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Django Reinhardt e lo stile manouche
Di Fabrizio (del 24/03/2009 @ 09:02:25, in musica e parole, visitato 2134 volte)

Naviglio Piccolo Associazione culturale senza fini di lucro
Viale Monza 140 I Piano - MILANO (M1 Gorla - Turro)

Giovedì 26 Marzo - ore 21.00

Conversazioni sul jazz e il suo futuro
Django Reinhardt e lo stile manouche

Jean Baptiste "Django" Reinhardt (Liberchies, 23 gennaio 1910 – 16 maggio 1953) chitarrista belga, di etnia sinti. Dopo un lungo girovagare in varie nazioni europee e nordafricane, la sua carovana si fermò alla periferia di Parigi, che Reinhardt ebbe come scenario per quasi tutta la sua carriera. Quando aveva solo diciotto anni, Reinhardt, il quale aveva già iniziato una carriera da apprezzato banjoista, subì un grave incidente: un incendio divampato di notte nella sua roulotte gli causò l'atrofizzazione dell'anulare e del mignolo della mano sinistra.

Questo incidente era destinato a cambiare la sua vita e la storia stessa della chitarra jazz. Infatti, a causa della menomazione alla mano sinistra, Reinhardt dovette abbandonare il banjo e cominciò a suonare una chitarra che gli era stata regalata, meno pesante e meno ruvida. Nonostante le dita atrofizzate, o forse proprio grazie a tale limitazione, egli sviluppò una tecnica chitarristica rivoluzionaria e del tutto particolare che ancora oggi lascia di stucco e suscita ammirazione per la perizia virtuosistica, la vitalità e l'originalità espressiva. In breve tempo era già in attività con diverse orchestre che giravano la Francia. A metà degli anni Trenta, Reinhardt e il violinista Stéphane Grappelli formarono un quintetto di soli strumenti a corda che divenne presto famoso, grazie anche all'appoggio dell'Hot Club de France, una delle prime associazioni di promozione del jazz in Europa. Sull'onda di questo successo Reinhardt si rivelò come uno dei musicisti europei più talentuosi nel jazz tradizionale. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, venne invitato negli Stati Uniti da Duke Ellington, che lo presentò come ospite in alcuni concerti, l'ultimo dei quali alla Carnegie Hall di New York. Con l'avvento del bebop, Reinhardt diede ulteriore prova di maturità ed originalità artistica incidendo dei brani memorabili con la chitarra elettrica: la poesia Manouche miscelata alle sonorità più moderne fanno di tali assoli una delle pagine più originali del jazz dell'epoca. Reinhardt rallentò sensibilmente la sua attività durante i suoi ultimi anni, forse anche per le cattive condizioni di salute; la sua decisione di non consultare medici, per paura delle iniezioni, gli costò la vita. Reinhardt è ricordato sia come un eccezionale virtuoso del proprio strumento, sia come compositore fertilissimo. Inoltre, numerose leggende nell'ambiente jazzistico ne descrivevano la particolarissima forma mentis, in parte derivata dalle sue origini zingaresche.

Fa da guida alla serata, Peppo Delconte con la collaborazione di Franco Baglietti.
Peppo Delconte, socio di Naviglio Piccolo, giornalista specializzato nel settore musica e spettacolo, autore di alcune pubblicazioni sul jazz e direttore responsabile della rivista culturale Nostos. Inoltre è tra i fondatori del Jumpin' Jazz Club di viale Monza 140.

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