Segnalazione di Alessandra Meloni
La Stampa
Padre e madre denunciati per abbandono di minore. Gli amici: la colpa è di
chi ci fa vivere così.
Di MARIA CORBI
ROMA: Raul, Fernando, Patrizia, Sebastian, una manciata di anni in quattro, le
speranze avvolte dalle fiamme. La loro mamma, Liliana, è piegata dal dolore,
sembra voler scomparire in quella stanza fredda di obitorio. Guarda il sindaco
Gianni Alemanno e il presidente Napolitano con occhi fissi, non le interessa di
questa sfilata di autorità, ringrazia educatamente, ma è lontana. «Non avevo che
loro», dice parlando a se stessa. «Non è stata colpa mia». Si batte il petto
Liliana, come se volesse punirsi per non essere riuscita a proteggere i suoi
bambini. Ha 43 anni, ma molti di più disegnati sul volto, provato dalla
disperazione e da una vita piena di fatica. Quei ragazzi da crescere, i pochi
soldi guadagnati dal marito Mirko facendo il manovale in giro per cantieri, i
lavoretti saltuari, i tanti «no» ricevuti per pregiudizio.
«I genitori dei quattro bambini rom morti nel rogo del campo nomadi a Roma ci
hanno raccontato tutte le loro difficoltà», ha detto Alemanno. «Prima di andare
in quella baracca avevano trovato una casa a Colleferro ma siccome erano in
troppi il proprietario ha chiesto loro di allontanarsi. Da quel momento hanno
costruito la loro baracca e si sono trasferiti, nell’accampamento abusivo lungo
l’Appia Nuova».
E la vita ai margini in quel campo abusivo la racconta chi ieri ha dovuto
prendere le sue cose e andarsene. «Non ci vogliono da nessuna parte. Il nostro
non era un campo, ma quattro baracche messe insieme. A La Barbuta, qui vicino,
invece sono in tanti». E qualche chilometro più in là ecco questo accampamento a
cui la città di Ciampino ha dichiarato guerra. Un passo dal Raccordo anulare,
gli aerei gli passano sopra prima di atterraggio e decollo. Alemanno lo vorrebbe
raddoppiare. «E’ insalubre e situato sopra un’area protetta da vincoli e sopra
una falda acquifera, e, soprattutto, amministrativamente abusivo», gli fanno
notare da tempo chi si oppone al progetto. «La realtà è che vorrebbero bruciarci
tutti», dice Mariana, romena di Iasi, da dieci anni in Italia, da uno a La
Barbuta. «Quei poveri bambini, se avessero avuto una casa sarebbero ancora in
vita. Dicono che sono i rom a non volere vivere nelle case, ma è una bugia. Se
andate in Romania non esistono campi come questi, i rom vivono in quartieri
decenti».
E da Ciampino avvertono Alemanno di non giocare allo scarica barile sulle colpe
del fallimento del piano nomadi: «E’ incredibile come, ad un anno e mezzo
dall’annuncio dell’avvio del Piano Nomadi che avrebbe dovuto chiudere 100 campi
abusivi e creare 13 villaggi di solidarietà entro pochi mesi, il sindaco di Roma
neghi il fallimento del piano stesso dando colpa di ciò alla burocrazia», si
legge in una nota del Comune.
Evidentemente Alemanno ha uno strano concetto delle istituzioni visto che il
Comune di Ciampino ha l’unica colpa di aver chiesto l’accesso agli atti
amministrativi, sia del piano sia degli interventi annunciati per il raddoppio
del più abusivo di tutti i campi rom, ovvero quello de La Barbuta posto
all’ingresso della nostra città».
E non sono tutti rom quelli che vivono in queste baraccopoli romane. Non lo
erano i fratellini morti e i loro genitori come spiega il consigliere comunale
di «Roma in Action» Andrea Alzetta. «Conoscevo personalmente Mircea e la sua
famiglia. Non è un rom, ma un cittadino romeno, appartenente alla comunità
europea e come tale ha diritto ad essere accolto. Invece come tanti, è venuto in
Italia per avere un presente migliore e si è trovato senza una casa e con un
lavoro nero».
E Mircea ha provato in tutti i modi di dare una vita migliore ai suoi figli. «Io
lavoro, ma mi trattano come uno zingaro», ha detto desolato quando ormai nulla
ha più importanza. «Non è vero che ci avevano offerto un residence». «Ha provato
in tutti i modi a rivendicare i propri diritti di cittadino onesto», racconta
Alzetta. «Lavorava in nero nei cantieri. Nel 2006, assieme ad Action, con altri
lavoratori romeni ha occupato un cantiere per chiedere di essere pagato e
regolarizzato. Abbiamo fatto intervenire l’ispettorato, ma il cantiere è stato
chiuso e Mircea e gli altri hanno ricercato lavoro come potevano. Come funziona
in Italia. vInvece di essere premiati per avere denunciato un abuso sono stati
penalizzati. Mircea era senza casa e dopo essere stato sgomberato dagli
accampamenti alla Caffarella lui e la sua famiglia sono stati accolti per un
periodo nell’ex occupazione abitativa di Regina Elena. Lì hanno vissuto prima di
ritornare in Romania».
Intanto la procura apre un fascicolo per abbandono di minori. E’ contro ignoti,
ma ovviamente è possibile che in quella denuncia appaia il nome di Mirko e
Liliana. «Non è giusto», dicono gli amici. «Non è colpa loro, ma di chi ci fa
vivere così. Adesso li aiuteranno, ma dovevano aiutarli prima».