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La redazione
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 15/12/2012 @ 09:05:32, in casa, visitato 1656 volte)

Progetto sperimentale di smantellamento dei campi nomadi tramite l'autocostruzione di alloggi in muratura.

Il progetto di autocostruzione "Villaggio della Speranza" nasce dalla necessità espressa dai Sinti residenti presso il campo comunale di via Tassinari 32, di migliorare le proprie condizioni di vita, uscire dall'emarginazione e proseguire nel percorso di integrazione già iniziato con l'inserimento scolastico dei minori.
L�Opera Nomadi di Padova-Onlus, che da anni persegue la politica dello smantellamento dei campi nomadi comunali attraverso l'individuazione di alternative abitative dignitose, si è fatta portavoce delle esigenze dei Sinti con cui ha ideato e scritto il progetto e ha trovato nell'Assessore ai Servizi Sociali Claudio Sinigaglia un convinto sostenitore.
La creazione del Villaggio della Speranza coniuga infatti le disponibilità dell'Amministrazione Comunale con il rispetto delle tradizioni sinte, ovvero la volontà di vivere con le rispettive famiglie allargate. La linea della condivisione e della responsabilizzazione dei sinti non si è fermata con la definizione del progetto ma ha previsto la partecipazione della comunità, rappresentata da un mediatore sinto, a tutti gli incontri tecnici con i Referenti del Comune di Padova durante tutto l'iter del progetto.
Incaricata dal Comune come "soggetto promotore", l'Opera Nomadi ha provveduto a:
- individuare l�impresa per la costruzione degli alloggi e delle opere connesse, previa approvazione del Settore Infrastrutture del Comune di Padova,
- seguito i Sinti nella partecipazione al corso di formazione professionale per muratori e nella fase concreta dell�autocostruzione.



Il Settore Infrastrutture del Comune di Padova si è fatto carico della necessaria attività di alta sorveglianza, ai fini della regolare esecuzione dell�opera, della contabilità generale e dei conseguenti pagamenti. Sono stati costruiti alloggi, quattro per ciascuna delle tre palazzine di due piani. Ogni alloggio è costituito da un locale soggiorno-cottura, due camere da letto e un bagno, il tutto per una superficie calpestabile di circa 50 mq con giardinetto di pertinenza e posti auto coperti realizzati in struttura leggera. Il cantiere si è aperto nel luglio 2008 e si è chiuso a novembre 2009 e la consegna delle abitazioni è stata effettuata a dicembre 2009.
L�area e gli alloggi sono di proprietà del Comune di Padova e sono stati assegnati in affitto alle famiglie sinte. A differenza di quanto non accade in tutti i campi nomadi comunali in cui domina la legge dell'assistenzialismo, i singoli nuclei hanno stipulato i contratti delle utenze a proprio nome, pagando le relative bollette.



Per approfondire:
Renata Paolucci in "Politiche possibili. Abitare le città con i rom e i sinti" a cura di Tommaso Vitale, Carrocci Editore.

 
Di Fabrizio (del 12/01/2013 @ 09:04:46, in casa, visitato 1436 volte)

BBC news A Leicester i siti per i Traveller dovrebbero essere vicino alla casa del sindaco

Jubilee Square viene proposta come sito per traveller e zingari

[...] I risultati del sondaggio sono stati resi pubblici mentre la città si interroga sulla costruzione di ulteriori siti autorizzati e sulla rimozione di quelli illegali.

Il sindaco Peter Soulsby ha detto di non pensare che siano suggerimenti "seri".

In 100 questionari, gli intervistati hanno suggerito che i siti dovrebbero essere anche vicino alle abitazioni dei consiglieri, edifici comunali o spazi pubblici.

"Posso capire che la gente non voglia questi siti vicino a casa propria, ma non penso di cover intendere seriamente questi suggerimenti," ha detto Soulsby.

"Il fatto è che questo è un problema dove non siamo in grado di trovare una soluzione che soddisfi il 100%"

La consultazione pubblica è stata fatta per esaminare tre siti - Greengate Lane, Beaumont Way e Red Hill Way - scelti dai consiglieri su una rosa di otto, a seguito di una iniziale valutazione ufficiale di circa 350 proprietà comunali.


    Tipologie
    Siti permanenti offrono ai residenti una residenza stabile in modo simile alle case popolari. I residenti sono tenuti a versare le imposte per l'affitto, l'acqua, l'elettricità e quelle comunali.

    Siti di transito possono essere aperti tutto l'anno, ma forniscono solo alloggio temporaneo ai loro residenti, di solito non più di tre mesi. Hanno strutture più basiche. I residenti sono responsabili per il pagamento di affitto, acqua ed elettricità.

    Aree temporanee di sosta sono di solito utilizzate per un periodo inferiore ai 28 giorni, di solito nei periodi in cui c'è molta richiesta, ad esempio quando hanno luogo fiere ed eventi culturali.

"Ulteriori indagini"

Nelle risposte al questionario sono stati suggeriti oltre 50 siti alternativi

Secondo la relazione c'erano 100 suggerimenti di situarli al "New Walk Centre, piazza del Municipio, Jubilee Square o presso le case dei consiglieri o del sindaco".

Al New Walk Centre attualmente ci sono gli uffici comunali. Town Hall Square è accanto al municipio e Jubilee Square è un dovrebbe diventare uno spazio pubblico da 4 milioni di sterline, vicino agli uffici della BBC di Leicester.

La relazione raccomanda altri due suggerimenti - Hoods Close e Braunstone Lane East - che vantano "potenziale e sono degni di ulteriore approfondimento e consultazione, se fossero richiesti ulteriori si ti di transito / sosta temporanea."

Il rapporto consiglia Red Hill Way e Greengate Lane come entrambe adatti a siti "permanenti" o "di transito", per un massimo di piazzole ciascuno.

Il gruppo d'azione LE4 ha presentato a luglio una petizione a Peter Soulsby

Beaumont Way è "potenzialmente adatto" per un sito di transito di sei piazzole, questo viene dichiarato.

Peter Soulsby ha detto che considererà il rapporto prima di prendere una decisione.

"Abbiamo un problema maggiore con gli accampamenti dei traveller illegali e non autorizzati," ha detto.

"Bisogna fare qualcosa a riguardo, e l'unica cosa fattibile è di installare alcuni accampamenti legali e assicurarsi che i traveller li usino."

Terry McGreal, del gruppo d'azione LE4, ha detto di accettare la richiesta del consiglio di identificare spazi per zingari e traveller, ma che le località scelte sono inappropriate.

Dice che andrebbero invece scelte aree brulle e dismesse.


Secondo voi è un articolo "serio" o no? Mi ricordo che qualcosa di simile accadde un po' di anni fa proprio a Milano, ad uno dei padri nobili della Mahalla. Il tutto finì in maniera inaspettata ; - )

 
Di Fabrizio (del 14/01/2013 @ 09:06:47, in casa, visitato 1102 volte)

Opera Nomadi di Padova

IN MERITO ALLA SITUAZIONE DEL VILLAGGIO MONOETNICO ROM DI VIA LONGHIN A PADOVA

I recenti fatti di cronaca che riguardano alcuni residenti del villaggio monoetnico di via Longhin a Padova stanno riproponendo all'attenzione pubblica il tema delle politiche di integrazione delle comunità rom. In particolare si sta dibattendo circa l'efficacia di un investimento di ingente portata per un proficuo inserimento di queste famiglie nella società padovana.

L'Opera Nomadi di Padova ripete da anni che il progetto di riqualificazione del campo di via Lungargine San Lazzaro non serve a migliorare l'integrazione nel territorio delle famiglie che vi abitano. L'iniziativa era già in partenza fallimentare; per questo la nostra Associazione ha rifiutato la gestione dell'area: i soldi dei contribuenti vanno investiti bene!

L'alternativa proposta era semplice: individuare alcuni terreni dislocati sul territorio dove le famiglie avrebbero vissuto gestendo autonomamente la loro esistenza. In questo modo sarebbe stato davvero possibile favorire una reale integrazione, smascherando chi non vuole cambiare, come è successo per molti che già vivono nelle microaree.

Il progetto comunale attuato presso il campo nomadi di via Lungargine San Lazzaro non ha le caratteristiche integrative del progetto del Villaggio della Speranza, dove si sono ottenuti risultati tanto positivi che l'Amministrazione comunale stessa ha ritenuto di non dover più spendere un euro in progetti di accompagnamento sociale o di integrazione lavorativa.

L'iniziativa del laboratorio di sartoria per le donne rom sembra l'ultimo disperato tentativo di rimettere a posto le cose. Insegnando alle donne un mestiere che già in parte conoscono e che non ha sbocchi di alcun tipo nel mercato del lavoro di oggi, si ritiene davvero di poter migliorare qualcosa? Le proposte della nostra Associazione sono rimaste sempre inascoltate: l'inserimento lavorativo passa attraverso la valorizzazione dei mestieri tradizionali, come il supporto alla creazione di cooperative di raccolta e riciclo di materiale ferroso, e attraverso un aiuto nell'ingresso in circuiti di lavoro “normali”, come le cooperative di pulizie o di sgomberi, dove sinti e rom serbi sono assunti con successo. Queste iniziative possono essere messe in pratica solo se gli utenti motivati escono da una situazione abitativa ghettizzante come quella di un campo nomadi, noto ad aziende e cooperative per i numerosi fatti di cronaca. Se attuate senza una razionale politica di integrazione abitativa, risultano un inutile spreco di denaro pubblico.

Opera Nomadi di Padova - Onlus

 
Di Fabrizio (del 26/01/2013 @ 09:10:37, in casa, visitato 1796 volte)

Pubblicato: 23/01/2013 15:37 di Monica Pasquino, Presidente dell'Associazione di Promozione Sociale S.CO.S.S.E.

Era nella fredda stagione invernale, tre anni fa, che qualche tg locale mostrava le immagini dello sgombero di Casilino 900. Dal 19 gennaio al 15 febbraio del 2010, a Roma, sono state trasferite più di 600 persone, con una sistematica violazione dei diritti umani e dell'infanzia.

Kher in romani chib - esattamente come il suo equivalente italiano casa - è una parola semanticamente vaga a cui ognun* dà un valore personalissimo. Una villetta a due piani è la casa di una famiglia benestante in provincia; una stanza è la casa di una precaria a Milano; un container è la casa di una coppia terremotata in Irpinia, un posto letto è la casa di uno studente universitario a Roma, così come una macchina diventa la casa di un poveraccio sfrattato a Napoli.

"Di qualsiasi materiale sia fatta, la tua kher è sacra", racconta un rom nella rivista curata dall'Associazione 21 luglio, poco importa se sia una baracca o una roulotte o se la tua kher si trovi in un campo nomade dove l'abitare è sinonimo di ghettizzazione, in ogni caso, la violazione della tua kher è un gesto di violenza verso i tuoi affetti, verso il tuo corpo ed è una violazione dei tuoi riti e della tua libertà.

In Italia solo lo 0.23% della popolazione totale è rom, una delle medie più basse in Europa. Tra questi solo il 2-3% dei rom è realmente "nomade". A Roma le comunità rom che vivono nei campi nomadi, che si distinguono in villaggi attrezzati, campi tollerati e insediamenti informali, sono lo 0.24% della popolazione complessiva. Tutto il resto sono allarmi infondati, campagne discriminatorie e narrazioni stereotipanti che alimentano paure e insicurezze "facili" da stimolare, soprattutto in anni di recessione, di assenza di lavoro e tagli al welfare e ai servizi essenziali.

Nella produzione di un ordine del discorso dominante, le notizie vengono selezionate, accorpate, differenziate: alcuni casi di cronaca vengono messi in risalto, altri lasciati in ombra o taciuti. Tutto si muove all'interno di una dinamica che sta a noi comprendere e districare, per non farci travolgere da un'ingiusta lettura del presente. La politica dei campi nomadi è iniziata in città alla metà degli anni Ottanta, quando la Regione ha approvato una legge che prevedeva la creazione di insediamenti per comunità ritenute non idonee o desiderose di vivere in una kher simile alle nostre.

Nel 1994 il Sindaco Francesco Rutelli ha presentato il primo Piano Nomadi della Capitale che prevedeva la costruzione di 10 campi in un anno. I governi che si sono succeduti al Campidoglio negli anni Novanta, al di là della collocazione politica, hanno proposto altri Piani Nomadi, tutti con lo stesso obiettivo: risolvere le "emergenze", mettere in "sicurezza" i quartieri abitati da italiani, fare sgomberi e concentrare i rom in villaggi attrezzati sempre più lontani dal contesto urbano.

L'approccio emergenziale, l'isolamento dei rom che dovrebbe garantire la sicurezza della cittadinanza italiana, le pratiche e le retoriche securitarie che giustificano vari casi di violenza urbana sono alcune delle modalità della produzione di corpi e di spazi nella città. Sono una delle forme della governamentalità del nostro tempo che lede la libertà di tutt* noi, non solo quella di rom e migranti, rimbalza al centro dell'attenzione cittadina, ci fa girare con circospezione la sera, riempie le nostre chiacchiere al bar e le dichiarazioni degli amministratori.

I campi nomadi sono gabbie costruite su base etnica, sono un'invenzione tutta italica, frutto in particolare delle istituzioni della Capitale, e rappresentano una forma dell'abitare che è estranea alla consuetudine abitativa di rom e sinti. I villaggi attrezzati, come quello che il Sindaco Veltroni inaugurò a via Salone, uno dei più grandi d'Europa, sono circondati da recinzioni metalliche e gli ingressi sono controllati da un sistema di videocamere: questi sono segni lampanti della biopolitica che caratterizza questi villaggi attrezzati, i Cie e le altre politiche di controllo a cui sono sottoposti i cittadini stranieri.

L'ultimo Piano Nomadi della Capitale è opera di Gianni Alemanno (2009), e ha l'obiettivo di realizzare 13 villaggi attrezzati per accogliere circa 6000 rom. Il Piano Nomadi dell'attuale Sindaco costa attualmente circa 20 milioni di euro l'anno ai cittadini romani, ma non ha ancora raggiunto alcun obiettivo, anzi, le condizioni di vita dei rom sono drasticamente peggiorate per l'isolamento dal resto della città, per la mancanza di manutenzione, per il sovraffollamento e per l'aumento di comportamenti devianti. Ai 20 milioni annui vanno aggiunti i soldi spesi per gli sgomberi dei campi informali (circa 500 dall'estate del 2009 ad oggi) che rappresentano una cifra 10 volte più alta di quella spesa dal Comune di Roma per l'inclusione lavorativa dei rom nello stesso lasso di tempo.

Nella prossima primavera, con le elezioni amministrative, abbiamo l'occasione di voltare pagina e finalmente proporre politiche di medio e lungo termine dirette all'inclusione sociale di rom e sinti:

  • perché la libertà si con-divide tra tutt* gli abitanti di Roma, non si divide;
  • per chiudere gradualmente tutti i villaggi attrezzati;
  • per abbandonare l'approccio emergenziale e securitario;
  • per proporre una cultura che superi i pregiudizi e avvii percorsi di conoscenza e dialogo fra culture diverse;
  • per sospendere ogni azione di sgombero e trasferimento forzato che non rispetti le Convenzioni internazionali.

Nella Repubblica romana di domani, vorremmo che nessun* potesse più violare la tua kher.

 
Di Fabrizio (del 04/02/2013 @ 09:10:26, in casa, visitato 1396 volte)

Vedi anche una segnalazione del 2008

 Yahoo notizie

La mini House è una casa che ti arriva per posta e che si monta in 48 ore. Sembra impossibile eppure è tutto vero. Il design di queste abitazioni pret-a-porter viene dalla Svezia ed è opera dell'architetto Jonas Wagell.

 
Di Fabrizio (del 10/02/2013 @ 09:04:36, in casa, visitato 1504 volte)

Dire, fare, baciare. Luoghi di sconfinamento Per gli zingari Sinti un moderno lager oltre la tangenziale - da Pavia, Giovanni Giovannetti

La Giunta cattoleghista Cattaneo vuole deportare i pavesi zingari Sinti in un campo oltre la tangenziale, contiguo al canile. L'attuale allocazione di piazzale Europa andrà "liberata" per consegnarla agli appetiti di faccendieri e immobiliaristi, ma sul fronte dell'opposizione comunale non aspettatevi barricate da parte del Partito democratico. E si capisce il motivo.

Assessori e dirigenti comunali pavesi in missione a Bruxelles. Obbiettivo: trovare i fondi necessari al piano di deportazione degli zingari Sinti pavesi verso Cura Carpignano, oltre la tangenziale, vista canile, nel villaggio "le corti": come riferisce l'assessore ai Servizi sociali Sandro Assanelli al quotidiano locale, "nel villaggio che abbiamo immaginato ogni famiglia avrà il proprio stallo, con servizi igienici, docce, allacciamento con l'energia elettrica e tutti i servizi necessari. È previsto, poi, uno spazio comune che potrà essere utilizzato per vari scopi, come le funzioni religiose o momenti di aggregazione tra i bambini. Infine, vorremmo aggiungere degli orti a corona del villaggio, in modo che i residenti possano coltivarli". Insomma, un moderno campo di concentramento, purché i Sinti si tolgano da dove sono ora.
Attualmente, circa 450 zingari Sinti - cittadini pavesi e stanziali da più generazioni - bivaccano nel lager di via Bramante o più comodamente nel campo di piazzale Europa, ai margini del centro storico. Ora il sindaco amico degli amici - amici molto interessati all'area di piazzale Europa, urbanisticamente assai appetibile - e l'assessore ciellino hanno fretta di arrivare a soluzione: quella finale.
Come si ricorderà, sul pavese piazzale Europa si era già soffermato il milanese Dipartimento distrettuale antimafia nel corso dell'inchiesta Infinito, là dove Carlo Chiriaco - poi condannato in primo grado a 13 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa - fantasticava una cittadella tra l'idroscalo e il gasometro, con il conforto di 15-20 milioni in fondi europei ("tu prova a immaginare: il gasometro che diventa, sostanzialmente, un parcheggio a più piani. Recuperi la piscina per eventi che non sono solo sportivi ma mondani. [...] La spesa prevista sono 12-15 milioni di euro, che non cacceresti tu come Comune; li caccia la Comunità europea". Intercettato, Chiriaco racconta anche di "provvigioni" del 20 per cento da destinare all'assessore comunale al Commercio Pietro Trivi (Pdl) e al presidente della Commissione comunale Territorio, il calabrese Dante Labate (ex An) eletto, scrivono gli investigatori, "anche grazie ai voti portati da Pino Neri" (Neri è considerato il "reggente" della ‘Ndrangheta in Lombardia: una condanna a 9 anni per narcotraffico, nuovamente condannato in primo grado il 6 dicembre 2012 a 18 anni di carcere per associazione mafiosa). Nel 2003 Labate è stato socio dell'Immobiliare Vittoria, condivisa con Antonio Dieni (braccio "politico" di Neri) e Teresa e Graziella Aloi, rispettivamente cognata e moglie di Pino Neri.
E allora si deportino i Sinti oltre la tangenziale. Sempre meglio, ironizzano a destra, della soluzione avanzata il 28 agosto 2009 sulla "Provincia Pavese" dal cattolicissimo ex consigliere comunale di centrosinistra Enrico Beltramelli: un grande campo sotto le carceri di San Gallo, così le guardie potranno tenerli d'occhio, in quella zona "sufficientemente distante da agglomerati abitati da cittadini" (cittadini? I Sinti pavesi cosa sono se non cittadini pavesi?) Insomma, un capiente campo di concentramento in grado di ospitare "gruppi di etnie diverse in zone separate con ingressi separati che limitino i contatti tra chi a contatto non vuole stare". Manca solo la scritta all'ingresso: la scelta potrebbe cadere su "Arbeit macht frei".
Dunque, non aspettiamoci le barricate in Consiglio comunale da parte del Partito democratico (al governo cittadino per 14 anni senza mai sfiorare la questione, scarsamente "popolare"), poiché a Pavia il razzismo "di sinistra" è un po' come la mafia: non esiste.
E si capisce. A Pavia nel 2007 (e non a Berlino nel 1934) un sindaco donna e di sinistra (e non della Lega nord), di professione dirigente scolastico e futuro membro della Commissione etica del Partito democratico (e non del Ku Klux Klan) ha impedito l'accesso alla scuola a decine di bambini rumeni di etnia Rom precariamente dimorati all'ex Snia poiché sarebbe stato "un incentivo per le famiglie a radicarsi sul territorio",(da una Relazione del Comitato Fuoriluogo, 28 febbraio 2007) disdegnando così la Costituzione, i diritti universali dei minori e il buon senso. E ancora, parlando di sé in terza persona: "Fosse per il sindaco di Pavia, i Rom li avrebbe messi sopra un treno e mandati via". Anche per questo sindaco un popolo di troppo si stava aggirando per l'Europa. Anche a sinistra c'è stato chi sconsideratamente ha alluso a "deportazioni" finali per gli "scarti umani", radicando in questi immigrati la convinzione che la crescita sociale da noi si ottiene solamente con la pratica dell'arbitrio e della violenza.
Il sindaco Capitelli di centrosinistra era sostenuto politicamente da buona parte della sua stessa maggioranza: dal vicesindaco Ettore Filippi ("I Rom non esistono") all'assessore ai Servizi sociali Francesco Brendolise ("l'esperienza dimostra che prima delle ruspe spariscono tutti"). Proseguendo nel sommario elenco di sinistre citazioni: 29 novembre 2006. Lettera del dirigente del settore socio assistenziale Carla Galessi a Marisa Camola (Ufficio integrazione sociale): …"In relazione alla situazione delle famiglie rumene situate presso l'Area ex Snia si comunica che a far tempo dalla data odierna la S.V. Non è autorizzata ad avere contatti diretti con le famiglie presenti presso tale struttura"
Dal verbale della Commissione consiliare Servizi sociali, 28 febbraio 2007: "…La dott.ssa Galessi dichiara di aver disposto nell'autunno 2006 agli assistenti sociali e al personale dell'assessorato di non recarsi più alla Snia".
Da una informativa dei volontari di "Fuoriluogo" alla Commissione consiliare Servizi sociali (28 febbraio 2007): "Riteniamo che sarebbe sufficiente, nell'immediato, ritirare l'improvvido e sbagliatissimo provvedimento di divieto alle assistenti sociali di occuparsi del problema Snia nella speranza di ritornare, a breve, ad una situazione in cui un livello minimo di decenza e legalità erano garantiti […] a proposito di collaborazione ci permettiamo anche di mettervi a conoscenza del fatto che anche di recente il personale dei Servizi sociali, che doveva convocare una ragazza, madre di due bambini, per discutere di un suo eventuale inserimento in comunità protetta, si è visto costretto a chiedere a noi di contattarla stante il divieto assoluto per loro di recarsi alla Snia (luogo dove è tornata ad abitare con i due figli piccoli dopo essere stata allontanata da Fossarmato) […] Dalla stessa istituzione, seppur da persone diverse, ci viene prima l'invito a non recarsi più alla Snia, poi ad andarci per contattare una persona che altimenti il comune non saprebbe come individuare…".
Ancora dall'informativa dei volontari di "Fuoriluogo" alla Commissione consiliare Servizi sociali (28 febbraio 2007): "… Il sindaco ha detto che nessuno di questi bambini verrà prossimamente inserito nelle scuole per il timore che questo costituisca "un incentivo per le famiglie a radicarsi sul territorio".
Ancora dal Verbale della Commissione consiliare Servizi sociali: "La dott.ssa Galessi informa che se l'amministrazione interviene sui bambini ci saranno nuovi arrivi".
Di nuovo dal verbale della Commissione consiliare Servizi sociali: secondo l'assessore ai Servizi sociali Francesco Brendolise l'area Snia "presenta problemi particolari, in quanto circondata da criminalità, con smercio di droga" e "persone che lavorano in nero, Rom già pregiudicati per reati vari, anche verso minori, è inoltre visibile il fenomeno della prostituzione". Secondo la Questura, solo 8 di loro hanno precedenti penali per reati contro il patrimonio, il 7 per cento del totale. In Comune 2 assessori dell'epoca su 11 sono stati ospiti delle patrie galere: il 18 per cento.
Tra i pretoriani del sindaco Capitelli riscontriamo il consigliere Fabio Castagna. Diventato capogruppo, il 31 gennaio scorso, sei anni dopo (e non sei giorni dopo), tornando sull'emergenza all'ex Snia il consigliere del Partito democratico così scrive in "Politica a Pavia": "lo rifarei", e prosegue: "faccio presente che nel quartiere di Pavia Est ci siamo dovuti pure sorbire una manifestazione di Forza Nuova che stava facendo proseliti tra cittadini". Per contrastare il presunto espansionismo di Forza Nuova nel quartiere hanno così pensato di emularli, rivendicando - e sdoganando - "da sinistra" il razzismo e la xenofobia. Come era prevedibile, quelli di Forza Nuova hanno inoltrato le loro congratulazioni, poiché i Democratici di sinistra "finalmente hanno preso le nostre posizioni" (agosto 2007).
Per derubricare l'altro a nemico servono uno sguardo deumanizzante (così da negare i tratti costitutivi dell'umano, direbbe Chiara Volpato) e la creazione del "falso conflitto": noi-loro (o noi o loro), ovvero la menzogna della conflittualità che vede l'altro relegato a non-umano alieno e inanimato, tanto da legittimare il peggiore arbitrio: ieri con zingari, omosessuali e soprattutto ebrei. Oggi con ebrei, omosessuali e soprattutto zingari.
Tornando all'ex Snia, abbiamo visto che gli stessi pubblici amministratori - o criminalizzatori - "di sinistra" intenti a invocare l'ordine e la sicurezza in realtà volevano coprire i privatissimi interessi di un immobiliarista d'area. Uno scopo odioso, così come la strumentalizzazione della paura del diverso, fiancheggiata da mesi di irresponsabile tambureggiamento mediatico: un'emergenza umanitaria spacciata per un problema di ordine pubblico (secondo il sindaco di centrosinistra, "nell'area non esiste un'emergenza igienico-sanitaria, ma solo un problema di sicurezza"), la via intrapresa per far digerire all'opinione pubblica l'illecita distruzione di una fabbrica monumentale.
Dopo il cambio di latitudine politica, a Pavia la musica non è cambiata: nel settembre 2009 il nuovo sindaco di centrodestra - da poco eletto con il contributo di Pino Neri, il capo della'Ndrangheta lombarda - sgombera "al buio" 17 Rom rumeni dall'area Necchi. "Al buio", cioè senza prevedere alcuna successiva sistemazione d'emergenza: undici adulti e sei bambini hanno così dovuto bivaccare sotto un ponte. Motivo: "S'impone il ripristino della legalità". I minori fino al giorno prima ogni mattina andavano a scuola. Il padre poteva esibire un regolare contratto di lavoro, al quale ha dovuto rinunciare per stare vicino alla sua famiglia in mezzo a una strada. Lui - che pure sarebbe stato in grado di pagare un affitto - dai locatori pavesi si era sentito rispondere: "Albanesi e marocchini sì, rumeni no"; e somiglia tanto a quel sinistro "vietato l'ingresso ai cani e agli italiani" o all'analogo "non si affitta ai meridionali" di cui si parla nei libri di storia, quando i rumeni eravamo noi.
Sempre in tema di "regole" e di "legalità", l'11 maggio 2010 il Tribunale di Pavia ha accolto il ricorso di Radu Romeo, cittadino rumeno accusato dal sindaco di non essere "immune da precedenti penali e di polizia", di condurre "un tenore di vita non idoneo alla sua situazione" e di non essere "integrato nella società italiana"; dunque, recita un'informativa comunale, "si sospetta che il suddetto possa trarre il proprio sostentamento da attività illecite". Nelle motivazioni del Giudice di pace si legge l'esatto contrario: che Romeo è un "lavoratore autonomo integrato nel tessuto socio economico del Paese, dispone per se stesso e per i propri famigliari di risorse economiche sufficienti per la conduzione di un'esistenza dignitosa, non è un onere a carico dell'assistenza sociale [...] e non rappresenta un pericolo per la società". Sono motivi sufficienti per annullare il provvedimento prefettizio, emesso il 12 novembre 2009, dodici giorni prima che Radu - in forza di quella cartastraccia - venisse cacciato per ordine comunale da un centro di accoglienza insieme a moglie e figli.
Non era la prima volta. Il quotidiano "La Provincia Pavese" di venerdì 11 settembre 2009, in prima pagina aveva dato risalto alla notizia di casi di pedofilia tra i minori di etnia Rom ospiti della struttura comunale di via San Carlo. Testualmente, il sindaco ha riferito di "informative dalle quali risultano casi di prostituzione minorile e altri episodi illeciti" esercitati all'interno della struttura comunale.
Si riveleranno tutte bugie, costruite ad arte dal sindaco menzognero per legittimare lo sgombero, il 24 novembre 2009, di otto famiglie, di nuovo "al buio": uomini donne e undici bambini (c'erano anziani, una donna al sesto mese di gravidanza, un neonato; c'era anche la famiglia di Radu Romeo) cacciati dai centri comunali di San Carlo e Fossarmato; e tra loro anche persone mai raggiunte dall'ordinanza prefettizia, eppure allontanate: "Motivi di ordine pubblico" (ordine mai formalizzato dal sindaco) e in "accordo con la prefettura" (falso: il numero delle famiglie sgomberate fu circa il doppio di quello dei decreti di allontanamento prefettizi).
Buttati in mezzo a una strada nel gelido inverno con la conseguente, e se possibile ancor più terribile, interruzione del percorso scolastico dei figli minori. Poveri da nascondere, spazzatura da spostare sotto qualche altro tappeto, specie quando si tratta di stranieri, quelli ancora più miserabili e digiuni dei diritti come, per l'appunto i Rom rumeni.
Quanto agli zingari Sinti pavesi - agli zingari in generale - permangono marginalizzati nel segno di politiche demagogiche e violente, basate sul paternalismo, sull'assistenzialismo e a volte sulla repressione. Un cane che si morde la coda: la segregazione e la perdita dell'identità culturale aprono alla deriva delinquenziale, al giustizialismo, al rifiuto. Un costo sociale ed economico elevatissimo, ben superiore a quello delle politiche d'inclusione, scolarizzazione e inserimento lavorativo.
Andrebbe superata la cultura dei campi favorendo il progressivo inserimento di queste famiglie nel tessuto sociale cittadino, evitando l'acquartieramento su basi etniche. Invece…
Le istituzioni locali miopi li preferiscono culturalmente portati a vivere in roulotte o in baracche: non è così. Tra i Sinti c'è la richiesta diffusa di casette più stabili, di micro-aree in cui costruire piccoli villaggi in cui sperimentare forme di autogestione responsabile del territorio. Tutto il contrario della de-responsabilizzazione a cui sono portati dagli interventi assistenziali, o dai "privilegi", come il mancato pagamento delle utenze pubbliche.

Provo ad elencare alcune possibili alternative residenziali al modello del "campo nomadi", da progettare in modo partecipativo - Piccole unità abitative. Gruppi famigliari allargati acquistano un terreno o ne ricevono uno dalla pubblica autorità (contratto di enfiteusi) sul quale costruire una casa - La casa popolare. Può rappresentare una soluzione quando i legami sono monofamiliari. Ma vivere nei campi comporta punteggi molto bassi - L'affitto di una casa sul mercato privato (modello bolognese: in questo modo sono stati chiusi tre campi, con un risparmio dei 3/4 di quanto il Comune spendeva nella gestione dei "campi nomadi"). All'occorrenza il Comune può affittare gli appartamenti e poi subaffittarli ai destinatari, garantendo così i proprietari. Sono politiche con un orizzonte di almeno 8 anni. Le condizioni potranno variare ogni 4 anni - L'acquisto di una casa (modello torinese): anche in questo caso si rendono necessari dei garanti per l'accesso al credito. In alternativa, il Comune svolge la funzione di mediatore con le banche per l'accesso ai mutui. In tutti questi casi vanno previste forme di accompagnamento, anche da parte di operatori provenienti dalle comunità Sinte. Non andrebbero dimenticate una o più micro-aree riservate alla sosta temporanea dei gruppi in transito. Gli zingari lombardi hanno ormai perso le abitudini itineranti, ma alcuni sono ancora dediti al piccolo commercio, ad attività artigianali, all'attività di giostrai, ecc. Le aree di sosta implicano un coordinamento con gli altri siti a disposizione in altre province. Al riguardo, è ottimo il modello francese.

 
Di Fabrizio (del 18/02/2013 @ 09:09:35, in casa, visitato 1683 volte)

La frode immobiliare dietro lo scandalo degli alloggi di accoglienza - Ustì nad Labem, 8.2.2013 9:58, (ROMEA)
This article was also published by news server Denìkreferendum.cz. - Sasha Uhlova', translated by Gwendolyn Albert

Edificio nel quartiere di Predlice a Ustì nad Labem. Difficile da credere se non lo si vede di persona. Le fotografie nell'articolo sono di Sasha Uhlovà del news server Denìk referendum.

La stanza era illuminata dal fuoco attraverso un buco nel camino. In tutto l'edificio non c'era acqua corrente, era stata staccata la corrente elettrica e qualcuno aveva rimosso le impalcature d'acciaio, finite probabilmente in qualche discarica. La donna sconsolata nel letto non sapeva se l'edificio sarebbe potuto crollare, seppellendo lei e sua nipote tra le macerie.

Si era trasferita dal primo piano in un appartamento al pian terreno, perché i piedi le facevano troppo male nel salire le scale. Nel momento che me ne sono andata, hanno iniziato il saccheggio. Ogni notte c'è qualcuno. Non so chi sia, o cosa facciano di preciso, ho paura a a lasciare il mio appartamento," diceva Gizela su quelle condizioni. Il proprietario dell'edificio non si faceva vivo. Non c'era nessuno a cui pagare l'affitto, a cui chiedere le riparazione, o di proteggere la proprietà dai furti di metalli.

Nella stanza al buio ci raccontava della sua gioventù, quando lavorava in fabbrica, prima a fare le pulizie e poi promossa come operatrice alle macchine: "C'erano abbastanza soldi per mangiare, qualcuna ci cuciva i vestiti, non c'erano privazioni." Dopo il 1989 perse il lavoro: "E' così che sono finita qui. Campo con 3.400 corone [135 euro] al mese di assistenza. Non riesco a trovare lavoro. Sono vecchia. Anche i giovani non trovano lavoro. Vivo come una vagabonda. Ho 56 anni e non sono mai caduta così in basso in tutta la mia vita."

Proprio in fondo alla strada c'è la palestra dove la famiglia Chervenhàk dorme su delle brandine. Era di sabato, il 10 novembre 2012, vivevano lì da una settimana. Su una panchina c'era una piastra ed accanto un po' di polenta gialla poco invitante. In sala i bambini giocavano - gli attivisti erano arrivati da Praga per organizzare un giorno di divertimento. Gli adulti erano esausti e impauriti di ciò che poteva succedere. I bambini correvano, dipinti, felici che qualcuno fosse venuto a giocare con loro.


Gizela Karichkovà era rimasta nella sua stanza. Rifiutava di andare nella palestra, nonostante il rischio che l'edificio potesse crollare. Continuava a sperare di trovare un alloggio migliore e, alla fine forse ce l'ha fatta, perché aveva un alto punteggio nella lista di attesa. Con l'aiuto degli assistenti sociali, si è trasferita a metà dicembre in un nuovo appartamento. Era grata ai giornalisti di aver portato attenzione sul suo caso: "Prima di allora, l'ufficio assistenza non aveva mostrato alcun interesse, ma una volta che sono finita in televisione, improvvisamente vollero aiutarmi."

E' cominciato molto tempo fa
Lo scorso settembre, in un edificio di via Hrbotickèho a Ustì nad Labem, era crollato un soffitto seppellendo una giovane donna. Era madre di due bambini e la nipote della signora Karichkovà. Non era il primo edificio a colllassare nel quartiere Nové Predlice, ma per la prima volta qualcuno aveva perso la vita in un incidente simile. Forse a causa di ciò, l'Autorità sui Lavori Edili aveva accelerato le ispezioni in altri edifici della zona.

Venne trovato pericoloso un edificio in via Beneshe Lounského, i cui soffitti erano divorati dai tarli. Il proprietario non aveva agito e gli inquilini avevano iniziato a ripararli per conto loro, ma i loro sforzi non erano stati sufficienti. Per questo la famiglia Chervenhàk si era dovuta trasferire nella palestra.

Casa loro si trovav in un quartiere devastato, risultato delle privatizzazioni selvagge iniziate alla fine degli anni '90. Gli edifici, su cui per anni nessuno ha investito, poco a poco hanno seguito lo stesso destino. Ma per comprendere la situazione attuale, dobbiamo andare ancora indietro nel tempo.

La vicenda ha radici negli anni '80, quando la maggior parte degli originari abitanti del quartiere si trasferirono in seguito all'assegnazione di nuovi edifici residenziali. Fu allora che i primi occupanti romanì, oggi vengono chiamati "i veterani", iniziarono a spostarsi negli appartamenti lasciati vuoti.

Un'altra ondata di romanì vi si insediò subito dopo il 1989. Un paio di famiglie era della Slovacchia, ma la maggior parte erano famiglie cacciate da parte più lucrose della città. Sono quelli indicati oggi come "i nuovi arrivati". I due gruppi si vedevano di mal'occhio, prima che un terzo gruppo li riunificasse.

Il terzo gruppo era composto da famiglie romanì benestanti, originarie della Moldavia, che avevano acquistate alcuni di questi edifici durante le privatizzazioni tra il 1998 e il 2002, obbligando gli inquilini a firmare contratti vessatori. Altri edifici vennero acquistati tempo dopo dalla Spobyt.

Spobyt era la cooperativa edificatrice dell'impresa Spolchemie. Dopo che vendette alcuni degli edifici, si fuse la Investimenti Immobiliare Ceca (CPI). Nel 2010 smise di esistere e la CPI rilevò tutto il suo patrimonio immobiliare. Oggi CPI detiene più di 2.000 appartamenti nella sola Ustì nad Labem.

Jan Cherny' di People in Need (Chlovek v tìsni), che all'epoca dirigeva la sezione di Ustì, ricorda la vendita: "Una società di Praga acquistò in blocco parte del quartiere. Un'intera sezione. Era un tizio piccolino, con stivali rossi e sei telefonini. Poi rivendette gli appartamenti dall'altra parte della strada. La gente gli dava il denaro e firmavano il contratto appoggiati al cofano della sua macchina. Alcuni appartamenti vennero acquistati da gente del posto, altri da un gruppo organizzato di Dvur Kràlové. Si son fatti prestare soldi usando dei prestanome utilizzando questi edifici e facendoli valutare in modo fraudolento e fasullo. Ora la situazione è tale che tecnicamente non si può più fare nulla a riguardo. Queste rovine sono in mano alle banche ed i proprietari o sono sotto processo, oppure già in prigione."

Durante gli ultimi 15 anni, molti degli edifici più volte sono passati di mano in mano. Alcun i di questi sono stati oggetto di frodi creditizie, in maniera simile: L'edificio viene "venduto" per finta - senza alcuno scambio monetario - ad un "proprietario", di solito un tossicodipendente o un senza dimora, per un importo più volte superiore il suo valore reale. Il nuovo "proprietario" - che di solito  non capisce in cosa è stato coinvolto - prende in prestito una somma giustificata dal falso prezzo dell'immobile. Dopo aver girato l'importo del prestito agli organizzatori della frode, sparisce senza restituire la somma del prestito. La banca potrebbe rivalersi pignorando l'immobile, che tuttavia ha un valore parecchio inferiore alla somma erogata.

Spiega Jan Cherny': "Abbiamo avuto una cliente ad Ostrava. Era una tossicodipendente appena uscita dalla riabilitazione. L'abbiamo trovata dalle parti di Olomouc. Ripulita, con un nuovo taglio di capelli, le avevano dato un nuovo documento d'identità e "venduto" un edificio a Predlice. Poi l'avevano portata a Nàchod, dove aveva ottenuto un prestito di 2,5 milioni di corone [99.000 euro], usando l'edificio come garanzia e consegnando la somma ai truffatori. La ragazza si rivolse a noi chiedendo cosa poteva fare a questo punto, perché aveva timore che la potessero uccidere. Se l'avessero accoltellata e poi buttata nel fiume Morava, nessuno avrebbe fatto caso alla sua scomparsa."

Talvolta durante queste vendite i proprietari si sbarazzano dei loro inquilini, perché gli edifici si svuotino per un dato periodo. Alcuni rimuovono persino porte e finestre prima di rivenderli, lasciandoli completamente accessibili. Ciò fornisce un'opportunità a chi tratta metalli usati, per prendersi parte degli infissi.

Le strade su cui si affacciano questi edifici privatizzati, sembrano una zona di guerra dopo un bombardamento. Palazzi appena ricostruiti stanno fianco a fianco con altri in rovina o che sono diventati mucchi di rottame. Gli abitanti della zona dicono che lo stato degli edifici cambia rapidamente. Dove si ergeva una villa di lusso, ora resistono un paio di pareti semi smantellate.

Un rudere può essere momentaneamente ristrutturato - almeno esternamente, per renderlo simile ad un posto abitabile. Durante i tre mesi in cui è stato scritto il rapporto, molti edifici del circondario si sono trasformati. Alcuni sono deteriorati ulteriormente, quelli ben conservati lo erano ancora, ma si poteva notare che su qualcuno di questi erano state investite piccole somme per riparazioni sommarie o dar loro una mano di intonaco colorato.



Nessuna soluzione se non demolire
Veronika Kamenickà, consulente locale dell'Agenzia Governativa per l'Inclusione Sociale, attiva nel quartiere dalla fine del 2012, non vede molti spiragli di speranza. Secondo il suo parere, la città non possiede quasi più edifici, perché negli anni '90 privatizzò tutto il possibile: "Qui non esiste il concetto di housing sociale. Presto altre 40 famiglie potrebbero finire per strada, e le conseguenze sarebbero una crisi di nervi per qualche operatore di ostelli residenziali. La città non ne possiede neanche uno sotto gestione propria."

Kamenickà spiegava che dato che i proprietari non si curano dei loro edifici, il comune murava per ragioni di sicurezza gli ingressi al pian terreno, cercando di recuperare i costi dai proprietari stessi. "Non solo non si prendono cura di niente," diceva, "ma non vengono mai assicurati alla giustizia."

"L'intera via di Na Nivàch ospita 20 edifici vuoti, tutti dello stesso proprietario, che quando li acquistò promise di fare qualcosa per risistemarli. Poi è emigrato in Svizzera, da cui è scomparso questo febbraio. Se la città dovesse demolirli, costerebbe circa 20 milioni di corone [792.000 euro]. Così si preferisce appendere fuori un cartello che vieta l'ingresso," dice Kamenickà.

Alla domanda su cosa si dovrebbe fare del ghetto, da una risposta laconica: "Lo demolirei. Non c'è altra soluzione."

Mi ucciderei se me li portassero via
Dopo essere stata 10 giorni nella palestra, la famiglia Chervenhàk si traserì in un ostello nel quartiere Kràsné Brezno. Non volevano spostarsi nel primo posto che capitava, perché avevano paura di rimanere bloccati lì. I lughi corridoi scuri erano vuoti, eccetto che per gli scarafaggi.

Dice Iveta: "L'assistente sociale minacciò di sottrarci i bambini se non fossimo andati lì. I miei figli sono la cosa più cara che ho. Mi ucciderei se me li togliessero."

Un altro fatto spiacevole fu che i burocrati municipali li informarono immediatamente dopo il trasferimento, del cambiamento del loro indirizzo di residenza. Le stesse autorità che avevano minacciato di portar via loro i figli, premevano perché sulle loro carte di identità venisse subito registrato che ora risiedevano ed erano a carico del municipio di Ustì nad Labem. "Altrimenti avremmo perso i benefici sociali," spiega Iveta, ovviamente esausta e prossima a perdere la speranza.

Miroslav Brozh dell'associazione Konexe è stato spesso a fianco delle famiglie dopo il loro trasferimento forzato nell'ostello, facendo del suo meglio per svolgere lì il proprio lavoro comunitario. E' un'attività volontaria, che per il momento non sembra essere altrimenti strutturata. Passa il suo tempo con la gente dell'ostello, ascoltandoli e facendo del suo meglio per consigliarli.

E' fortemente critico verso People in Need, che accusa di inazione e di essere collegata con le alte cariche cittadine. Zuzana Kailovà, attuale vice sindaco di Ustì nad Labem, è una ex dipendente di People in Need.

Raccomanda: "Fate due passi attraverso Predlice, dove hanno lavorato per 10 anni, e parlate con i Rom di lì. La loro immagine brillante e PR cadrà in 10' come un castello di carte."

All'inizio di tutto questo scandalo, Brosh fece del suo meglio per attivare gli altri residenti di Nové Predlice. Voleva fare pressione verso il municipio sui problemi del quartiere. Sottolineava che erano diversi i palazzi che avrebbero potuto collassare da un momento all'altro. Fece del suo meglio perché il problema non fosse ridotto al solo edificio di via Beneshe Lounského.

Si chiede Brozh: "Questo è un problema strutturale. Le OnG sono obbligate ad essere fedeli ai gruppi che hanno influenza sulle concessioni delle sovvenzioni; sono dipendenti dall'appoggio politico. Ciò contraddice la loro lealtà a questi clienti impoveriti, i cui diritti spesso vengono calpestati proprio dai medesimi gruppi. Chi si assumerà la responsabilità della catastrofe di Predlice?"

Brozh ritiene che la situazione delle comunità romanì impoverite si stia deteriorando giorno dopo giorno e, quel che è peggio, che il deterioramento stia accelerando. Presumibilmente, a prescindere dall'applicazione delle politiche di integrazione sociale o dagli sforzi delle associazioni civiche.

Nell'ufficio della sezione di Ustì di People in Need siedono due impiegati, Vìt Kuchera and Jakub Michal, che mostrano abbastanza rassegnazione. Descrivono la catastrofica situazione e spiegano che l'attuale maggioranza è meglio di quella precedente. Difendono il classico approccio al lavoro sociale, criticato da Brozh, in cui i soggetti, come modello di funzionamento, vengono trattati su base individuale.

Inoltre considerano controproducente l'attività di Brosh. Pensano che "sollevi inutilmente speranze esagerate" tra la gente. Considerano un successo che si possa mantenere lo status quo. Spiegano: "Stiamo facendo del nostro meglio per mantenere la riconciliazione sociale."

Non parlate coi giornalisti
Il comune di Ustì nad Labem è tristemente noto perché i suoi consiglieri ed impiegati con comunicano coi media. Secondo i giornalisti del luogo, dipende da tendenze municipali poco trasparenti, ma il metodo del silenzio è stato applicato anche in questo caso, che il municipio vede solo come un piccolo scandalo. Mentre la consigliera Zuzana Kailovà (Partito Socialdemocratico Ceco - CSSD) mi rispondeva al telefono, subito mi indirizzava verso l'addetta cittadina alla stampa, appena le chiedevo dell'edificio in via Beneshe Lounského, riattaccando il telefono.

Il sindaco era indisponibile e anche gli altri dipendenti municipali rifiutavano di parlare, mentre altri condizionavano il loro consenso ad un'intervista solo su autorizzazione dall'alto. Tutti mi riferivano di rivolgermi all'addetta stampa. Il direttore dell'Autorità sui Lavori Edili, che naturalmente non è parte dell'amministrazione ma dipende dallo stato, mi disse apertamente: "Mi è impedito comunicare coi media, chieda all'addetta stampa."

Romana Macovà, l'addetta stampa, per telefono si disse d'accordo ad incontrami, ma richiamandomi un'ora dopo: "Ho parlato con la signora Kailovà," disse. "Non è possibile che le mi faccia le domande, mi mandi una mail e vedremo."

Dopo che le domande furono inviate, arrivo la seguente risposta: "Le invieremo una risposta appena possibile. Per cui, non c'è bisogno di incontrarci domani." Le risposte arrivarono effettivamente qualche giorno dopo ma, naturalmente, erano inutilizzabili perché troppo vaghe.

L'unica occasione in cui i cittadini di Ustì nad Labem possono farsi sentire, è durante le sedute consiliari, accessibili al pubblico. Ovviamenti, gli interessati devono sorbirsi diverse ore di dibattito prima che il punto "varie ed eventuali" venga trattato e siano in grado di porre le loro domande.

Iveta Jaslovà ha preso parte alla riunione di dicembre, assieme a molti parenti ed attivisti. Dopo aver cercato di ascoltare ore di interventi riguardo milioni di corone, alla fine ha preso la parola con altri cittadini impegnati sulla situazione di Predlice. La risposta suscitata dall'intervento, però ha mostrato come i socialdemocratici siano sotto stretta supervisione dell'opposizione, che li ha criticati per spendere soldi nello spostare gli occupanti nell'edificio della palestra, per mandarli solo dopo nell'ostello.

"Ritengo che vadano aiutate le persone che lo meritano," ha insistito un consigliere del partito Salute Sport e Prosperità (Strana Zdravì Sportu a Prosperity). "La seconda cosa che vorrei chiedere è quanto questa azione costerà ai contribuenti." Secondo lui, se altri si fossero trovati in una situazione simile, nessuno se ne sarebbe curato.

"Il nostro compito era di aiutare questa gente," spiegava Kailovà, trovandosi improvvisamente nella posizione di chi aveva fatto "troppo" per gli evacuati. L'intera operazione non era costata che 200.000 corone [7.900 euro]. Il municipio cercherà di recuperare il costo da Klement Buncìk, il proprietario della villa di lusso che non parla coi giornalisti e non si cura delle sue proprietà. Mentre lasciamo la seduta, qualcuno dice a bassa voce: "Qui si occupano di milioni e stanno a lesinare quando si tratta di 200.000 corone."

Solo tre giorni per lasciare Kràsné Brezno

Lunedì 28 gennaio 2013, l'appena creata Alloggio per Tutti ha tenuto una manifestazione di fronte al ministero del lavoro e degli affari sociali. L'ostello di Kràsné Brezno sarebbe stato chiuso a fine mese, per i debiti dell'operatore e l'incapacità di prendersene cura.

Diverse centinaia di persone hanno preso parte ad una dimostrazione pacifica. Verso la fine, una quindicina di attivisti si sono diretti verso il palazzo ministeriale per "parlare" col ministro, senza successo, e per sollevare l'attenzione dei media, cosa che invece è riuscita.

Qual è la situazione del diritto alla casa? La Repubblica Ceca ha firmato la "Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali. Adottandola, lo stato ha riconosciuto il diritto di ognuno ad un etto sulla sua testa. Il governo è responsabile verso la comunità internazionale per applicare gli obblighi derivanti dalla Convenzione," ha detto nel comizio Anna Shabatovà, presidente del Czech Helsinki Committee. Questo spiega perché una manifestazione per il diritto all'alloggio si è tenuta di fronte al ministero del lavoro e degli affari sociali.

Secondo l'art. 35 della legge sui comuni, un comune ha lo scopo di creare condizioni per lo sviluppo dell'assistenza sociale e soddisfare i bisogni dei propri cittadini. Quando il comune non adempie ai suoi obblighi, la responsabilità di farlo ricade sullo stato. Lo stato garantisce che nessuno dovrebbe finire in mezzo a una strada. Dice la legge: "Ciò riguarda primariamente soddisfare le esigenze abitative, tutela e sviluppo della salute, trasporti e comunicazioni, la necessità dell'informazione, l'educazione dei figli, lo sviluppo culturale complessivo, la tutela dell'ordine pubblico."

Dove? Ovunque! Forse all'Hotel Freedom

Il 30 gennaio c'era tensione all'ostello. Si immaginava che il giorno dopo la polizia venisse a sgomberare, e le famiglie avevano anche paura che gli assistenti sociali avrebbero portato via loro i bambini. Quel mercoledì arrivavano mano a mano anche gli attivisti, e la sera con gli occupanti avevano concordato un comune atteggiamento. Veniva delineato uno scenario critico, se le famiglie allargate fossero state divise.

Se fosse successo, ognuno dei nuclei familiari si sarebbe trasferito in un appartamento differente. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò - uno non aveva il riscaldamento, l'altro mancava di elettricità, altri avevano affitti troppo alti. Una famiglia si trovava di fronte al rischio di capitare in un malfamato ostello dal poetico nome di "Freedom Hotel".

A Ustì nad Labem ci sono diversi ostelli dedicati a clienti socialmente svantaggiati. Non offrono grande confort anche se gli affitti sono abbastanza cari. I loro operatori sono specializzati soprattutto nella raccolta degli affitti, nient'altro. Freedom Hotel è uno di questi.

La mattina dopo la confusione nell'ostello era ancora maggiore. Tutti erano nervosi. I bambini battevano sui tamburi portati dagli attivisti e le percussioni risuonavano in tutto l'edificio. Alcuni degli occupanti che facevano parte della famiglia Chervenhàk e ancora non sapevano dove sarebbero andati, o che erano rischio di finire in appartamenti troppo cari e degradati, erano parecchio stressati.  Uno degli uomini commentava con rabbia ciò che accadeva intorno a lui: "Sono venuti qui a suonare, ma non abbiamo un posto dove vivere!"

Col passare delle ore l'atmosfera diventava ancora più opprimente. Tuttavia, erano infondate le preoccupazione per un raid della polizia - che non intendeva intervenire - il loro portavoce aveva anche elencato una lista di posti dove gli occupanti avrebbero potuto trasferirsi.

All'inizio della settimana, People in Need aveva disdetto unilateralmente l'accordo di collaborazione con le famiglie dell'ostello. In un comunicato stampa emesso giovedì, diceva che le famiglie avevano rifiutato nove appartamenti adeguati. Per quanti osservavano la situazione dall'esterno, il comunicato era la conferma che le famiglie allargate fossero irriconoscenti, ed il sentimento antizigano contro di loro veniva rafforzato da altre informazioni.

Il comunicato di People in Need veniva utilizzato anche dal vicesindaco Kailovà. Dopo che gli attivisti avevano fatto del loro meglio per incontrarla venerdì mattina, lei aveva convocato i giornalisti davanti al municipio, leggendo loro una dichiarazione che accusava le famiglie di aver rifiutato dozzine di appartamenti offerti loro, in quanto erano state manipolate dagli attivisti.

"E' una bugia," rispondeva Iveta, ma non c'era nessuna sala, riunione, trattativa per dibattere. Dopo aver letto la sua dichiarazione, Kailovà aggiungeva poche parole e se ne andava. Le porte del municipio si chiudevano con l'inizio del fine settimana.

I Chervenhàk si difesero dalle accuse. "Mai sentito di nessuna lista e nessuno ci ha offerto appartamenti. Abbiamo chiesto per telefono a People in Need di cercarne e ne abbiamo trovati due. Uno era distrutto e l'altro era di un mafioso (in italiano nel testo, ndr.)," spiegava Iveta Jaslovà.

La situazione peggiora tra venerdì 1 febbraio e sabato 2. Venerdì la CPI scollegò elettricità, acqua e riscaldamento. Gli attivisti riuscirono a recuperare una stufa a gas e una bombola per alimentarla. C'era preoccupazione che il Dipartimento dell'Assistenza Sociale e la Protezione Infantile potesse prendere in custodia i bambini. Sabato gli attivisti contattarono il Centro di Consulenza per la Cittadinanza, perché non avevano un avvocato e la situazione sembrava disperata.

Un avvocato del Centro di Consulenza si consultò con loro e altri impiegati del centro coinvolti in una frenetica ricerca di appartamenti. Quella sera il direttore di un edificio recentemente ristrutturato si presentò con sua moglie all'ostello. Avevano seguito lo scandalo attraverso i media, e offrivano uno spazio agli occupanti.

Un lieto fine per il momento, ma con altri episodi sulla strada
Lunedì 4 febbraio le ultime famiglie hanno lasciato l'ostello per la nuova residenza. Nonostante la vittoria, alcuni degli attivisti sono tornati a casa con sentimenti contrastanti.

"Non consideravamo che potesse anche finire male, che avrebbero potuto portare loro via i bambini," confidava un attivista di Praga. Altre riflessioni riguardavano la mancanza di preparazione durante tutto l'evento, il fatto che non fossero presenti avvocati e che non ci fosse un progetto su cosa si voleva fare.

Miroslav Brozh traccia un bilancio tutto sommato positivo di questa frenetica esperienza: "Lentamente, stiamo iniziando a capire cosa sia successo a Kràsné Brezno. Sinora eravamo stati da criticare per i vicoli ciechi e le proposte che non portavano a niente, adesso sappiamo di essere capaci di risolvere queste situazioni," conclude.

Un momento triste di tutta questa vicenda è stato l'incapacità delle organizzazioni e delle iniziative civiche nell'unire le proprie forze per risolvere la situazione. I comunicati stampa volavano violenti e veloci, e non era facile per osservatori esterni orientarsi su chi effettivamente si desse da fare e chi sfruttava il lavoro altrui.

La scena della sinistra radicale è all'inizio di un viaggio. Sinora, i suoi attivisti non avevano dedicato molta attenzione ai problemi dei Rom impoveriti. Sembra che qualcosa stia cambiando. Dalle conclusioni sul manifesto pubblicato alla fine della vicenda, possiamo aspettarci sviluppi interessanti:

"Saremo stronzi, disturberemo e cattivi con chiunque neghi a chi è povero, dignità e diritti. Comunicheremo quanto abbiamo imparato a Kràsné Brezno. Torneremo nei posti dove meno i potenti si aspettano e dove la gente in fondo al barile intende battersi per i propri diritti e una vita dignitosa, per i diritti dei loro figli, per la casa e contro il razzismo. Poi torneremo tranquilli, metteremo da parte le nostre bandane e nelle tenebre ci manterremo vigili."

 
Di Sucar Drom (del 04/04/2013 @ 09:02:35, in casa, visitato 1345 volte)

da U VELTO

L'associazione Sucar Drom, insieme alla Federazione Rom e Sinti Insieme, invita tutti alla manifestazione con corteo "IA CHER PAR KROLL - UNA CASA PER TUTTI" per riaffermare il diritto alla casa per i Cittadini italiani, appartenenti alle minoranze linguistiche sinte.

Partecipa anche tu per manifestare contro le discriminazioni istituzionali che colpiscono i sinti sull'abitare. I singoli e le associazioni possono aderire alla manifestazione scrivendo a info@sucardrom.eu

Nel mese di febbraio 2012 il Governo italiano ha adottato il documento "Strategia d'inclusione dei rom,dei sinti e dei camminanti" in ottemperanza alla Comunicazione n.173/2011 della Commissione europea. Nel documento si chiede esplicitamente alle Amministrazioni comunali di regolarizzare le abitazioni (roulotte) delle famiglie sinte nelle aree agricole (pagina 85). Questa richiesta è motivata dal fatto che le famiglie a partire dagli Anni Ottanta hanno acquistato piccole proprietà con l'obiettivo di non entrare od uscire dalle logiche ghettizzanti e assistenzialistiche proprie dei cosiddetti "campi nomadi", in particolare nel Nord Italia. Le piccole proprietà sono state acqusitate agricole per due motivi:
1) la legge permetteva di posizionare le strutture mobili sulle aree agricole,
2) la limitata capacità economica delle famiglie.
Dal 2005 il posizionamento di strutture mobili su terreni agricoli è diventato illegale, ma nessuna norma è stata predisposta per regolarizzare le piccole proprietà abitate dalle famiglie da decenni. Il Comune di Mantova colpevolmente non ha attuato nessuna azione per ricercare delle soluzioni e tutte le proposte presentate dall'associazione Sucar Drom in questi anni sono state rifiutate.

Nel mese di maggio 2012 sono stati presentati i dati dell'indagine "The situation of Roma in 11 Ue Member States" che ha coinvolto 11 Paesi membri dell'UE, tra cui l'Italia e Mantova ed è stata curata dell'Agenzia dell'UE per i diritti fondamentali (FRA) e del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). In Italia e a Mantova l'indagine è stata coordinata da Sucar Drom, dalla Federazione Rom e Sinti Insieme, da Demaskopea e ha coinvolto decine di giovani e meno giovani sinti e rom come rilevatori. La relazione finale si basa su due indagini che analizzano la situazione socioeconomica di rom e sinti e dei loro concittadini abitanti nelle stesse zone, in undici Stati membri dell’Unione europea e in paesi europei limitrofi. Secondo la relazione molti rom e sinti continuano a essere oggetto di discriminazione ed esclusione sociale in tutta l’Unione europea. In media, la situazione dei rom e dei sinti è peggiore di quella dei loro concittadini che vivono nelle strette vicinanze. Secondo la relazione, negli undici Stati membri dell’UE considerati, che ospitano la stragrande maggioranza dei cittadini rom e sinti dell’Unione europea, la situazione scolastica, occupazionale, abitativa e sanitaria dei rom e dei sinti è in media peggiore di quella degli altri abitanti nelle stesse zone. Inoltre, rom e sinti continuano a subire discriminazioni e non hanno una conoscenza sufficiente dei diritti garantiti dalla legislazione dell’Unione europea.

Il 26 marzo 2013 con un'azione spettacolare il Comune di Mantova, insieme alla procura di Mantova, ha posto sotto sequestro le piccole proprietà dove vivono tante famiglie sinte a Mantova. Noi diciamo no a questo scempio e alla criminalizzazione di intere famiglie.

Comunicato stampa Sucar Drom, 28 marzo 2013

Comunicato stampa Federazione Rom e Sinti Insieme, 29 marzo 2013

Comunicato stampa Sucar Drom, 3 aprile 2013

 
Di Fabrizio (del 11/04/2013 @ 09:09:10, in casa, visitato 1465 volte)



Messina: a un anno dal lancio del progetto di autocostruzione di abitazioni per i rom promosso dal Comune, quasi ultimati 10 appartamenti dove abitano complessivamente 70 rom che prima vivevano in un campo fatiscente: costo complessivo solo 150 mila euro.

Chiudere un campo e permettere a rom e sinti di vivere in casa, si può fare: costa anche dieci volte meno di un campo attrezzato, risparmiano i cittadini e ne beneficiano tutti in termini di integrazione. È quanto sta succedendo a Messina, dove ad un anno dal lancio del progetto di autocostruzione di abitazioni per i rom promosso dal Comune, sono stati realizzati e quasi ultimati ben 10 appartamenti dove ci abitano complessivamente 70 rom che prima vivevano in un campo fatiscente: costo complessivo dell'operazione? Solo 150 mila euro.

Proprio nella giornata internazionale per i Rom, che si celebra oggi, a fare il punto con Redattore Sociale sull'andamento dei lavori è l'ex assessore alle politiche per l'Integrazione multietnica, Dario Caroniti, uno dei promotori del progetto "Casa e/è lavoro" prima del commissariamento del Comune di Messina. "L'ultima parte del progetto si sta esaurendo proprio in queste settimane - spiega Caroniti -. Sono ormai completati i lavori degli ultimi quattro appartamenti". Tuttavia, le 10 famiglie allargate sono già tutte in casa.

Il progetto è stato realizzato per iniziativa del Comune e grazie ai fondi messi a disposizione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Gli appartamenti, inoltre, resteranno di proprietà del Comune. "Per i primi anni i rom non pagheranno l'affitto perché si terrà conto del loro lavoro - ha spiegato Caroniti -, poi, dopo 5 o 6 anni, cominceranno a pagare un canone sociale. I rom non hanno partecipato alle spese, ma hanno lavorato". In fase di avvio del progetto, dieci rom sono stati coinvolti in un percorso di formazione promosso dalla Scuola Edile, al termine del quale sono stati consegnati gli attestati per la sicurezza sul lavoro. E sono stati loro, insieme a ditte specializzate, a rimettere a nuovo stabili abbandonati all'interno della città. "Alcuni appartamenti si trovano vicino al capolinea del tram - spiega Caroniti -, all'inizio di una zona residenziale. Erano appartamenti al pian terreno abbandonati nel degrado più totale. Altri appartamenti, invece, si trovano in un villaggio di Messina centro e sono stati realizzati partendo da una scuola chiusa". Non sono situati nel centro storico, spiega Caroniti, ma non sono neanche in periferia: sono nel centro urbano, "in quartieri popolari dove si è verificato un inserimento completo per la maggior parte dei rom".

Il progetto realizzato a Messina, racconta Caroniti, è il primo sull'isola, ma in Italia di esperienze di questo tipo ce ne sono altre. Come quella di Padova, dove sono state costruite alcune abitazioni, sempre in autocostruzione. È il Villaggio della Speranza, seguito dall'Opera nomadi di Padova Onlus e realizzato grazie al finanziamento del Comune di Padova e dell'allora Ministero della Solidarietà sociale. In questo caso, sono 12 i nuclei di famiglie sinte che hanno lasciato uno dei due campi di Padova per trasferirsi nelle 12 abitazioni realizzate, anche in questo caso, non lontane dal centro della città. "Il progetto si è concluso nel 2009 - racconta Marta Silvi, operatrice dell'Opera nomadi Padova -. Le famiglie sono tutte entrate in casa e sono tutte sistemate negli alloggi che funzionano perfettamente, consentendo la chiusura del campo di via Tassinari. Erano tre macronuclei, tutte con parentela tra di loro: circa 30 persone". I costi per la realizzazione delle abitazioni, in questo caso, sono stati maggiori di quelli del progetto siciliano. Si parla di circa 750 mila euro, ma per abitazioni nuove. "Il comune di Padova ha messo a disposizione il terreno e la prima parte dei finanziamenti - spiega Silvi -. Il resto dei fondi sono arrivati dall'allora Ministro della Solidarietà sociale, Ferrero. Gli alloggi sono di proprietà del Comune e le famiglie che vi risiedono pagano l'affitto in base all'Isee".

In tutti e due i casi, inoltre, è bastato un solo anno di lavoro dalla posa della prima pietra per vedere il progetto realizzato. Un po' più lunghe le fasi di progettazione, ma alla fine, spiegano i responsabili dei vari progetti, non ci sono stati intoppi e lungaggini. Quel che balza agli occhi, però, è il costo netto dei due progetti confrontati con le spese che affrontano le amministrazioni comunali per tenere in piedi campi attrezzati. Uno su tutti, l'esempio di Roma, dove secondo l'associazione 21 luglio, da anni impegnata nella difesa dei diritti dei rom, i costi procapite per i rom residenti nei campi voluti dal "Piano nomadi" sono ben più alti. Prendendo in considerazione il nuovo campo della Barbuta, infatti, tra costi di realizzazione (stimati dall'associazione in 10 milioni di euro per accogliere 600 persone) e di mantenimento (circa 450 euro al mese a persona, secondo la 21 luglio), per singolo rom il Comune di Roma arriva a spendere oltre 20 mila euro. Per una comunità di 70 persone, come a Messina, si supera quota 1,5 milioni di euro, contro i 150 mila utilizzati in Sicilia. Le case realizzate dagli stessi rom e sinti, inoltre, non hanno un costo annuo. Hanno comportato soltanto una spesa iniziale, nel caso di Messina inferiore di dieci volte alla stima della 21 luglio per la capitale, restano di proprietà del Comune, gli inquilini pagano regolarmente affitto e utenze e soprattutto risiedono all'interno del tessuto sociale da cui troppo spesso sono tagliati fuori.

Fonte: Redattore Sociale

 
Di Fabrizio (del 15/04/2013 @ 09:09:32, in casa, visitato 1420 volte)

 

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