L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
nella tua risposta a Massimo Burioni (20 febbraio) ti domandi: «Dove sono gli
zingari a Berlino? Buon titolo per un'inchiesta: non se ne vede in giro uno».
Vorrei fare alcune precisazioni in proposito.
In Germania ci sono 110 mila-130 mila tra rom e sinti - sia di cittadinanza
tedesca che stranieri. Quelli tedeschi sono riconosciuti come minoranza
nazionale. Magari non li vedi perché in Germania sono riusciti ad adottare
politiche di integrazione e inserimento che qui da noi sono troppo
all'avanguardia, per cui non mendicano o rubacchiano per le strade (e sottolineo
che anche da noi sono una minoranza quelli che lo fanno) né vivono nei campi
«nomadi». Da noi i rom italiani non sono stati riconosciuti come minoranza,
seppure esista una legge che ne riconosce ben dodici, e che li ha esclusi
imponendo criteri per il riconoscimento tra cui anche loro rientrano. Del resto,
da noi il «problema» viene trattato come «emergenza sicurezza», per cui i rom
devono essere cacciati (che siano italiani o stranieri poco importa), non
aiutati a integrarsi.
Ultima precisazione: credo che la gente inorridirebbe se ti sentisse chiamare
un africano «negro». Quindi, che i rom e i sinti vengano chiamati con il loro
nome, e non «zingari» (che è offensivo) o «nomadi» (che è scorretto). Il fatto
che vengano chiamati nomadi serve solo a perpetuare il pregiudizio per cui loro
possono solo vivere nei campi, che lo vogliano o meno. Non dico che sia tutta
colpa degli organi d'informazione se ci sono problemi da una parte e dall'altra,
ma forse, se iniziassero a usare quanto meno una terminologia adatta, a non
strumentalizzare le notizie a tutti i costi limitandosi a riportare dati
effettivi e non di comodo, e se facessero una vera campagna d'informazione
corretta, già sarebbe un passo avanti.
Di Fabrizio (del 26/02/2009 @ 09:28:55, in media, visitato 2077 volte)
Ricevo da Fabrizio Boni
Ciao a tutti,
vi mando il link ai trailer a un paio di lavori che sto provando a vendere.
http://www.vimeo.com/user1333204
Nell'attesa gli faccio prendere un po' d'aria.
Ieri ho avuto un'interessante conversazione con due persone appena
incontrate, con cui è stato un vero piacere rimanere e parlare. Tra i diversi
argomenti che abbiamo discusso, siamo finiti sui Rom, e mi è successo di
comprendere che la mia conoscenza generale sugli Zingari è scarsa. O conosco
determinate tematiche, localizzate nel tempo e nello spazio sulla vita romanì, o
conosco davvero poco sul panorama generale, tanto che posso a malapena parlarne.
E' per questo che oggi sono rimasto impressionato da
questo video (categoria:
Marton), che illustra uno sguardo generale sui Sinti e Rom in Italia,
immigrati o no. Secondo me fornisce una buona sintesi su cosa stanno passando i
Rom in quel paese. Almeno qualcosa che possa compensare la mia mancanza di
capacità di descrivere le immagini complessive.
Romedia Foundation, un'organizzazione civile di Budapest (www.mundiromani.com),
e Amnesty International (www.amnesty.hu)
hanno promosso una campagna video sulle donne rom col supporto di Duna
Television (www.dunatv.hu) e
del Decennio dell'Inclusione Rom (www.romadecade.org).
(in
ungherese ed inglese)
Lo spot di 4', prodotto per il Giorno Internazionale della Donna 2009,
presenta flash della storia personale di cinque attiviste rom per i diritti
umani di tutta Europa, assieme a filmati degli insediamenti rom nel continente.
In questi periodi di crisi, dove la coesione sociale è gravemente messa in
pericolo dalla moltiplicazione di atti di estrema violenza contro i Rom in
Ungheria e altrove, la campagna esorta il pubblico a rispettare i Rom in tutta
la loro complessità.
Una versione ungherese di 30" dello spot [è stata] trasmessa dal 6 all'11
marzo 2009 su centinaia di schermi pubblici in Ungheria.
Directed by Csaba Farkas and Katalin Bársony
Music by Babos Project Romani
Lyrics by Ágnes Daróczi
E' davvero singolare che chi s'indigna per la messa a nudo dei politici
attraverso le intercettazioni, e addirittura parla di complicità dei giornali in
turpi linciaggi, non trovi le parole per protestare contro l'uso che viene fatto
dei volti di due romeni, Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz, arrestati il 17
febbraio per lo stupro di una minorenne nel parco della Caffarella. Quei volti
ci si accampano davanti a ogni telegiornale, e hanno qualcosa di cocciuto,
invasivo, conturbante: da ormai un mese ci fissano incessanti, nonostante il
Tribunale del Riesame abbia invalidato l'accusa dal 10 marzo, e le analisi del
Dna abbiano scagionato i loro proprietari già il 5 marzo. Se ne son viste tante,
di gogne: questa è gogna di due scagionati.
Parliamo di proprietari di due volti perché la faccia ci appartiene, è parte del
nostro corpo inalienabile. Così come esiste dal Medioevo un habeas corpus, che è
il divieto di sequestrare il corpo in assenza di imputazioni chiare, esiste
in molti codici quello che potremmo chiamare l'habeas vultus, l'habeas facies:
il diritto alla tua immagine anche se sei indagato (articolo 10, codice civile).
L'abuso in genere non avviene per gli italiani sospetti di violenza sessuale.
Per i romeni è diventata norma, anche se non ce ne accorgiamo più.
Il loro viso è sequestrato, strappato con violenza inaudita, e consegnato senza
pudore ai circhi che amano le messe a morte del reietto.
Habeas facies è un diritto che non ha statuto ma è in fondo anteriore all'habeas
corpus. In alcune religioni (ebraismo, islam) il volto è sacro al punto da non
dover essere ritratto. Vale per esso, ancor più, quello che Giorgio Agamben
scrisse anni fa sulle impronte digitali: "Ciò che qui è in questione è la nuova
relazione biopolitica "normale" fra i cittadini e lo Stato. Questa non riguarda
più la partecipazione libera e attiva alla dimensione pubblica, ma l'iscrizione
e la schedatura dell'elemento più privato e incomunicabile: la vita biologica
dei corpi. Ai dispositivi mediatici che controllano e manipolano la parola
pubblica, corrispondono i dispositivi tecnologici che iscrivono e identificano
la nuda vita: tra questi due estremi - una parola senza corpo e un corpo senza
parola - lo spazio di quella che un tempo si chiamava politica è sempre più
esiguo e ristretto" (Repubblica, 8 gennaio 2004). Agamben aggiunge:
"L'esperienza insegna che pratiche riservate inizialmente agli stranieri vengono
poi estese a tutti".
Il pericolo dunque riguarda tutti. Quando si comincia a denudare lo straniero,
ricorrendo al verbo o all'occhio del video, è il cruento rito del linciaggio che
s'installa, si banalizza, e l'abitudine inevitabilmente colpirà ciascuno di noi.
Lo ha scritto Riccardo Barenghi il 3 marzo su questo giornale ("Alla fine,
quanti di noi italiani finiranno nella stessa situazione?") quasi parafrasando
le parole del pastore antinazista Martin Niemöller: "Prima di tutto vennero a
prendere gli zingari - e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a
prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici \. Poi un giorno
vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare".
Il linciaggio ha inizio con una svolta linguistica, cui ci si abbandona non
senza voluttà perché il linciaggio presuppone la muta ardente e la muta non
parla ma scaraventa slogan, non dà nomi all'uomo ma lo copre con sopra-nomi,
epiteti che per sempre inchiodano l'individuo a quel che esso ha presumibilmente
compiuto di mirabile o criminoso. Racz diventa "faccia da pugile". Isztoika
riceve un diminutivo - "biondino" - che s'accosta, feroce, al diminutivo che
assillante evoca le vittime (i "Fidanzatini"). Sono predati non solo i volti e i
nomi ma quel che i sospetti, ignorando telecamere, dicono in commissariato.
Bruno Vespa sostiene che le intercettazioni "sono una schifezza" e rovinano la
persona, ma non esita a esibire una, due, tre volte il video dell'interrogatorio
in cui il romeno confessa quel che ritratterà, trasformando la stanza del
commissariato in sacrificale teatro circense come per inoculare nello spettatore
la domanda: possibile mai che Isztoika sia innocente? Lo stesso fa l'Ansa, che
più di altri dovrebbe dominarsi e tuttavia magnifica gli investigatori perché
hanno condotto "un'indagine all'antica: decine di interrogatori di persone che
corrispondevano alle caratteristiche fisiche delle belve" (il corsivo è mio).
Avvenuta la svolta linguistica il danno è fatto, quale che sia il risultato
delle indagini, e i sospettati girano con quel bagaglio di nomignoli, slogan.
Rita Bernardini, deputato radicale del Pd, evoca il bieco caso di Gino
Girolimoni, il fotografo che negli Anni 20 fu accusato di omicidi di bambine e
poi scagionato ("Il fascismo dell'epoca trovò il capro espiatorio per
rasserenare la cittadinanza di allora e dimostrare che lo Stato era più che
efficiente e presente"). Ancor oggi, c'è chi associa Girolimoni all'epiteto di
mostro. Damiano Damiani nel '72 ne fece un film, Girolimoni - Il mostro di Roma,
con Nino Manfredi nella parte della belva. Non riuscendo più trovare un posto,
Girolimoni perse il patrimonio che aveva e cercò di sopravvivere aggiustando
scarpe e biciclette a San Lorenzo e al Testaccio. Morì nel '61, poverissimo. Ai
funerali, nella chiesa di San Lorenzo fuori le mura, vennero rari amici. Tra
questi il commissario Giuseppe Dosi, che aveva smontato le prove contro
l'accusato: azione avversata da tutti i colleghi, e che Dosi pagò con la
reclusione a Regina Coeli e l'internamento per 17 mesi in manicomio criminale.
Fu reintegrato nella polizia solo dopo la caduta del fascismo.
Anche se scagionata, infatti, la belva resta tale: più che mai impura, impaura.
La sua vita è spezzata. Così come spezzati sono tanti romeni immigrati che
l'evento contamina. Guido Ruotolo, su questo quotidiano, fa parlare la
giornalista Alina Harhya, che lavora per Realitatea Tv: "Ma da voi non vale la
presunzione d'innocenza? Le forze di polizia non dovrebbero garantire il
diritto? E invece viene organizzata una conferenza stampa in questura e si
distribuiscono le foto, i dati personali, dei presunti colpevoli. Non ce l'ho
con la stampa italiana, sia chiaro. Però questo è un fatto. Qui da voi si fa la
rivoluzione se un politico viene ripreso in manette e invece nessuno protesta
quando si sbatte il mostro romeno in prima pagina" (La Stampa, 3 marzo). Ancora
non sappiamo di cosa siano responsabili Isztoika e Racz, ma i motivi per cui
restano in carcere appaiono oggi insussistenti e, se i romeni saranno scagionati
del tutto, le loro sciagure s'estenderanno ulteriormente: proprio come accadde a
Girolimoni, mai risarcito dallo Stato che l'aveva devastato.
La polizia di Stato può sbagliare: è umano. Ma se sbagliando demolisce una vita
e un volto, non bastano le parole. Se la comunità intera s'assiepa affamata
attorno al capro espiatorio, occorre risarcire molto concretamente. Iniziative
cittadine dovrebbero reclamare che i falsi colpevoli non siano scaricati come
spazzatura per strada. Nessun privato darà loro un lavoro: solo
l'amministrazione pubblica può. Occorre che sia lei a riparare il danno che gli
organi dello Stato hanno arrecato.
Se non si fa qualcosa per riparare avrà ragione Niemöller: non avendo difeso
romeni e zingari, verrà il nostro turno. Tutti ci tramuteremo in ronde -
politici, giornalisti, cittadini comuni - per infine soccombere noi stessi. Le
trasmissioni di Vespa sono già una prova di ronda. Le parole di Alessandra
Mussolini (deputato Pdl) già nobilitano e banalizzano slogan razzisti ("Certo,
non è che possono andare in galera se non sono stati loro, ma non cambia niente:
i veri colpevoli sono sempre romeni"). Saremo stati falsamente vigili sulla
sicurezza: perché vigilare è il contrario dell'indifferenza, del sospetto, e dei
pogrom.
Di Sucar Drom (del 19/03/2009 @ 09:14:16, in media, visitato 1726 volte)
[ http://www.estnord.it ]
Davide Casadio, presidente dell'Associazione Sinti Italiani [
http://sintiitaliani.blogspot.com/ ], visita il campo di viale Cricoli a
Vicenza. Pochi giorni prima, il 5 marzo 2009, la polizia è entrata nel campo [e
in molti altri del Veneto] schedando tutti i residenti, compresi i minori. Qui
alcune testimonianze di quella notte, e una panoramica sulle condizioni di vita
nel campo
Di Fabrizio (del 20/03/2009 @ 10:23:42, in media, visitato 1625 volte)
Ricevo da Paolo Buffoni:
Se un non rom fosse fotografato di faccia e di profilo con un cartello e
un numero, cosa accadrebbe? A fare questa domanda è un prete cattolico che vive
tra i rom. Schedature di massa in Veneto, persecuzioni a Roma: l’apartheid è una
realtà. A questi temi è dedicato il servizio di apertura e la copertina [con il
titolo "La questione zingara"] del nuovo numero di Carta in edicola a Milano da
ven. 20/03
Nel frattempo, ecco un anticipo pubblicato online
Pierluigi Sullo [19 Marzo 2009]
Nelle scorse due settimane il telefono di Anna Pizzo ha squillato molto più del
solito. Lei è consigliera regionale, e il suo cellulare è solitamente
irrequieto, ma questa volta ha superato tutti i limiti e io, che vivo con lei,
mi stavo innervosendo. A chiamare in continuazione era un certo Sandro. Anna mi
ha infine spiegato chi è Sandro: è uno dei capifamiglia di una famiglia
allargata di Rom, una cinquantina, metà circa bambini e ragazzi, tutti
cittadini italiani. "E che vogliono da te?", ho domandato. Lei mi ha spiegato
che si erano aggrappati a quella unica piccola finestra aperta sulle istituzioni
per cercare di risolvere il loro problema. "E qual è il problema?". La
spiegazione è stata lunga.
Prima c’è un gruppo di Rom che, dal Veneto, si trasferiscono molti anni fa a
Roma per lavorare. Fanno i "calderash", lavorano con i metalli, e sono così
bravi che ogni anno si trasferiscono al nord, dove molte chiese affidano loro
lavori di restauro. Negli anni, finiscono per stabilirsi nell’ex Mattatoio
romano, abbandonato e vuoto. Poi accadono due cose. La giunta Veltroni decide di
aprire lì la Città dell’Altra economia, iniziativa ottima che però comporta lo
spostamento dei Rom un po’ più in là, sulla sponda del Tevere. Veltroni se ne va
e arriva Alemanno, e il giorno dopo che il prefetto di allora, Mosca, aveva
dichiarato "non ci saranno mai più sgomberi di Rom", la polizia si presenta in
forze al lungotevere Testaccio, fa staccare luce e acqua e intima ai Rom di
andarsene. Dove?, chiedono loro. Non si sa. Mettono in fila camper e roulottes e
si avviano in un largo giro che si conclude nell’estrema periferia sud, dalle
parti della università di Tor Vergata. Il rettore protesta, allora vengono
ancora spostati: a Tor Sapienza. Un’unica fontanella e niente luce, nonostante
loro abbiano già pagato l’allaccio all’Enel. Passano mesi, e i cinquanta di
Sandro decidono di andarsene: il posto, già inospitale, si è ulteriormente
affollato. Comincia così un’odissea dentro e attorno a Roma: Romanina, Ardeatina,
Capannelle, uno spiazzo momentaneamente libero dal mercato settimanale, un
parcheggio semi-abbandonato, il terreno che provvisoriamente un parroco affitta
loro a prezzo assai modico, ecc. Ogni volta si presenta un carabiniere, un
poliziotto, una presunta ronda di individui con pettorine fosforescenti, la
guardia privata di un istituto di ricerca, per intimare loro di andarsene.
Subito. I cinquanta Rom caricano ogni volta la decina di camper e roulottes e se
ne vanno: non cercano rogne, e telefonano all’unica persona delle istituzioni
che – evidentemente – è disposta ad ascoltarli. La quale chiama assessori e
presidenti di Municipio, e perfino centri sociali, per trovare uno slargo, uno
spazio, un posto qualunque dove gli zingari erranti possano fermarsi. Nel
frattempo, i bambini non possono più andare a scuola, com’è ovvio, anche se le
maestre e molti genitori della scuola che frequentavano, al Testaccio, hanno
raccolto firme in loro appoggio. La figlia grande di Sandro ha appena finito la
quinta elementare, in pagella ha tutti voti ottimi.
Però nessuno sembra provare interesse per questi connazionali di cultura Rom,
con nomi e cognomi italiani e la faccia delle brave persone, per cui si
supporrebbe che tutti gli stereotipi sui Rom sporchi e ladri e mendicanti e
ladri di bambini debbano fare più fatica a penetrare nelle menti, per non
parlare delle amministrazioni. E d’altra parte, non erano quasi tutti cittadini
italiani i Sinti che all’inizio di marzo 150 poliziotti – che avevano fatto
irruzione all’alba in 15 campi del Veneto – hanno fotografato di faccia e di
profilo, con addosso un cartello con le generalità e, in molti casi, un numero?
Ma anche l’argomento "sono italiani" è debole: come spiega Tommaso Vitale,
sociologo e studioso dell’argomento, nel numero di Carta settimanale in uscita
domani [la cui copertina è dedicata alla "questione zingara"], in Italia si sono
inventati i "campi nomadi" e si è costruita – con la perdita di memoria
sull’Olocausto Rom e con un arsenale di schemi culturali razzisti – la figura
dell’"eterno straniero".
Negli ultimi giorni il cellulare di Anna si è placato, Sandro e i suoi hanno
trovato un posto: un campeggio di Bracciano, vicino Roma, dove potranno stare
per un mese pagando un prezzo molto scontato. Il proprietario del camping non ha
di questi pregiudizi, infatti è tedesco.
Di Fabrizio (del 27/03/2009 @ 09:36:03, in media, visitato 1956 volte)
Khamsa, di Karim Dridi (Concorso Migliore Film Africano) ll tunisino Karim Dridi con Khamsa (se ne era scritto
QUI ndr) ritorna al cinema dopo dieci anni di televisione. Marco
l'adolescente zingaro in perenne collisione con il potere costituito è disadatto
anche all'interno del proprio mondo, non comprende lo strisciante razzismo che
divide gli zingari dagli arabi. Un film tutto contenuto nelle due sequenze di
apertura e chiusura, sintesi estrema di una vita vissuta controvento.
ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco
F. De Andrè (Smisurata preghiera)
Marsiglia con le sue luminosità mediterranee, mentre da una parte ricorda le
melodie di Serrat che svela il senso di un meridionale comune denominatore,
dall'altra svela il suo volto tragico nel cammino doloroso di Marco (Khamsa che
in arabo vuole dire 5) giovanissimo componente di una disfatta famiglia zingara.
L'inizio del film lo accoglie in equilibrio sul cordone di un muro, metafora, in
un film assolutamente esplicito, di una vita condotta border line. Marco si
arrangia, furti, scippi e combattimenti illegali di animali. Ma non è padrone
della sua vita, compie queste attività delinquenziali per non uscire dal gruppo,
per esserci, per ribellione. Il suo desiderio è quello di fare il fornaio e
sfornare pane e dolci. E poi bisognerebbe averlo visto com'era felice quando suo
padre, scapestrato donnaiolo privo di scrupoli, partendo gli lascia la roulotte
e lui la rimette in ordine eleggendola a propria dimora. Segno preciso di una
necessità di stabilità anche emotiva, ma senza desiderio di integrazione,
tutt'altro, l'undicenne Marco resta un gadjo e il suo percorso è sempre in piena
collisione con il potere costituito, sia esso rappresentato dai funzionari del
servizio sociale o dalla polizia.
Dridi ci accompagna all'interno di questo territorio zingaro diviso tra amore
solidale e solidaristico malaffare, tracciandone con sicurezza le coordinate. Un
terreno ricco di insidie, esposto al tradimento, dove il giovanissimo
protagonista trova lo spazio per dimostrare tutto l'amore possibile per la nonna
morente. Il campo rom o le occasionali dimore che trova mettono in luce la
precarietà della sua vita. Dissidi etnici si insinuano tra i rapporti di questi
adolescenti che si comportano da uomini, non c'è mai pace tra rom e arabi e il
razzismo latente aggrava i rapporti tra le parti. Dridi, tunisino di nascita
affronta con sicurezza e solare audacia il tema della complessità che deriva da
questo film e al cui interno, un po' spaesato, un po' consapevole e un po'
malandrino ritroviamo il suo protagonista che sembra destinato, da una sorte
cattiva e percorrere tutta la vita controvento come nella faticosa ultima
sequenza che lo vede correre in salita mentre ai suoi piedi la multietnica
Marsiglia quotidianamente sopravvive a questa dolorosa complessità.
Di Fabrizio (del 01/04/2009 @ 08:51:32, in media, visitato 2133 volte)
Da
Roma_Francais (Ne avevo scritto sul mio vecchio blog
Pirori quattro anni fa - i link del test sottostante sono in francese)
mercoledì 25 marzo per Gregory Salomonovitch
Yves Calvi è comparso ultimamente davanti al TGI(Tribunal de
grande instance ndr)per "incitamento all'odio razziale" riguardo
la trasmissione "C dans l'air" sulla delinquenza ed i rom diffusa l'11 febbraio
2005
Con due dei suoi invitati presenti quel giorno in studio,
Xavier
Raufer
e Yves-Marie Laulan, l'animatore-produttore di France 5 è accusato di aver
proferito propositi "a carattere apertamente razzista". Era stata
depositata una querela da alcune associazioni rom - tra cui La Voix des Roms che
ha dedicato un sito
a questa vicenda - la
LICRA, la
LDH e
il
MRAP.
I querelanti accusano una "confusione costante" tra rom,
Rumeni, zigani e
gens du voyage
durante la trasmissione. I "ladri di polli" come lo riassume Yves Calvi.
Ma anche un "amalgama" tra i Rom e gli atti di delinquenza: furto,
mendicità, prossenitismo e prostituzione. Sollevano anche la mancanza di un
contraddittorio: in studio non era presente nessun rappresentante dei rom. Fatto
ugualmente denunciato da
CSA e dal Consiglio d'Europa.
E' soprattutto il titolo della trasmissione che sarà discusso a lungo in
Tribunale: "Delinquenza: la via dei Rom". Questo titolo, esposto durante tutta
la trasmissione, era un gioco di parole, s'è difeso
Calvi: "Non un solo istante si è voluto fare allusione a niente". Se
la parola "Rom" appariva nel titolo è "perché due terzi della trasmissione
sono stati consacrati ai rom", spiega "non si voleva fare sembrare questo
come una componente della trasmissione". Avrebbero anche potuto titolare:
"Delinquenza: tutte le piste portano ai Rom"...
Tra razzismo ordinario e incompetenza
Il tribunale è in presenza di propositi xenofobi? Numerosi passaggi della
trasmissione sono incriminati, come anche il tono con cui sono stati proferiti. Yves-Marie Laulan,
assente all'udienza, è accusato di essere quello che si è spinto più oltre:
"Non li si può integrare in una società come la nostra, si possono integrare i
bambini [...] nel lungo termine, a condizione di donare loro un'istruzione
corretta e di portarli fuori dall'ambiente familiare", aveva detto. Portare
via i bambini ai loro genitori, questo vi ricorda niente?
Quando Xavier Raufer, "criminologo", già membro di movimenti di estrema
destra, prende la parola a sua volta, è per denunciare il "massacro"
delle sue parole nella trasmissione ed una "denigrazione", "al limite
del tentativo d'intimidazione". Fa ugualmente allusione alle tecniche
utilizzate da alcune reti mafiose per attaccare legalmente quanti li combattono
sotto la copertura di una associazione. Un'insinuazione che ha provocato
l'indignazione delle parti civili.
Rom e mezzi d'informazione
L'avvocato Braun, per le associazioni, fustiga da parte sua presentazioni dei
Rom fatte nei media: "smettetela, smettetela di stigmatizzare!" grida in
destinazione del banco - quasi vuoto - dei giornalisti. Denuncia ugualmente il
cameratismo che ha avuto luogo in "C dans l'air" ed aggiunge in direzione degli
accusati: "sono nulli ed incompetenti, è incontestabile!" Questo
provocherà i fulmini dell'avvocato del criminologo, che fa il gesto di alzarsi e
di uscire dalla sala dell'udienza urlando: "è insopportabile!". Al limite
del ridicolo.
Viene di seguito il turno dei querelanti, e qui, il dibattito si allarga:
"quello che domandiamo è il rispetto". I rom sono "sistematicamente
ignorati in maniera costante e voluta dai media e dagli osservatori", "si
è già sottolineato abbastanza come abbiano una cattiva immagine!",
"perché non fare una trasmissione sui loro aspetti migliori?", stimano gli
uni e gli altri.
Per l'avvocato della Lega dei Diritti dell'Uomo, se c'è stato uno
scivolamento da una "trasmissione di carattere pedagogico verso un'ora di
pregiudizi razzisti", è perché "il titolo è diventato il soggetto"."Voi
siete un eccellente giornalista, signor Calvi, ma questa volta avete sbandato"
aggiungerà l'avvocato della Lega Internazionale Contro il Razzismo e
l'Antisemitismo. Il magistrato ha richiesto la condanna dell'animatore e dei due
invitati, come quella di Marc Tessier, direttore all'epoca di France Télévisions,
e di
Laurent Souloumiac, responsabile del sito internet di France 5. Tuttavia non è
stata specificata alcuna pena precisa.
"L'onore" di Yves Calvi
Calvi, alla barra come nel suo studio, tenta di condurre il dibattimento,
con un filo di nervosismo. Giustifica le opinioni presentando il principio
stesso di "C
dans l'air": "noi trattiamo dei soggetti d'attualità". Il tema era:
"la delinquenza è legata alle settori rumeni", un soggetto "mediatico"
all'epoca. Di seguito precisa la "scelta irreprensibile" degli
intervenuti e spiega che "è la questione delle vittime che è al cuore della
nostra trasmissione". Il suo "onore di giornalista" sarebbe in gioco,
inoltre, questo non è niente! Per tutta la durata del processo, con una grande
attenzione ha in ogni caso ascoltato gli argomenti degli uni e degli altri.
"Non comprendo bene cosa mi è successo" ammette, "accetto le osservazioni
ma non di essere complice d'incitamento
all'odio razziale".
Questa udienza è stata anche una maniera di mobilitare l'opinione pubblica
sulla discriminazione subita dai rom e dalle associazioni. Bakchich è l'unico
media ad aver assistito all'intero processo, quando sono stati per questo
inviati 800 comunicati stampa.
Il Tribunale rimetterà il suo giudizio il prossimo 7 maggio.
Una rassegna cinematografica con i film di Tony Gatlif
In Via del Carmine 8, al Centro dell'Associazionismo, CASALE MONFERRATO
A concludere il lavoro svolto dalla Consulta per la Pace, che ha coinvolto gli
studenti in un percorso di sensibilizzazione su tematiche interculturali legate
ai Rom, e che ha portato, nelle scuole e in un incontro pubblico Suor Carla
Osella dell'AIZO (Associazione Italiana Zingari Oggi) e le sue testimonianze,
viene ora proposta una rassegna cinematografica, dal titolo "Zingari, la
bellezza di un popolo", organizzata dalla stessa Consulta e dall'Associazione di
Promozione Interculturale Serydarth, che metterà in scena tre film del regista
gitano Tony Gatlif, capaci in maniera profonda di mettere in mostra qualcosa
di sublime e radicato nella cultura Rom, diverso dai luoghi comuni generati
dalla rappresentazione mediatica ordinaria.
I film saranno proiettati il lunedì, ogni quindici giorni, a partire dal 6
aprile, alle ore 21.15 presso il Centro dell'Associazionismo di via del Carmine.
Si comincia il 6 aprile con "Latcho Drom", un vero e proprio viaggio musicale
tra i gitani, partendo dal Rajasthan e arrivando all'Andalusia, passando per l'
Egitto, la Romania, l'Ungheria e la Francia
Il 20 aprile sarà la volta di "Gadjo Dilo – Straniero Pazzo", il cui
protagonista, un giovane parigino, si ritrova ospite in un villaggio Rom nei
pressi di Bucarest, una realtà profondamente diversa da quella cui è abituato.
A concludere la rassegna, "Vengo - Demone flamenco", in cui gli zingari
rappresentati sono i gitani in Andalusia. Una storia di vendetta familiari, un
dramma accompagnato dalla magia e il pathos del flamenco.
In tutti e tre i film, la musica e la cultura zingara sono gli attori
principali. La partecipazione alle rassegne è riservata ai soci, il costo della
tessera 2009 è di 5€. Consulta per la Pace, Associazione Serydarth
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