Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Dijana Pavlovic chiuderà a Mantova la campagna elettorale di Rifondazione
Comunista con lo spettacolo teatrale Rom Cabaret, insieme ai musicisti Jovica
Jovic e Marta Pistocchi.
Siete tutti invitati venerdì 5 giugno 2009, alle ore 21.00, presso la sede
di Rifondazione Comunista a Mantova, in via Bettinelli n.12 (di fianco alla
Stazione Ferroviaria). A tutti sarà offerto un piccolo rinfresco.
Lo spettacolo è nato tre anni fa come occasione di incontro tra la cultura
Rom e la rappresentazione che ne ha fatto la tradizione letteraria
occidentale attraverso l’immagine romantica dei mondi rom e sinti
(Cervantes, Puskin, Merimée, ecc).
Di fronte alle vicende drammatiche degli ultimi due anni, che a partire dal
caso di Opera sono culminate nella cosiddetta “emergenza Rom”, è nata l’esigenza
di attualizzare lo spettacolo e trasformarlo in uno strumento non solo di
conoscenza e di confronto, ma anche di denuncia.
È quindi diventato uno spettacolo mosaico fatto di poesie e racconti popolari e
di autori Rom, di musica e canzoni popolari, di testi, di video e interviste che
raccontano la condizione dei Rom oggi in Italia fatta di sgomberi e di
pregiudizi. Ma tocca anche i momenti duri e drammatici della storia, come quello
dello sterminio nei campi di concentramento nazisti, passando dai toni poetici a
quelli amari e drammatici, senza dimenticare l’ironia e anche l’ autoironia
delle barzellette Rom.
Con Marta Pistocchi (italiana) e Jovica Jovic (rom serbo) - due musicisti
molto diversi tra loro per origine, provenienza e formazione professionale si
incontrano nel 2006 e animati dalla passione per la musica rom dei Balcani
formano un duo unico nel suo genere; i Muzikanti sono la realizzazione di un
autentico incontro di culture che si esprime in un linguaggio musicale
originale, fantasioso, libero e vitale.
Di Fabrizio (del 04/06/2009 @ 09:43:45, in Italia, visitato 1993 volte)
venerdì 5 giugno 2009 h. 17.00 - 22.30
presso l'ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE "ETTORE MAJORANA" Via Carlo Marx, snc –
Località Campoleone - 00040
Lanuvio,
(ROMA)
Festa dell’Intercultura
"Non incontrerai mai due volti assolutamente identici. Non importa la bellezza o
la bruttezza: queste cose sono relative. Ciascun volto è il simbolo della vita.
E tutta la vita merita rispetto. E’ trattando gli altri con dignità che si
guadagna il rispetto per se stessi".
Tahar Ben Jelloun
INCONTRIAMOCI CON … GUSTO
Presso la Scuola Primaria ‘Gianni Rodari’, Via Filippo Turati, 13 – Campoleone
Venerdì 5 Giugno 2009, ore 17,00
PROGRAMMA
Ore 17,00 BENVENUTI A TUTTI
Introduzione del Dirigente Scolastico, saluto delle Autorità e presentazione dei
Relatori.
Ore 17,00
Apertura della Mostra QUANDO GLI EMIGRANTI ERAVAMO NOI
Ore 17,00-18,00 Convegno sul tema
L’ITALIA DA PAESE DI EMIGRAZIONE A PAESE
DI IMMIGRAZIONE
Interventi:
Toni Zingaro (Antun Blažević), autore del Libro ‘Speranza’
Prof.ssa Patrizia Dell’Orbo, fondatrice della associazione onlus ‘Miche – I
Germogli’.
Ore 17,00-18,00
Per i bambini ANIMAZIONE DI FIABE PALESTINESI
a cura di Luisa Di Gaetano, giornalista free lance.
Ore 18,00-19,00 SPETTACOLO DEI BAMBINI DELLA SCUOLA ‘G. RODARI’
Ore 18,30 STAND GASTRONOMICI DAL MONDO
Romania, Tunisia, Albania, America centrale e meridionale, Cuba, Nigeria,
Filippine, Italia.
(Ogni assaggio avrà il costo di € 0,50, e i proventi saranno devoluti in
beneficenza).
Ore 20,00 CONCERTO DI PERCUSSIONI IN CERCHIO ‘SUONIAMO INSIEME’
con l’Associazione per Ananche.
Ore 20,30 BRUSCHETTA E PASTA PER TUTTI offerta da La Serenissima ristorazione
Per la riuscita della manifestazione sono stati preziosissimi i contributi di
tutti. In particolare si ringrazia:
Comune di Lanuvio, CRAI, SDA Group (Cecchini), La Serenissima ristorazione,
Luisa Di Gaetano, Associazione per Ananche, Comitato Genitori.
E, last but not least, tutti i genitori.
Telefono: 06-93.03.153
E-mail: i.c.ettoremajorana@infinito.it
Di Fabrizio (del 07/06/2009 @ 09:30:27, in Italia, visitato 1778 volte)
Segnalazione di M Cristina Di Canio
A cura di Marzia Coronati - 5 Giugno 2009
Torta di spinaci, involtini di verza, biscotti di nocciola e cocco. Romanò Hape,
il catering di cucina rom, offre piatti tipici della cucina romanì da gustare a
feste e mercati o da portare a casa in graziose scatoline. In nessuna parte
d’Italia esiste un ristorante di cucina rom. Oggi però le cose sembrano
cambiare. Da diversi mesi a Roma è iniziato il progetto Romanò Hape: un
laboratorio di cucina che si propone per feste, catering e mercati.
In chiusura, Ritmi, la rubrica musicale a cura di Elise Melot.
Romano Hapè, promosso da Roma onlus, non è solo un corso di cucina, ma un modo
per buttare giù le barriere e mettere a confronto due culture che convivono
ormai da decenni nella stessa città, senza però conoscersi. Non solo, il
progetto mira anche a unire le varie comunità rom, da tempo frammentate, e a
mettere fine alla mentalità maschilista tipica della cultura rom. “Vogliamo che
si capisca l’importanza del ruolo della donna, in una società prevalentemente
maschilista com’è quella rom” spiega Graziano Halilovic, di Roma onlus, “per
questo abbiamo aperto il corso solamente alle donne, nonostante ci siano molti
uomini rom che hanno eccellenti doti culinarie”.
Il catering Romanò Hape è una delle tappe di un progetto più grande: la ricerca
transdisciplinare “Campus rom, oltre i campi nomadi”. Iniziato nel 2007 dal
laboratorio di arte urbana Stalker e da Roma onlus, il progetto ha un obiettivo
principale: creare uno scambio tra la comunità italiana e quella rom, attivando
così un percorso di conoscenza.
La prima tappa del progetto intrapresa da Stalker consisteva in un viaggio nei
campi di Roma con gli studenti di architettura dell’università Roma 3. Studenti
e professori abitavano queste realtà per una settimana, per portare avanti un
percorso di “apprendimento reciproco”, in cui imparavano le tecniche
architettoniche dei romma mettevano anche a disposizione le loro conoscenze.
Nell’estate 2008 Stalker ha portato avanti il progetto “Savorengo Ker”, in
romanì la casa di tutti. Si trattava di una piccola costruzione costruita
all’interno del campo nomadi Casilino ‘900. La Savorengo Ker era stata costruita
dai rom delle quattro diverse etnie del campo, unite in un progetto volto a
dimostrare che è possibile proporre risposte concrete in alternativa ai
container e alle baracche. Una micro-villetta in legno messa in piedi con lo
stesso budget finanziario necessario per realizzare un container. Durante la
costruzione della Savorengo Ker un gruppo di fotografi professionisti e non
hanno scattato centinaia di foto e oggi quattro di loro espongono alcuni di
questi scatti in una
mostra
inaugurata venerdì 5 giugno all’ Ex-mattatoio di
Roma. La comunità rom, sempre più spesso descritta come “un’emergenza”, è
fotografata in questa mostra in momenti di condivisione e scambio di conoscenze
con la comunità italiana.
Isole dove il transitorio è perenne, i campi nomadi di Roma si sono trasformati
negli anni; nati come luogo di sosta per i rom italiani e i transitanti, sono
poi divenuti centri di accoglienza per i rifugiati dell’Ex-Jugoslavia,
per divenire oggi, nell’ultima versione, ghetti abitativi per un’etnia. Secondo i
fautori della ricerca “Campus rom”, non servono grandi stanziamenti per
migliorare le condizioni di vita della comunità rom, ma si tratta semplicemente
di interrompere quel circolo vizioso stretto intorno ai rom fatto di
criminalizzazione, pregiudizi, investimenti in sicurezza, confinamento dei
campi.Ma poco o niente è stato fatto per promuovere l’autorappresentazione e
l’autopromozione. Proprio per sostenere l’autorappresentazione e
l’autopromozione della comunità rom Stalker e Roma Onlus hanno promosso un
laboratorio/concorso di fotografia, Romané Chavé, in cui gli studenti si sono
finalmente autorappresentati a loro modo.
Il brano proposto da Ritmi è Solimulen, di Mamady Keita
Ospiti della puntata: Graziano Halilovic, Max Intrisano, Lorenzo Romito, Michele
Carpani
In redazione: Elise Melot, Khaldoun
Passpartù è un progamma a cura di Marzia Coronati
Passpartù 33: La cultura romanì servita sul piatto [30:35m]:
Download
Di Fabrizio (del 09/06/2009 @ 09:15:58, in Italia, visitato 1838 volte)
Da
Roma_Italia
A quanti possano essere interessati:
La nostra organizzazione per i diritti umani "Società per i Popoli
Minacciati" è internazionalmente riconosciuta da 40 anni per il suo lavoro per i
diritti delle minoranze etniche, linguistiche e religiose minacciate e/o
perseguitate in tutto il mondo. Siamo consulenti del Consiglio Economico e
Sociale (ECOSOC) delle Nazioni Unite e partecipiamo al Consiglio d'Europa. Il
nostro quartiere generale è a Gottinga, in Germania.
Per il nostro bimensile "bedrohte Völker - pogrom" (popoli minacciati -
pogrom) stiamo attualmente pianificando un'uscita focalizzata sui Sinti e
Rom in Europa. Per questo stiamo ancora cercando articoli che descrivano la loro
attuale (e possibilmente anche storica) situazione in Italia.
Perciò vorrei chiedervi se fosse possibile per voi scrivere un articolo di 1
o 2 pagine sulla situazione dei Sinti e dei Rom in Italia, o meglio in Sicilia.
Potete scrivere in inglese, italiano o tedesco. Lo tradurremo poi in tedesco.
Vi preghiamo di farci sapere se fosse possibile per voi (o se conoscete
qualcuno che possa farlo) appena possibile, dato che i nostri tempi stringono...
Molte grazie per il tempo che ci avete dedicato.
Katja Wolff
Redaktion "bedrohte Völker - pogrom"
Gesellschaft für bedrohte Völker e.V. (GfbV)
Geiststr. 7
D - 37073 Göttingen
Tel. 0049 (0)551 49906 -28
Fax 0049 (0)551 58 028
E-Mail redaktion@gfbv.de
Internet www.gfbv.de
Per i diritti umani, in tutto il mondo
Di Fabrizio (del 15/06/2009 @ 09:10:12, in Italia, visitato 1487 volte)
Emergenza rifiuti nel campo nomadi della Favorita. I ratti hanno invaso
l'area, dove viene raccolta solo l'immondizia accatastata all'ingresso. Il resto
viene bruciato
È ancora alta l'emergenza rifiuti al campo nomadi della Favorita, dove i
topi che razzolano tra l'immondizia hanno morso cinque bambini. Così i rom
l'altro ieri notte hanno deciso di agire da soli e dare alle fiamme i cumuli di
immondizia accatastata all'interno del campo, ormai da settimane. Non soltanto
sacchetti, ma anche materiali ingombranti che al campo si sono accumulati in
continuazione e non sono mai stati smaltiti.
Da quando il personale dell'Amia ha ripreso lentamente la raccolta, gli unici
rifiuti a scomparire sono stati quelli appena all'ingresso nel campo o deposti
sulla strada. Ma in fondo al campo, nella parte kosovara, dove la comunità è più
numerosa e ci sono molti bambini, la montagna è sempre più alta. «I topi sono
enormi - dice Hassan, uno dei responsabili del campo - Sono più grandi dei
gatti. Non tolgono l'immondizia dove noi viviamo, allora ci aiutiamo da soli. Lo
facciamo per i nostri figli che sono in grande pericolo. Qui dentro non arriva
nessuno, è da molto tempo che non ritirano i rifiuti, ogni giorno speriamo che
la situazione migliori».
Negli ultimi giorni, infatti, cinque bambini del campo sono stati morsi dai topi
che si aggiravano fra la spazzatura mentre giocavano. La notte poi il pericolo
di essere aggrediti aumenta: i ratti entrano anche nelle baracche e la gente ha
paura. «Appena fa buio - dice Alì - si scatenano. Abbiamo terrore, entrano nelle
case, ce li ritroviamo sul letto. E non dormiamo più. Con mia moglie stiamo
sempre attenti, ma non si sa mai cosa può succedere. Non sappiamo come
difenderci».
Se la situazione non tornerà presto alla normalità, il pericolo di nuovi incendi
è dietro l'angolo: «I nostri figli - continua Hassan - non hanno altri spazi in
cui giocare. Stanno tutto il giorno a correre nel campo, e ormai giocano fra i
rifiuti. Adesso inizia il vero caldo, e qui diventa un forno. Abbiamo bisogno di
una mano, altrimenti continueremo a bruciare i rifiuti a nostro rischio e
pericolo».
(14 giugno 2009)
Di Fabrizio (del 15/06/2009 @ 09:39:44, in Italia, visitato 1872 volte)
Segnalazione di
Eugenio
Viceconte
In occasione della chiusura di
CAMPUS ROM, martedì 16 giugno alle ore 16.30, in Via Aldo Manuzio 72 (Ex
Mattatoio di Testaccio) ci sarà la conferenza:
"dal campo alla città" come favorire l'autorappresentazione e
l'autopromozione delle comunità rom
Saluto introduttivo:
Francesco Careri - Dipartimento di Studi Urbani, Università di Roma Tre
Presenta:
Lorenzo Romito - Stalker/Osservatorio Nomade
Modera:
Lanfranco Sbardella - Radio Popolare Roma
Intervengono:
Najo Adzovic – scrittore, rappresentante del Casilino 900
Antun Blazevic- scrittore, mediatore culturale
Graziano Halilovic - Romà Onlus
Nazzareno Guarnieri - presidente Federazione Rom e Sinti Insieme
Giorgio De Acutis – Focus – Casa dei diritti sociali
Roberto De Angelis - antropologo Università La Sapienza, Roma
Tano D’Amico- fotografo
Simona Caleo - fotografo
Giorgio de Finis - fotografo
Max Intrisano - fotografo
Stefano Montesi - fotografo
Fulvio Pellegrini – fotografo, docente di Sociologia Economica presso
l’Università La Sapienza di Rom
Di Fabrizio (del 16/06/2009 @ 09:00:21, in Italia, visitato 1614 volte)
Segnalato da Carlo Motta e Flora Afroitaliani
[...] Negli ultimi due anni i media hanno registrato trecentodiciannove casi
di violenza razzista in Italia e le aggressioni sono in continuo aumento.
Centodiciannove nel 2007, centoventiquattro nel 2008 e nei primi quattro mesi
2009 si contano già settantasei atti di violenza. Numeri che riguardano persone
reali. Una ricostruzione solo parziale, la punta dell'iceberg si potrebbe
definire, di un fenomeno in costante crescita. Cronache di ordinaria
intolleranza documentate nel "Libro bianco sul razzismo in Italia" curato
dall'associazione Lunaria e oggi nella Sala delle Pace di Palazzo Valentini,
sede della Provincia di Roma. "É un lavoro collettivo-spiega il presidente
di Lunaria Gulio Marcon aprendo la conferenza-uno strumento utile a gruppi e
associazioni per capire e arginare un fenomeno montante", quello del razzismo.
Un tentativo di decostruzione dei pregiudizi e degli stereotipi comuni
nell'opinione pubblica e nel discorso dei media attraverso l'analisi di otto
casi esemplari: dal pogrom di Ponticelli alla strage di Erba, dalla violenza
subita da Navtej Singh a Nettuno sino al caso dello stupro della Caffarella.
I curatori del Libro bianco fanno una premessa: l'Italia non è un paese
razzista, ma è innegabile che esistano preoccupanti fenomeni di razzismo. Nel
paese sembra essere in atto un processo di legittimazione culturale, politica e
sociale del razzismo che vede protagonisti gli attori pubblici e istituzionali.
E, in un Europa che sembra sempre più pervasa da pulsioni xenofobe, il caso
italiano appare ancora più inquietante. L'opinione pubblica internazionale e le
istituzioni europee guardano con sempre maggiore preoccupazione al caso Italia.
E il rapporto di Lunaria è aggiornato all'aprile 2009, quando ancora l'Europa
non aveva visto l'Italia all'opera nel lavoro di respingimento degli immigrati e
nella diatriba con Malta su chi dovesse ospitare i migranti alla deriva sul
cargo Pinar. Preoccupa tuttavia la saldatura avvenuta tra razzismo
istituzionale, xenofobia popolare e stigmatizzazione mediatica dello straniero.
Un circolo vizioso che, secondo Anna Maria Rivera, docente e etnologia
all'università di Bari e autrice di uno dei capitoli del Libro bianco, ha
portato al "crollo dei freni inibitori nel proporre discorsi razzisti e a una
banalizzazione stessa del razzismo".Un processo lungo, che nel corso dell'ultimo
ventennio ha portato alla de-umanizzazione dei migranti e delle minoranza. Un
processo in rapida accelerazione negli ultimi due anni dovuto all'azione del
governo di centrodestra attualmente in carica, che ha dato continuità alle
decisioni prese dal centro sinistra negli anni passati. Anna Maria Rivera parla
di "piatto pronto" e cita l'esempio delle reazioni all'omicidio di Giovanna
Reggiani nell'autunno del 2007 a Roma, delitto che provocò la dura reazione
dell'allora sindaco della capitale Veltroni e una forte ondata anti-rumena. Ma
non solo.
Analizzando e confutando il reato di immigrazione clandestina il magistrato
Angelo Caputo mostra come esso sia la traduzione in termini giuridici del "netto
discrimine" tra regolari e irregolari enunciato nella legge Turco-Napolitano. Un
discrimine degenerato in quella che Caputo definisce "la menzogna della
differenza ontologica tra migrante irregolare e regolare". Tale menzogna unita a
un costante richiamo alla "percezione dell'insicurezza" ha condotto allo
spostamento del discorso dal sociale al penale. A riprova di questo l'inclusione
delle norme sui migranti all'interno del pacchetto sicurezza. E con il reato di
immigrazione alla criminalizzazione non dei comportamenti della persona, ma del
suo stesso stato d'essere.
Una politica che, secondo Lunaria, criminalizzando lo straniero alimenta i
fenomeni di "giustizia fai te" alla base dell'aumento della violenza organizzata
e per bande. Violenze soprattutto fisiche, che ormai hanno superato di numero le
discriminazioni e le offese verbali. Omicidi, pestaggi, baby-gang. Fenomeni che
colpiscono gli adulti, ma che vedono sempre più spesso protagonisti i giovani.
Il Libro bianco rivela come i "figli dell'immigrazione", la seconda generazione
siano spesso separati dai loro coetanei italiani, senza che si formino rapporti
interculturali. Una forte discriminazione, spesso reciproca, ben descritta da
una ragazza straniera intervistata per realizzare il Libro: "i miei genitori
appena arrivati lottavano per lavorare. Noi dobbiamo lottare per vivere". (da
http://www.lettera22.it/showart.php?id=10555&rubrica=24 )
IL LIBRO BIANCO SUL RAZZISMO è SCARICABILE QUI:
http://www.lunaria.org/allegati/librobiancorazzismo.pdf
Di Fabrizio (del 17/06/2009 @ 08:53:15, in Italia, visitato 2179 volte)
Ricevo da Rosanna Ferrucci
Alla luce dell'esperienza del il Primo Congresso Nazionale della “Federazione
Rom e Sinti insieme” riprendono a grandi passi, i lavori di quei Sinti e quei
Rom che pensano al futuro dei loro diritti, quelli che si identificano nella
sintesi dei principi emersi da questa prima consultazione nazionale.
Il primo grande innovamento è portato dell'esigenza generalizzata di aprire le
porte a tutte le comunità di rom presenti sul territorio nazionale ed europeo.
Attraverso una visione unitaria che non pretende di rappresentare tutti i rom ma
dichiara di voler perseguire obiettivi unitari che riguardano anche tutti
i gruppi europei: Rom; Sinti; Kalé; Manouches; Romanichels (oltre a rom,
sinti e camminanti italiani).
Questo significa da un lato rilanciare i temi ormai condivisi:
1. il riconoscimento di minoranza linguistica
2. la conoscenza della cultura Romanì
3. abbandonare la politica dei campi nomadi per avviare una politica abitativa
pubblica per tutti i cittadini
4. abbandonare ogni forma di politica differenziata, le forme di
assistenzialismo culturale e definire un ruolo propositivo per il popolo Romanò
5. recupero e sviluppo di una economia romanì, tra tradizione e modernità.
Ponendo al centro dell’azione politico/culturale l’unità e la partecipazione
attiva della popolazione Romanì, la promozione della cultura Romanì con il
riconoscimento e la valorizzazione delle professionalità Rom e Sinte, quale
strategie sia per stimolare processi di formazione alla partecipazione attiva,
sia per l’orientamento delle scelte politiche e culturali.
Dall'altro lato significa aggiungere scopi e valori contestuali all'Europa.
La popolazione romanì è la più grande minoranza europea!
È arrivato il momento di cimentarsi nella progettazione e nella ricerca sul
livello europeo oltre che sul livello nazionale.
Come prima conseguenza propone una nuova denominazione: FEDERAZIONE ROMANÌ.
Il popolo romanò ha la forza e le competenze per determinare il suo cammino.
La Federazione Romanì vuole essere lo strumento per realizzare questo
cammino.
Il presidente
Nazzareno Guarnieri
Federazione Romanì
Sede legale: Via Altavilla Irpinia n. 34 - 00167 Roma
Codice fiscale 97322590585 – Email:
federazioneromani@yahoo.it
Web:
http://federazioneromani.wordpress.com
La moglie del romeno ucciso: "L'ambulanza solo dopo mezz'ora" di
Cristina Zagaria
"Il mio Petru è stato lasciato morire. C' era una sola ambulanza e ha portato
via il 14enne. Mio marito è rimasto a terra per 30 minuti. Se era italiano
sarebbe stato diverso, a noi ci lasciano finire così". Parole forti nella
denuncia di Mirella, la compagna del romeno Petru Birlandeanu ucciso per errore
dai killer della camorra. Un delitto compiuto durante una sparatoria tra la
folla avvenuta poco prima delle otto di sera martedì a Montesanto.
"Per 5 minuti ha parlato. Per 10, mi ha guardato fisso negli occhi e, quando io
gridavo, lui scuoteva la testa e mi stringeva più forte la mano. Per mezz' ora
il corpo di mio marito Petruè rimasto per terra e nessuno ha fatto niente. Ci
guardavano tuttie c' era anche chi mi scattava fotografie. È arrivata un'
ambulanza, ma non era per noi era per il bambino ferito. Due feriti un'
ambulanza sola... per l' italiano". Un' accusa. Lunga trenta minuti. Mirella è
spaventata e arrabbiata. Mirella ha poco più di vent' anni ed è la moglie di
Petru Birlandeanu, il romeno ucciso per errorea Montesanto. Mirella fumae
piange. Fuma e si preme le mani sulla testa. Fuma Winston blu e si accuccia per
terra, seduta sul cordolo dell' aiuola davanti all' obitorio, tenendo stretta la
mano al fratello. Ernesto Cravero, docente della Federico II, sul sito di Noi
Consumatori, conferma il racconto di Mirella: "Ritorno verso il ferito, il
poveretto non si muove più, la donna che era con lui piange in silenzio. Sento
delle sirene, penso: è l' autoambulanza. No, è una volante. Sono
disorientato...eppure l' ospedale dei Pellegrini è lì a 100 metri. Chissà,
portarvi quell' uomo a braccia o in barella. Alle 20 gli addetti della
funicolare chiudono le portea vetro per isolare quel poveretto che è ancora lì e
non si muove più". La sparatoria è avvenuta tra le 19.30 e le 19,40: trenta
minuti prima. L' accusa di Mirella è dura: "Se era italiano sarebbe stato
diverso. Agli italiani noi romeni facciamo paura e ci lasciano morire". E
Mirella, piccola donna vestita di nero, con le ciabatte aperte e due cerchi d'
oro alle orecchie, in Italia da tre anni, non trova spiegazione né tregua. "Mio
marito è morto per 8 euro. Tanti erano i soldi che aveva in tasca. Tanti i soldi
che racimoliamo ogni giorno e spediamo quasi tutto in Romania, dove c' è la mia
bambina". Petru e Mirella hanno due figli, la più grande ha 10 anni, il più
piccolo ne ha 6 e vive a Napoli. "Ma non lo portavamo quasi mai con noi al
lavoro", fa notare Mirella. Lavoro? Petru suonava la fisarmonica sulla Cumana,
ma era un calciatore. Mirella mostra la carta di identità del marito e racconta:
"Era un centravanti del Poli Iasi, serie A rumena. Amava seguire le partite del
Napoli e quando poteva giocava con i bambini, insegnava a giocare a calcio anche
agli italiani. Perché Petru era romeno, non rom". Quando pronuncia la parola
"italiani" grida: "Gli italiani vogliono ammazzare anche me. Non ho visto
niente, niente... ma ero lì e la mafia ora mi sta cercando". Un motorino
sfreccia nel viale e lei scoppia a piangere. Un attimo dopo una sirena. Mirella
si rannicchia e poi balza in piedi. I rumori della paura fanno affiorare i
ricordi: "Siamo alla stazione. Sentiamo gli spari. Petru mi afferra e dice:
"Corri". Vedo il sangue, ma lui mi dice che è solo un graffio e che devo
correre. Fino alla fine ha pensato a me, a salvare me...a lui non ha pensato
nessuno e io non potevo fare niente". Torna la rabbia, appannata dall'
impotenza. Ora accanto a Mirella c' è suo fratello, una interprete romena,
Elisabeta, Enzo Esposito dell' Opera Nomadi, Federico Zinnae Carlo Parato del
Partito Identità Romena della Campania. Chi è accanto a Mirella ha già avviato
la domanda in Prefettura (che si è già attivata) perché Petru sia riconosciuto
vittima di mafia, mentre il Comune si è offerto di organizzare il trasferimento
della salma in Romania. Ma Mirella non riesce a seguire niente. Si prepara a
passare la notte piangendo, senza che le sue lacrime sfiorino mai il corpo di
Petru, come vuole la tradizione. Telefona in Romania: "Preparate il vestito da
sposo di Petru. Deve essere tutto pronto, per il funerale. Torniamo a casa
presto, per sempre".
(16 giugno 2009)
Di Fabrizio (del 21/06/2009 @ 09:09:44, in Italia, visitato 1567 volte)
A Milano, sotto il cavalcavia di
Bacula c'è un nuovo insediamento di Rom cacciati da altri rifugi, nonostante
le parole del vicesindaco De Corato che assicurasse come l'area fosse stata
chiusa e "messa in sicurezza". Continua la politica di giocare a guardie e
ladri.
CITYROM è tornato lì sotto, quella che segue è la sua inchiesta.
Giugno 20, 2009: Quando sono arrivato al cavalcavia Bacula, tra piazza
Stuparich e piazzale Lugano, pochi giorni dopo lo sgombero, c’erano ancora
persone sotto le arcate. Mi hanno raccontato che fino ad allora avevano dormito
all’aperto, accanto all’insediamento distrutto, e che stavano per partire per la
Romania come anche tanti altri stavano facendo. Molti invece avevano deciso di
restare a Milano e si erano sistemati in zona Lambrate e in un edificio
abbandonato a pochi passi dal cavalcavia in piazzale Lugano. Ci sono stato, al
secondo piano alcune famiglie avevano organizzato una "casa" con dei materassi,
un tavolo recuperato e tre tende da campeggio.
Per anni quest’area, alla periferia nord di Milano, ha ospitato diversi
insediamenti abusivi di rumeni di etnia rom, più volte sgombrati e più volte
risorti.
Quell’area l’abbiamo sgomberata quattro volte, mi avevano raccontato a dicembre
i responsabili del Nucleo problemi del territorio della Polizia locale di
Milano. Abbiamo detto in modo chiaro all’Amministrazione che per mettere in
sicurezza il cavalcavia Bacula bisognava costruire un muro di cemento armato.
Dopo lo sgombero dell’anno scorso, sotto il ponte il Comune ha messo dei
dissuasori "New Jersey" di due metri in modo che l’area non venisse occupata di
nuovo. In realtà hanno usato i dissuasori come letti… Hanno sfondato il muro che
divide il cavalcavia Bacula dal C.A.M. (Centro Aggregazione Multifunzionale) del
Comune di Milano, che ospita anche una scuola materna. Vanno nel giardino della
scuola e si lavano alla fontanella, defecano, stendono i vestiti e fanno il
barbecue.
Il 31 marzo 2009, dopo una campagna mediatica durata più di un mese che dava
voce agli esposti degli abitanti del quartiere e denunciava l’emergenza
igienico-sanitaria del campo, l’illegalità che vi proliferava e i conseguenti
problemi di sicurezza, il Comune di Milano ha per l’ennesima volta sgombrato
l’insediamento. Questa volta, però, seguendo le indicazioni della Polizia
locale, dopo lo sgombero, l’area è stata "messa in sicurezza". L’accesso
all’area sotto una parte del cavalcavia è stato chiuso con una recinzione in
ferro alta tre metri; il terrapieno in pendenza da cui si scendeva dal
cavalcavia nell’insediamento è stato sbancato e ora è una sorta di muro di terra
alto qualche metro; l’arcata del ponte sotto cui sorgeva l’insediamento più
piccolo è stata chiusa utilizzando la terra ricavata dallo sbancamento.
Prima dello sgombero il Comune aveva offerto dei posti letto nei dormitori
pubblici per le donne e i bambini, come era avvenuto già in passato. Ma la
proposta prevedeva che le famiglie si sarebbero dovute dividere, così tutti
hanno rifiutato. Le associazioni che avevano lottato perché si trovasse una
soluzione abitativa per gli abitanti, sono riuscite a sistemare 25 persone – le
famiglie con figli che vanno a scuola – alla Casa della Carità, e una famiglia
con una figlia disabile nel campo comunale di via Triboniano. Per tutti gli
altri, almeno duecento persone, non ci sono state iniziative.
Dopo che i giornali hanno dato la notizia dell’imminente sgombero, sono
ritornato più di una volta a visitare la baraccopoli per documentare cosa stava
succedendo e capire quali erano i motivi che rendevano urgente l’intervento
delle forze dell’ordine. Ho così raccolto diverse testimonianze.
Sunita abitava in una piccola baracca, fatta di materiali di scarto e rivestita
di stoffa. La prima volta che l’ho incontrata erano le tre del pomeriggio e si
trovava insieme alla famiglia all’interno della baracchina. Aveva in braccio il
figlio di tre anni, la suocera era sdraiata sul letto insieme alla figlia e al
suocero che dormiva.
Mio marito, mi ha raccontato Sunita, è scappato con un’altra donna e io sono
rimasta qui con mia suocera. Se vuole tornare io l’aspetto.
La loro baracca era isolata rispetto alle altre e si trovava nel campo
antistante il cavalcavia, addossata al muro che separa questo spazio dai binari
delle ferrovie Nord. Era costituita da tre moduli di due metri per tre: in uno
c’era la cucina e negli altri due i letti.
Se ci sgombrano porteremo con noi solo le coperte e i vestiti, il resto lo
lasceremo qui, non abbiamo la macchina.
Quel giorno sono rimasto a parlare con loro per un po’. Mi hanno raccontato che
la casa che avevano in Romania l’avevano venduta dopo la morte del figlio
maggiore per pagare il funerale e che l’anno scorso era morta la figlia di
Sunita, dopo solo quarantatre giorni di vita. Abbiamo fatto il funerale al campo
di via Triboniano, dietro il cimitero maggiore. Vivevano facendo l’elemosina.
Mentre Student, il capo famiglia, non lavorava e si occupava di accompagnare i
figli di otto, dieci e tredici anni a scuola. Oggi ho guadagnato solo cinque
euro. Mia suocera non ha raccolto nulla perché la polizia l’ha cacciata via.
Esco tutte le mattine alle sei per arrivare solo alle 8.30, non ho soldi per
pagare il biglietto e i controllori mi fanno scendere continuamente. Vado a
Bollate, Varese, Cittiglio, Gavirate. A Milano no, perché non ho un posto dove
stare. Mi fermo davanti a un supermercato, una chiesa o un cimitero. Il massimo
che ho raccolto in una giornata sono stati 25 euro. Oggi tutti mi dicono che
sono in crisi.
Vasil un uomo silenzioso con l’aria seria, parlava un buon italiano. Mi ha
raccontato che è arrivato in Italia nel 2002. Perché hai scelto l’Italia?, gli
ho chiesto. Per la lingua. Sapevi che saresti andato a vivere in una
baraccopoli? No, prima di venire in Italia sono stato sei mesi in Spagna e ho
abitato in un appartamento in affitto. E in Italia? I primi mesi ho abitato a Triboniano (una grande baraccopoli abusiva alle spalle del Cimitero Maggiore),
appena ho trovato un lavoro
sono andato via dai campi e ho preso un appartamento in affitto e finché ho
avuto un lavoro sono stato in appartamento. Poi, per forza di cose, non avendo
più soldi, ho lasciato l’appartamento e sono ritornato a vivere in un campo.
Vasil mi ha raccontato che l’appartamento si trovava a Sesto San Giovanni, era
composto da due stanze da letto, un soggiorno, una cucina e un bagno e che
pagava 650 euro di affitto. Abitava insieme alla moglie e ai quattro figli che
l’avevano raggiunto in Italia appena lui si era sistemato. E che poi era rimasto
solo con la moglie. I figli dopo aver lasciato la casa erano ritornati in
Romania. Ho una figlia di 27 anni sposata con due figli, una figlia di 23 anni e
uno di 22 che vanno all’università e un’altro di 13 anni che va anche lui a
scuola. In Romania ora vivono in una casa in muratura con un giardino piccolo
che ho comprato nel 1989. Vasil ne parlava con orgoglio.
A Milano la sua baracchina si trovava insieme ad altre otto sotto uno delle
campate del Cavalcavia Bacula. Era grande due metri per tre, al suo interno
c’era spazio solo per il letto. Anche la sua era fatta con assi di legno e
interamente rivestita di stoffa. Aveva una piccola finestra per fare entrare un
po’ di luce naturale.
Vasil chiudeva con un piccolo lucchetto la sua baracchina. Anche se il campo era
abitato da persone del suo stesso villaggio probabilmente non si fidava di loro.
Si sentiva diverso e fuori luogo, non amava vivere in quelle condizioni.
Mi capitava spesso di incontrarlo insieme alla moglie seduto su un telo nel
grande spazio all’aperto su cui si affacciavano i due insediamenti abusivi.
Questo luogo che tutto l’inverno era stato utilizzato come passaggio e come
deposito per la spazzatura era diventato con le prime giornate di sole anche un
luogo di ritrovo dove si riunivano in piccoli gruppi alla luce del sole. Dopo un
inverno passato sotto i ponti, nascosti e protetti, gli abitanti di questa
baraccopoli erano tornati alla luce, visibili e di nuovo ingombranti.
Marco abitava poco distante da Vasil. La sua baracchina era appena fuori
dall’arcata del ponte in un punto in cui le case di legno formavano un piccolo
slargo sempre affollato di gente, seduta davanti alle proprie baracche, che
passava la giornata chiacchierando, bevendo una birra o mangiando carne o ciorba,
una zuppa che le donne cucinavano sulle braci.
Quando ho conosciuto Marco era il compleanno di suo figlio piccolo e l’ho
accompagnato a comperare una torta per festeggiare l’evento. Mi ha raccontato
che il giorno dopo il figlio e la moglie sarebbero partiti per la Romania
perché, in vista dello sgombero, era diventato troppo pericoloso restare lì.
Lo incontravo spesso seduto con altri in quella piazza informale ed era tra
quelli che parlavano di meno. Quando gli ho chiesto di raccontarmi la sua
storia, lui che non voleva farla sentire agli altri, si è alzato, ha afferrato
un tavolo e mi ha chiesto di seguirlo. Dieci metri più in la ci siamo messi
attorno al tavolo, in piedi, e ha iniziato a raccontare. Sono arrivato in Italia
quattro anni fa. Prima ero da solo poi è venuta mia moglie e mio figlio. Ho
cinque figli, uno di 22 anni, sposato. Abitano in Romania in una roulotte che ho
comprato qualche anno fa. Prima abitavo nella casa di mio padre. Quando è morto,
la casa è andata al più piccolo dei miei sei fratelli. Lavoro solo due ore alla
settimana in una trattoria.
Il suo racconto però è stato interrotto quasi subito da due ragazzi che si sono
avvicinati e hanno iniziato a parlare con me. Uno di loro voleva chiamare il suo
datore di lavoro, l’altro invece voleva farmi vedere un documento. Marco era
infastidito ma non è riuscito a respingerli. Non ci siamo più visti.
Flora abitava nell’insediamento più popoloso sorto sotto la grande piastra di
cemento del cavalcavia. Era tra le poche persone che erano tornate subito dopo
lo sgombero del 4 luglio a riabitare il ponte. Dormiva con i figli su dei
materassi sistemati tra i dissuasori.
Poco prima dello sgombero le baracchine sotto il ponte erano decine. Così
piccole da contenere appena un letto e una stufa. Siamo in tanti e c’è tanta
sporcizia, raccontava Flora. Il vostro paese, la vostra terra ci hanno trattato
tanto male. L’altra sera c’era tanta gente che urlavano e gridavano. Mio Marito
la notte non dorme più perché ha paura che bruciano qualcosa.
La Lega Nord aveva organizzato un corteo di circa cinquanta persone contro
l’insediamento abusivo.
Dopo il primo periodo in cui dormiva sui materassi Flora aveva costruito anche
lei la sua baracchina, all’esterno della quale c’erano tante cose raccattate in
giro: un frigobar, un frigorifero, una cucina a gas, una pila di batterie, sedie
e divani. L’ultima volta che l’ho incontrata, Flora si trovava ancora nello
stesso punto dell’insediamento, dove il ponte confina con il parco del Centro di
Aggregazione Multifunzionale (C.A.M.) di via della Pecetta. La parrocchia di
Santa Elena ci ha aiutato molto, mi ha raccontato. Nessuno conosce meglio di me
Don Matteo. Faccio l’elemosina davanti la sua chiesa. Al centro di ascolto
prendo da mangiare una o due volte al mese. Mi caricano la bombola.
A Bacula ero stato la prima volta il 4 luglio 2008, dopo uno dei tanti sgomberi
che questa comunità, proveniente dalla città romena di Draganesti-Olt, ha
subito. Anche allora l’insediamento era stato completamente distrutto e l’area
era stata bonificata dal Comune di Milano. E anche allora, pochi giorni dopo,
qualcuno era ritornato in Romania e qualcun altro era già ritornato ad abitare
l’area.
Da quando il Comune ha inaugurato la "politica della sicurezza" il copione è
sempre lo stesso. Il nucleo problemi del territorio della Polizia locale di
Milano monitora il territorio, scheda le occupazioni abusive sparse per la
città, e valuta quando è urgente predisporre lo sgombero. L’amministrazione
comunale, ora in accordo con il prefetto-commissario all’emergenza rom, avvia
una campagna mediatica che ha due obiettivi: dimostrare l’azione del governo e
comunicare agli abitanti che dovranno andare via, da soli o con la forza. A quel
punto, naturalmente, le associazioni che operano all’interno del campo lanciano
il loro appello, e denunciano le condizioni di degrado e inumanità in cui sono
costretti a vivere i rom a Milano.
L’opinione pubblica si convince che il problema si sta risolvendo ma in realtà i
rom continuano ad andare e venire dalla Romania e a vivere illegalmente in
città.
sp
|