del rispetto della costituzione, delle leggi e dei principi dello stato di
diritto.
Ora ci saranno tre anni di tempo per presentare formale richiesta. Quello che,
però, appare più importante è che, in qualche modo, si chiede scusa per quanto
accaduto. C’è voluta una generazione di politici nuovi. Troppo giovani per
essere sulla scena politica all’epoca dei fatti e per avere scheletri negli
armadi.
La cancellazione risale all’epoca della proclamazione dell’indipendenza.
Lubiana, si era impegnata a concedere la cittadinanza a tutti i residenti che si
erano trasferiti nella repubblica dalle altre parti della federazione. Gli
immigrati erano circa 200.000. In oltre 170.000 ottennero la cittadinanza.
All’epoca qualcuno decise di andarsene, altri non riuscirono a raccogliere la
documentazione necessaria o si videro respinta la domanda, altri ancora non
presentarono richiesta di cittadinanza, pur avendo intenzione di continuare a
vivere in Slovenia. Per loro cominciò una vera e propria via crucis. Le autorità
pensarono bene di depennarli dall’elenco dei residenti. L’operazione comportò
per loro la perdita di tutti i benefit di cui godevano. Persero il diritto al
lavoro, all’assistenza sanitaria, all’acquisto a prezzo agevolato della casa ed
altro ancora. In sintesi persero il diritto di continuare a vivere nella
repubblica e si trovarono d’un tratto ad essere clandestini nel paese dove
avevano vissuto per decenni o erano addirittura nati.
La cancellazione avvenne in maniera arbitraria e del tutto illegalmente. In ogni
modo quell’operazione, fatta in gran segreto, poté contare su un consenso
sociale altissimo. L’opinione pubblica d’altronde pensava che, in fondo, quelli
erano potenziali nemici, oppositori dell’indipendenza slovena. In ogni modo
avevano avuto la possibilità di regolare la loro posizione e non avevano voluto
farlo. La cosa ovviamente non era vera, anche perché nessuno aveva spiegato loro
che se non avessero ottenuto la cittadinanza avrebbero perso anche i diritti
legati alla residenza.
Il problema dei cancellati cominciò ad emergere negli anni successivi. Le loro
tristi storie iniziarono ad essere raccontate dai giornali e già 15 anni fa il
neo nominato tutore dei diritti civili puntò il dito sulla questione sin dal suo
primo rapporto. Era facile rendersi conto che ci si trovava di fronte ad una
palese violazione dei diritti dell’uomo, orchestrata consapevolmente o meno
all’epoca del primo governo sloveno democraticamente eletto, formato da una
coalizione di centrodestra. Quando, poco dopo, il centrosinistra prese in mano
per più di un decennio le redini del paese non si preoccupò di porre rimedio
alla questione.
Il problema finì di fronte ai giudici della Corte costituzionale. Il primo
ricorso venne presentato nel 1994. Per arrivare ad una sentenza si dovette
attendere ben 5 anni. L’Alta corte stabilì l’illegalità della cancellazione e
diede 6 mesi di tempo al legislatore per correre ai ripari. Da quel momento i
politici, loro malgrado, cercarono una soluzione. Venne approvata una prima
legge che consentiva ai cancellati ancora in Slovenia di regolare la loro
residenza, successivamente vennero approvate delle modifiche alla legge sulla
cittadinanza che apriva loro le porte all’ottenimento del passaporto sloveno.
La questione era diventata materia di scontro politico. Intanto i cancellati
avevano costituito una loro associazione. A battersi per i loro diritti oramai
erano scesi in campo Amnesty International, l’Istituto per la pace e le altre
organizzazioni impegnate sul fronte della tutela dei diritti dell'uomo. Al loro
fianco c’era anche un ex giudice della Corte costituzionale, Matevž Krivic, che
divenne il loro portavoce.
La battaglia continuò con nuovi ricorsi alla Corte costituzionale. I giudici
stabilirono che la residenza doveva essere riconosciuta retroattivamente, sin
dal momento della cancellazione. Il governo allora preparò un’apposita legge e
l’opposizione indisse un referendum. Nel 2004 il 94% degli elettori disse no
alla normativa, ma la partecipazione al voto fu solo del 31%. Si proseguì con
manifestazioni, scioperi della fame e ricorsi al Tribunale europeo per i diritti
dell’uomo.
La Slovenia, che era uscita dallo sfaldamento della Federazione jugoslava con
l’immagine di un paese ordinato, si trovava a dover rispondere di una palese
violazione dei diritti umani, ormai sotto gli occhi della comunità
internazionale.
L’impegno a risolvere definitivamente la questione è comunque venuto dal nuovo
governo. La soluzione della questione dei cancellati è stata persino inserita
nell’accordo di coalizione. Molti però dubitavano che si avesse realmente
intenzione di fare sul serio.
Il ministro degli Interni Katarina Kresal ha stupito tutti e non ha mancato di
precisare che era intenzionata a chiudere la vicenda anche a rischio della sua
popolarità. Il ministero, così, con gran sgomento dell’opposizione, prima ha
fornito il
dato esatto dei cancellati, poi ha portato a conclusione il
procedimento di riconoscimento della loro residenza con effetto retroattivo per
coloro che avevano già regolato il loro status ed infine ha fatto approvare la
legge che risolverà definitivamente il problema anche per gli altri.
Di Fabrizio (del 18/03/2010 @ 09:07:44, in Europa, visitato 2822 volte)
Una
segnalazione del mese scorso. Interviene una voce importante. La traduzione
dallo spagnolo è di Zelda Sayre Giannini
Da un Articolo di Juan de Dios Ramírez-Heredia, Presidente della Unión
Romaní Española (Unione Rom Spagnoli)
la foto è tratta da
http://www.psoe.es/ambito/pueblogitano/news/index.do?action=View&id=411207
Nella città Slovacca di Ostrovany hanno costruito un muro di 150 metri largo e 2
metri alto per isolare la Comunità Gitana dal resto della popolazione .E'
difficile credere che questo avvenga in un paese, membro dell' "Unione" (??)
Europea nel 20° anniversario, appena concluso,della caduta del muro di Berlino.
[...]
Nel 1961 le autorità comuniste,che hanno governato la Germania,divisa dopo la
Seconda Guerra Mondiale, per evitare che molti cittadini fuggiti in altre aree
di libertà, hanno costruito quel muro orrendo che ha visto per oltre
quarant'anni ha diviso i cittadini a causa delle loro convinzioni,in spazi
chiusi,dove ogni tentativo di raggiungere la libertà era pagato con il carcere o
con la vita. Ho avuto la fortuna di vivere in prima persona a Berlino, la notte
meravigliosa quando la parete è stata distrutta. A quel tempo ero un deputato al
Parlamento europeo e appartenevo alla commissione giustizia. Il 9 di novembre
del 1989 i tedeschi da entrambi i lati del muro con martelli e asce e con tanto
entusiasmo e forza fisica hanno distrutto questa vergogna che ha diviso intere
famiglie per quattro decenni. Quella sera andai a letto presto, ma un uomo che
dormiva nella stanza accanto alla mia in albergo ha bussato alla mia porta
dicendomi di alzarmi, dovevamo andare in piazza per vivere intensamente un
evento storico unico: la distruzione del muro. Ho passato tutta la notte per
strada, felice, guardando il trionfo della libertà. Ogni masso che ho visto era
come una tromba che annuncia un nuovo giorno. Ogni colpo all' infamia era come
una nota che ha contribuito al raggiungimento del miglior inno esaltante la pace
e l'armonia fra gli esseri umani. Ovviamente non ho potuto resistere alla
tentazione di portarmi in Spagna alcuni pezzi del muro che ho diviso tra gl,i
amici e la famiglia. Ancora oggi, c'è sullo scaffale nel mio ufficio un po 'di
muro, testimone muto di tanta infamia.
La stampa locale e internazionale ha definito il nuovo muro slovacco "muro di
Berlino".A 20 dalla caduta del simbolo della divisione dell'Europa.
Cirillo Revákl,Sindaco di Ostrovany , dice che non è razzista perché sa che
"ci sono tante persone oneste tra i nostri zingari". Ma giustifica la
costruzione del muro, principalmente con l'accusa che i vicini gadchés (i Rom,
Sinti, i Gitani... con il termine Gagè indicano i non Zingari , cioè noi
)sollevano verso gli Zingari e cioè quella di cogliere spesso i frutti dagli
alberi dei giardini privati. !!!!!!!!!!! :((((
Dice uno Zingaro condannato a vivere dall'altra altra parte di questo muro che
la separazione non aiuta nessuno, ne i gadchés ne gli Zingari. E altri,
rassegnati al loro destino, dicono di sentirsi come uno zoo. Povera gente! Ora
possono saziare la loro fame e la loro miseria con la frutta "generosamente"
versata loro dalle autorità razzista di Ostrovany dall'altra parte del muro,
come hanno fatto i miei figli quando erano piccoli gettando le mele per le
scimmie nel parco.
Ho appena fatto un viaggio indimenticabile e scioccante in Polonia. Oltre a
visitare i campi di sterminio di Majdanek, Treblinka e Auschwitz, dove più di
mezzo milione di Zingari furono gassati unitamente milioni di ebrei, ho visto i
resti delle mura che hanno modellato il ghetto di Varsavia, Lublino e Cracovia.
Sono testimonianze vive, laceranti, l'epoca più difficile e più INFAME del
genere umano. La gente si CONFINAVA dietro a quelle mura, prima di CONDANNARLA a
MORTE
Sappiamo che in Slovacchia c'è una destra, fascista e violenta che vorrebbe
ripetere quelle pagine nere della storia d'Europa. Loro possono essere anche gli
eredi di quegli assassini che hanno collaborato con il genocidio, quando il loro
paese stava vivendo l'aggressione dei nazisti che li opprimevano la Polonia a
nord e l'Ungheria a sud. A Noi, gli Zingari in tutto il mondo,fa ORRORE quella
massima che dice: "Le persone che dimenticano la loro storia sono condannati a
ripeterla" non è un caso che questa frase è scritta all'ingresso del blocco
numero quattro del campo di sterminio di Auschwitz in polacco e in inglese: "
Kto nie pamięta historii, skazany jest na jej ponowne przeżycie ". "The one who
does not remember history is bound to live through it again. "
CHI NON RICORDA la STORIA è CONDANNATO a VIVERLA di NUOVO !!!!!!!
Di Fabrizio (del 20/03/2010 @ 09:14:18, in Europa, visitato 1994 volte)
ToscanaOggi 17/03/2010 - 16:39
Nazzareno Guarnieri, primogenito di una numerosa famiglia rom, ha
iniziato la sua formazione frequentando con successo il prestigioso Istituto
Magistrale «B. Spaventa» di Città S. Angelo (PE), conseguendo nel 1971 il
diploma della qualificazione magistrale.
La sua formazione continua con il corso biennale di operatore psicopedagogico
presso Università di L’Aquila, e successivamente il corso di mediatore culturale
e la Laurea in psicologia sociale. Il costante impegno volontario e
professionale per la popolazione romanì, la promozione e la realizzazione di
importanti esperienze di interazione culturale e la partecipazione a numerose
iniziative italiane ed europee arricchiscono il percorso formativo di
Guarnieri, tale da essere oggi un professionista, un leader ed un attivista rom
riconosciuto a tutti i livelli.
Nell’anno 2000 e e nell’anno 2002 Nazzareno Guarnieri è il vincitore del Premio
Raffaele Laporta, per la sezione progetti educativi. Nell’anno 2003 Nazzareno
Guarnieri è il promotore del «progetto federazione», un’iniziativa per
sollecitare ed incoraggiare la partecipazione attiva di Roma e di Sinti.
Nell’anno 2009 che è stato eletto presidente della Federazione romanì.
Nazzareno Guarnieri, come mai sembra impossibile stabilire con la minoranza
Rom un sistema di regole condivise e di convivenza pacifica?
«La convivenza con la popolazione romanì oggi è difficile per il radicato
pregiudizio, duro a morire, e per le scelte politiche sbagliate. Una sequenza di
deficit mediatico, culturale, politico, istituzionale di partecipazione attiva e
di conoscenza. Deficit che hanno categorizzato i pregiudizi contro la
popolazione rom e sinta e banalizzato la cultura romanì. Deficit che hanno
ostacolato i processi di scambio culturale, di acculturazione e inculturazione
ed hanno impedito una “canalizzazione politico/istituzionale” alla cultura
romanì. Deficit che hanno portato a generalizzare a tutta la popolazione rom e
sinta la responsabilità del singolo. Una sequenza di deficit che richiedono una
risposta urgente e chiara, capace di abbandonare i diritti differenziati e
l’assistenzialismo culturale, oggi riservati a rom e sinti, e costruire le
relazioni umane e di scambio culturale con la popolazione romanì».
La Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 marzo 2009 al punto 8. riporta:
«La grande maggioranza dei laureati rom non fa ritorno alla propria comunità
dopo il completamento degli studi universitari e che alcuni di essi negano le
proprie origini o non sono più accolti nella loro comunità quando cercano di
farvi ritorno». A Cosa è dovuto questo disconoscimento, forse a discriminazione?
«Questa è una amara verità innegabile non solo per i rom laureati o con al
titolo di studio, ma anche per tanti altri rom che sono riusciti a farcela ad
uscire dalla segregazione e dall’assistenzialismo ed essere protagonisti
positivi e professionisti preparati. La tendenza di addebitare questa scelta di
assimilazione al radicato pregiudizio ed alla discriminazione, così come
attribuire la responsabilità solo alla politica mi pare riduttivo. Credo che
tutto nasca da una perfida combinazione di interventi e di politiche da un lato
limitati agli aspetti sociali, assistenziali e di emergenza, mai culturali.
Questo sta conducendo alla perdita di una identità culturale collettiva,
dall’altro la mancanza di processi di partecipazione reali. Quale possibilità ha
un rom che è riuscito a farcela di rivendicare la propria identità culturale
romanì e collaborare per la crescita sociale e culturale della propria
popolazione? Senza contare gli stereotipi creati ad arte che descrivono lo
zingaro solo come la persona che vive nel campo nomadi, che ruba e non lavora,
ecc. Quindi non solo l’indifferenza e l’assenza di una politica per la cultura
romanì, ma una precisa volontà di gran parte della società civile, che si è
occupata e che si occupa dei rom, di gestire o tutelare, evitando ogni forma di
crescita dell’autonomia e della normalità per i rom. Qualsiasi cultura si evolve
con il contatto e con lo scambio culturale».
Mi faccia capire il vostro punto di forza, da qui l’appello che rivolgete
anche agli stessi Rom è Partecipazione, vuole spiegarmi meglio, cosa vuol dire?
«Dalle esperienze del passato e del progetto federazione, avviata molto
lentamente fin dal dicembre 2003, sono arrivate alcune interpretazioni della
partecipazione attiva dei rom. Non Basta essere Rom ma è necessario che la
partecipazione Rom sia Qualificata. Mi spiego meglio non si tratta di avere o
meno un titolo di studio ma di possedere o acquisire le conoscenze e le
competenze necessarie per una partecipazione qualificata, solo così si può
costruire un processo di formazione alla partecipazione (capacity building) e di
empowerment e di superare la convinzione che la questione rom sia solo una
questione sociale (sicurezza e legalità) e di folclore, effetto delle
improvvisazioni che hanno manipolato la realtà culturale romanì».
Infine vorrei capire, vista anche la sua formazione professionale, cosa
propone per contribuire a una maggiore scolarizzazione dei bambini e bambine
Rom?
«Il fallimento delle politiche del passato per la popolazione romanì dimostra,
anche in questo caso, che senza la partecipazione attiva, propositiva e
professionale di Rom e Sinti ogni iniziativa è destinata al fallimento, bisogna
passare dalla mediazione culturale alla partecipazione.
Le iniziative di scolarizzazione dei bambini rom e sinti devono porsi
l’obiettivo del successo scolastico e non impegnarsi solo per la frequenza. Sono
troppi gli alunni rom e sinti che completano la scuola elementare senza aver
acquisito la strumentalità minima di base: saper leggere, scrivere e far di
conto e nel contempo ritenere che le abilità del bambino rom costituiscano un
handicap. La presenza di bambini Rom nella scuola Italiana è condizionata da
stereotipi e pregiudizi che conducono al fallimento del progetto educativo, e
troppo spesso, è gestita con distanza dalle dinamiche della diversità culturale
e della strategia interculturale. Quindi in breve: formazione per gli
insegnanti, produzione di materiale didattico specifico, realizzazione di un
osservatorio nazionale e regionale, sostenere le sperimentazioni mirate partendo
dalla cultura di origine».
Nei vostri interventi spesso vi pronunciate contro i campi nomadi come
ostacolo alla integrazione, ironia della sorte spesso se ne giustifica la
nascita per preservare la cultura romanì?
«In Abruzzo non vi sono campi rom, i rom che arrivano vengono inseriti in civili
abitazioni con l’ausilio del volontariato sociale. Il campo nomadi è la nostra
tomba non rappresenta la cultura romanì. Spesso proponiamo l’autogestione dei
campi nomadi e usare le ingenti risorse per la gestione dei campi nella
costruzione di politiche abitative serie».
Quale sono i prossimi impegni della Federazione?
«In Spagna a Cordoba il prossimo 8 e 9 Aprile 2010 si svolgerà il secondo
vertice europeo sui rom ed il fatto che si realizzi durante la Presidenza
Spagnola dell’Unione Europea è un buon auspicio perchè la Spagna negli ultimi
anni è stato il paese europeo che più ha investito in politiche sociali e
culturali per la popolazione romanì. Per la grave condizione e discriminazione
della popolazione romani in molti stati Europei, dal secondo vertice europeo sui
rom ci attendiamo conclusioni politiche con la esplicitazione di una strategia
politica chiara ed efficace, strategia che da una parte impegni la Commissione
europea e gli Stati membri dell’UE ad una forte e coordinata azione politica e
degli strumenti giuridici per contrastare l’antiziganismo, dall’altra parte
definisca il ruolo attivo delle organizzazioni rom nei piani d’azione europei e
nazionali, nella progettazione/realizzazione delle politiche per i rom, nel
monitoraggio dei progetti destinati alla popolazione romanì. Vi invitiamo a
consultare il nostro spazio Web:
http://federazioneromani.wordpress.com».
S.V.
LA SCHEDA
Alla popolazione rom si applica, se cittadini stranieri, il decreto legislativo
25 luglio 1998 (Testo unico sull’immigrazione).
Non esistono censimenti ufficiali che dicano con esattezza quanti sono.
In Europa la minoranza rom/sinta è definita «la minoranza più numerosa
dell’Unione europea».
In Italia ci sono una dozzina di etnie molto radicate in precisi territori,
ognuna con proprie tradizioni. Partiti dal nord dell’India e dal Pakistan
intorno all’anno mille, gli zingari si sono stabilizzati nell’est europeo da
dove hanno poi ricominciato altre migrazioni. In Italia i primi arrivano alla
fine del 1300. Quella rom è una delle società più chiuse e tribali che si
conoscano esistono diversi gruppi.
I rom abruzzesi e molisani: i più tradizionalisti, conservano intatto
l’uso del romanì e sono arrivati in Italia dopo la battaglia del Kosovo nel 1392
a seguito dei profughi arbares’h (albanesi). Si dedicano ai mestieri
tradizionali come l’allevamento e il commercio di cavalli ed è molto diffusa tre
le donne (rumrià) la chiromanzia.
I rom napoletani (detti napulengre). Fortemente mimetizzati nel
capoluogo, fino a una trentina d’anni fa fabbricavano arnesi per la pesca e
facevano spettacoli ambulanti. Esistono anche i rom cilentani (una grande
comunità di 800 persone vive a Eboli), lucani (una delle comunità più
integrate), pugliesi, calabresi e i camminanti siciliani.
Sinti giostrai – Sparsi soprattutto tra il nord e il centro Italia sono almeno
trentamila. Arrivati in Italia all’inizio del 1400, sono i depositari del più
antico dei mestieri rom, quello dei giostrai. Un mestiere però che sta
scomparendo trasformandoli in rottamatori di oggetti recuperati tra i rifiuti e
venditori di bonsai artificiali.
I Rom harvati e il sottogruppo dei kalderasha, circa 7 mila
persone arrivate dal nord della Jugoslavia dopo le due guerre mondiali, e i
rom lovara (non più di mille) chiudono il gruppo dei rom con cittadinanza
italiana.
I rom jugoslavi – È possibile suddividerli in due grandi ceppi, i
khorakhanè (musulmani) e i dasikhanè (i cristiano-ortodossi). Vivono
per lo più nei campi nomadi del nord e del centro Italia.
I rom romeni – Quello dalla Romania è ormai un flusso continuo e
inarrestabile. Le più grandi comunità sono a Milano, Roma, Napoli, Bologna,
Bari, Genova ma ormai il fenomeno è in crescita in tutta Italia.
A livello europeo esiste il Dipartimento Rom and Travellers (Rom e
camminanti, due delle varie etnie zingare). L’ufficio, nato nel 1993 a
Strasburgo nell’ambito del Consiglio Europeo per fronteggiare la questione rom,
ogni anno produce pagine e pagine di relazioni, rapporti internazionali,
raccomandazioni.
Se in Italia non è ancora stata affrontata la questione rom, l’Europa è messa
più o meno nelle stesse condizioni.
Negli anni, attraverso numerose Raccomandazioni – ad esempio sulle condizioni
abitative (2005), sulle condizioni economiche e lavorative (2001), sui campi e
sul nomadismo (2004) – si è cercato di dare almeno una cornice di riferimento,
linee guida ai vari stati per gestire la continua emergenza rom.
Uno dei file più aggiornati dell’ufficio europeo sono i numeri. In Europa si
calcola che viva un gruppo di circa 9-12 milioni di persone, nei paesi del
Centro e dell’Est Europa – Romania, Bulgaria, Serbia, Turchia, Slovacchia –
arrivano a rappresentare fino al 5 per cento della popolazione. Scorrendo i
fogli delle statistiche ufficiali europee (aggiornate al giugno 2006), colpisce
come nei paesi della vecchia Europa, nonostante la presenza e l’afflusso
continuo di popolazione rom, manchi del tutto un loro censimento. Sono censiti
solo gli zingari che vivono nei paesi dell’est Europa: dal 1400 la «casa» dei
popoli nomadi in arrivo dall’India del nord est.
La Romania guida la classifica dei paesi con maggior numero di gitani: l’ultimo
censimento ufficiale del 2002 parla di una minoranza che si aggira tra il
milione e 200 mila e i due milioni e mezzo. Seguono Bulgaria, Spagna e Ungheria
a pari merito (800 mila), Serbia e Repubblica Slovacca (520 mila), Francia e
Russia (tra i 340 e 400 mila).
L’Italia è al quattordicesimo posto con una stima, ufficiosa in assenza di un
censimento, che si aggira sui 120 mila. Sappiamo che oggi quel numero è salito
fino a 150-170 mila. Facendo un confronto con i paesi della vecchia Europa, è
una stima inferiore rispetto a Spagna e Francia, Regno Unito e Germania. Sui
motivi di queste concentrazioni la Storia conta poco: se è vero che la Germania
nazista pianificò, come per gli ebrei, lo sterminio degli zingari (porrajmos) e
nei campi di concentramento tedeschi morirono 500 mila rom, in Spagna la
dittatura di Franco ha tenuto in vigore fino agli anni settanta la legislazione
speciale contro i gitani eppure gli zingari continuano ad essere, e sono sempre
stati, tantissimi.
Lo statuto francese – Nonostante «la grande preoccupazione» del Consiglio
europeo «per i ritardi e l’emarginazione», la Francia (con 340 mila o un milione
di manouche) sembra aver adottato il modello migliore sul fronte
dell’accoglienza per i rom. Un modello che si muove tra l’accoglienza e la
tolleranza zero, due parametri opposti ma anche complementari: da una parte la
legge Besson che prevede che ogni comune con più di cinquemila abitanti sia
dotato di un’area di accoglienza; dall’altra la stretta in nome della sicurezza.
Chi non rispetta le regole dei campi e dell’accoglienza è fuori per sempre. E
chi occupa abusivamente un’area può essere arrestato e il mezzo sequestrato. La
legge Besson immagina i campi come una soluzione di passaggio e prevede,
contestualmente, un programma immobiliare di case da dare in affitto ai gitani
stanziali e terreni familiari su cui poter costruire piccole case per alcune
famiglie semistanziali e in condizioni molto precarie.
Il caso tedesco – In Germania i 130 mila circa tra Rom e camminanti sono
considerati per legge «minoranza nazionale». Dagli anni sessanta, con la caduta
del modello socialista titino e con le prime diaspore rom dall’est europeo verso
l’occidente europeo che poi si sono ripetute negli anni ottanta e novanta con le
guerre nei Balcani, la Germania ha accolto queste migliaia di persone in fuga
con un progetto di welfare. Sono state assegnate case, singole o in palazzine
popolari, hanno avuto il sussidio per il vitto, chi ha voluto è stato messo in
condizione di lavorare.
La Spagna – La Spagna ha una delle comunità gitane più popolose e in
Europa occupa il terzo posto dopo Romania e Bulgaria con 800 mila presenze.
Dalla fine degli anni Ottanta il governo centrale ha elaborato un Programma di
sviluppo per la popolazione rom. Anche in Spagna ogni regione ha un Ufficio
centrale che coordina gli interventi e le politiche per gli zingari in cui
lavorano sia funzionari del governo che rom con funzioni di mediatori culturali.
Il risultato è che non esistono quasi più campi nomadi, quasi tutti vivono in
affitto nei condomini popolari o in case di proprietà, nelle periferie ma anche
nelle città. Dipende dal livello di integrazione. Che è in genere buono anche se
resta alto il tasso di criminalità.
Di Fabrizio (del 22/03/2010 @ 09:14:33, in Europa, visitato 1945 volte)
Da
Roma_Daily_News
14 marzo, Incontro Rom, - Abdi Ipekci Spor Salonu, Istanbul 12:00-16:00
Oggi, circa 16.000 Rom di tutte le parti della Turchia sono stati letteralmente
stipati nel Centro Sportivo Abdi Ipekci per ascoltare il Ministro Faruk Çelik,
Eleni Tsetsekou (Programma di Gestione del Consiglio d'Europa - Unità Roma e
Viaggianti), il Dr. Ivan Ivanov (Direttore di ERIO) ed il Primo Ministro Recep
Tayyip Erdogan, riguardo la situazione del popolo rom ed il loro desiderio di un
cambio positivo per il futuro. L'impegno del governo AKP nel raggiungere cambi
significativi nel campo della salute, delle opportunità educative, dell'impiego
e dell'alloggio in Turchia per i Rom del paese, è una delle priorità del governo
con la sua "apertura democratica".
Erdogan ha raccontato la sua infanzia nel quartiere rom di Kasimpasha
(Istanbul), crescendo con i Rom come "fratelli e sorelle" e imparando presto la
loro situazione da questa esperienza. In particolare è stata importante la sua
amicizia con Balik Ayhan, che oggi era presente all'incontro col Prima Ministro
ed alla sua iniziativa per i Rom. Il discorso di Erdogan è stato accolto con
enorme entusiasmo dai Rom, ogni punto sottolineato da fragorosi applausi e dal
suono dei tamburi "davul", associati sin dai tempi dell'impero ottomano alla
musica rom. Quando Erdogan ha sottolineato la situazione dei Rom in molti paesi
europei, menzionando le persecuzioni che affrontano e le sofferenze che hanno
provato attraverso deportazioni ed esclusione, stava attirando esplicitamente
l'attenzione sulle variazioni nelle politiche che questo incontro annuncia per
la Turchia, portando in primo piano la posizione di un approccio positivo verso
i Rom, in un periodo in cui crescono le attitudini sempre più negative nel resto
d'Europa.
Resta da vedere l'impatto reale dell'iniziativa di Erdogan e "dell'apertura
democratica" per il popolo rom, come pari cittadini della Repubblica davanti
alla legge e alla Costituzione. Se i recenti attacchi alla comunità rom di
Manisa, o la distruzione dei quartieri rom ad Istanbul, Mersin, Diyabakir ed
altre città negli ultimi anni cesseranno, particolarmente nel contesto della
complessa situazione politica aperta con questa serie di iniziative democratiche
(con i popoli Kurdi e degli Alevi), è una questione aperta. L'aumentata
polarizzazione della società turca attorno a questi temi ha portato ad un
rottura potenzialmente divisoria, dove quanti appoggiano questi cambiamenti sono
contrapposti a chi rappresenta la vecchia, tradizionalmente secolarista alleanza
politico-militare.
Queste versioni contrastanti della modernizzazione in Turchia stanno lottando
per il dominio ed è ancora possibile che i Rom si trovino presi tra due fuochi.
L'enorme riunione di oggi indica che le forze per la democratizzazione sono
capaci di guidare l'agenda dell'inclusione sociale in questa direzione
particolare ed incoraggiare l'appoggio alle altre organizzazioni rom europee ed
alle istituzioni che promuovono i diritti dei Rom. D'altra parte, in Turchia
queste innovazioni sono spesso state fatte deragliare come insegna la storia del
tardo impero ottomano e della Repubblica.
Però oggi l'atmosfera era una delle positive promesse ed il tanto atteso
riconoscimento del popolo Rom, come degni di pari diritto e rispetto in Turchia.
Oggi, i cittadini rom turchi si sentono così come sono stati descritti dal loro
Primo Ministro. Cittadinanza ed eguaglianza in Turchia, "Ille'de Roman olsun!"
ha detto Erdogan, e la folla ha ruggito la sua approvazione; "Insisto che questo
sarà Romani!"
Dr. Adrian Marsh
Researcher in Romani Studies, Istanbul
adrianrmarsh@mac.com
Di Fabrizio (del 24/03/2010 @ 09:44:02, in Europa, visitato 2016 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso (leggi anche
QUI ndr)
Risto Karajkov da Skopje
Quello che sembrava un esodo di massa da Serbia e Macedonia verso l'Unione
europea, grazie alla liberalizzazione del regime dei visti, si è rivelata una
truffa in grande stile. False agenzie di viaggio trasportavano migranti verso
Bruxelles in cambio di poche centinaia di euro
Le tensioni causate dalla notizia del crescente numero di cittadini macedoni
che hanno richiesto asilo politico in vari paesi dell'Unione europea dall'inizio
del 2010, soprattutto in Belgio, sembrano essersi lentamente smorzate.
Giovedì 11 marzo sono arrivati a Skopje i primi autobus carichi di delusi
“aspiranti rifugiati” provenienti da Bruxelles. Il Belgio è stato uno dei paesi
più segnati dall'onda di migranti che hanno sperato di assicurarsi un futuro
migliore nella ricca Unione attraverso la richiesta di asilo. Gli autobus,
pagati dal governo belga e con a bordo funzionari degli uffici addetti alle
questioni migratorie, hanno riportato a casa anche molti cittadini serbi.
Nei prossimi giorni si aspetta la partenza di nuovi autobus non solo dal Belgio,
ma anche da altri paesi europei. Gli sviluppi della questione sembrano aver
calmato le acque, dopo che nelle settimane scorse i media avevano surriscaldato
il panorama politico europeo con notizie che parlavano di ondate massicce di
emigranti richiedenti asilo dalla Macedonia a dalla Serbia.
A inizio marzo, dopo essere stata sollecitata dal governo belga, la Commissione
europea ha reso nota l'esistenza del fenomeno. La stessa Commissione ha poi
richiesto esplicitamente ai governi dei paesi balcanici che hanno recentemente
beneficiato della liberalizzazione del regime dei visti (Macedonia, Serbia e
Montenegro) di spiegare ai propri cittadini non solo i diritti, ma anche gli
obblighi che derivano dal nuovo regime senza visti.
Michele Cercone, portavoce della direzione Giustizia, Libertà e Sicurezza della
Commissione ha fatto il punto sulla situazione, parlando di fenomeno migratorio
dovuto a motivi economici, sottolineando poi che le reali chance di ottenere
asilo sono estremamente basse per la maggior parte dei richiedenti.
Dall'inizio del 2010 le autorità belghe hanno registrato un netto aumento delle
richieste di asilo da parte di cittadini macedoni e serbi. Vari i numeri tirati
in ballo dai media: secondo alcune stime sarebbero circa 400 i macedoni ad aver
chiesto asilo in Belgio dall'inizio dell'anno, un numero nettamente maggiore se
confrontato con le statistiche dell'anno scorso.
Altre fonti stampa hanno scritto di 300 richiedenti asilo dalla Serbia solo a
febbraio, soprattutto albanesi e rom provenienti dalle regioni meridionali del
paese. Richieste di asilo sono aumentate anche in altri paesi dell'Ue. Sarebbero
state 160 quelle presentate a febbraio da cittadini macedoni in Svizzera, un
numero tre volte maggiore a quelle sottoposte nell'intero 2009. Secondo i media
macedoni, un migliaio di rom provenienti soprattutto dalla Serbia meridionale,
ma anche da Macedonia e Montenegro sarebbero entrati in Svezia via autobus. In
questo caso, però, molti sarebbero riusciti ad ottenere asilo e assistenza da
parte del paese ospitante.
Fin da subito, comunque, la vicenda ha mostrato molti aspetti poco chiari e
difficilmente spiegabili. Senza il regime di visti, infatti, i migranti
potrebbero semplicemente entrare in Unione europea come semplici turisti,
scegliendo poi di restare illegalmente nel paese prescelto e nascondendosi alle
autorità, magari per anni.
Quello che invece è successo in queste settimane, con decine di “aspiranti
rifugiati” pronti a dichiarare immediatamente la propria presenza in Belgio alle
autorità di Bruxelles per sottoporre la richiesta di asilo, non sembra la
situazione tipo dell'emigrazione clandestina spinta da motivi economici.
Una serie di indagini giornalistiche in Macedonia ha cominciato a portare un po'
di luce sull'inspiegabile fenomeno. Gli “aspiranti rifugiati”, persone
provenienti dalle fasce più deboli della popolazione, poveri e spesso
analfabeti, sono stati ingannati da truffatori che li hanno convinti che, con la
richiesta di asilo, avrebbero potuto godere dell'assistenza sociale del paese di
arrivo. A molti dei migranti era stato detto che i ricchi paesi dell'Ue
avrebbero garantito loro un appartamento dove vivere e un assegno mensile.
I giornalisti che si sono occupati del caso sono presto arrivati a individuare
delle “agenzie di viaggio”, spesso senza alcuna licenza, che hanno trasportato i
disperati verso Bruxelles e altre destinazioni europee per 100 euro. Il prezzo,
oltre al biglietto, comprendeva un ricco assortimento di bugie, ritagliato su
misura per convincere i propri clienti a partire in cerca di un'opportunità di
vita migliore.
Per molti degli sfortunati “aspiranti rifugiati” 100 euro rappresentavano i
risparmi di una vita. In seguito alle reazioni provenienti dall'Ue e ai
reportage pubblicati sui media, il governo di Skopje ha reagito in fretta,
mettendo fine all'attività delle “agenzie di viaggio” implicate.
Il premier belga Ives Leterme è arrivato in Macedonia l'8 marzo, per aiutare le
autorità locali a fare chiarezza sulle mistificazioni diffuse nel paese. Leterme
ha ribadito che il suo paese non concede asilo politico per motivi economici. Il
premier belga ha poi chiesto al suo omologo macedone, Nikola Gruevski, di
diffondere informazioni precise ai propri cittadini. Il giorno seguente
funzionari belgi, guidati dal Segretario di stato per l'immigrazione Melchior
Wathelet, hanno visitato la regione di Lipkovo, nel nord della Macedonia, luogo
di origine di molti richiedenti asilo.
Il governo macedone ha iniziato una campagna sui media per mettere i propri
cittadini in guardia da false promesse. Per molti giorni vari ministri hanno
fatto dichiarazioni a riguardo sui media nazionali. L'azione ha portato presto a
risultati visibili, e il flusso di autobus diretti a vari paesi dell'Ue si è
interrotto.
Come detto, il primo autobus in direzione opposta è arrivato l'11 marzo. Le
autorità giudiziarie hanno già cominciato le indagini: la speranza è che si
arrivi a punire chi ha approfittato delle speranze dei più poveri tra i poveri.
Quello che all'inizio è stato descritto come un esodo di massa, in grado
addirittura di mettere a rischio l'appena ottenuta liberalizzazione dei visti,
si è rivelato una truffa in grande stile. I governi della regione balcanica,
così come quelli dell'Ue combattono contro il traffico di persone da anni. E'
una lotta difficile, contro avversari organizzati e scaltri. Vista la natura di
quanto accaduto, i severi ammonimenti di Bruxelles sulle possibili future
ripercussioni sul regime dei visti sembrano esagerate.
I media hanno avuto il merito di portare alla luce la natura truffaldina di
quanto accaduto, indicando gli organizzatori e aiutando le possibili future
vittime a orientarsi e ad evitare di essere sfruttate. C'è però anche chi, come
Alexandra Stiglmayer dell'European Stability Initiative (ESI), ha sottolineato
come molti media abbiano in realtà gonfiato irresponsabilmente la vicenda.
“Ci sono stati abusi in tempo di visti, ed è chiaro che ce ne saranno anche in
regime di liberalizzazione. E' un peccato che alcuni media abbiano esagerato nei
toni nel raccontare questa vicenda”, ha dichiarato la Stiglmayer.
“Si tratta di un problema amministrativo, non politico”, ha dichiarato in
un'intervista alla tv macedone “A1” Pavel Gantar, presidente del parlamento
sloveno. La Slovenia è stato uno dei più convinti sponsor della nuova politica
di liberalizzazione verso Macedonia, Serbia e Montenegro.
Di certo la vicenda ha rappresentato il primo test importante per la politica di
liberalizzazione, che per i tre paesi sopra indicati è cominciata a partire
dallo scorso 19 dicembre. Bosnia Erzegovina e Albania dovrebbero essere i
prossimi paesi a godere della possibilità di viaggiare senza visto già nel 2010.
Sempre che le polemiche di queste settimane non si riflettano negativamente su
un'ulteriore apertura da parte dell'Ue.
Di Fabrizio (del 27/03/2010 @ 09:43:53, in Europa, visitato 2486 volte)
Da
British_Roma
19/03/2010 - Abbracciare vecchie e nuove culture aiuterà l'Irlanda del Nord a
prosperare nel futuro, ha detto ieri agli studenti dell'Università dell'Ulster
l'Alto Commissario Canadese.
Il dottor Jim Wright era intervenuto come lettore della "Esperienza del
Canada sul Multiculturalismo" all'Istituto di Ricerche Politiche e Sociali
dell'Ulster (SPRI) nel campus di Jordanstown.
"L'Irlanda del Nord sta cambiando e per il meglio. Ma mentre stanno sparendo
i vecchi problemi, possono emergere nuove sfide," ha detto il dottor Wright.
"L'anno corso tutti noi abbiamo letto sul trattamento di una piccola comunità
Rom a Belfast (vedi
QUI ndr). C'è la preoccupazione che in alcune parti dell'Irlanda del
Nord quel razzismo possa diventare il nuovo settarismo. In un certo modo
bisognava aspettarselo. L'Irlanda del Nord è un paese con una storia recente e
senza collegamento con i nuovi immigrati - le Difficoltà hanno avuto il
sopravvento. Ma mentre l'Irlanda del Nord abbracciava la pace e cercava la
prosperità, diventava più attraente per gente di tutto il mondo che volevano
farne la loro casa. Mentre la gente dell'Irlanda del Nord ha preso una chiara
posizione contro il razzismo, possono esserci alcuni che si sentono incerti sui
nuovi arrivati. Creare una società coesiva, tollerante e multiculturale non
avviene in una notte, ma credo che l'esperienza canadese possa offrire
all'Irlanda del Nord alcuni punti di comprensione utili. Almeno cinque-sei
milioni della nostra popolazione sono nati fuori dal Canada ed ogni anno
accogliamo oltre 250.000 nuovi immigrati. Siamo sotto ogni punto di vista una
nazione di immigrati. Ma il Canada non pretende di essere perfetto. Siamo aperti
a riconoscere le nostre continue sfide ed abbiamo imparato molte lezioni, alcune
difficili, lungo la nostra strada. E siamo lieti ci condividere queste lezioni
con gli altri. In questo villaggio globale in cui viviamo oggi, c'è un movimento
crescente di gente attorno al mondo. Cercano opportunità di crescita per loro e
le loro famiglie. Ed i paesi e le società che sono aperte alle nuove idee e
talenti, avranno l'opportunità di prosperare ed essere competitivi."
Come laureato onorario dell'Università dell'Ulster, Jim Wright, la cui
famiglia è originaria di Warrenpoint, ha dal 1980 uno stretto interesse con
l'Irlanda del Nord. Per molti anni ha lavorato col Programma Marie Wilson Voyage of Hope
attraverso il ruolo del Canada nel Fondo Internazionale per l'Irlanda.
La dottoressa Susan Hodgett, Direttrice degli Studi Canadesi presso
l'Istituto di Ricerche Politiche e Sociali, ha detto:
"La democrazia multiculturale del Canada è uno dei principali argomenti di
studio di diversi ricercatori dell'università. Il dottor Wright ha parlato delle
tante sfide che il Canada ha dovuto affrontare negli anni. Se il Canada accoglie
circa 250.000 nuovi immigrati ogni anno, siamo curiosi di conoscere come hanno
gestito questo successo."
Il professore Bob Osborne, direttore dello SPRI, ha aggiunto:
"Come le istituzioni incaricate in Irlanda del Nord prendano uno sguardo più
fermo su come si possano abbattere le barriere tra le due comunità
etno-religiose ed assieme assicurare che i recenti immigrati divengano qui
pienamente integrati nella società, diventerà una questione importante.
Guardando a come le altre società hanno affrontato questioni simili, dovrebbe
permettere ai chi elabora le politiche di avere un vasto contesto in cui
sviluppare le loro idee e opzioni politiche. Lo SPRI è lieto di giocare il ruolo
di facilitatore nello scambio di idee tra politici ed accademici."
For further information, please contact:
Press Office, Department of Communication and Development
Tel: 028 9036 6178
Email: pressoffice@ulster.ac.uk
Di Fabrizio (del 28/03/2010 @ 09:01:56, in Europa, visitato 2293 volte)
Segnalazione di Gabriel Segura
LaOpinionDeMurcia.es
Il caso di Isabel Heredia è poco comune. Questa gitana di 28 anni da qualche
mese è segretaria all'immigrazione nell'esecutivo municipale del PSOE di Murcia,
e lei stessa riconosce che "non è abituale incontrare gitani in politica e
tantomeno donne". Senza dubbio, ha la politica nel sangue, dato che suo padre è
stato militante socialista per tutta la vita e "la mia famiglia è sempre stata
molto vicina al partito, per cui ho sempre prestato attenzione a questo
mondo".
Riguardo al Giorno contro il Razzismo, celebrato ieri, Heredia afferma che resta
ancora molto da fare e "ora con la crisi stanno crescendo le attitudini
xenofobe, perché la gente non ha lavoro e cerca qualcun altro a cui dar la colpa
della sua situazione". Riguardo ai gitani, [...] assicura che "anche se siamo in
Spagna da oltre seicento anni, continuiamo ad essere degli sconosciuti", tanto
da sottolineare che "la discriminazione viene sempre dal disconoscimento, dal
non sapere chi sono i nostri vicini".
Isabel Heredia dice di non aver mai avuto problemi per la sua etnia, né dentro
né fuori dalla politica, e qualifica come "gratificante" l'appoggio ottenuto
tanto dai suoi amici come dalla famiglia e dai compagni di partito. Inoltre,
sottolinea che "il governo sta impegnandosi per la conoscenza della cultura
gitana, per questo ha creato l'Istituto di Cultura Gitana ed il Consiglio
Statale del Popolo Gitano, misure molto positive".
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