Di Fabrizio (del 26/05/2011 @ 09:41:00, in Regole, visitato 1628 volte)
Milano 25/5/2011 -I giudici sono stati i primi obiettivi della campagna
elettorale delle destre a Milano, i cittadini stranieri, come prevedibile, sono
invece l'obiettivo del secondo turno.
In particolare i cittadini Rom sembrano avere un posto d'onore nella
campagna elettorale del Sindaco uscente: la città è stata tappezzata di
manifesti dove si paventa il rischio che Milano diventi una "zingaropoli".
Anche i cittadini italiani e stranieri di fede musulmana non sono comunque
stati dimenticati e il Presidente del Consiglio ha dichiarato che Milano
potrebbe diventare una "zingaropoli islamica" con la più grande moschea
d'Europa.
"Di fronte al contenuto altamente discriminatorio dei manifesti e delle
dichiarazioni di questi giorni nei confronti dei Rom, una minoranza protetta ex
lege e dei cittadini italiani e stranieri di fede musulmana, abbiamo presentato
stamani, ai sensi del D.Lgs. 215/2003 e del D.Lgs. 286/1998, un ricorso al
Tribunale Civile di Milano contro la Lega Nord e il Popolo della Libertà"
dichiara l'avv. Pietro Massarotto presidente del Naga, "Abbiamo denunciato il
linguaggio e i contenuti altamente discriminatori delle affissioni e delle
dichiarazioni, ma anche il fatto di aver utilizzato l'esistenza stessa di
cittadini stranieri e Rom come fattore di paura sociale." Prosegue il presidente
del Naga, "Proviamo a sostituire alcuni termini utilizzati nella cartellonistica
della Lega Nord con altri relativi ad altri gruppi sociali e/o minoranze:
"Milano giudeopoli con Pisapia" "Milano finocchiopoli con Pisapia" oppure "La
più grande chiesa cattolica/sinagoga d'Europa", cosa sarebbe successo? Abbiamo
pensato che fosse urgente intervenire e cercare di porre argini ad un processo
di normalizzazione della discriminazione chiedendo al giudice, con provvedimento
di urgenza, la rimozione dei manifesti e la cancellazione dai siti di queste
inaccettabili dichiarazioni", conclude Massarotto.
Augurandoci di vedere una città dove tutte le minoranze saranno accolte,
tutelate e valorizzate, come Naga continueremo a dare assistenza a chiunque e a
denunciare ogni forma di discriminazione.
Di Fabrizio (del 27/05/2011 @ 09:47:07, in media, visitato 1635 volte)
GIOVANNA ZINCONE
Per buonismo si intende quell'insieme di lassismo e di eccessive generosità a
favore di minoranze svantaggiate. Chi usa il termine - ovviamente per biasimarne
la pratica - mai lo utilizzerebbe a proposito di lassismo o eccessive generosità
a favore di appartenenti alla maggioranza, specie alla componente benestante,
come i condoni fiscali o edilizi.
Il buonismo, considerato appannaggio del centrosinistra, di fatto lo attraversa
come un'incrinatura, perché non pochi dei suoi esponenti lo ritengono
responsabile delle proprie sconfitte elettorali. Al contrario, quando
provvedimenti simili, come le regolarizzazioni di massa di immigrati, sono
varati da governi di centrodestra non si parla mai di buonismo, né se ne
paventano i costi elettorali. Ma un'incrinatura di segno opposto attraversa pure
il centrodestra.
Infatti lì c'è chi punta sul «cattivismo», cioè sul fare ricorso ai cattivi
sentimenti e alla faccia feroce, pensando anche che, rispetto alla banalità del
bene, le attitudini da spiriti robusti esprimano una superiore intelligenza.
Può darsi che questa tattica continui a spostare un po' di voti nell'immediato,
ma produce pesanti contraddizioni interne e costringe a vistose retromarce. La
campagna elettorale milanese esemplifica bene i problemi del cattivismo. Il
candidato Pisapia è accusato di voler consentire la costruzione di una moschea.
Intanto il nostro Paese ha ottenuto un seggio alla Commissione straordinaria per
la tutela e la protezione dei diritti umani dell'Onu e il ministro Frattini, non
arruolato tra i cattivisti, ha dichiarato che «l'Italia intende farsi portatrice
di una visione dei diritti umani improntata ad alcuni temi prioritari» e ha
citato come primo obiettivo «la promozione della libertà di religione e di
culto». È lecito chiedersi se questa priorità debba valere anche nel nostro
Paese, nella città di Milano.
Poter usufruire di luoghi di culto adeguati è un elemento essenziale della
libertà religiosa. Lo hanno ribadito, proprio a proposito del progetto di
moschea milanese, il cardinale Tettamanzi e, a nome della Conferenza episcopale,
il segretario generale monsignor Cruciata. Si tratta di una reazione
prevedibile, perché sarebbe contraddittorio per chi rivendica questo diritto per
le minoranze cristiane nel mondo, come fa giustamente la Chiesa cattolica,
negarlo ai musulmani che stanno da noi. A tale banale argomentazione, il
«lucido» cattivismo ribatte che le moschee sono sedi di terrorismo, mentre le
chiese non lo sono e non lo sono mai state. Bisogna però ricordare che in un
passato non remoto i papisti venivano considerati nel mondo protestante come
pericolosi sovversivi; quanto ai rischi di trame islamiste si deve osservare
che, se e quando le moschee fossero pure focolai del terrore, avrebbero il
vantaggio, già sperimentato, di essere facili da monitorare e infiltrare. Di
norma, però, oltre a essere luoghi di culto, erogano e facilitano l'accesso ai
servizi, quindi sono potenziali strumenti di integrazione. Talora fungono
persino da ponti tra culture, in particolare lo sono proprio le grandi moschee
come quella di Parigi, che ha favorito l'emergere di un Islam francese non
prigioniero del fondamentalismo.
Per il cattivismo un bersaglio ancora più facile dei musulmani è rappresentato
dai rom e sinti, minoranza piuttosto impopolare, per la verità non senza qualche
fondato motivo. Ed ecco che la campagna elettorale milanese propone puntualmente
l'incubo della metropoli lombarda trasformata in zingaropoli. Lo sprovveduto
candidato buonista vorrebbe niente meno che trovare una sistemazione abitativa
per i rom, magari coinvolgendoli nella costruzione dei loro alloggi. La
strategia dell'autocostruzione, dove è stata provata come nel caso Dado in
Piemonte, ha avuto un buon successo. Alla base di questa come di altre misure di
integrazione dei rom c'è l'idea che aiutarli ad avere una vita decorosa serva
anche all'intera comunità: a liberare forza lavoro (oggi il tasso di
disoccupazione tra i rom supera il 70 per cento), a drenare un fertile terreno
di devianza. L'istruzione è comunemente considerata lo strumento principe
dell'integrazione, e quella rom è una minoranza fatta di moltissimi ragazzi e
bambini in età scolare. Da una recente rilevazione campionaria della Croce Rossa
emergeva che quasi il 43 per cento dei rom aveva meno di sedici anni e che oltre
il 29 per cento era sotto gli 11. Per minori che vivono in campi igienicamente
disastrati, non collegati con mezzi di trasporto, l'istruzione è un'impresa.
Infatti sono particolarmente alti tra i rom gli abbandoni scolastici e i
ritardi. Sui bambini, anche i cattivisti sono costretti al cordoglio quando
qualcuno brucia o soffoca in catapecchie o camper riscaldati con la carbonella.
Tutti concordano sulla necessità di trovare alternative ai campi fatiscenti. E,
al di là della retorica feroce esibita sotto elezioni, chiunque assuma posizioni
di governo, al centro o in periferia, di fatto deve affrontare il problema e, a
prescindere dal partito o dalla coalizione di appartenenza, lo fa. Magari non
subito, perché appena arrivato al potere deve pagare la cambiale emessa ai suoi
elettori, e per farlo smantella campi senza troppo giudizio. Ma poi deve pensare
a dove destinare decentemente i loro abitanti, quindi investe risorse. Ci sono
anche fondi europei disponibili per integrare i rom. Il commissario Ue Andor,
responsabile per l'occupazione, gli affari sociali e l'inclusione, ha
espressamente invitato gli Stati membri a utilizzare i fondi strutturali per
migliorare le condizioni di vita di queste minoranze. L'Italia ne utilizza
ancora pochi, ma più per difficoltà burocratiche che per avversione ideologica.
Comunque, amministrazioni e governi non solo di centrosinistra, ma anche di
centrodestra, stanziano, assegnano e spendono fondi per rom e sinti. La
commissione straordinaria per la tutela dei Diritti umani del Senato ha prodotto
un importante documento conoscitivo sulla condizione dei rom e sinti approvato
all'unanimità. Se ne consiglia la lettura.
Nella fase preparatoria la commissione ha compiuto varie audizioni. In una di
queste il prefetto di Roma Pecoraro ha dichiarato: «Ad oggi abbiamo potuto
disporre complessivamente di circa 32 milioni di euro (…). Nello specifico i
fondi erogati dal ministero ammontano complessivamente a 19 milioni e 447.000
euro, quelli della Regione Lazio a 5 milioni e i fondi messi a disposizione dal
Comune di Roma sono pari a circa 7 milioni e 900.000 euro».
Insomma, anche coloro che in campagna elettorale demonizzano stanziamenti in
bilancio per rom e sinti, quando devono amministrare sul serio destinano denaro
pubblico per farlo. Viene il dubbio perciò che il cattivismo sia, alla fin fine,
anche più impraticabile e irrealistico del buonismo. Certamente è più
antipatico.
Si trova in via della Seta, tra Roma e Ciampino, e a lavorarci sono solo
donne rom: e' la lavanderia gestita dalla cooperativa Baxtalo Drom,
un'iniziativa nata quattro anni fa che rischia, oggi, di dover chiudere i
battenti. Perché sopravvivere in tempi di crisi economica è difficile. E lo e'
ancor di più per le cooperative che danno lavoro ai rom
Di Fabrizio (del 29/05/2011 @ 09:39:01, in casa, visitato 1559 volte)
Quattro miliardi di lire del 1997. Questa, secondo il
Corriere della Sera, la
cifra che la giunta di Milano di centrodestra voleva investire per "un
villaggio
organizzato di tutto punto, dalle piazzole per le roulotte con allacciamenti per
la luce e per il gas, ai campi di calcio". In favore di chi e di che cosa? Ma
dei nomadi, no? Chi altri?
"E' la prima volta che Milano cerca di risolvere con grande dignità e
finanziamenti cospicui il problema dei nomadi, tuttora sparsi in campi obsoleti
ai margini dei quartieri periferici", dichiarava il vicesindaco Riccardo De
Corato (e il Corriere specificava: "con orgoglio").
Altro che il programma del Pisapia candidato sindaco della sinistra: un
"autentico stupidario" che, secondo le parole dello stesso De Corato, in
versione aggiornata 2011, "dietro l'ambigua parola 'autocostruzione' intende
dare case cascine ristrutturate a tutti i rom abusivi".
"Milano il Paese di Bengodi. Ha ragione Bossi, la città sarà zingaropoli", tuona
oggi De Corato. Vuoi mettere con
Nomadopoli, quel villaggio organizzato di tutto
punto, auspicato dalla sua collega Ombretta Colli nel 1997?
Il vice sindaco e assessore alla Sicurezza, candidato al Consiglio Comunale di
Milano come secondo capolista per il Popolo della Libertà, continua prevedendo
catastrofi: "A Milano 6.500 se ne sono andati grazie a oltre 500 sgomberi. Ora
ne rimangono 1500. Ma con quella lauta prospettiva faranno immediata marcia
indietro. La voce correrà fino in Romania dove i rom sono 2 milioni. Che dunque
busseranno alla porta per avere anche loro una casa o un rustico tutto per
loro". "A questo punto - aggiunge De Corato – è interessante sapere in
quale
quartiere sorgerà questa immensa zingaropoli. Dove verranno costruite queste
palazzine per i nomadi, quali sono le cascine dove troveranno posto rom romeni,
sinti siciliani e spagnoli con camper e roulotte".
Eh sì, qui è la voce dell'esperienza che parla. Forse De Corato ricorda ancora i
cittadini di Rozzano che si erano messi di traverso perché quel villaggio
perfetto, vicino a casa loro, non lo volevano proprio.
"Il sindaco Pds di Rozzano boccia il campo Rom al Gratosoglio" titolava il
Corriere. Sì, il
sindaco Pds, la signora Maria Rosa Malinverno, una pericolosa
estremista, che fece addirittura un ricorso al Tar contro quella Nomadopoli
detta anche "Villaggio Lambro meridionale", fiore all'occhiello delle politiche
sociali della giunta Albertini.
"Rozzano sta esagerando, dimentica che il terreno è di Milano. Noi chiudiamo due
villaggi dove i nomadi erano in condizioni disperate e ne apriamo un altro dove
vivranno dignitosamente" aveva risposto l'assessore Ombretta Colli. "Poi, certo,
capisco i disagi e le proteste dei cittadini: hanno perfettamente ragione. Ma le
leggi sui nomadi e i clandestini non le facciamo noi".
25/05/2011 - Saranno da compensare tre persone rom ingiustamente condannate
per il tentato omicidio di una famiglia nel 2008. Alla fine del 2008, qualcuno
gettò tre molotov contro la casa di una famiglia rom nel villaggio di Tarnabod
dell'Ungheria nord orientale. Fu a rischio la vita di quattro persone, ma
fortunatamente non morì nessuno. La polizia arrestò quattro giovani rom e li
accusò di tentato omicidio.
Successivamente i giovani furono condannati e passarono 11 mesi in prigione.
Nel frattempo, la polizia arrestò i veri colpevoli di quell'attacco e di altri
commessi contro altre famiglie rom. In totale morirono sei persone per quella
serie di attacchi anti-Rom.
La decisione di compensare i giovani innocenti è stata presa dalla corte
distrettuale di Heves nella città di Eger.I giovani riceveranno un risarcimento
per l'importo di diversi milioni di fiorini ungheresi.
Nella foto (QUIl'originale ndr) Theresia Seibel con sua figlia Rita. Alla finestra la
zia del donatore, Nelka.
Date:1946 - 1946 Locale:Wuerzburg, [Franconia] Germany Credit:United States Holocaust Memorial Museum, courtesy of Rita Prigmore Copyright:United States Holocaust Memorial Museum
Rita Reinhardt Seibel (ora Prigmore) è la figlia di Gabriel e Theresia (Winterstein)
Reinhardt. Lei e sua gemella, Rolanda, nacquero il 3 marzo 1943 a Wuerzburg,
dove i loro genitori lavoravano entrambe nel teatro cittadino. Gabriel (nato nel
1913) era originario di Marbach. Aveva per un certo periodo studiato musica al
conservatorio di Stoccarda. Assieme ai suoi quattro fratelli, Gabriel aveva
suonato in una banda e gestiva un'impresa di riparazione di violini.
Precedentemente Gabriel aveva sposato un'altra donna, da cui aveva avuto un
figlio, Rigo. La prima moglie di Gabriel venne deportata all'inizio degli anni
'40, e poco dopo, lui venne informato della sua morte ad Auschwitz. Theresia (nata
nel 1921) era di Mannheim. Da giovane frequentò la scuola in un convento e a 16
anni entrò nel teatro cittadino di Wuerzburg come cantante e ballerina. Nel 1941
diversi membri della famiglia di Theresia furono portati nel quartiere generale
della Gestapo, dove furono costretti a firmare moduli di autorizzazione alla
sterilizzazione. Vennero minacciati di deportazione in caso di rifiuto.
Prima di essere sterilizzata, Theresia aveva consapevolmente deciso con
Gabriel di rimanere incinta. Quando venne chiamata per la procedura, era in
attesa di tre mesi di due gemelle. Quando gli igienisti razziali lo scoprirono,
lei e la sua famiglia vennero arrestati, mentre si contattò Berlino per decidere
sul da farsi. La risposta fu che a Theresia doveva essere permesso di continuare
la gravidanza, a condizione che i bambini venissero inviati, a nascita avvenuta,
alla clinica dell'università di Wuerzburg. Lì c'era il dottor Werner Heyde, professore
di neurologia e psichiatria, e membro chiave del programma di eutanasia nazista,
che conduceva ricerche sui gemelli. A quanto pare, anche il dottor Joseph
Mengele aveva un interesse personale sui gemelli di etnia sinti. Nel corso della
gravidanza, Theresia e Gabriel erano sotto sorveglianza costante.
Non avendo più il permesso di lavorare al teatro della città, Theresia prese
un lavoro come usciere e Gabriel andò a fare il fattorino per una compagnia
farmaceutica. Le gemelle nacquero alla presenza del dottor Heyde. Avevano brevi
pause a casa con i loro genitori, ma la maggior parte del tempo erano confinate
in clinica. In un'occasione, le gemelle furono lasciate ai genitori per un
servizio fotografico di propaganda sui genitori sinti, per passeggiare con le
bambine lungo la Domstrasse a Wuerzburg. La seconda settimana di aprile,
Theresia e Gabriel ricevettero un avviso preventivo per la deportazione.
Le bambine non erano incluse e Theresia andò immediatamente in clinica per
vederle. Quando arrivò le dissero che non era possibile, ma Theresia si fece
strada lo stesso. Trovò Rolanda che giaceva morta con la testa fasciata, vittima
degli esperimenti di colorazione degli occhi. Isterica per la scoperta, Theresia
afferrò la gemella superstite, Rita, e fuggì. Il giorno stesso o quello dopo,
Rita fu sottratta ai genitori e riportata in clinica.
Theresia e Gabriel non la rividero per un anno. Pochi giorni a distanza
dall'evento, il corpo di Rolanda venne restituito ai genitori che predisposero
un adeguato funerale sinti. Una settimana dopo Theresia venne sterilizzata a
forza. Gabriel perse il suo lavoro alla compagnia farmaceutica, ma non venne
sterilizzato. Nel 1943 diversi membri della famiglia estesa di Theresia, incluso
il fratello minore Otto Winterstein e lo zio Fritz Spindler, vennero deportati
(sopravvissero entrambe). Nell'aprile 1944 Theresia ricevette misteriosamente
una lettera dalla Croce Rossa tedesca a Wuerzburg, con le istruzioni per andare
a riprendere Rita.
La famiglia Reinhardt rimase assieme sino al 1946 o al1947, quando la prima
moglie di Gabriel, che in realtà era sopravvissuta alla guerra, tornò in
Germania. Gabriel decise di tornare da lei ed il suo matrimonio con Theresia
venne annullato dal tribunale USA di Stoccarda. Rita rimase con Theresia e non
rivide suo padre sino al 1959. Nel 1962 Theresia si risposò con un soldato
americano, che morì nel 1972. Rita soffrì di numerosi disturbi fisici (inclusi
forti mal di testa e perdite accidentali di coscienza) per tutta la sua gioventù
e l'età adulta, che sua madre attribuì al trattamento presso la clinica di
Wuerzburg durante il periodo nazista.
Rita si sposò a 21 anni e subito dopo diede alla luce un figlio e una figlia.
Lei e la sua famiglia emigrarono negli USA negli ani '70. Diversi anni dopo,
Rita divorziò da suo marito (lasciando anche i figli) e tornò in Germania per
aiutare sua madre nel gestire un'organizzazione sinti dei diritti umani, che
cerca di aumenatre la consapevolezza sul destino dei Rom e dei Sinti durante
l'Olocausto. Rita ora vive a Wuerzburg.
Di Fabrizio (del 01/06/2011 @ 09:15:17, in Italia, visitato 1787 volte)
Ho aspettato qualche giorno a riportare la notizia qui sotto. Volevo vedere
che reazione avrebbe suscitato, ma a parte questo link non ho trovato altro.
Provate ad immaginare se le parti fossero state invertite: la campagna stampa
(bipartisan) che si sarebbe sollevata, campi rom dati alle fiamme (come a
Ponticelli), tanti Rom e Sinti onesti costretti a nascondere la loro
appartenenza per continuare a lavorare (e vivere).
C'è una fievole speranza, col cambiamento di vento di questi giorni, che
i miei diventino solo ricordi. A Milano, per esempio: la Moratti nella sua
caccia al voto aveva calendarizzato lo sgombero (senza alternative) di alcuni
campi regolari; col risultato che molti Rom per la prima volta hanno ritirato il
certificato elettorale (e votato Pisapia). Una gran bella festa che ha visto
mischiati Rom e cittadini della zona (se avete un account Facebook,
QUI). Il lavoro di tanti per arrivare a questi risultati. Cittadini come
tutti, finalmente...
Credo fortemente (Rom e Sinti a parte) che una delle letture chiave di queste
amministrative sia proprio nel concetto di "cittadinanza". Chi ha perso,
politiche precedenti a parte, ha continuato a ripetere in campagna elettorale il
tema della divisione tra un NOI e un LORO (cioè: zingari, gay, musulmani ecc.)
alla ricerca del voto moderato. Non riuscendo e non volendo capire che i
moderati, fiaccati da anni di promesse non mantenute, non si ritrovavano più in
questa DISCRIMINAZIONE, primo perché ingiusta e poi perché in questi anni non ha
risolto nessuno dei problemi posti.
Ora dovrà arrivare il momento di uscire da questa continua campagna
elettorale, governare ed affrontare i problemi. Che sono tanti e (non
illudiamoci di bastare a noi stessi), dovranno essere affrontati da tutti,
superando questo clima da "guerra civile a bassa intensità" che ci avvelena da
anni. Il centrosinistra ha dimostrato che se supera le divisioni interne, può
essere un'alternativa credibile. La destra si trova di fronte ad una svolta:
lasciarsi alle spalle le parole d'ordine dello scontro di civiltà (che non
compatta più i moderati, ma solo le frange estreme) ed evolvere in una destra
che sia anche INCLUSIVA (come lo sono anche molti loro parenti europei).
Insisto: per cambiare c'è bisogno di TUTTI. L'editoriale di ieri di
Sallusti è ancora fermo al "...io resto dell’idea che prima li mandiamo via
dalle nostre città meglio è per tutti". Non capisce, non vuole capire, che di
questo passo si prepara un'altra sconfitta.
Un vicino di casa italiano lo aveva rinchiuso in garage
Firenze, 29 mag. (TMNews)
- Un tentativo di stupro su di un bambino rom di cinque anni e' stato sventato
ieri sera per un soffio: le urla del piccolo hanno attirato l'attenzione dei
vicini di casa, che sono intervenuti all'ultimo momento utile. Il reato stava
per compiersi nella cantina di un'abitazione di Sesto Fiorentino, in via
Signorini. Terribile protagonista, un fiorentino di 37 anni, che è stato
arrestato con l'accusa di sequestro di persona, lesioni e violenza sessuale su
un minore.
Il piccolo stava giocando sotto casa, quando l'uomo l'ha adescato per portarlo
in garage, dove l'ha denudato e immobilizzato, per praticargli un'iniezione di
una sostanza non ancora precisata, ma sicuramente allo scopo di stordirlo. Le
urla del bambino sono state udite dai vicini, italiani, che sono accorsi. L'uomo
nel frattempo si e' rifugiato in casa, ma poco dopo è stato prelevato dai
carabinieri. Il minore invece è stato trasportato al Meyer per essere sottoposto
a controlli.
Di Fabrizio (del 02/06/2011 @ 09:27:50, in Italia, visitato 1391 volte)
Da circa tre settimane è affissa all'esterno dell'insediamento rom di Ponte a
Quaracchi un'ordinanza del Comune di Sesto Fiorentino; si dice che il 30 maggio
alle ore 9.00 l’area deve essere abbandonata dagli "occupanti abusivi".
Non sarebbe la prima volta che le forze dell'ordine e l’azienda incaricata
della raccolta rifiuti intervengono per queste operazioni; l'ultima è stata nel
gennaio 2010 nell'area ex Osmatex: un intervento violento con le ruspe che
distruggono ogni cosa incontrino (baracche, vestiti, giocattoli, medicinali o
pentole). E la presenza di esseri umani è sempre vista più che altro come
impedimento alla bonifica e al riutilizzo dei terreni. Questo recita anche
l'attuale ordinanza: con le persone non è possibile rimuovere i rifiuti ed
effettuare gli interventi di messa in sicurezza (vista la presenza di eternit
bruciato durante l'incendio del 31 dicembre scorso); il "pericolo per la
sicurezza e l'incolumità pubblica", si dice, non è limitato ai soli
occupanti, ma esiste anche per coloro che vivono o lavorano nell’area.
Oggi come allora le Istituzioni, prima di disporre lo sgombero, non si sono
preoccupate di conoscere le persone che hanno trovato rifugio in quella
"discarica a cielo aperto", né di capire perché insistano così ostinatamente
a rimanere nelle nostre città, anche se periodicamente cacciati da un luogo
all'altro in condizioni sempre peggiori. Non è sempre stato così, le Istituzioni
locali hanno affrontato in passato altre migrazioni (ad esempio con i rom dal
Kosovo e dalla Macedonia) con atteggiamenti diversi e buoni risultati.
L'ordinanza indica la presenza di 30 persone, delle quali, si dice, non è
possibile "una puntuale identificazione". La documentazione clinica di
MEDU dice che la maggior parte delle famiglie sono stanziali e vivevano negli
insediamenti oggetto di sgombero negli anni passati.
La Regione Toscana ha avviato a inizio anno un tavolo con i Comuni limitrofi:
si è giunti a poco, se non a disporre risorse economiche per il rimpatrio dei
rom in condizioni più difficili, ma a oggi non si ha notizia di contatto con gli
occupanti.
La situazione attuale non è sostenibile e si sarebbe dovuto trovare una
soluzione alternativa e allontanare gli occupanti fin dal 31 dicembre scorso ma,
a cinque mesi di distanza, pare che lo sgombero sia l’unica soluzione, ancora
una volta violando i diritti dei rom: la normativa internazionale indica come lo
sgombero debba seguire un dialogo con gli occupanti e prevedere proposte
alternative a breve e lungo termine. Se così non fosse la sfida sarà persa e
un’esistenza dignitosa, l'istruzione per i bambini, la salute per le persone più
vulnerabili resteranno parole. Ma si tratta di diritti fondamentali e,
nell'interesse di tutti, non devono ammettere deroghe alla loro attuazione. Per
loro stessa definizione.
Medici per i Diritti Umani Onlus - Firenze - 30 maggio 2011
Cassazione: Illegittimo il rigetto dell’istanza di revoca della detenzione
cautelare se le motivazioni rimandano a pregiudizi e stereotipi relativi al
gruppo etnico Rom di appartenenza dell’imputato
Resa nota la decisione della Cassazione n. 17696/2010 in merito alla nota
vicenda della minore Rom accusata di aver sottratto una neonata a Ponticelli
(Na).
Per ragioni di opportunità, il collegio di difesa ha reso noto soltanto oggi
la decisione della Corte di Cassazione, V. sez. penale, n. 17696/2010 depositata
il 7 maggio 2010, con la quale era stata annullata la decisione del Tribunale
per i Minorenni di Napoli di respingere l'istanza di scarcerazione di A.V., la
quindicenne Rom accusata di avere rapito una neonata a Ponticelli (NA) nel
maggio 2008, avvenimento che scatenò la devastazione dei campi rom di
Ponticelli. La minorenne Rom era stata condannata in primo grado alla pena
detentiva di anni 3 e 8 mesi, sentenza poi confermata in appello. E' tuttora
pendente il ricorso in Cassazione.
La decisione del Tribunale per i Minorenni di Napoli aveva suscitato perplessità
e sconcerto presso il collegio di difesa dell'accusata, nonché presso
organizzazioni di tutela dei diritti dei Rom, per il ricorso da parte del
collegio giudicante ad affermazioni che rimandavano - piuttosto che a
valutazioni sulla pericolosità sociale della singola imputata - a pregiudizi e
stereotipi di matrice etnico- razziali nei confronti della popolazione Rom in
generale.
Nel rigettare l'istanza di scarcerazione, infatti, il collegio giudicante aveva
ritenuto che continuavano a sussistere i presupposti per la custodia cautelare
derivanti dal pericolo di fuga e di recidiva in conseguenza del fatto che
"l'appellante (sarebbe) pienamente inserita negli schemi tipici della cultura
rom" per cui "sia il collocamento in comunità che la permanenza in casa
risultano, infatti, misure inadeguate anche in considerazione della citata
adesione agli schemi di vita Rom, che per comune esperienza determinano nei loro
aderenti il mancato rispetto delle regole".
L'esame della situazione personale dell'interessata viene così filtrata
attraverso la sua adesione a schemi di vita tipicizzati del popolo cui essa
appartiene, che sarebbero caratterizzati in generale e tout court dal mancato
rispetto delle regole.
A detta del collegio di difesa, sembrava dunque configurarsi nel giudizio della
Corte un pericoloso principio per cui la mera appartenenza al gruppo etnico rom
renderebbe di per sé inconciliabile l'applicazione delle misure cautelari a
prescindere da una seria valutazione su basi personali ed individuali, mediante
invece l'utilizzo di una "categorizzazione" o "profilo etnico".
La Corte di Cassazione ha accolto i rilievi della difesa sostenendo che "non
è legittimo, in quanto riconducibile ad una visione per stereotipi (mal celatasi
dietro ad un generico richiamo alla "comune esperienza") marcata da pregiudizi
di tipo razziale, il riferimento agli schemi culturali dell'etnia di
appartenenza".
La vicenda presa in esame dalla Cassazione richiama una recente giurisprudenza
maturata in seno alla Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso Paraskeva
Todorova c. Bulgaria (CEDU, sentenza dd. 25 marzo 2010, caso n. 37193/07).
Qui, una corte bulgara, nel condannare l'imputata di origine etniche Rom, aveva
espressamente respinto la raccomandazione del pubblico ministero per
l'applicazione della pena condizionale, dichiarando che una cultura di impunità
era imperante entro la minoranza etnica Rom, così sottintendendo che la sentenza
doveva fungere da esempio per l'intera medesima comunità. La Corte di Strasburgo
ha quindi concluso che le autorità giudiziarie bulgare avevano violato il
principio del processo giusto (art. 6 CEDU), in relazione a quello di non
discriminazione (art. 14 CEDU).
Si ringrazia per la segnalazione l'avv. Cristian Valle, del Foro di Napoli.
La NazioneI cittadini sul piede di guerra per la realizzazione di una
stazione ecologica di raccolta differenziata
Pisa, 2 giugno 2011 - La cosa più singolare è il nome: si chiama «Stazione
ecologica centro di raccolta differenziata Oratoio», ma verrà realizzata a
Putignano. Il nome è sbagliato — è ancora quello del primo progetto, quando
si pensava appunto di realizzare la struttura a Oratoio, idea poi bocciata a
furor di popolo — eppure compare nella delibera ufficiale approvata in giunta a
metà maggio, con la quale poi si precisa che la stazione ecologica verrà invece
fatta a Putignano, sotto il ponte delle Bocchette, nell'area che fino a poche
settimane fa era occupata da un accampamento rom abusivo.
«Ci sono voluti anni per mandare via gli zingari e adesso arrivano i rifiuti. Un
vero affare» sbottano i residenti del locale Comitato che cerca di opporsi
all'arrivo dei cassoni dei rifiuti. «Forse siamo cittadini diversi da quelli di
Oratoio? O forse non abbiamo alzato abbastanza la voce. Di sicuro siamo stati
fregati da palazzo Gambacorti» dicono altri residenti (quasi tutti di via
Benozzo Gozzoli, via delle Bocchette, via Fagiana, via Putignano, via
Fiorentina) che hanno animato la protesta e il sit-in in sala delle Baleari,
durante il consiglio comunale di martedì, agitando dei volantini con scritto
«Vergogna». «Di sicuro siamo stati fregati due volte: la prima perché nessuno ci
ha avvertito né detto niente, neppure il Consiglio territoriale di
partecipazione che ha approvato all'unanimità dei presenti (14) la proposta di
realizzare la stazione ecologica, senza nemmeno convocare un'assemblea pubblica.
Un voto, quello del Ctp, del quale ha subito approfittato la giunta comunale che
infatti nella delibera con la quale 'condanna' Putignano, parla appunto di
scelta determinata dalle indicazioni favorevoli e unanimi del Ctp. E poi è stata
tradita un'altra promessa: l'area sotto il ponte delle Bocchette era stata
espropriata molti anni fa, ancora quando fu costruito il ponte, per realizzarvi
un polmone verde in maniera da attutire l'impatto delle nuove infrastrutture (e
questa è la destinazione del terreno). Vennero anche piantati decine di alberi.
Ci sono voluti tutti questi anni per veder crescere le piante, ma i residenti
non hanno mai potuto beneficiare di quel parco perché l'area è stata a lungo
occupata dai rom. E adesso cosa succede? Quasi tutti gli alberi sono stati
abbattuti, in fretta e furia senza dare tempo agli abitanti di fiatare. Un vero
scempio. Giù gli alberi, avanti i rifiuti. No, non ci stiamo, va trovata
un'altra soluzione».
Ma anche la politica ci ha messo lo zampino per cancellare ogni residua capacità
di sopportazione dei residenti. In apertura del consiglio comunale, martedì, il
capogruppo del Pdl, Giovanni Garzella, ha presentato un question time per
chiedere spiegazioni e subito dopo ha proposto una mozione urgente con la quale
si impegna il sindaco e la giunta a trovare un altro sito. Testo sul quale si
sarebbe poi dovuto sviluppare il dibattito e il voto. Ma così non è stato.
Ebbene, il consiglio ha infatti votato e riconosciuto l'urgenza della mozione,
ma poi non c'è stato il tempo per la discussione. Tutto rinviato al 9 giugno
nella speranza che, nel frattempo, i cassoni dei rifiuti non siano già arrivati.
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