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"Siamo nomadi, nessuno ci vuole"
Di Fabrizio (del 10/02/2011 @ 09:41:17, in Italia, visitato 1731 volte)

Segnalazione di Alessandra Meloni

La Stampa

Padre e madre denunciati per abbandono di minore. Gli amici: la colpa è di chi ci fa vivere così. Di MARIA CORBI

ROMA: Raul, Fernando, Patrizia, Sebastian, una manciata di anni in quattro, le speranze avvolte dalle fiamme. La loro mamma, Liliana, è piegata dal dolore, sembra voler scomparire in quella stanza fredda di obitorio. Guarda il sindaco Gianni Alemanno e il presidente Napolitano con occhi fissi, non le interessa di questa sfilata di autorità, ringrazia educatamente, ma è lontana. «Non avevo che loro», dice parlando a se stessa. «Non è stata colpa mia». Si batte il petto Liliana, come se volesse punirsi per non essere riuscita a proteggere i suoi bambini. Ha 43 anni, ma molti di più disegnati sul volto, provato dalla disperazione e da una vita piena di fatica. Quei ragazzi da crescere, i pochi soldi guadagnati dal marito Mirko facendo il manovale in giro per cantieri, i lavoretti saltuari, i tanti «no» ricevuti per pregiudizio.

«I genitori dei quattro bambini rom morti nel rogo del campo nomadi a Roma ci hanno raccontato tutte le loro difficoltà», ha detto Alemanno. «Prima di andare in quella baracca avevano trovato una casa a Colleferro ma siccome erano in troppi il proprietario ha chiesto loro di allontanarsi. Da quel momento hanno costruito la loro baracca e si sono trasferiti, nell’accampamento abusivo lungo l’Appia Nuova».

E la vita ai margini in quel campo abusivo la racconta chi ieri ha dovuto prendere le sue cose e andarsene. «Non ci vogliono da nessuna parte. Il nostro non era un campo, ma quattro baracche messe insieme. A La Barbuta, qui vicino, invece sono in tanti». E qualche chilometro più in là ecco questo accampamento a cui la città di Ciampino ha dichiarato guerra. Un passo dal Raccordo anulare, gli aerei gli passano sopra prima di atterraggio e decollo. Alemanno lo vorrebbe raddoppiare. «E’ insalubre e situato sopra un’area protetta da vincoli e sopra una falda acquifera, e, soprattutto, amministrativamente abusivo», gli fanno notare da tempo chi si oppone al progetto. «La realtà è che vorrebbero bruciarci tutti», dice Mariana, romena di Iasi, da dieci anni in Italia, da uno a La Barbuta. «Quei poveri bambini, se avessero avuto una casa sarebbero ancora in vita. Dicono che sono i rom a non volere vivere nelle case, ma è una bugia. Se andate in Romania non esistono campi come questi, i rom vivono in quartieri decenti».

E da Ciampino avvertono Alemanno di non giocare allo scarica barile sulle colpe del fallimento del piano nomadi: «E’ incredibile come, ad un anno e mezzo dall’annuncio dell’avvio del Piano Nomadi che avrebbe dovuto chiudere 100 campi abusivi e creare 13 villaggi di solidarietà entro pochi mesi, il sindaco di Roma neghi il fallimento del piano stesso dando colpa di ciò alla burocrazia», si legge in una nota del Comune.

Evidentemente Alemanno ha uno strano concetto delle istituzioni visto che il Comune di Ciampino ha l’unica colpa di aver chiesto l’accesso agli atti amministrativi, sia del piano sia degli interventi annunciati per il raddoppio del più abusivo di tutti i campi rom, ovvero quello de La Barbuta posto all’ingresso della nostra città».

E non sono tutti rom quelli che vivono in queste baraccopoli romane. Non lo erano i fratellini morti e i loro genitori come spiega il consigliere comunale di «Roma in Action» Andrea Alzetta. «Conoscevo personalmente Mircea e la sua famiglia. Non è un rom, ma un cittadino romeno, appartenente alla comunità europea e come tale ha diritto ad essere accolto. Invece come tanti, è venuto in Italia per avere un presente migliore e si è trovato senza una casa e con un lavoro nero».

E Mircea ha provato in tutti i modi di dare una vita migliore ai suoi figli. «Io lavoro, ma mi trattano come uno zingaro», ha detto desolato quando ormai nulla ha più importanza. «Non è vero che ci avevano offerto un residence». «Ha provato in tutti i modi a rivendicare i propri diritti di cittadino onesto», racconta Alzetta. «Lavorava in nero nei cantieri. Nel 2006, assieme ad Action, con altri lavoratori romeni ha occupato un cantiere per chiedere di essere pagato e regolarizzato. Abbiamo fatto intervenire l’ispettorato, ma il cantiere è stato chiuso e Mircea e gli altri hanno ricercato lavoro come potevano. Come funziona in Italia. vInvece di essere premiati per avere denunciato un abuso sono stati penalizzati. Mircea era senza casa e dopo essere stato sgomberato dagli accampamenti alla Caffarella lui e la sua famiglia sono stati accolti per un periodo nell’ex occupazione abitativa di Regina Elena. Lì hanno vissuto prima di ritornare in Romania».

Intanto la procura apre un fascicolo per abbandono di minori. E’ contro ignoti, ma ovviamente è possibile che in quella denuncia appaia il nome di Mirko e Liliana. «Non è giusto», dicono gli amici. «Non è colpa loro, ma di chi ci fa vivere così. Adesso li aiuteranno, ma dovevano aiutarli prima».