Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.
Di Fabrizio (del 04/02/2011 @ 09:05:27, in Italia, visitato 1674 volte)
Gli ebrei non vivono più nei ghetti, ma in Italia, alla data del 27
gennaio 2011, gli zingari vivono ancora concentrati nei campi, perché?
Nel giorno della memoria si tende a dimenticare la persecuzione di sinti e
rom e, mentre la Germania ha riconosciuto solo nel 1985 le sue responsabilità,
in Italia i documenti sono dispersi ma i sinti reggiani ricordano il campo di
concentramento di Prignano sul Secchia, in provincia di Modena, dove sono state
mandate le loro famiglie. Paola Trevisan ha condotto una ricerca storica e
ha trovato, con molta fatica, documentazioni e testimonianze degli abitanti del
paese e le ha pubblicate. Anche la Lega Nord ha deciso di rievocare quegli anni
con una puntualità e un realismo agghiacciante: ha accusato i nomadi di essere
un peso economico per la città. La Lega non è nuova a questi attacchi che
rivolge anche ai disoccupati del luogo e, in altre regioni, ai disabili,
trovando facili nemici in chiunque sia debole o in difficoltà. I leghisti hanno
dichiarato che, per i campi nomadi, Reggio Emilia ha speso 3 milioni di euro, ma
i dati pubblicati sulla stampa rivelano che in sette anni, per la manutenzione
di cinque aree, la città non ha speso neanche un terzo di quella cifra e lo
stipendio del solo Onorevole Alessandri costa molto di più alla comunità. Resta
intanto fermo il progetto delle micro aree che dovevano sostituire i campi,
perché persiste la tendenza a tenere i sinti concentrati in pochi spazi ai
margini dell'abitato. Sicuramente sono invece stati spesi soldi per riparare i
danni che razzisti e balordi hanno procurato alle strutture dei campi sosta. A
Prignano i sinti furono lasciati senza sostentamento e allora bruciarono i pali
della recinzione del campo di concentramento per riscaldarsi, quello che
spettava a un solo internato era dato per un'intera famiglia, così, affamati,
dopo qualche anno fuggirono e fu la loro salvezza. Gli Argan, i Franchi, i
Triberti, i Colombo, i Truzzi, i De Bar erano saltimbanchi e giocolieri
circensi, i figli e nipoti sono giostrai e, dopo il fascismo, sono stati di
nuovo concentrati nei campi nomadi. Mentre nella provincia i sindaci firmano
continuamente sgomberi per le carovane di passaggio che non possono fermarsi
neppure per riposare la notte, diversi sinti reggiani, stanchi di aspettare,
come a Prignano sono scappati dai campi, si sono comprati un pezzo di terra in
campagna e si sono sistemati con le loro case mobili. Questo la legge non lo
consente, ma nessuna legge può obbligare le persone a vivere per sempre in un
recinto. I sinti e rom vogliono vivere con dignità come tutti ma poiché la terra
non è uno spazio libero, chi ha potuto ne ha comprato un pezzetto. Nel 1938, il
dottor Semizzi scriveva che gli zingari sono indistinguibili somaticamente
perché indoeuropei, ma "dal punto di vista psico-morale hanno tali mutazioni
regressive, e quindi ereditarie, da poter compromettere seriamente la
discendenza", è esattamente questo che va ripetendo la Lega che in Lombardia
utilizza i fondi europei destinati all'integrazione, per pagare le ruspe che
abbattono tutto.
L'Associazione Them Romanò cittadina, continua a chiedere
l'autodeterminazione e intanto è una delle componenti più attive del comitato
Nopacchettosicurezza che combatte la riedizione delle leggi speciali, sostenendo
i migranti cui il Governo riserva lo stesso trattamento escogitato dai nazisti
verso gli ebrei romani, quando gli chiesero tutto il loro oro in cambio della
salvezza e, una volta incassato, li deportarono ugualmente. Il Governo ha
raccolto, solo a Reggio Emilia, 3 milioni di euro tra i migranti promettendo il
permesso di soggiorno, poi è uscita la circolare Manganelli che annullava la
possibilità di ottenerlo se si era già stati identificati, circostanza quasi
inevitabile in un paese dove si può entrare solo clandestinamente. I dati della
Caritas raccontano che l'Italia spende per l'integrazione dei migranti 130
milioni e per la repressione 500 milioni, è quindi uno Stato che apertamente
perseguita le persone per la loro origine, contro qualunque legge internazionale
ed europea e contro la Costituzione.
Di Fabrizio (del 04/02/2011 @ 09:43:01, in Italia, visitato 2227 volte)
INCONTRO PUBBLICO - VENERDI' 11 FEBBRAIO 2011 ORE 20.45
SALA DELLA PARROCCHIA DI GESU' A NAZARETH
Largo Bigatti (Quartiere Adriano) MILANO
Parliamo dei Rom: in particolare delle famiglie che abitano nella Comunità di
via Idro, ma anche di quelle di Triboniano, dei continui sgomberi delle
famiglie stanziate a Rubattino, Bacula, Forlanini e Bovisa e più in generale di
quella che comunemente viene definita "l'emergenza Rom a Milano".
Le soluzioni adottate in questi anni nella città di Milano come hanno affrontato
la questione? Hanno risolto il problema?
Altri comuni hanno operato in modo diverso: hanno sperimentato, positivamente,
politiche di sostegno all'integrazione, di accompagnamento all'inserimento
lavorativo, scolastico ed abitativo, con l'appoggio delle Comunità Locali.
Ascolteremo le testimonianze: · della Comunità Rom di Via Idro 62
· della Comunità Rom di Triboniano
· del Comitato Forlanini
· del Gruppo delle mamme e maestre di Rubattino
· dell'Associazione "elementare.russo"
· di Paolo Fior condirettore di "T" il giornale del Trotter
· di Don Massimo Mapelli della Fondazione Casa della Carità
· dell'Avv. Livio Neri del gruppo degli "Avvocati per Niente"
· di Ernesto Rossi dell'Associazione "Apertamente" di Buccinasco
Promuovono: Associazione VILLA PALLAVICINI, Associazione "elementare.russo", Osservatorio
sui razzismi , Fondazione Casa della Carità, Comunità Rom via Idro 62, Comitato
Genitori Elementare S. Mamete, Comitato "Vivere in Zona 2", A.N.P.I. Crescenzago,
Martesanadue, Legambiente Crescenzago
Sabato 29 Gennaio 2011 08:16 - Pubblichiamo la lettera di Flaviana
Robbiati, una delle insegnanti delle scuole elementari Feltre, Pini e Cima
(Istituto comprensivo in zona Lambrate a Milano) balzate agli onori della
cronaca per aver difeso i bambini rom che frequentano la loro scuola.
Milano - Mentre l’Italia ricorda e commemora il giorno della memoria per
ricordare milioni di vittime dei genocidi nazisti, a Milano continuano gli
sgomberi di Rom che assomigliano sempre di più ad una forma di "pulizia etnica".
Cinquecentomila persone Rom sono passate per i camini dei campi di
concentramento nazisti, molti di loro erano bambini. A Milano i forni non si
usano, ma l’obiettivo di cacciare i Rom è uno dei motivi che caratterizzano
l’amministrazione comunale.
Ad ogni sgombero ci sono bambini costretti a non potere più andare a scuola.
Robert, 11 anni, ha già cambiato 8 scuole e nella nona, dove stava per ultimare
la sua iscrizione, non ha fatto in tempo ad entrare.
La nuova forma di pulizia etnica è impedire ai bambini Rom di accedere alla
cultura. Solo studiando questi bambini avranno delle possibilità di integrazione
e potranno svolgere un lavoro regolare e dignitoso. Negando loro la cultura si
nega l’accesso ai diritti.
Una persona analfabeta non riesce a cavarsela in un ospedale, a viaggiare in
metropolitana, a districarsi tra le etichette dei prodotti al supermercato. Non
legge i giornali, non conosce i propri diritti e le violazioni che subisce. Chi
non ha accesso alla cultura, non esiste. Senza cultura si è fuori da tutto.
Per questo noi maestre, mamme e volontari che affiancano le famiglie Rom,
supportiamo e sosteniamo le famiglie Rom che mandano i figli a scuola. Per
questo ci sono bambini che attraversano la città per arrivare a scuola
nonostante vivano in baracche senza acqua né luce, in condizioni inimmaginabili.
Bambini costretti a diventare eroi per andare a scuola. Accade tutti i giorni
nella Milano dell’Expo. Bambini che gli Erode moderni devono fermare ad ogni
costo. Ma è forse proprio la paura che qualche Rom possa imparare a difendersi
che muove la spietata azione delle ruspe.
Di Fabrizio (del 05/02/2011 @ 09:07:27, in Italia, visitato 1815 volte)
Corriere della Sera IL RICORSO SULLE CASE NEGATE. ENTRO 7 GIORNI TUTTI GLI
IMMIGRATI NEGLI ALLOGGI ASSEGNATI "Rom, sindaco e prefetto chiariscano" Inchiesta sui "nomadi discriminati", i pm chiedono nuovi documenti. De
Corato: situazione incredibile
MILANO - Un altro giro. E non per lo sgombero in via Cavriana, zona
Forlanini, di 5 baracche e 4 tende in mattinata, sgombero contestato da un
gruppo di attivisti per i diritti umani ("Quindicesimo blitz, senza servizi
sociali"). Ieri i procuratori aggiunti di Milano Armando Spataro e Ferdinando
Pomarici, nell'inchiesta sul caso delle case negate ai rom, hanno chiesto nuove
informazioni a prefetto e sindaco. Il prefetto in quanto Gian Valerio Lombardi è
commissario straordinario per l'emergenza nomadi. In Comune come l'han presa? Il
vicesindaco Riccardo De Corato dice che "le istituzioni danno le case ai rom e
si ritrovano indagati. Una vicenda che ha dell'incredibile". L'opposizione, col
capogruppo del Pd Pierfrancesco Majorino, crede che "sia bene fare chiarezza. Ci
spieghino il perché del voltafaccia". Poi ci sarebbe anche la Lega che già pensa
ai voli. Ma prima, il "voltafaccia".
Patti, date, ministero Tra dicembre e gennaio, dopo il ricorso dei rom assistiti dagli avvocati
Alberto Guariso e Livio Neri, due ordinanze del Tribunale avevano sancito che il
Comune non aveva rispettato i patti sottoscritti e si era anzi macchiato di
discriminazione razziale. I patti, peraltro dimostrati da accordi visti,
approvati, scritti e sottoscritti, prevedevano l'assegnazione di case popolari -
fuori dal mercato e da ristrutturare - in cambio dell'impegno a lasciare il
campo di via Triboniano. I nomadi avevano fatto il loro. Le istituzioni no. La
Moratti aveva annunciato e presentato ricorso. Ricorso respinto. La bocciatura
venne motivata così: escludere i rom è stata una scelta "fondata esclusivamente
su ragioni etniche". Per adesso il fascicolo d'indagine di Spataro e Pomarici è
senza ipotesi di reato. La Digos è stata incaricata di compiere accertamenti.
Cosa successe davvero? Noi limitiamoci a seguire le date. Il 9 agosto scorso i
nomadi avevano rinunciato alla permanenza in via Triboniano a decorrere dal
successivo 15 ottobre. Il tutto, appunto, in cambio di abitazioni. Che erano già
state trovate. Quattro giorni prima la Regione aveva accolto la richiesta del
Comune e aveva autorizzato l'Aler a destinare 25 alloggi. Il 27 settembre il
ministro dell'Interno Roberto Maroni aveva comunicato l'interruzione del
progetto. Lo stesso ministero dell'Interno nel corso del 2009 aveva stanziato 13
milioni di euro per il piano rom. Una parte di questi soldi verranno utilizzati
per il rimpatrio in Romania di alcuni nomadi. E qui arriviamo alla Lega.
"Viaggio di sola andata" Il capogruppo in Comune della Lega Matteo Salvini dice che "le risorse messe
a disposizione dal Viminale servono per gli sgomberi e per l'allontanamento del
maggior numero possibile di rom, non per gli aiuti e le sovvenzioni. L'unico
sforzo economico che siamo disposti a concedere per le famiglie nomadi è un
biglietto aereo di sola andata". Il numero dei partenti è abbastanza esiguo.
Cinque le famiglie decollate. Altre dieci-quindici quelle che potrebbero
seguirle. La maggior parte delle famiglie (102 in totale) rimarrà. Non in via
Triboniano che, ha annunciato il prefetto, verrà chiuso entro marzo. Sorge su
terreni destinati all'Expo. Domandina, allora: dove finiranno tutti gli altri
nomadi? Andranno a ingrossare i restanti, e regolari, campi rom cittadini?
I cantieri negli alloggi A marzo saremo in pienissimo periodo di campagna elettorale, che influenzerà
tremendamente politiche, decisioni, scelte sul futuro dei rom. Per quel periodo,
almeno il capitolo-case sarà chiuso da un bel pezzo. Ancora una settimana al
massimo e, informano dalla Casa della carità che li ha seguiti in questo
tortuoso percorso, nelle case Aler entreranno tutti i rom che mancano
all'appello. Le abitazioni, lo abbiamo detto, erano in condizioni critiche.
Servivano dei lavori. Sono quasi terminati. Notevole lo sforzo sostenuto dalle
associazioni che assistono i nomadi, ai quali spetterà il pagamento delle
bollette di luce, acqua e gas.
Sono scesi in piazza per protestare e dire no alla decisione del Comune di Lecce
di far sgomberare una ventina di famiglie Rom dalle loro baracche, perché troppo
fatiscenti e pericolose. Uomini, donne e bambini della comunità Rom, del campo
sosta Panareo, si sono radunati in piazza Sant'Oronzo, nel cuore di Lecce,
davanti palazzo Carafa. Hanno gridato la loro rabbia perché non sanno dove
andare e come fare. Lo scorso 25 gennaio, infatti, è stata notificata ad una
ventina di famiglie rom residenti all'interno del Campo Sosta Panareo una
notifica di abbattimento delle loro Baracche da effettuarsi entro trenta giorni
a spese delle stesse famiglie. Chiedono al sindaco di essere ascoltati. Chiedono
un'alternativa, un posto dove andare per non rimanere per strada. La loro
manifestazione, sostenuta anche dalle associazioni antirazziste, è avvenuta
proprio sotto la finestra dell'ufficio del primo cittadino. Ma il sindaco ha
rimandato l'incontro al 10 febbraio, per "importanti" impegni istituzionali.
Come vi abbiamo raccontato tempo fa, con Articolo21, si tratta di donne e uomini
giunti in Italia più di 20 anni fa, per sfuggire alle guerre che hanno
insanguinato la ex-Jugoslavia e di numerosi bambini, molti dei quali nati e
cresciuti qui in Italia, che regolarmente frequentano le scuole elementari,
medie e superiori della città di Lecce.
La proposta del governo svedese di documentare gli abusi contro la
popolazione rom del paese ha incontrato reazioni contrastanti tra gli attivisti
rom.
31/01/2011 - "Abbiamo già abbastanza dei nostri problemi attuali" ha
detto domenica Rosita Grönfors (in foto),
del Forum Internazionale Donne Rom e Viaggianti (IRKF), all'agenzia TT.
Il rapporto, che documenterà la discriminazione nella storia, includerà le
sterilizzazioni forzate e la mancanza dei diritti di voto, ha riportato domenica
la Televisione Svedese
(SVT).
Eric Ullenhag, ministro all'integrazione, ha detto alla SVT che saranno
individuate le istituzioni sociali responsabili degli abusi. Tuttavia,
l'indagine non obbligherà lo stato a risarcire i Rom coinvolti.
Maria Leissner, ex presidente della delegazione governativa sulle questioni
rom, avrebbe preferito una commissione di verità, ma ritiene che nel
complesso il rapporto svolgerà lo stesso ruolo.
"Quello che ora è importante è ottenere le testimonianze dei Rom. Devono
sentirsi liberi di parlare della loro realtà," ha detto domenica
all'agenzia TT.
Tuttavia, ha detto Grönfors, elaborare vecchi abusi dalla storia non aiuta i
Rom ora.
"Penso che dovrebbero ignorare cos'è successo, è storia. Voglio che invece il
governo si prenda cura dei Rom che sono discriminati ora," ha aggiunto domenica.
Conosco bene la questione e ho sentito a tal proposito i commenti di Rosita
Grönfors (tra gli altri), ma può essere il caso che le preoccupazioni non
emergano in modo chiaro per le differenze tra la lingua inglese e lo svedese.
Perché se si leggono le stesse parole, ma in svedese, il significato sarà molto
diverso.
Una parte degli obbiettivi della delegazione sulle questioni rom era di
raccogliere informazioni sulla situazione dei Rom in Svezia e fare proposte per
le aree problematiche. Una di queste proposte era di istituire una Commissione
sulla Verità. La Commissione avrebbe raccolto informazioni su tutte le azioni
negative compiute dallo stato svedese contro i Rom, così da iniziare un processo
per rimediare alle atrocità riconosciute.
Il governo ha invitato diverse persone in quanto rappresentanti delle
organizzazioni romanì, come attiviste per i diritti delle donne rom, come
educatori e quanti lavorano per l'integrazione romanì, per condividere le loro
opinioni e raccomandazioni sulla delegazione. I pareri sono stati raccolti e
sintetizzati in un documento.
I commenti di Rosita Grönfors nell'articolo assomigliano a quelli fatti da
molti Rom che hanno avuto le loro opinioni riassunte in quello che ha proposto
la delegazione. Molti Rom erano d'accordo che sono necessarie ulteriori ricerche
e conoscenze per affrontare il problema della società romanì in Svezia, ma
nessuno vede in questo un processo temporaneo ed un modo per affrontare i
problemi dei Rom. I Rom che hanno affermato che c'è bisogno di continuare le
ricerche, non intendevano che da parte dello stato non ci fosse abbastanza
conoscenza per affrontare i problemi attuali. Al contrario, e penso che tutti i
Rom di Svezia saranno d'accordo con me, c'è conoscenza a sufficienza per
sviluppare programmi in Svezia che portino all'inclusione dei Rom, continuando
nel frattempo la raccolta di dati sulla loro situazione.
Katri Linna, dell'ufficio del difensore civico contro le discriminazioni, ha
ottenuto la posizione per guidare la raccolta dei dati in un rapporto chiamato
"Libro Bianco" sugli abusi contro i Rom nel secolo passato. Secondo il ministro Erik
Ullenhag, questo posto le è stato dato perché ha meritato la fiducia dei Rom.
Questo non lo nego, ma non sono certo sulle basi di questa conclusione. Le mie
dichiarazioni, come quelle di Rosita e di molti altri in Svezia, sono che le
nostre opinioni non sono pienamente rappresentate nelle decisioni prese. Penso
che su questo bisogna prima indagare, ma ci si domanda anche su a chi giovi. Una
valutazione esterna avrebbe più senso.
Di Fabrizio (del 08/02/2011 @ 09:12:50, in media, visitato 1765 volte)
Di quanto è successo a Roma domenica sera, si è scritto
parecchio. Tra poco la cosa sarà dimenticata, fino al prossimo incendio.
Riprendo questo articolo di
Repubblica, perché per una volta, raccoglie pezzi di discorso degli
scampati, senza la morbosità che spesso hanno i giornali. La segnalazione è di
Luisa Rizzo
"Voglio morire anch'io insieme ai miei bimbi" lo strazio del padre davanti ai
corpi carbonizzati La madre: "Non mi muovo di qua. Li devo vegliare anche se non serve a
niente". Uno zio: "Volevo portarli via perché in queste baracche si vive come
animali" di ANNA MARIA LIGUORI e EMILIO ORLANDO
Mircea Erdei, padre dei piccoli morti nel rogo
"Voglio morire anch'io, adesso che ho perso tre figli voglio andare con loro".
Mircea Erdei ripete in uno stentato italiano di "non potercela fare" di volerla
"fare finita".
Mircea Erdei è padre di tre dei quattro piccoli (l'altra è invece figlia di
primo letto della moglie) bruciati nella baracca andata a fuoco. Poco distante
c'è la moglie, Elena, che si lamenta e si contorce come se una mano invisibile
la stesse torturando: "Io non mi muovo di qua, dice anche se non serve a niente
devo vegliare i loro corpi, devo stare vicino a loro". Mircea e Elena hanno
altri cinque figli, poco più grandi e poco più piccoli di quelli che non ci sono
più. Vagano sparsi per il campo, gli agenti della municipale cercano di
raccoglierli, di farli stare insieme, ma loro non ne vogliono sapere. Fernando
Eldeban aveva 3 anni, Sebastian 7, Raul 5 e l'unica bambina Elena Patrizia 11,
figlia del primo marito di Elena. I poliziotti parlano con la sorella maggiore
Bianca, 18 anni, una delle prime a dare l'allarme, piange senza sosta: "Mi sono
allontanata solo cinque minuti, ero andata a prendere l'acqua. Quando sono
tornata la baracca era in fiamme. Cosa potevo fare?".
Nel piccolo campo abusivo sembrano spariti tutti, molti sono scappati, chi è
rimasto è legato a doppio filo ai genitori dei bimbi. Come uno zio arrivato dal
Campo regolare Arco di Travertino, che è sempre nel IX municipio, che non si da
pace per quello che è successo: "Volevo portarli via da qui, volevo portarli
dove vivo io, perché la vita lì è umana. Non come in queste baracche dove si
vive come animali. Ma non ce l'ho fatta non ce l'ho fatta". E poi viene fuori la
rabbia: "Siamo tutti disperati, qui la gente ci tratta male, non ci vuole. Noi
non vogliamo stare qui, ma dove andiamo".
Mircea Mirgia esce ogni mattina per andare a lavorare a nero fa il muratore. Il
suo vicino di baracca lo conosce da sempre, sono arrivati insieme in Italia un
anno fa: "Fa tutto per sfamare i figli, lavora come un pazzo. Tutto quello che
può fare lo fa. I bambini li avevo visti pochi minuti prima che il materasso
prendesse fuoco, si erano messi a dormire da poco. Come è potuto succedere?".
Tutti i bambini morti nel rogo andavano a scuola. Ma spesso erano soli, come
ieri sera, la madre e un'amica erano andate a comprare l'acqua e qualcosa da
mangiare in un fast food poco lontano. Al campo non si cucina, è abusivo: niente
acqua, ovviamente niente bagni. Stefan, un amico di famiglia, scalcia le pietre
e urla a chiunque voglia sentirlo: "Venivano solo a controllarci e a chiederci i
documenti, ci hanno fatto solo promesse ma nessun aiuto. Niente aiuto. Siamo
isolati e abbandonati a noi stessi. E noi non ce la facciamo. I nostri figli
muoiono e noi non possiamo farci niente". Rado, appena arrivato dalla Romania
gli fa eco: "Sono qui da pochi giorni e già ho capito questo campo non è sicuro,
per niente sicuro...". Intanto Mircea e Elena non si muovono, sono fermi davanti
alla baracca bruciata. Il sindaco Alemanno è lì e loro gli chiedono aiuto "per
gli altri nostri figli" dicono, "e i funerali dei bambini li facciamo in
Romania".
Di Fabrizio (del 09/02/2011 @ 09:43:42, in Europa, visitato 1692 volte)
Incendio – la solidarietà in marcia a Ivry par voxrromorum le 7 février 2011
Dopo l'incendio che domenica mattina ha fatto una vittima a Ivry, la
solidarietà degli abitanti del comune è all'opera. Le centinaia di persone che
avevano perso tutto, stasera sono stati alloggiati in una palestra della città.
Tutti gli interessati, assieme a "La voix des Rroms" sperano fortemente in una
seria indagine della polizia sulle cause di questo incendio, la cui natura
criminale non va esclusa.
Gli abitanti di Avenue de Verdun, le cui case sono state distrutte da un
incendio domenica mattina, incendio che ha fatto una vittima, sono restati tutta
domenica all'aperto. Arrivati sul posto alle 14, un rappresentante di La voix des Rroms
ha incontrato le famiglie sinistrate, alcuni vicini accorsi spontaneamente a
sostenerli, assieme ad associazioni e rappresentanti del comune. La Croce Rossa
aveva installato una tenda dove offriva bevande calde. Il vice sindaco di Ivry
ha chiesto al prefetto della Val de Marne di requisire un ospedale abbandonato
per ospitare gli sfollati. Senza rispondere a questa domanda precisa, la
prefettura ha proposto, tramite il SAMU sociale, una sistemazione in albergo per
le sole famiglie con bambini. Data l'imprecisione sulla posizione degli hotel,
l'inidoneità per le famiglie e la dubbia possibilità per le famiglie di rimanere
in città, queste ultime non hanno accettato la proposta. Come conseguenza, il
SAMU sociale e la Croce Rossa si sono ritirate.
La mobilitazione del comune e dei suoi servizi ha permesso la sistemazione
degli sfollati nella palestra Joliot Curie, una soluzione sicuramente
provvisoria, ma che permetterà di proseguire le ricerche congiunte di soluzioni
durature. La voix
des Rroms vuole elogiare il livello di mobilitazione della città di Ivry, dei
servizi e dei cittadini che restano mobilitati a fianco dei loro vicini. Spera
anche che si faccia piena luce sulle cause di questo incendio che è costato la
vita ad una persona.
Budapest, Vidigueira, 9 febbraio 2011: Ieri, lo European Roma Rights Centre (ERRC)
ha inviato una lettera al comune di Vidigueira, esprimendo preoccupazione per la
distruzione della fornitura di acqua nell'insediamento informale dei Rom, ed
anche per le deplorevoli condizioni abitative dell'insediamento. 67 Rom sono
stati deprivati dell'acqua, inclusi bambini, anziani e donne incinte.
Durante una visita lo scorso 4 febbraio, ERRC ha intervistato diversi
residenti dell'insediamento, dove vivono 16 famiglie rom senza elettricità,
fognature, raccolta dei rifiuti o servizi igienici. I residenti hanno spiegato
che i rappresentanti del comune di Vidigueira e la polizia hanno distrutto 12
rubinetti che costituivano l'unica fonte di acqua nell'insediamento sino al
giorno prima.
Nella sua lettera, ERRC ricorda che la deprivazione dell'acqua minaccia la
sopravvivenza umana e che le azioni delle autorità di Vidigueira appaiono
violare la legge internazionale, incluso il diritto ad un alloggio adeguato e a
fonti di acqua fresca. ERRC ha chiesto alle autorità locali di agire prontamente
per ripristinare la fornitura d'acqua e garantire un alloggio adeguato alla
comunità rom.
Il testo completo della lettera di ERRC è disponibile in
inglese e
portoghese.
Padre e madre denunciati per abbandono di minore. Gli amici: la colpa è di
chi ci fa vivere così.
Di MARIA CORBI
ROMA: Raul, Fernando, Patrizia, Sebastian, una manciata di anni in quattro, le
speranze avvolte dalle fiamme. La loro mamma, Liliana, è piegata dal dolore,
sembra voler scomparire in quella stanza fredda di obitorio. Guarda il sindaco
Gianni Alemanno e il presidente Napolitano con occhi fissi, non le interessa di
questa sfilata di autorità, ringrazia educatamente, ma è lontana. «Non avevo che
loro», dice parlando a se stessa. «Non è stata colpa mia». Si batte il petto
Liliana, come se volesse punirsi per non essere riuscita a proteggere i suoi
bambini. Ha 43 anni, ma molti di più disegnati sul volto, provato dalla
disperazione e da una vita piena di fatica. Quei ragazzi da crescere, i pochi
soldi guadagnati dal marito Mirko facendo il manovale in giro per cantieri, i
lavoretti saltuari, i tanti «no» ricevuti per pregiudizio.
«I genitori dei quattro bambini rom morti nel rogo del campo nomadi a Roma ci
hanno raccontato tutte le loro difficoltà», ha detto Alemanno. «Prima di andare
in quella baracca avevano trovato una casa a Colleferro ma siccome erano in
troppi il proprietario ha chiesto loro di allontanarsi. Da quel momento hanno
costruito la loro baracca e si sono trasferiti, nell’accampamento abusivo lungo
l’Appia Nuova».
E la vita ai margini in quel campo abusivo la racconta chi ieri ha dovuto
prendere le sue cose e andarsene. «Non ci vogliono da nessuna parte. Il nostro
non era un campo, ma quattro baracche messe insieme. A La Barbuta, qui vicino,
invece sono in tanti». E qualche chilometro più in là ecco questo accampamento a
cui la città di Ciampino ha dichiarato guerra. Un passo dal Raccordo anulare,
gli aerei gli passano sopra prima di atterraggio e decollo. Alemanno lo vorrebbe
raddoppiare. «E’ insalubre e situato sopra un’area protetta da vincoli e sopra
una falda acquifera, e, soprattutto, amministrativamente abusivo», gli fanno
notare da tempo chi si oppone al progetto. «La realtà è che vorrebbero bruciarci
tutti», dice Mariana, romena di Iasi, da dieci anni in Italia, da uno a La
Barbuta. «Quei poveri bambini, se avessero avuto una casa sarebbero ancora in
vita. Dicono che sono i rom a non volere vivere nelle case, ma è una bugia. Se
andate in Romania non esistono campi come questi, i rom vivono in quartieri
decenti».
E da Ciampino avvertono Alemanno di non giocare allo scarica barile sulle colpe
del fallimento del piano nomadi: «E’ incredibile come, ad un anno e mezzo
dall’annuncio dell’avvio del Piano Nomadi che avrebbe dovuto chiudere 100 campi
abusivi e creare 13 villaggi di solidarietà entro pochi mesi, il sindaco di Roma
neghi il fallimento del piano stesso dando colpa di ciò alla burocrazia», si
legge in una nota del Comune.
Evidentemente Alemanno ha uno strano concetto delle istituzioni visto che il
Comune di Ciampino ha l’unica colpa di aver chiesto l’accesso agli atti
amministrativi, sia del piano sia degli interventi annunciati per il raddoppio
del più abusivo di tutti i campi rom, ovvero quello de La Barbuta posto
all’ingresso della nostra città».
E non sono tutti rom quelli che vivono in queste baraccopoli romane. Non lo
erano i fratellini morti e i loro genitori come spiega il consigliere comunale
di «Roma in Action» Andrea Alzetta. «Conoscevo personalmente Mircea e la sua
famiglia. Non è un rom, ma un cittadino romeno, appartenente alla comunità
europea e come tale ha diritto ad essere accolto. Invece come tanti, è venuto in
Italia per avere un presente migliore e si è trovato senza una casa e con un
lavoro nero».
E Mircea ha provato in tutti i modi di dare una vita migliore ai suoi figli. «Io
lavoro, ma mi trattano come uno zingaro», ha detto desolato quando ormai nulla
ha più importanza. «Non è vero che ci avevano offerto un residence». «Ha provato
in tutti i modi a rivendicare i propri diritti di cittadino onesto», racconta
Alzetta. «Lavorava in nero nei cantieri. Nel 2006, assieme ad Action, con altri
lavoratori romeni ha occupato un cantiere per chiedere di essere pagato e
regolarizzato. Abbiamo fatto intervenire l’ispettorato, ma il cantiere è stato
chiuso e Mircea e gli altri hanno ricercato lavoro come potevano. Come funziona
in Italia. vInvece di essere premiati per avere denunciato un abuso sono stati
penalizzati. Mircea era senza casa e dopo essere stato sgomberato dagli
accampamenti alla Caffarella lui e la sua famiglia sono stati accolti per un
periodo nell’ex occupazione abitativa di Regina Elena. Lì hanno vissuto prima di
ritornare in Romania».
Intanto la procura apre un fascicolo per abbandono di minori. E’ contro ignoti,
ma ovviamente è possibile che in quella denuncia appaia il nome di Mirko e
Liliana. «Non è giusto», dicono gli amici. «Non è colpa loro, ma di chi ci fa
vivere così. Adesso li aiuteranno, ma dovevano aiutarli prima».
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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