Di Fabrizio (del 20/03/2009 @ 10:23:42, in media, visitato 1626 volte)
Ricevo da Paolo Buffoni:
Se un non rom fosse fotografato di faccia e di profilo con un cartello e
un numero, cosa accadrebbe? A fare questa domanda è un prete cattolico che vive
tra i rom. Schedature di massa in Veneto, persecuzioni a Roma: l’apartheid è una
realtà. A questi temi è dedicato il servizio di apertura e la copertina [con il
titolo "La questione zingara"] del nuovo numero di Carta in edicola a Milano da
ven. 20/03
Nel frattempo, ecco un anticipo pubblicato online
Pierluigi Sullo [19 Marzo 2009]
Nelle scorse due settimane il telefono di Anna Pizzo ha squillato molto più del
solito. Lei è consigliera regionale, e il suo cellulare è solitamente
irrequieto, ma questa volta ha superato tutti i limiti e io, che vivo con lei,
mi stavo innervosendo. A chiamare in continuazione era un certo Sandro. Anna mi
ha infine spiegato chi è Sandro: è uno dei capifamiglia di una famiglia
allargata di Rom, una cinquantina, metà circa bambini e ragazzi, tutti
cittadini italiani. "E che vogliono da te?", ho domandato. Lei mi ha spiegato
che si erano aggrappati a quella unica piccola finestra aperta sulle istituzioni
per cercare di risolvere il loro problema. "E qual è il problema?". La
spiegazione è stata lunga.
Prima c’è un gruppo di Rom che, dal Veneto, si trasferiscono molti anni fa a
Roma per lavorare. Fanno i "calderash", lavorano con i metalli, e sono così
bravi che ogni anno si trasferiscono al nord, dove molte chiese affidano loro
lavori di restauro. Negli anni, finiscono per stabilirsi nell’ex Mattatoio
romano, abbandonato e vuoto. Poi accadono due cose. La giunta Veltroni decide di
aprire lì la Città dell’Altra economia, iniziativa ottima che però comporta lo
spostamento dei Rom un po’ più in là, sulla sponda del Tevere. Veltroni se ne va
e arriva Alemanno, e il giorno dopo che il prefetto di allora, Mosca, aveva
dichiarato "non ci saranno mai più sgomberi di Rom", la polizia si presenta in
forze al lungotevere Testaccio, fa staccare luce e acqua e intima ai Rom di
andarsene. Dove?, chiedono loro. Non si sa. Mettono in fila camper e roulottes e
si avviano in un largo giro che si conclude nell’estrema periferia sud, dalle
parti della università di Tor Vergata. Il rettore protesta, allora vengono
ancora spostati: a Tor Sapienza. Un’unica fontanella e niente luce, nonostante
loro abbiano già pagato l’allaccio all’Enel. Passano mesi, e i cinquanta di
Sandro decidono di andarsene: il posto, già inospitale, si è ulteriormente
affollato. Comincia così un’odissea dentro e attorno a Roma: Romanina, Ardeatina,
Capannelle, uno spiazzo momentaneamente libero dal mercato settimanale, un
parcheggio semi-abbandonato, il terreno che provvisoriamente un parroco affitta
loro a prezzo assai modico, ecc. Ogni volta si presenta un carabiniere, un
poliziotto, una presunta ronda di individui con pettorine fosforescenti, la
guardia privata di un istituto di ricerca, per intimare loro di andarsene.
Subito. I cinquanta Rom caricano ogni volta la decina di camper e roulottes e se
ne vanno: non cercano rogne, e telefonano all’unica persona delle istituzioni
che – evidentemente – è disposta ad ascoltarli. La quale chiama assessori e
presidenti di Municipio, e perfino centri sociali, per trovare uno slargo, uno
spazio, un posto qualunque dove gli zingari erranti possano fermarsi. Nel
frattempo, i bambini non possono più andare a scuola, com’è ovvio, anche se le
maestre e molti genitori della scuola che frequentavano, al Testaccio, hanno
raccolto firme in loro appoggio. La figlia grande di Sandro ha appena finito la
quinta elementare, in pagella ha tutti voti ottimi.
Però nessuno sembra provare interesse per questi connazionali di cultura Rom,
con nomi e cognomi italiani e la faccia delle brave persone, per cui si
supporrebbe che tutti gli stereotipi sui Rom sporchi e ladri e mendicanti e
ladri di bambini debbano fare più fatica a penetrare nelle menti, per non
parlare delle amministrazioni. E d’altra parte, non erano quasi tutti cittadini
italiani i Sinti che all’inizio di marzo 150 poliziotti – che avevano fatto
irruzione all’alba in 15 campi del Veneto – hanno fotografato di faccia e di
profilo, con addosso un cartello con le generalità e, in molti casi, un numero?
Ma anche l’argomento "sono italiani" è debole: come spiega Tommaso Vitale,
sociologo e studioso dell’argomento, nel numero di Carta settimanale in uscita
domani [la cui copertina è dedicata alla "questione zingara"], in Italia si sono
inventati i "campi nomadi" e si è costruita – con la perdita di memoria
sull’Olocausto Rom e con un arsenale di schemi culturali razzisti – la figura
dell’"eterno straniero".
Negli ultimi giorni il cellulare di Anna si è placato, Sandro e i suoi hanno
trovato un posto: un campeggio di Bracciano, vicino Roma, dove potranno stare
per un mese pagando un prezzo molto scontato. Il proprietario del camping non ha
di questi pregiudizi, infatti è tedesco.
ROMA – Un fantasmino giallo che non fa paura, anzi sorride: è uno
spauracchio, ce lo ha pure scritto addosso. È questo il simbolo della Campagna
nazionale contro il razzismo, l’indifferenza e la paura dell’altro "Non aver
paura, apriti agli altri, apri ai diritti", presentata questa mattina al Teatro
Ambra Jovinelli di Roma.
Disegnato da Viorel Samuel Cirpaciu, bambino rom di 11 anni, lo
‘spauracchio’ è il simbolo di una campagna organizzata da 26 organizzazioni, tra
cui l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, associazioni religiose e laiche e
Ong internazionali, oltre che i sindacati. "È una campagna che abbiamo voluto
lanciare oggi non a caso – ha spiegato Laura Boldrini, portavoce dell'Alto
Commissariato Onu per i rifugiati -, alla vigilia di una data importante che è
il 21 marzo, Giornata mondiale contro il razzismo. Una campagna che ha la
pretesa di essere un’iniziativa culturale, grazie al fatto che abbiamo
convogliato diverse organizzazioni diverse, un’ampia fetta della società civile
italiana".
Obiettivo della campagna, sensibilizzare la società civile al tema del razzismo
tramite l’impegno delle organizzazioni aderenti che saranno protagoniste di
quella che definiscono una vera e propria maratona di iniziative locali e
nazionali, e una raccolta di firme che sottoscrivano il manifesto
dell'iniziativa. L'invito alla riflessione è rivolto anche al mondo politico e
alle istituzioni, anch’esse invitate a firmare contro il razzismo." In questi
anni – ha spiegato Boldrini - una buona parte della politica ha coniugato
l’immigrazione con la sicurezza, trascurando tutti gli altri aspetti
dell’immigrazione, positivi che non hanno avuto il peso che meritavano".
Punta di diamante della campagna uno spot televisivo e radiofonico firmato da
Mimmo Calopresti, con l’interpretazione di Francesca Reggiani, Lello Arena,
Salvatore Marino e Cumbo Sall. "I media in questi anni - ha affermato Boldrini -
non ci hanno aiutato a capire l’importanza del fenomeno migratorio. Hanno dato
grande spazio alla cronaca nera legata all’immigrazione oscurando il resto,
oppure hanno usato termini allarmistici e questo ha generato paura. Questa paura
è basata sull’immagine dell’immigrazione resa, che non necessariamente
corrisponde alla realtà".
Nello spot, i diversi attori si ritrovano a riscoprire le loro piccole posizioni
razziste, nonostante si dichiarino non razzisti a vicenda. Bloccati da una
intricata rete di fili, Francesca Reggiani interpreta una persona del Nord
Italia che guarda con sospetto i meridionali. Il ‘sospettato’ è interpretato
proprio da Lello Arena, che nella parte diffida degli arabi. Marino, cittadino
italiano con madre eritrea scarica la colpa sugli africani ed infine Sall, anche
lei italiana di padre senegalese restituisce il colpo sui rom. Da questo
groviglio di parole e di fili, spunta proprio Viorel, l’autore del fantasmino
giallo, che a differenza degli altri protagonisti, riesce a venire fuori dalla
matassa.
La campagna giunge in un anno che gli organizzatori definiscono ‘nero’. "Ci
siamo chiesti se il razzismo fosse cresciuto – ha spiegato Boldrini -. Da marzo
2008 a marzo 2009, limitandoci alla semplice raccolta di eventi riportati dalle
agenzie di stampa, abbiamo raccolto 8 pagine di eventi di razzismo, centinaia di
eventi che hanno portato a definire quest’anno un anno da dimenticare".
L'iniziativa è promossa dalle Acli, l'Alto Commissariato dell'Onu per i
rifugiati, Amnesty, Antigone, Arci, Asgi, Cantieri sociali, Caritas italiana,
Centro Astalli, Cgil, Cir, Cisl, Cnca, Comunità di Sant'Egidio, Csvnet, Emmaus
Italia, Federazione Chiese evangeliche in Italia, Federazione Rom e Sinti,
FioPsd, Gruppo Abele, Libera, Rete G2, Save the Children, Sei - Ugl, Terra del
Fuoco e Uil.
Di Fabrizio (del 21/03/2009 @ 09:13:34, in Europa, visitato 1681 volte)
Segnalazione di Clochard
12 marzo 2009 di Carlos Enrique Bayo
Gli assalti ai comandi del Servizio di Sicurezza di Ucraina (SBU) alle sedi di
Kiev del monopolio del gas Naftogaz e dell'autorità che controlla i gasdotti del
paese Urkrtransgaz, hanno colpito la nostra attenzione negli ultimi giorni. Ma
senza ombra di dubbio è molto più importante e preoccupante l'assalto cittadino
che si sta protraendo di fronte alle succursali ucraniane della Banca Rodovid,
che ha limitato il prelievo di soldi a meno di 28 euro giornalieri perché è sul
bordo della bancarotta.
In realtà, ciò che è in bancarotta è lo stesso stato di Ucraina, dove città
intere, per interi giorni, sono rimaste senza riscaldamento e acqua corrente
perché le istituzioni non possono pagare le bollette; il servizio della
metropolitana di Kiev è vicina al collasso per mancanza di fondi; gli
stabilimenti siderurgici e l'industria chimica, motori economici del paese,
stanno licenziando a migliaia di operai e il valore della moneta nazionale, l'hryvnia,
è crollato.
L'Ucraina è il paradigma del fallimento dell'Europa Centrale come conseguenza
della crisi globale e deve metterci all'erta su quello che è sul punto di
succedere negli altri paesi ex-sovietici della regione che sono membri dell'UE
ma che vedono rifiutati le loro richieste di aiuto. Il primo ministro ungherese,
Ferenc Gyurcsany ha messo in guardia i suoi colleghi che una "nuova cortina di
ferro divida l'Europa", ma è stato inutile. Aveva richiesto un fondo speciale di
190.000 milioni di euro per proteggere i membri più deboli dell'UE, e il suo
governo ha fatto circolare un documento che riportava la cifra di 300.000
milioni di euro come preventivo per coprire il vero bisogno che quest'anno per
la ri-finanziazione dell'Europa centrale.
Questa cifra è uguale a quella che hanno sborsato i governi dell'Ue per
ri-capitalizzare le banche oltre ad aver dato garanzie di credito per 2.5 mille
milioni di euro.
Ma i crediti continuano a non arrivare alle aziende e ai privati che
dovrebbero riattivare l'economia. In questo modo i paesi ricchi, cominciando
dalla Germania (dove il cancelliere, Angela Merkel, affronterà le elezioni
generali a settembre), negano questo carissimo salvagente ai membri più
orientali, che presto dovranno dichiarare la sospensione dei pagamenti:
Ungheria, Romania e i paesi baltici.
Queste nazioni sono sul punto di naufragare perché alla crisi economica
mondiale si è aggiunto la caduta delle sue divise(moneta) di fronte all'euro, e
si vedono impossibilitati a ridare i crediti alle banche dell'eurozona(che sono
i loro principali creditori) in un momento di una forte riduzione della domanda
dei suoi prodotti in Europa occidentale. Il nucleo duro dei 16 paesi che
condividono l'euro (con un economia nel suo insieme tanto importante quanto
quella degli Usa) ha la pretesa di salvarsi escludendo ai suoi soci più recenti.
Ma le misure protezionistiche non manterranno a galla potenze come la Germania,
la cui prosperità dipende dalle esportazioni a mercati che non hanno una
capacità d'acquisto.
Il rischio non è solo economico, ma anche geopolitico, dato che quei soci
orientali hanno vissuto la recente esperienza di rinunciare ai loro sistemi
economici centralizzati e super regolati, attraversando una terapia d'urto che
li ha sottomessi a grandi penurie quando avevano appena cominciato a recuperare
e stabilizzarsi.
Proprio quando erano a punto di degustare il miele del capitalismo prospero,
questo affonda e nega loro l'ancora di salvezza.
Il caso dell'Ucraina è da esempio e la sua stabilità è fondamentale per il
continente perché la Russia non solo approfitterà del suo crollo per dominarla
attraverso il suo predominio etico e linguistico nell'est e nel sud del paese,
ma il Cremlino presenterà questo fallimento come paradigmatico di ciò che
succede quando le economie ex-sovietiche si sommergono nel libero mercato.
L'Ue non può permettere che la crisi affoghi i suoi membri più deboli,
neanche i suoi vicini orientale, perché non è sufficiente con il non saperne
nulla per evitare che chi affonda, disperato, trascini anche noi nel fondo.
Di Fabrizio (del 21/03/2009 @ 09:40:01, in Italia, visitato 2799 volte)
Ricevo da Ernesto Rossi
Atto di diffida e messa in mora
delle seguenti associazioni, facenti parte del coordinamento Tavolo Rom:
ARCI, Aven Amentza, CGIL, Comitato per le libertà e i diritti sociali,
Federazione rom e sinti insieme, NAGA, Nocetum, Opera Nomadi, Avvocati per
niente, Asgi, in persona del loro legale rappresentante pro-tempore,
tutte elettivamente domiciliate presso lo studio degli avv.ti Alberto Guariso e
Livio Neri, in Milano, Viale Regina Margherita 30
Premesso che
Nei giorni scorsi diversi organi di stampa hanno riportato la notizia
dell’intenzione del Comune di Milano di procedere in tempi brevi allo
sgombero forzato del campo nomadi situato nelle aree del cavalcavia Bacula e
di via della Pecetta;
Nel suddetto campo nomadi al momento vivono circa 150 persone, per lo
più cittadini comunitari di nazionalità rumena e di etnia rom, in condizioni
di gravissimo disagio abitativo e sociale;
Fra loro vi sono numerosi minori (alcuni dei quali frequentano la scuola
dell’obbligo); donne in gravidanza o in puerperio; individui affetti da
varie infermità, riscontrate nel corso delle visite mediche effettuate da
medici appartenenti alle suddette associazioni;
L’annunciato sgombero avverrà secondo modalità e in data non conosciute
agli interessati, senza alcuna preventiva consultazione e possibilità di
contraddittorio, senza che ai nuclei familiari che vivono nel campo sia
stata prospettata alcuna alternativa abitativa e senza che si siano adottate
misure atte a proteggere il diritto all’abitazione, all’istruzione e alla
salute delle persone;
I nuclei familiari in questione sono stati oggetto nell’ultimo anno di
altri interventi di sgombero forzato, e in particolare dello sgombero
dall’area dismessa della Bovisasca effettuato nel mese di marzo del 2008,
con distruzione delle loro abitazioni e dei loro beni personali, con
l’allontanamento dei minori dalle scuole frequentate, con nessun supporto
sociale e abitativo e nessuna garanzia di accesso alle cure mediche
essenziali;
Un ulteriore sgombero dei suddetti nuclei familiari sarebbe illegittimo,
in quanto costituirebbe una violazione del diritto di partecipazione al
procedimento amministrativo e del diritto al contraddittorio del
destinatario dei provvedimenti amministrativi; nonché una violazione del
diritto alla privacy, al domicilio e alla vita familiare, protetti,
oltre che dagli artt. 14 e 29 Cost., e dagli artt. 7 e 33 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea, dall’art. 8 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), dall’art. 12 della Dichiarazione Universale dei diritti
dell’uomo, dall’art. 17 del Patto internazionale sui diritti civili e
politici e dalle relative leggi di ratifica; una del diritto a
un’abitazione tutelato, oltre che dall’art. 2 Cost., dall’art. 34 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dall’art.11 del Patto
internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, dall’art. 25
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dall’art. 5 della
Convenzione Internazionale per l'Eliminazione di Tutte le Forme di
Discriminazione Razziale, dall’art. 14 della Convenzione per l'eliminazione
di tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne e dall’art. 27 della
Convenzione sui Diritti dell'Infanzia e dalle relative leggi di ratifica;
del diritto all’istruzione dei minori, tutelato, oltre che dall’art.
34 Cost., dall’art. 14 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea, dall’art. 13 del Patto Internazionale sui diritti economici,
sociali e culturali,dagli artt. 28 e 29 della Convenzione sui Diritti
dell'Infanzia e dalle relative leggi di ratifica; del diritto alla salute,
tutelato dall’art. 32 della Cost., dall’art. 35 Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, dall’art. 12 del Patto Internazionale sui
diritti economici, sociali e culturali,dall’art. 24 della Convenzione sui
Diritti dell'Infanzia e dalle relative leggi di ratifica;
La violazione delle sopra citate disposizioni di diritto internazionale
(come ha chiarito di recente la Corte Costituzionale nelle importanti
sentenze n. 348 e 349 del 2007) vanno considerate una violazione anche del
limite previsto dall'art. 117, comma 1 Cost., che impone ai poteri pubblici
di rispettare gli obblighi internazionali;
Detti parametri di legittimità sono costituiti non soltanto dalle norme
di diritto internazionali in sé, ma anche dalle norme come interpretate
dagli organismi cui è deputato il compito di garantirne l’applicazione;
Le Prescrizioni delle Nazioni Unite in materia di sgomberi forzati,
stabilite nelle Linee guida sugli sgomberi forzati del 20 maggio 1997 del
CESCR (Comitato per l’osservanza dei diritti economici, sociali e
culturali), e la Raccomandazione 2005 (4) adottata il 23 febbraio 2005
dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa stabiliscono precise
e cogenti garanzie procedurali e sostanziali, relative fra l’altro a
dettagliati obblighi di: (a) consultazione genuina delle persone e dei
gruppi interessati; (b) adeguata e preventiva notifica a tutte le persone
interessate della data e delle modalità dello sgombero; c) identificazione
dei soggetti istituzionali incaricati di eseguire lo sgombero; d) garanzia
del contraddittorio e di accesso alla tutela in giudizio dei propri diritti;
f) predisposizione di adeguate alternative abitative per i nuclei familiari
affetti; g) garanzia della vita familiare e dei diritti fondamentali delle
persone;
Il mancato rispetto di tali norme a danno dei nuclei familiari
soggiornanti nell’area affetta dagli annunciati sgomberi, in considerazione
della loro appartenenza all’etnia Rom, deve considerarsi anche una
violazione del divieto di discriminazioni razziali ed etniche, stabilito
da numerose norme di diritto internazionale, comunitario e nazionale, ed in
particolare dall'art. 43 D.Lgs. 286/1998 (T.U. immigrazione) e dall’art.
2 D.Lgs. 215/03, di recepimento della direttiva CE 2000/43 sul divieto di
discriminazioni basate sulla razza e l’origine etnica;
Sia il T.U. 286/1998 che il D.lgs. 215/03 assegnano alle associazioni
che operano a tutela dei diritti degli immigrati e delle persone affette da
discriminazioni razziali ed etniche la facoltà di agire a difesa degli
interessi delle persone lese e dell’interesse collettivo alla non
discriminazione;
Il Prefetto di Milano è stato nominato Commissario per l’emergenza Rom
in forza del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio
2008, con cui è stato dichiarato, fino al 31 maggio 2009, lo stato di
emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio
delle regioni Campania, Lazio e Lombardia, e dell’Ordinanza del Presidente
del Consiglio dei Ministri 30 maggio 2008, n. 3677;
Con detti provvedimenti il Prefetto è stato delegato, fra l’altro, alla
“realizzazione dei primi interventi idonei a ripristinare i livelli minimi
delle prestazioni sociali e sanitarie”;
Per l'avvio dei primi interventi di cui alla suddetta ordinanza, è stato
assegnato al Commissario delegato un primo stanziamento di euro 1.000.000;
Tutto ciò premesso, le Associazioni in epigrafe
INTIMANO
Al Prefetto di Milano, …..e al Comune di Milano, in persona del Sindaco Letizia
Moratti,
di astenersi dal compiere o dal far compiere lo sgombero annunciato a
danno degli abitanti del campo nomadi dell’area del cavalcavia Bacula
di adottare i provvedimenti indicati dalle Prescrizioni del CESCR del 20
marzo 2007 e dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 23 Febbraio
2005, ed in particolare, di individuare idonee alternative abitative ed
interventi idonei a ripristinare i livelli minimi delle prestazioni sociali
e sanitarie a favore degli abitanti del suddetto campo nomadi, come
prescritto dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 30
maggio 2008, n. 3677
AVVERTONO
Che in mancanza adempimento agiranno in giudizio, anche nella loro qualità di
associazioni iscritte nel registro di cui al Dlgs 215/03, ai sensi degli
articoli 44 Dlgs 296/98 e art. 2 Dlgs 215/03.
Lunedì sera? ....Muzikanti!
Al circolo ARCI BELLEZZA (via Giovanni Bellezza 16, Milano) lunedì 23 marzo
serata culturale, culinaria e danzereccia
BORDER - Percorsi attraverso il concetto di confine
Parte la rassegna BORDER,
una rete che coinvolge più realtà del panorama artistico culturale milanese.
Prima serata al Bellezza proposta da Opera Nomadi
BORDER - PERCORSI ATTRAVERSO IL CONCETTO DI CONFINE
dal 20 marzo al 4 aprile - rassegna autoprodotta
programma completo con tutti gli artisti e le sedi coinvolte sul sito
border.fotoup.com
23 marzo al Bellezza
dalle ore: 18.00
*OPERA NOMADI presenta “I ROM E L’AZIONE PUBBLICA”
libro a cura di G. Bezzecchi, M. Pagani, T. Vitale * Romharmony
documentario di Mariano Leotta. Alla ricerca dell'armonia romanì. *PROIEZIONE di filmati sulla cultura zingara a cura di OPERA NOMADI
www.operanomadimilano.org *APERITIVO ETNICO a cura della cooperativa Romano Drom (percorso zingaro)
ore: 21.30 *I MUZIKANTI
concerto di musiche balcaniche rom - JOVICA BALVAL JOVIC, MARTA PISTOCCHI,
ALESSIO RUSSO
BORDER si propone come un progetto in divenire, una rete di persone,
associazioni e luoghi, discipline e linguaggi che attraverso una serie di
appuntamenti intende esplorare i significati del confine con l’obiettivo di
ritrovare al suo epicentro la valorizzazione delle diversità, la
socializzazione, la responsabilità sociale, lo scambio interculturale, le
pratiche artigiane, altre pratiche del vivere e dell’abitare, la città come
territorio di relazioni, e non ultimo, un punto di vista inedito che ribadisca
che il confine non è una linea che separa bensì un territorio dove avvengono
relazioni, scambi e contaminazioni in termini di arricchimento. BORDER.FOTOUP.NET
Conversazione reale in savo in una città nel 1989:
Guy: - Così lei è americana? Quel posto ha un sacco di problemi sociali!
Un sacco di problemi.
Io: - Sì, vero, ce ne sono.
Guy: - Come il razzismo! In Finlandia non abbiamo razzismo.
Io: - Beh, non avete neanche tante razze. Benché abbiate gli zingari…
Guy: -(questa frase è in finnico): - Niin... mutta onneks ei oo niitä paljoo!
IL RAZZISMO PUO' ritenersi come un nuovo tema qui in Finlandia, dato
che negli ultimi 10-15 anni abbiamo avuto molta gente arrivata qui da altri
paesi.
Ma non è nuovo, e penso sia un errore parlarne come una cosa nuova che ha a
che fare solo con i nostri nuovi immigranti.
Dato che dobbiamo affrontarlo, fino a che la Finlandia non si occuperà del
proprio buon vecchio razzismo tradizionale ed esperto, non potrà passare ad
occuparsi [di questo] di nuovo tipo.
Quello tradizionale è così familiare che non sono sicuro che la gente persino
lo riconosca.
Per alcune ragioni sembra esserci un'opinione che sia una cosa differente,
non è razzismo, o per lo meno, non è come il razzismo in altri posti.
Ho avuto gente che mi diceva:
- Ma questo è differente! Noi non diciamo queste cose. In questo caso, sono
davvero REALI!
Sembrano non sapere che i razzisti di ogni tipo in tutte le parti del mondo
hanno le stesse identiche proteste.
MI RICORDO un altro caso vero e reale di qualche tempo fa.
Quando mi a figlia aveva circa 7 anni, ci accadde di vedere un film una
domenica pomeriggio sul primo bambino afro-americano che andò in una scuola per
soli bianchi.
Lei mi ha chiesto perché fosse così difficile andare a scuola, perché i
bambini avessero bisogno di uomini armati che li scortassero.
Le ho risposto come ho potuto, raccontandole la storia del razzismo negli
USA.
Quando le ho detto che nel Sud erano comuni i cartelli "Solo per Bianchi",
lei ha risposto:
- Ma non succede in Finlandia?
Le ho detto di no.
E speravo di aver ragione.
Ma la settimana seguente lei ed io eravamo nel centro di Tampere e stavamo
andando in una piccola drogheria, quando notammo un cartello sulla porta:
"Qui gli Zingari non saranno serviti."
Era il 1997.
LE COSE SI SONO evolute un poco più tardi. Ci sono stati tentativi un
po' alla volta di comprendere meglio la loro cultura.
E ci stiamo abituando ad usare il termine corretto per la gente rom (ho
dovuto cercare il termine inglese in internet, il mio"Uusi suomi-englanti
suur-sanakirja" del 1984 non conteneva la parola "romani").
La mia speranza è che un giorno mi a figlia racconterà ai suoi bambini la
storia di quel cartello, e spero che saranno sorpresi che una cosa simile sia
accaduta, perché per loro sarà inimmaginabile.
VOCABOLARIO: Zingaro: mustalainen (e mi scuso per usare questo
termine, ma è l'unico usato sinora), Immigrato: maahanmuuttaja, Avere a che fare
con: käsitellä, Riconoscere: tunnistaa, Reclamare: väite, Inimmaginabile: jota ei voi
kuvitella.
La comunità mondiale da tempo non è più silente sull'apolidia. Negli anni
recenti, paesi come il Bangladesh, l'Estonia, la Mauritania, il Nepal, e lo Sri
Lanka hanno fatto passi significativi per proteggere i diritti delle persone
apolidi. E' migliorata la risposta delle Nazioni Unite. Le agenzie non
governative, gli esperti legali, gli interessati ed altri stanno unendo le forze
per condividere informazioni più accurate e ridurre l'incidenza di questo
fenomeno globale spesso sottovalutato. E' cresciuta l'attenzione dei media.
Circa 12 milioni di persone nel mondo sono ancora apolidi, ed il progresso verso
la fine del problema è lento e limitato. La campagna per i diritti di
nazionalità è lungi dal dirsi conclusa.
La nazionalità è un diritto umano fondamentale ed un fondamento di identità,
dignità, giustizia, pace e sicurezza. Ma l'apolidia, o la mancanza di
nazionalità effettiva, riguarda milioni di uomini, donne e bambini in tutto il
mondo. Essere apolidi significa non avere protezione legale o diritto di
partecipare ai processi politici, inadeguato accesso al sistema sanitario e
scolastico, scarse prospettive di lavoro e povertà, poche opportunità di
possedere proprietà, restrizioni di movimento, esclusione sociale, vulnerabilità
ai traffici, minacce e violenze. L'apolidia ha un impatto sproporzionato sulle
donne e bambini.
Le persone apolidi si trovano in tutte le regioni del mondo. Tra i gruppi più
vulnerabili ci sono i Rohingya a Burma ed in Asia, i Bidun in Medio Oriente, i
Rom in Europa, i figli dei migranti haitiani nei Caraibi, individui dell'ex
blocco sovietico, Kurdi denazionalizzati, alcuni palestinesi ed alcuni gruppi in
Thailandia. La loro situazione di limbo legale dipende da molti fattori come i
cambiamenti politici, l'espulsione da un territorio, discriminazione,
nazionalità basata sulla sola discendenza e leggi che regolano il matrimonio e
la registrazione delle nascite.
Dato che gli stati hanno il diritto sovrano di determinare le procedure e le
condizioni per l'acquisizione e la perdita della cittadinanza, l'apolidia e le
nazionalità controverse vanno risolte per ultimo dai governi. Ma la decisioni
dello stato sulla cittadinanza devono conformarsi ai principi generali della
legge internazionale. Numerosi strumenti internazionali, inclusa la
Dichiarazione Universale sui Diritti Umani, affermano i diritti di nazionalità.
Esistono da tempo due convenzioni ONU sull'apolidia, ma non sono ratificate
estesamente. Ad oggi, 63 paesi sono diventati partecipi della Convenzione del
1954 riguardo lo Status delle Persone Apolidi, e 35 paesi hanno aderito alla
Convenzione del 1961 sulla Riduzione dell'Apolidia.
La Convenzione del 1954 identifica una persona apolide come qualcuno che non
ha un legame legale di nazionalità con alcuno stato. Quanti legittimamente
reclamano la cittadinanza, ma che non possono provarla, o a cui i governi
rifiutino di dare effetto alla loro nazionalità, sono pure considerati apolidi.
Il numero delle persone apolidi nel 2009 uguaglia circa quello di rifugiati in
tutto il mondo. Ma a differenza dei rifugiati, gli apolidi - particolarmente
quelli che non possono essere classificati come rifugiati - spesso non
beneficiano della protezione ed assistenza dei governi, agenzie di aiuto, o
dell'ONU, nonostante il mandato di quell'istituzione di assistere le persone
apolidi.
Dal 2004, Refugees International (RI) ha visitato oltre una dozzina di
paesi per valutare la situazione di chi è apolide o a rischio di esserlo. Nel
2005, RI pubblicò il suo primo studio globale sull'apolidia, Lives on Hold: The
Human Cost of Statelessness, per rinnovare l'attenzione sul problema,
asserendo che "doveva chiudersi il gap tra diritti e realtà".
Questo rapporto, Nationality Rights for All: A Progress Report and Global Survey on
Statelessness, fornisce uno studio globale ed aggiornato sull'apolidia in
oltre 80 paesi ed accerta i progressi dal 2005 nel proteggere i diritti umani
delle persone apolidi e nel prevenire e ridurre l'apolidia. In cambio sono
riflessi importanti sviluppi nella legge internazionale e nei passi intrapresi
da governi, organizzazioni internazionali ed OnG. E mentre l'Ufficio ONU
dell'Alto Commissario per i Rifugiati (UNHCR) sta pensando più strategicamente
di prima per mantenere fede ai suoi obblighi, le agenzie dell'apolidia rimangono
severamente sotto organico e mal finanziate rispetto le altre funzioni
organizzative. Deve migliorare il coordinamento tra le agenzie ONU che si
occupano di apolidia.
Tre casi di progresso - Bangladesh, Etiopia e Kenia - illustrano come possono
accadere i miglioramenti, ma anche quali sfide rimangono per completare e
rafforzare le soluzioni sull'apolidia. Questi tre casi dimostrano il ruolo
critico della volontà politica (o della sua mancanza), dei quadri legali di
riferimento internazionali e nazionali, degli sforzi di collegamento tra l'ONU e
le altre agenzie, come pure delle iniziative degli apolidi stessi.
In Bangladesh, a seguito di un precedente legale, la maggior parte della
minoranza di lingua urdu (chiamati anche "Bihari" o "Pakistani in
difficoltà") è stata riconosciuta come cittadini in un giudizio dell'Alta
Corte del maggio 2008. Dal 1971, almeno 200.000 ma probabilmente 500.000,
componenti di questa minoranza hanno vissuto in squallide baraccopoli, con
accesso limitato alla sanità, istruzione [...] Per 37 anni, né il Bangladesh
né il Pakistan li hanno riconosciuti come cittadini. Come primo passo verso
l'integrazione, l'Alta Corte ha ordinato la registrazione al voto degli
adulti consenzienti ed emesso le carte nazionali d'identificazione.
In Etiopia, almeno 120.000 ma forse 500.000 persone di origine eritrea
furono private della cittadinanza durante il conflitto di confine con
l'Eritrea del 1998-2000. Circa 75.000 furono deportati in Eritrea, dividendo
diverse famiglie. Chi non venne deportato apparentemente sembrava in grado
di riacquisire la cittadinanza con la Proclamazione Eritrea della
Nazionalità, ma è difficile ottenere numeri certi.
In Kenia, circa 100.000 Nubiani hanno avuto meno difficoltà
nell'ottenere le carte d'identità, particolarmente da quando fecero causa
nel 2003 e nel 2004 contro il governo, attraverso l'Alta Corte del Kenia e
la Commissione Africana sui Diritti Umani con base in Gambia.
Redatto alla luce di questi sviluppi, questo rapporto ha lo scopo di
espandere la comprensione del problema dell'apolidia, aumentare il
riconoscimento del diritto di nazionalità e promuovere soluzioni per la fine
del'apolidia. I tre casi mostrano che soluzioni fattive per l'apolidia si
estendono oltre l'individuazione delle determinazioni accurate dello status
giuridico. Comprendono processi di integrazione a lungo termine e la gestione
della diversità. I governi devono assicurare che le istituzioni pubbliche -
scuole, ospedali, comuni, tribunali - applichino pienamente la legge. La
direzione governativa è importante per instaurare un tono conciliatorio.
Dato che l'apolidia è spesso un problema nascosto, un soggetto sensibile e
talvolta ad un punto morto diplomatico, si sbiadisce sullo sfondo. Ma la perdita
della nazionalità e la sua negazione protratta spesso portano al diniego massivo
dei diritti umani. Le iniziative locali per risolvere l'apolidia devono essere
incoraggiate, ma l'impegno dell'UNHCR è essenziale per aumentare la forza e la
legalità degli standard internazionali legali sui diritti di nazionalità ed il
loro sviluppo nella pratica.
Verso queste mete, Refugees International raccomanda a tutti gli stati
di rispettare ed assicurare il diritto di ogni persona ad avere una nazionalità,
lavorare per l'acquisizione della nazionalità, e sostenere gli standard
internazionali per proteggere le persone apolidi, prevenire e ridurre
l'apolidia. Refugees International preme anche sull'UNHCR perché compia
passi concreti per tenere pienamente fede al suo mandato. Anche i gruppi
non-governativi hanno un importante ruolo da giocare. Sforzi concreti per
terminare l'apolidia sono in grave ritardo.
I residenti di Janov osservano da un balcone, mentre gli estremisti
marciano per le strade. (ČTK)
15/3/2009- Domenica circa 60 supporter e rappresentanti del Partito dei
Lavoratori (DS) di estrema destra hanno marciato nell'insediamento di Janov,
abitato soprattutto da Rom, ma non è stato riportato nessun incidente. L'azione
era controllata dalla polizia che ha trattenuto due persone. Uno di loro prima
dell'evento stava attaccando illegalmente dei manifesti. Gli estremisti hanno
anche presentato il loro sindaco ombra della città. Dice il partito che la sua
carica è un'espressione del disaccordo del DS su come il comune di Litvinov ha
affrontato la situazione a Janov. Il sindaco ombra è Vladan Renak, 33 anni,
insegnante di scuola secondaria, che non è un membro del DS. Afferma di ritenere
che niente cambierà nella città senza il DS. La città è malata, ha detto, la
cura sarà lunga, ma radicale ed effettiva.
Il sindaco di Litvinov, Milan Stovicek, ha detto che il DS cancella problema
dell'insediamento che il municipio sta già risolvendo da tempo. La leadership
del partito ha annunciato di avere fondato l'associazione civica Gioventù dei
Lavoratori, tra i 15 e i 35 anni di età, come reazione alla presunta grave
risposta alle sue azioni. Secondo la loro pagina web, il raggruppamento sposa il
nazional socialismo e rigetta il capitalismo e il comunismo. Dopo una delle
azione del DS a Litvinov l'anno scorso, i suoi partecipanti avevano marciato
verso Janov. L'evento era terminato in duri scontri tra centinaia di radicali di
destra ed i poliziotti, lasciandosi dietro diversi feriti da ambo le parti.
Circa 6.000 persone vivono a Janov, dove persone socialmente deboli sono state
spostate da varie parti del paese. Molti sono disoccupati e indebitati. Il
governo voleva che il DS fosse bandito, ma il Tribunale Amministrativo Supremo
ha deciso all'inizio del mese che le prove presentate dal governo erano
inconcludenti ed ha rigettato la proposta.
Di Fabrizio (del 23/03/2009 @ 09:26:25, in Italia, visitato 1848 volte)
di Domenico Pizzuti
Le "politiche"- in senso anglosassone – in generale ed in particolare quelle di
integrazione ed inclusione sociale dipendono dalla definizione delle situazioni
da parte degli attori istituzionali e sociali. Non significa la stessa cosa
definire una popolazione "minoranze senza territorio", portatori di diritti e
doveri riconosciuti da norme internazionali, "nomadi" stereotipo da verificare o
"Rom", non riconosciuti in Italia come minoranza linguistica, "etnonimo" che
nella lingua "romanes" significa "uomo" e comunque portatori di diritti
universali. Il sito del Ministero dell'Interno li usa in maniera
interscambiabile, ma non l'ordinanza n. 3678 del presidente del Consiglio dei
ministri 30 maggio 2008 che conteneva "Disposizioni urgenti di protezione civile
per fronteggiare lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di
comunità rom nel territorio" delle regioni Lombardia, Lazio e Campania, che in
seguito al censimento effettuato nelle tre regioni per lo meno numericamente non
si è rivelato tale. (Il totale "nomadi" censiti dalla Prefettura di Napoli è
pari a 2.784).
Insieme ad altre categorie sociologiche che definiscono la condizione di
queste comunità rom sul territorio (marginalizzazione, ghettizzazione,
segregazione, esclusione, stigmatizzazione), si rivela utile anche ai fini di
valutazioni di progetti e proposte di ricollocazione delle comunità rom nello
spazio sociale la categoria sociologica di "distanza sociale" ripresa in alcune
recenti ricerche sociologiche, che ha un ruolo fondamentale nella produzione e
organizzazione dello spazio sociale. La costruzione dei gruppi sociali – e di
conseguenza le relazioni che tra questi si instaurano - è il risultato di
processi di distanziamento, che aprono o chiudono possibilità di relazione tra i
soggetti, e producono o meno un certo livello di distanza tra questi. "Per
distanza sociale si intende l' indisponibilità e la chiusura relazionale – di
intensità variabili – di un soggetto nei confronti di altri percepiti e
riconosciuti come differenti sulla base della loro riconducibilità a categorie
sociali. Essa è la risultante dell'intreccio dinamico di fattori dislocati su
tre differenti dimensioni dello spazio: fisico, simbolico e geometrico" (V.
Cesareo, La distanza sociale. Una ricerca nelle aree urbane italiane,
FrancoAngeli, Milano 2007, 11). I fattori fisici sono relativi alla concreta
collocazione dei soggetti sul territorio ed ai luoghi dove si svolge la loro
vita quotidiana. Nel caso dei Rom e romeni periferie di periferia come per i
campi di Scampia e Secondigliano, o adiacenze del cimitero di Poggioreale (S.
Maria del Pianto), o fabbriche dismesse come in via Maddalena o sotto i ponti
nell'entroterra napoletano. I fattori simbolici sono costituiti dalle categorie
che il soggetto, insieme a quelle già cristallizzate all'interno della cultura in
cui è inserito, costruisce e utilizza nella conoscenza della realtà sociale e
nella identificazione riconoscimento dell'altro, nel nostro caso nomade, rom,
extracomunitario, neocomunitario e così via. I fattori geometrici (ad esempio la
distinzione tra centro e periferia), sono i punti di contatto tra spazio fisico
e spazio simbolico. La diversa collocazione nello spazio urbano dei cosiddetti
"campi nomadi", anche a breve distanza quelli di Scampia e Secondigliano, può
essere conseguenza di una persistente segregazione sociale che gioca un ruolo
non secondario nella stessa organizzazione fisica della città. .
E' chiara la valenza di questa categoria di "distanza sociale" anche per la
valutazione di progetti e proposte riguardante la ricollocazione delle comunità
rom nello spazio sociale dell' area napoletana, in riferimento al contributo o
meno al superamento della distanza sociale tra abitanti indigeni ed allogeni. E
nel contempo serve a svelare non solo interessi di istituzioni ed
organizzazioni, ma i fattori simbolico-culturali soggiacenti a tali proposte ed
alla politiche si vogliono adottare per la "protezione civile" in senso pieno
delle comunità Rom sul nostro territorio.
Perciò ben vengano proposte che mirano a diminuire la distanza sociale con
idonee progettazioni di riqualificazione urbanistica, come "Linee guida e
progettualità integrata per il superamento dei campi rom a Scampia, e la
riqualifica dell'area indicata all'art. 132 norme di attuazione Dpgr 323/04
Variante Prg e zone limitrofe", presentato dall'Associazione di promozione
sociale "Chi rom e…chi no" Onlus nel convegno di ieri "I rom tra stato di
diritto e stato di eccezione. Proposte di trasformazione urbana". Prevede che
l'area in questione, come da piano regolatore, sia destinata al vantaggio del
quartiere e dell'intera città e dotata di servizi e strutture necessarie per la
crescita ed il miglioramento delle condizioni di vita di tutte le persone, in
primo luogo di quelle che vivono nel quartiere, realizzando la convivenza di
italiani e rom.
La cultura anche politica napoletana, al di là di consuete prassi e politiche
emergenziali e per di più senza partecipazione democratica di attori coinvolti o
interessati nell'ambito delle stesse politiche sociali, ha bisogno di nuove idee
cioè di innovazioni culturali che si traducono in proposte e progetti di
fattibilità con la volontà politica di attuarli. Ne acquista la nostra civiltà
ed umanità!
Naviglio PiccoloAssociazione culturale senza fini di lucro
Viale Monza 140 I Piano - MILANO
(M1 Gorla - Turro)
Giovedì 26 Marzo - ore 21.00
Conversazioni sul jazz e il suo futuro Django Reinhardt
e lo stile manouche
Jean Baptiste "Django" Reinhardt (Liberchies, 23 gennaio 1910 – 16 maggio 1953)
chitarrista belga, di etnia
sinti. Dopo un lungo girovagare in varie nazioni europee e nordafricane, la sua
carovana si fermò alla periferia di
Parigi, che Reinhardt ebbe come scenario per quasi tutta la sua carriera. Quando
aveva solo diciotto anni,
Reinhardt, il quale aveva già iniziato una carriera da apprezzato banjoista,
subì un grave incidente: un incendio
divampato di notte nella sua roulotte gli causò l'atrofizzazione dell'anulare e
del mignolo della mano sinistra.
Questo incidente era destinato a cambiare la sua vita e la storia stessa della
chitarra jazz. Infatti, a causa della
menomazione alla mano sinistra, Reinhardt dovette abbandonare il banjo e
cominciò a suonare una chitarra che
gli era stata regalata, meno pesante e meno ruvida. Nonostante le dita
atrofizzate, o forse proprio grazie a tale
limitazione, egli sviluppò una tecnica chitarristica rivoluzionaria e del tutto
particolare che ancora oggi lascia di
stucco e suscita ammirazione per la perizia virtuosistica, la vitalità e
l'originalità espressiva. In breve tempo era
già in attività con diverse orchestre che giravano la Francia. A metà degli anni
Trenta, Reinhardt e il violinista
Stéphane Grappelli formarono un quintetto di soli strumenti a corda che divenne
presto famoso, grazie anche
all'appoggio dell'Hot Club de France, una delle prime associazioni di promozione
del jazz in Europa. Sull'onda di
questo successo Reinhardt si rivelò come uno dei musicisti europei più
talentuosi nel jazz tradizionale. Subito
dopo la Seconda Guerra Mondiale, venne invitato negli Stati Uniti da Duke
Ellington, che lo presentò come ospite
in alcuni concerti, l'ultimo dei quali alla Carnegie Hall di New York. Con
l'avvento del bebop, Reinhardt diede
ulteriore prova di maturità ed originalità artistica incidendo dei brani
memorabili con la chitarra elettrica: la poesia
Manouche miscelata alle sonorità più moderne fanno di tali assoli una delle
pagine più originali del jazz
dell'epoca. Reinhardt rallentò sensibilmente la sua attività durante i suoi
ultimi anni, forse anche per le cattive
condizioni di salute; la sua decisione di non consultare medici, per paura delle
iniezioni, gli costò la vita. Reinhardt
è ricordato sia come un eccezionale virtuoso del proprio strumento, sia come
compositore fertilissimo. Inoltre,
numerose leggende nell'ambiente jazzistico ne descrivevano la particolarissima
forma mentis, in parte derivata
dalle sue origini zingaresche.
Fa da guida alla serata, Peppo Delconte con la collaborazione di Franco Baglietti.
Peppo Delconte, socio di Naviglio Piccolo, giornalista specializzato nel settore
musica e spettacolo, autore di
alcune pubblicazioni sul jazz e direttore responsabile della rivista culturale
Nostos. Inoltre è tra i fondatori del
Jumpin' Jazz Club di viale Monza 140.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
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