Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località
Di Fabrizio (del 12/04/2013 @ 09:09:50, in Italia, visitato 1943 volte)
Io, la festa di un popolo, l'ho sempre sognata come quella dei francesi il 14
luglio:
che si saranno tagliate anche le teste, ci saranno state le guerre, ma alla fine
"...una folla allegra e sorridente si riversa nelle strade, ai bambini si
concede tutto, i bar possono allargare quasi al limite i loro dehors, si balla e
si fa festa, si fanno pic nic sugli enormi prati tra la Tour Eiffel e l'Ecole
Militaire e ci si emoziona a guardare i grandiosi fuochi d'artificio sugli
Champs de Mars." [testo e immagine da
MAGAZINE FOTOGRAFIA]
Mi piacerebbe che questo giorno di pazzia tranquilla e contagiosa fosse:
un momento comune, da tutti condiviso;
fosse concesso ANCHE ai Rom e ai Sinti, e che la loro
giornata diventasse un'invasione pacifica delle nostre strade e
delle nostre piazze.
"Fosse concesso", per la semplice ragione che Rom e Sinti non sono animali o
fenomeni da baraccone (e neanche spaventapasseri da agitare in periodo
elettorale): a festeggiare, a ricordare le loro storie - belle o brutte che
siano - sono capacissimi da soli, nei loro tuguri isolati dal nostro mondo, ma
vorrei che, magari un giorno all'anno, ci concedessimo NOI il lusso della loro
compagnia.
8 aprile:
GIORNATA INTERNAZIONALE DEL POPOLO ROM. La vigilia ero al
Teatro Valle Occupato di Roma, a festeggiare il ROMANO DIVES con
amici vecchi e nuovi da tutta Italia e anche dall'estero. E musica, balli, vino,
poesia e teatro (persino una giornata di sole dopo mesi e mesi di pioggia!)...
Che io fossi Rom oppure no, sono uscito dal teatro e mi pareva di camminare ad
un metro da terra.
In città, in quelle stesse ore, si stava svolgendo un'altra festa, più laica
e compassata ma altrettanto importante: le PRIMARIE per scegliere il candidato
del centro-sinistra a sindaco di Roma. Non ho capito bene come (è un classico
del nostro tempo: le notizie girano ma non le capiamo), la festa civile e
democratica che doveva essere la conclusione delle primarie, si è tramutata in
una bassa polemica sui Rom richiamati alle urne da qualche prebenda.
La prima cosa che mi è venuta in mente è stata: ma neanche il giorno
della propria festa si può rimanere in pace?? O dite che la cosa è
stata fatta apposta?
Io non lo so, chi ha lanciato il sasso, pronta, ha ritirato la mano: "Non è
razzismo!" si è subito giustificata. Così qualche ora dopo (mi aspettavo una
reazione sincronica del PDL, lo ammetto), è il Movimento 5 Stelle, anzi il suo
candidato a sindaco di Roma, che riprende la palla con la foto riportata sotto.
Devo dirlo, la tristezza è triplicata:
perché così si sono rovinate due feste lo stesso giorno, e
chi non sa godersi l'atmosfera della festa, non sarà (credo)
qualcuno di cui fidarmi;
Cristiana Alicata e Marcello De Vito non sono residuati bellici,
sono invece quella politica che avremo di fronte in un futuro
prossimo, sono quello si dice "IL NUOVO". Un nuovo, che non
riesco a distinguere dal resto del vecchiume.
Termino, ricordando una bella pagina:
Laura Boldrini, la Presidente della Camera, che riceve una delegazione di
giovani (ancora, il futuro che ritorna) rom e sinti proprio l'8 aprile. Qualcosa
si è rotto nel silenzio dei media, e così la notizia gira su diverse testate. Ne
parla anche
il Giornale, con un articolo che non condivido, ma mi è piaciuto perché
rispettoso, anche se critico.
Quello che nuovamente mi ha rattristato sono i commenti, beceri, di chi fa di
tutto per dimostrare che punti di contatto non ne vuole, non ne cerca, neanche
un giorno all'anno.
Non sono rom, questo almeno lo so, ma quel che è peggio è che in momenti
simili, credo di non essere più nemmeno italiano. Forse, è giusto così.
Di Fabrizio (del 11/04/2013 @ 09:09:10, in casa, visitato 1465 volte)
Messina: a un anno dal lancio del progetto di autocostruzione di abitazioni per
i rom promosso dal Comune, quasi ultimati 10 appartamenti dove abitano
complessivamente 70 rom che prima vivevano in un campo fatiscente: costo
complessivo solo 150 mila euro.
Chiudere un campo e permettere a rom e sinti di vivere in casa, si può fare:
costa anche dieci volte meno di un campo attrezzato, risparmiano i cittadini e
ne beneficiano tutti in termini di integrazione. È quanto sta succedendo a
Messina, dove ad un anno dal lancio del progetto di autocostruzione di
abitazioni per i rom promosso dal Comune, sono stati realizzati e quasi ultimati
ben 10 appartamenti dove ci abitano complessivamente 70 rom che prima vivevano
in un campo fatiscente: costo complessivo dell'operazione? Solo 150 mila euro.
Proprio nella giornata internazionale per i Rom, che si celebra oggi, a fare il
punto con Redattore Sociale sull'andamento dei lavori è l'ex assessore alle
politiche per l'Integrazione multietnica, Dario Caroniti, uno dei promotori del
progetto "Casa e/è lavoro" prima del commissariamento del Comune di Messina.
"L'ultima parte del progetto si sta esaurendo proprio in queste settimane -
spiega Caroniti -. Sono ormai completati i lavori degli ultimi quattro
appartamenti". Tuttavia, le 10 famiglie allargate sono già tutte in casa.
Il progetto è stato realizzato per iniziativa del Comune e grazie ai fondi messi
a disposizione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Gli
appartamenti, inoltre, resteranno di proprietà del Comune. "Per i primi anni i
rom non pagheranno l'affitto perché si terrà conto del loro lavoro - ha spiegato
Caroniti -, poi, dopo 5 o 6 anni, cominceranno a pagare un canone sociale. I rom
non hanno partecipato alle spese, ma hanno lavorato". In fase di avvio del
progetto, dieci rom sono stati coinvolti in un percorso di formazione promosso
dalla Scuola Edile, al termine del quale sono stati consegnati gli attestati per
la sicurezza sul lavoro. E sono stati loro, insieme a ditte specializzate, a
rimettere a nuovo stabili abbandonati all'interno della città. "Alcuni
appartamenti si trovano vicino al capolinea del tram - spiega Caroniti -,
all'inizio di una zona residenziale. Erano appartamenti al pian terreno
abbandonati nel degrado più totale. Altri appartamenti, invece, si trovano in un
villaggio di Messina centro e sono stati realizzati partendo da una scuola
chiusa". Non sono situati nel centro storico, spiega Caroniti, ma non sono
neanche in periferia: sono nel centro urbano, "in quartieri popolari dove si è
verificato un inserimento completo per la maggior parte dei rom".
Il progetto realizzato a Messina, racconta Caroniti, è il primo sull'isola, ma
in Italia di esperienze di questo tipo ce ne sono altre. Come quella di Padova,
dove sono state costruite alcune abitazioni, sempre in autocostruzione. È il
Villaggio della Speranza, seguito dall'Opera nomadi di Padova Onlus e realizzato
grazie al finanziamento del Comune di Padova e dell'allora Ministero della
Solidarietà sociale. In questo caso, sono 12 i nuclei di famiglie sinte che
hanno lasciato uno dei due campi di Padova per trasferirsi nelle 12 abitazioni
realizzate, anche in questo caso, non lontane dal centro della città. "Il
progetto si è concluso nel 2009 - racconta Marta Silvi, operatrice dell'Opera
nomadi Padova -. Le famiglie sono tutte entrate in casa e sono tutte sistemate
negli alloggi che funzionano perfettamente, consentendo la chiusura del campo di
via Tassinari. Erano tre macronuclei, tutte con parentela tra di loro: circa 30
persone". I costi per la realizzazione delle abitazioni, in questo caso, sono
stati maggiori di quelli del progetto siciliano. Si parla di circa 750 mila
euro, ma per abitazioni nuove. "Il comune di Padova ha messo a disposizione il
terreno e la prima parte dei finanziamenti - spiega Silvi -. Il resto dei fondi
sono arrivati dall'allora Ministro della Solidarietà sociale, Ferrero. Gli
alloggi sono di proprietà del Comune e le famiglie che vi risiedono pagano
l'affitto in base all'Isee".
In tutti e due i casi, inoltre, è bastato un solo anno di lavoro dalla posa
della prima pietra per vedere il progetto realizzato. Un po' più lunghe le fasi
di progettazione, ma alla fine, spiegano i responsabili dei vari progetti, non
ci sono stati intoppi e lungaggini. Quel che balza agli occhi, però, è il costo
netto dei due progetti confrontati con le spese che affrontano le
amministrazioni comunali per tenere in piedi campi attrezzati. Uno su tutti,
l'esempio di Roma, dove secondo l'associazione 21 luglio, da anni impegnata
nella difesa dei diritti dei rom, i costi procapite per i rom residenti nei
campi voluti dal "Piano nomadi" sono ben più alti. Prendendo in considerazione
il nuovo campo della Barbuta, infatti, tra costi di realizzazione (stimati
dall'associazione in 10 milioni di euro per accogliere 600 persone) e di
mantenimento (circa 450 euro al mese a persona, secondo la 21 luglio), per
singolo rom il Comune di Roma arriva a spendere oltre 20 mila euro. Per una
comunità di 70 persone, come a Messina, si supera quota 1,5 milioni di euro,
contro i 150 mila utilizzati in Sicilia. Le case realizzate dagli stessi rom e
sinti, inoltre, non hanno un costo annuo. Hanno comportato soltanto una spesa
iniziale, nel caso di Messina inferiore di dieci volte alla stima della 21
luglio per la capitale, restano di proprietà del Comune, gli inquilini pagano
regolarmente affitto e utenze e soprattutto risiedono all'interno del tessuto
sociale da cui troppo spesso sono tagliati fuori.
Di Sucar Drom (del 10/04/2013 @ 09:05:16, in blog, visitato 1309 volte)
Mantova, blitz inaccettabile!
Pubblichiamo il comunicato stampa del Consiglio direttivo dell'associazione
Sucar Drom, dopo il "blitz" delle Forze dell'Ordine che ha visto coinvolte
alcune famiglie mantovane, appartenenti alla minoranza linguistica sinta...
Mantova, la Federazione stigmatizza le modalità del blitz
La Federazione Rom e Sinti Insieme denuncia l’uso abnorme e sproporzionato della
"Forza Pubblica" nell’intervento congiunto effettuato martedì scorso, 26 marzo,
in zona Trincerone...
Mantova, Sucar Drom: il Sindaco risponda alle cinque domande!
Respingiamo con forza le accuse formulate dal Sindaco di Mantova (in foto) e
dall'Assessore comunale Rose. Il Sindaco di Mantova difende il Comandante e il
Vice comandante della Polizia Municipale, ma...
Mantova, manifestazione CHER PAR KROLL
L'associazione Sucar Drom, insieme alla Federazione Rom e Sinti Insieme, invita
tutti alla manifestazione con corteo "IA CHER PAR KROLL - UNA CASA PER TUTTI"
per riaffermare il diritto alla casa per i Cittadini italiani, appartenenti alle
minoranze linguistiche sinte...
Mantova, presentata interrogazione in Consiglio comunale
Pubblichiamo l'interrogazione a risposta scritta presentata dal Consigliere
comunale Claudio Bondioli Bettinelli (in foto), Capogruppo "Insieme per Brioni
Sindaco", relativa all’operazione delle Forze dell’ordine, coordinate dalla
Polizia locale, in zona Trincerone, del 26 marzo 2013...
Mantova, revocata la manifestazione IA CHER PAR KROLL – UNA CASA PER TUTTI
Il Consiglio direttivo dell'associazione Sucar Drom, ieri e questa mattina, ha
avuto dei contatti informali con il Sindaco del Comune di Mantova, Nicola
Sodano. I colloqui avvenuti con una delegazione del Consiglio direttivo hanno
aperto un confronto...
Venerdì 12 aprile, 2013, h. 17.30. Piazza San Leonardo a Mantova, presso il
Teatro del Palazzo del Mago Invitiamo tutti a partecipare alla pubblica assemblea
"IA CHER PAR KROLL - UNA CASA PER TUTTI" per riaffermare il diritto alla casa
per i Cittadini italiani, appartenenti alle minoranze linguistiche sinte.
Partecipa anche tu per conoscere le problematiche vissute dai sinti sul tema
dell'abitare. I singoli e le associazioni possono aderire all'assemblea pubblica
scrivendo a info@sucardrom.eu
Nel più grande campo profughi dei Balcani, i rom fuggiti dalla guerra del Kosovo
hanno passato mesi in container di metallo senza elettricità, dopo che le
baracche in cui vivevano erano andate a fuoco. (Questo articolo è stato originariamente pubblicato da
Balkan Insight il 13
marzo 2013, col titolo
Montenegro's Container Camp Refugees Survive Winter
Freeze)
Le file di scatole bianche di metallo sono l'unico segno di ordine in mezzo al
caos del campo di Konik, impantanato nel buio del tardo pomeriggio nonostante il
clamore dei bambini che giocano e la musica proveniente dai container i cui
abitanti sono riusciti a 'prendere in prestito' elettricità dalle case vicine.
Siamo nel più grande campo profughi dei Balcani, situato alla periferia della
capitale montenegrina, dove vivono 1.500 profughi rom che hanno lasciato il
Kosovo durante il conflitto fra le guerriglie albanesi e le forze del governo
serbo nel 1999.
Valjdet Ramaj è uno degli abitanti del campo. La sua famiglia viveva in una fra
le tante fatiscenti baracche di legno disposte su un terreno abbandonato coperto
di spazzatura, ma è stata trasferita in una tenda quando la maggior parte di
queste strutture sono bruciate nell'incendio che ha devastato il campo a luglio
dell'anno scorso. Nel mese di novembre 2012, il governo montenegrino ha fornito
oltre 200 container da utilizzare come abitazioni temporanee, promettendo che
l'elettricità sarebbe stata installata. Ma, all'inizio dell'inverno,
l'elettricità non è arrivata.
"Le capanne erano migliori, più calde", ha dichiarato Ramaj a BIRN, affermando
che vivere in un container è "quasi come vivere in un congelatore".
Diverse decine di persone hanno protestato davanti alla sede della delegazione
UE a Podgorica nel mese di gennaio, chiedendo l'installazione dell'elettricità.
"I miei figli vanno a scuola. Quando tornano la sera, non possono fare i
compiti. È buio. Non vogliono andare a scuola. Non riescono a leggere. Non
riescono a vedere", ha detto a BIRN un altro residente del campo, Gasi Gani.
Una bolletta da 800.000 euro
Prima dell'incendio, gli abitanti di Konik avevano usato elettricità senza
pagare fino ad accumulare un debito di 800.000 euro nei confronti dell'Elektroprivreda
Crne Gore (compagnia elettrica del Montenegro, a maggioranza statale): una somma
che è improbabile i rifugiati possano mai possedere. Il problema è ora sulla via
di soluzione, anche se Zheljko Shofranac, direttore dell'Ufficio per i rifugiati
del Montenegro, ha avvertito che "nessuno può essere più esentato dall'obbligo
di pagare l'elettricità".
Molti dei rifugiati che vivono nel campo sono ancora in attesa che le autorità
risolvano la questione del loro status giuridico in Montenegro, e non hanno
quindi i documenti necessari per ottenere posti di lavoro. Ma dopo aver
trascorso la maggior parte dell'inverno al freddo, Ramaj dice di essere pronto a
firmare un contratto con la società di energia elettrica, anche se non è ancora
sicuro di come riuscirà a pagare le bollette.
"Cercheremo una soluzione, faremo qualcosa... faremo la fame, ma almeno saremo
in grado di vedere quello che mangiamo e beviamo", dice Ramaj.
Anche se manca poco alla primavera e all'arrivo della luce, per alcuni dei
rifugiati le serate sono destinate a rimanere buie. Non c'è luce nelle nove
baracche di legno sparse sulla terra senza erba, fra enormi pozzanghere, in
fondo al campo: le uniche case sopravvissute all'incendio dello scorso anno. A
differenza di chi sta nei container, le 350 persone che vivono qui non avranno
elettricità fino a quando i residenti del campo non avranno saldato il debito.
"Il debito deve essere pagato perché loro possano usare l'elettricità", ha
dichiarato SHofranac, che ha promesso: "Il governo è consapevole del problema e
sta cercando una soluzione con l'azienda elettrica".
Una luce nelle tenebre
Alcuni residenti di Podgorica sembrano simpatizzare con la difficile situazione
dei rifugiati: "Una società si misura dal modo in cui tratta i suoi membri più
deboli", ha dichiarato a BIRN un abitante del luogo.
Ma la situazione al campo Konik è il segno di un problema più ampio che affligge
il Montenegro da anni. Anche se il paese è riuscito a evitare alcune delle più
dure conseguenze delle guerre degli anni novanta, alla fine di quel decennio
oltre il 10 per cento della popolazione era costituita da rifugiati. Ora vanno
affrontate le questioni abitative di quei rifugiati che hanno deciso di restare,
dato che sia il governo che le organizzazioni internazionali sono consapevoli
del fatto che né i container né le baracche di legno rappresentano una soluzione
al problema.
I funzionari di Podgorica sperano di ottenere il denaro necessario per
migliorare la situazione attraverso le donazioni di un progetto internazionale
istituito lo scorso anno in una conferenza a Sarajevo, che ha raccolto finora
270 milioni di euro, nel tentativo di risolvere i problemi logistici dei
profughi in Bosnia, Croazia, Montenegro e Serbia.
Nel marzo dello scorso anno, dopo un accordo tra il Montenegro e l'Unione
europea, tre milioni di euro sono stati stanziati per la costruzione di 90
appartamenti e un community center per le famiglie che vivono nel campo di Konik.
"Questo progetto dovrebbe essere un indicatore dei risultati raggiunti e degli
standard che dobbiamo raggiungere per avviare i progetti che saranno realizzati
attraverso il processo di Sarajevo", ha dichiarato Shofranac.
Altri due progetti volti a fornire alloggi per i rifugiati del Kosovo sono stati
proposti per il sostegno dei donatori di Sarajevo. Uno di questi prevede la
costruzione di 62 appartamenti a Nikshic, seconda città del Montenegro, e un
altro dovrebbe fornire ulteriori 42 appartamenti per i residenti del campo di
Konik.
I lavori di costruzione dovrebbero iniziare nel settembre di quest'anno. Ma fino
a quando le nuove case non saranno ultimate, la maggior parte dei profughi
continuerà a vivere nei container di metallo e guardare con invidia alle case di
pietra e mattoni dei loro vicini.
Di Fabrizio (del 08/04/2013 @ 09:03:34, in Italia, visitato 1666 volte)
Intervista a Dolores Barbetta - Laura Eduati,
L'Huffington Post | Pubblicato: 07/04/2013 13:04 CEST
Al liceo i compagni di classe si stupivano che non portasse le gonne lunghe
delle zingare e che vivesse in una casa con quattro mura e un bagno. D'altronde
suo padre, operaio Fiat a Melfi, quando era piccola le ripeteva che avrebbe
sempre incontrato persone ottuse e ignoranti. Glielo diceva in romanés, la
lingua dei rom, la stessa con la quale ora Dolores Barbetta si rivolge alle
nomadi che chiedono l'elemosina in metropolitana: lontane anni luce dalla sua
esperienza di vita ma vicine nella tradizione culturale.
"Non sono mai entrata in un campo rom", confessa questa ragazza di 27 anni,
laureata in lettere e residente a Roma, che lunedì varcherà il portone di
Montecitorio per incontrare la presidente Laura Boldrini in occasione della
Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti. Con lei un gruppo di ragazzi rom
dell'Associazione 21 luglio: una vittima degli sgomberi forzati, uno studente di
Milano, una madre residente in un campo rom romano e un apolide. Dolores dice
che in quel momento, mentre entrerà alla Camera, si sentirà "una mosca bianca":
"So che la mia vita, la mia realtà, le mie giornate sono completamente diverse e
molto più fortunate della stragrande maggioranza dei rom che vivono in Italia".
Dolores sta frequentando un corso di ripresa e montaggio: vorrebbe girare presto docu-film. Legge con passione i romanzi di Irène Némirovski e Haruki Murakami.
Come moltissimi suoi coetanei, teme di dovere fare le valigie e andare
all'estero per trovare un lavoro. E sulla crisi politica dice: "Grillo era una
grande speranza e invece sta facendo il despota".
Cosa dirà a Laura Boldrini?
Dirò che i rom hanno bisogno di integrazione e gli apolidi, nati in Italia da
profughi della ex Jugoslavia, hanno bisogno della cittadinanza italiana. I
bambini che vivono segregati in questi ghetti vengono portati a scuola da
autobus con una R sulla fiancata, vivono molto lontani dai centri abitati e non
possono giocare e fare i compiti con i loro compagni
come succedeva a me, a
Melfi.
A Melfi esiste una nutrita comunità rom. La sua famiglia ha subito
discriminazioni?
I rom vivono a Melfi dal 1600. Viviamo tutti negli appartamenti, siamo italiani
e abbiamo naturalmente la cittadinanza. Eppure i gagé (i non-rom, ndr) ancora
oggi ci guardano con diffidenza. Per esempio i miei nonni materni non volevano
che mia madre sposasse "uno zingaro" ma poi il matrimonio si è celebrato
ugualmente. E quando si gioca a calcio e arriva una squadra da un'altra città
allora partono i cori dei tifosi contro gli zingari. Da piccola mi vergognavo di
essere rom ma poco a poco ho capito che questa è la mia cultura di appartenenza
e ne sono orgogliosa: i miei bisnonni erano realmente nomadi e giravano la
Puglia in carovana, mio nonno lavorava con i cavalli, le mie zie hanno molti
figli, una addirittura 13. Io invece sono figlia unica. Ma sogno di avere almeno
tre o quattro bambini. Per noi la famiglia è importante, un rifugio che ripara
anche dalla diffidenza ma che può ostacolare l'integrazione.
Fatica a dire che è rom agli estranei?
No. Lo dico con orgoglio, non mi nascondo. Per fortuna ho amici che mi vogliono
bene e raramente ho incontrato persone razziste. L'episodio che mi ha fatto
soffrire maggiormente è capitato a quattordici anni, quando un ragazzino che si
era invaghito mi scrisse un messaggio per invitarmi a uscire. Gli risposi che
non mi andava, e allora si sfogò: "Sei solo una brutta zingara, perché te la
tiri tanto?". I miei genitori mi hanno sempre parlato delle discriminazioni che
avrei potuto subire.
Perché non ha mai visitato un campo rom?
Lo farò presto. Sto frequentando un corso di montaggio e regia, la mia passione,
ma potrei cominciare a lavorare come mediatrice culturale perché conosco il
romanés. E quando incontro una nomade che chiede l'elemosina non riesco a
sopprimere la mia curiosità, mi avvicino e comincio a parlare con lei per
sentire parlare la nostra lingua. È il legame che unisce le comunità rom,
un'eredità che non riuscirò a trasmettere ai miei figli: la capisco bene ma la
parlo male. E non c'è modo di recuperarla, perché è una lingua non scritta, non
esiste una grammatica.
Come si sente quando i rom vengono definiti ladri e criminali?
È una strumentalizzazione politica. Lo so che i rom non sono tutti santi, ma è
come se dicessimo che tutti gli ebrei sono ricchi. Penso che se i rom finalmente
potessero vivere nelle case, se gli italiani capissero che un rom può laurearsi
e vestirsi come tutti gli altri, allora le cose cambierebbero.
Vive a Roma da molti anni, sarà per sempre?
Roma è una grande città del Sud, una mamma che ti vizia troppo e ti culla.
Questo mi fa felice. Ma è anche una città immobile, i romani stanno sempre in
macchina, pigri e arrabbiati. Potrei andare a vivere a Milano oppure a Berlino.
Se non troverò un lavoro dovrò andarmene, come tanti. Ho votato a sinistra e
pensavo che Grillo fosse una speranza ma si sta rivelando un despota. L'Italia
ha bisogno di cambiare in fretta.
(Claudio Stasolla, il presidente dell'associazione 21 luglio che ha
organizzato l'incontro dei rom con Laura Boldrini, suggerisce a giornalisti e
lettori di sostituire durante la lettura dell'articolo la parola "ebreo" alla
parola "rom". Soltanto così, dice, è possibile comprendere l'abisso di
discriminazione subita dai cosiddetti nomadi).
Di Fabrizio (del 07/04/2013 @ 09:01:36, in conflitti, visitato 2063 volte)
Voice of AmericaI Dom: rifugiati invisibili dalla Siria - Cecily Hilleary -
March 22, 2013
Una famiglia dom si accampa, Turchia meridionale
Oltre 70.000 persone sono state uccise e centinaia di migliaia lasciate senza
casa dalla guerra civile in Siria, che sta spargendo miseria tra tutti i gruppi
etnici e religiosi della nazione.
Ma c'è una minoranza etnica che ha subito oltre la propria quota di
sofferenza - sia durante i combattimenti odierni e nei secoli precedenti - e
pochi fuori dalla Siria ne conoscono qualcosa. Il gruppo è quello dei Dom ed è
presente in Siria da prima dell'impero ottomano.
Spesso etichettati col peggiorativo "zingari", i Dom prendono il nome dalla
loro lingua, il domari, che significa "uomo". Si sono aggiunti all'esodo di
cristiani, musulmani ed altri Siriani, rifugiatisi in Giordania, Libano, Turchia
e altrove. Ma dovunque vadano, si trovano di fronte ad un benvenuto men che
tiepido. Come ci ha detto una fonte: "Sono le persone più disprezzate del Medio
Oriente."
Chi sono i Dom?
Complicati ed incompresi, i Dom sono presenti in Medio Oriente da almeno un
migliaio di anni. La maggior parte delle informazioni su di loro proviene dalla
lingua stessa, il domari, una variazione dell'hindi. E' simile al romanì, la
lingua dei Rom europei, il che suggerisce una comune radice indiana.
Sia il romanì che il domari sono disseminati di imprestiti da altre lingue,
riflesso di una storia di migrazione dall'Iran e altrove. A parte questo, si sa
poco della loro origine - o manca l'accordo tra gli studiosi.
Durante il periodo ottomano, i Dom si spostarono liberamente in tutto il
Medio Oriente come nomadi "legati al commercio", fornendo servizi alle comunità
ovunque si insediassero. La caduta dell'impero ottomano in seguito alla I guerra
mondiale, portò alla formazione degli stati nazionali con confini propri, cosa
che limitò notevolmente i movimenti dei Dom.
In Siria, e altrove nella regione, vengono chiamati Nawar - probabilmente una
parola derivata da "fuoco", riferita al loro lavoro tradizionale come fabbri
ferrai. Ma negli anni la parola "Nawar" si è evoluta in peggiorativo, finendo
coll'indicare una persona
ignorante e incivile.
I Dom si differenziano anche in base alla regione abitata o al lavoro svolto.
Ad Aleppo e Idlib, sono chiamati Qurbat e lavorano come fabbri o
dentisti non diplomati. I cosiddetti Riyass vivono a Homs e Hama,
dove vendono manufatti o come intrattenitori alle feste. Alcune donne, chiamate
Hajiyat, danzano nei
night
di Damasco, mendicano o predicono il futuro.
I numeri
"La popolazione ufficiale dom potrebbe essere superiore alle stime,
perché molti di loro si descrivono come Curdi, Arabi o Turcomanni."
Kemal Vural Tarlan
E' quasi impossibile stimare la popolazione dom in Siria, in quanto spesso
nascondono la loro identità per paura di essere stigmatizzati. Secondo
International’s Ethnologue
sarebbero 37.000 i Dom siriani che parlano il domari, assieme all'arabo. Ma per
il giornale siriano Kassioun nel 2010 forniva il doppio di quel numero.
Kemal Vural Tarlan
è un fotografo, documentarista, scrittore e attivista che si focalizza, dice, su
quanti vivono ai margini della società, principalmente Dom e Rom. E' anche
autore del sito
Middle East Gypsies.
Dice che i Dom sono visti come estranei e intrusi, perciò sono quasi
universalmente discriminati, Quindi spesso nascondono la loro origine etnica,
attraverso ciò che chiamano la capacità dell'invisibilità,
che li aiuta a spostarsi dentro e fuori le comunità.
La popolazione dom ufficiale potrebbe essere di parecchio superiore alle stime,
perché molti Dom si descrivono come Curdi, Arabi o Turcomanni," dice Tarlan.
Qualunque sia il loro numero, ne vivono in Siria più che da qualsiasi altra
parte del Medio Oriente.
Fotogalleria
Dom rifugiati in Turchia
La Turchia è stata la patria degli "zingari" sin dall'epoca
bizantina, e nel 2005 l'ACNUR
stimava la popolazione Rom-Dom in 500.000. Kemal Tarlan ha passato diverso
tempo nelle ultime settimane sul confine, per documentare l'afflusso dei Dom
dalla Siria. I Dom si sono insediati nelle città della Turchia meridionale di Kilis, Gazientep and
Shanliurfa.
"Inizialmente hanno potuto registrarsi nei campi profughi ufficiali," dice, "ma
ora non è più possibile, perché sono pieni."
Alcuni Dom sono andati ad abitare con el famiglie in città. Quelli che non hanno
un posto dove andare, vivono in tenda come nomadi. Tarlan dice che ricevono poca
assistenza dal governo, così mendicano per sopravvivere o cercano lavoro nei
campi.
"Ma la maggior parte è disoccupata," dice, e questo ha portato a tensioni
locali. Recentemente, dopo che i cittadini di Shanliurfa hanno iniziato a
lamentarsi dell'aumento dei piccoli furti, le autorità hanno
smantellato e dato alle fiamme un'improvvisata tendopoli. I mezzi di
comunicazione si riferivano a loro come "i Siriani". Ma Tarlan dice che la
maggior parte erano Dom.
Nel Libano
"Vivono tutti in condizioni disastrose. Non trovano lavoro, eccetto che nel
riciclo destinato alla discarica: alluminio, ferro o cartone; giusto di che
sopravvivere."
Catherine Mourtada, Tahaddi
Con Beirut a sole 65 miglie di distanza, molti Dom da Damasco sono scappati in
Libano. Catherine Mourtada è cofondatrice di
Tahaddi (Sfida) una OnG
che offre assistenza ai diseredati di Beirut, tra cui ci sono molti Dom.
"Sono esclusi dal normale sistema scolastico, anche perché non soddisfano i
criteri di ammissione o perché le scuole pubbliche sono piene. Così, vengono da
noi," dice Mourtada.
Mourtada ha visto crescere il numero dei Dom provenienti dalla Siria, che
cercano di rimanere presso i loro parenti libanesi.
"Sono già molto poveri, e ora devono accogliere altri membri della loro famiglia
molto poveri, che arrivano dalla Siria, quindi per loro è molto dura. Vivono
tutti in condizioni terribili," dice. "Non trovano lavoro, eccetto che
nel riciclo destinato alla discarica: alluminio, ferro o cartone; giusto di che
sopravvivere."
In alcuni casi, i Dom di Beirut sono costretti a mandare via i loro parenti
siriani. "Così devono trovare da qualche parte una stanza in affitto. Sono
fortunati se riescono a trovare un bagno o acqua corrente," continua Mourtada.
Dato che in Libano non ci sono campi profughi ufficiali, come invece in
Giordania o in Turchia, Mourtada dice che i Dom hanno iniziato ad insediarsi in
tendopoli nella valle della Bekaa.
In Giordania
Nel 1999, Amoun Sleem fondò la
Domari Society,
un centro culturale ed educativo nel quartiere di Shu'fat a Gerusalemme Est. Dom
lei stessa, racconta di aver sperimentato sulla propria pelle la
discriminazione, la marginalizzazione culturale e la povertà che per molti Dom
sono il risultato dell'analfabetismo.
Dice: "Ogni volta che un disastro colpisce il Medio Oriente, nessuno si da
pensiero di quale sarà l'impatto sui Dom."
Sleem aggiunge di aver ricevuto notizie su molti Dom rifugiati che vivono nel
campo di Zaatari o nelle sue vicinanze, a Mafraq, in Giordania. Sta tentando di
ottenere un permesso per visitare il campo, ma per questo sta incontrando
diverse difficoltà. Nel contempo, sta cercando di incoraggiare le famiglie Dom
giordane ad ospitare i rifugiati.
"Non è molto facile," dice, "ma se accadesse, sarebbe davvero una cosa molto
buona."
Il Consiglio direttivo dell'associazione Sucar Drom, ieri e questa mattina,
ha avuto dei contatti informali con il Sindaco del Comune di Mantova, Nicola
Sodano. I colloqui avvenuti con una delegazione del Consiglio direttivo hanno
aperto un confronto che riteniamo serio e costruttivo, capace di superare
l'attuale grave momento, maturato dopo il blitz del 26 marzo 2013 che ha
coinvolto alcune famiglie mantovane, appartenenti alla minoranza linguistica
sinta.
Il Consiglio direttivo ribadisce le azioni legali già preannunciate contro le
modalità del blitz e contro il Consigliere comunale Luca De Marchi. Inoltre, si
preannuncia che sarà organizzata per venerdì 12 aprile 2013 un'assemblea
pubblica a cui si chiederà al Sindaco di Mantova, a tutte le forze politiche e a
tutta la Società civile di partecipare, in cui verranno spiegate le
problematiche abitative vissute dalle famiglie mantovane, appartenenti alla
minoranza linguistica sinta.
Altresì il Consiglio direttivo ritiene di accogliere l'invito del Sindaco di
Mantova ad un incontro istituzionale e pubblico il giorno mercoledì 10 aprile
2013, presso la sede comunale di via Roma. Di conseguenza, sentita anche la
Federazione Rom Sinti Insieme, viene revocata la manifestazione "IA CHER PAR
KROLL - UNA CASA PER TUTTI".
Il Consiglio direttivo, congiuntamente all'intera Comunità Sinta Mantovana,
chiede che venga al più presto riattivato il Tavolo Abitare, convocato dal
Comune di Mantova, all'interno della Strategia locale "Men Sinti". Inoltre, il
Consiglio direttivo auspica che tutti i componenti della Strategia "Men Sinti"
si adoperino per trovare nel più breve tempo possibile soluzioni partecipate e
condivise per le problematiche presenti.
Il Consiglio direttivo ringrazia tutte le persone, le associazioni e le forze
politiche che in questi giorni hanno voluto essere vicine alla Comunità Sinta
Mantovana.
Di Fabrizio (del 05/04/2013 @ 09:05:12, in Europa, visitato 1968 volte)
Foto di Fulvia Vitale -
LE PERSONE e la DIGNITA' di Riccardo Noury "Riguarda l'Europa. Riguarda te".Questo è lo slogan
ufficiale del 2013, Anno europeo dei cittadini.
Circa la metà dei 10-12 milioni di rom che vivono in Europa si trova nei paesi
dell'Ue.
Otto famiglie rom su 10 sono arischio povertà. Solo
un rom su sette ha terminato le scuole di secondo grado. A livello dei singoli stati membri, le
comunità rom si collocano al di sotto di quasi tutti gliindici di sviluppo sui
diritti umani.
Lo dice il fatto che a distanza di oltre un decennio dall'adozione della
Direttiva sull'uguaglianza razziale del 2000 e di quattro anni dall'entrata in
vigore della
Carta dei diritti fondamentali, mai una volta la Commissione
europea ha ritenuto di dover avviare qualche azione a sostegno dei diritti dei
rom.
Che l'Europa non riguardi i rom, lo pensano anche alcuni cittadini degli stati
membri.
In un
sondaggio effettuato nel 2012, il 34 per cento degli europei riteneva che
i cittadini dei loro paesi si sarebbero sentiti a disagio, e il 28 per cento
"mediamente a loro agio" se i loro bambini avessero avuto dei rom come compagni
di classe.
In Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, dal gennaio 2008 al luglio
2012, vi sono stati oltre 120 attacchi gravi contro i rom e le loro proprietà,
tra cui sparatorie, accoltellamenti e lanci di bombe Molotov.
Gli sgomberi forzati continuano a costituire la regola, e non l'eccezione in
molti paesi europei, tra cui Francia, Italia e Romania. L'istruzione è segregata
in Grecia, Repubblica Ceca e Slovacchia, in contrasto con le leggi nazionali ed
europee che proibiscono la discriminazione razziale.
Ecco la situazione, nel dettaglio, in alcuni paesi:
In Bulgaria si stima che i rom siano 750.000, il 9,94 per cento della
popolazione. Più del 70 per cento dei rom dei centri urbani vive in quartieri
segregati. In 14
attacchi contro persone rom e/o loro proprietà, portati a segno
tra settembre 2011 e luglio 2012, sono morte almeno tre persone e altre 22, tra
cui una donna incinta e due minori, sono rimaste ferite.
I circa 200.000 rom presenti nella Repubblica Ceca costituiscono l'1,9 per cento
della popolazione. Più o meno un terzo (dalle 60.000 alle 80.000 persone) vive
in 330 insediamenti per soli rom, all'interno dei quali la disoccupazione è
superiore al 90 per cento. I bambini e le bambine rom costituiscono il 32 per
cento del totale di coloro che sono assegnati a
scuole per "alunni con lieve
disabilità mentale" e che seguono programmi scolastici ridotti. Nel corso degli
attacchi violenti verificatisi tra il gennaio 2008 e il luglio 2012 sono stati
uccisi almeno cinque rom e almeno 22, tra cui tre minorenni, sono rimasti
feriti.
In Francia vivono circa 500.000 traveller, molti dei quali cittadini francesi.
Vi sono poi altri 15.000 - 20.000 rom provenienti da Bulgaria e Romania. I
migranti rom dei campi e degli insediamenti informali sono oggetto di
sgomberi
forzati e di espulsione verso i paesi d'origine. Nel 2012 sono stati eseguiti
11.803 sgomberi, l'80 per cento dei quali aventi caratteristiche di sgombero
forzato. Ieri, ce n'è stato
un altro, che ha coinvolto oltre 200 persone. Solo
il 10 per cento dei rom ha completato gli studi secondari.
Dei circa 750.000 rom residenti in Ungheria, il 7,49 per cento della
popolazione, solo il 20 per cento ha un'istruzione superiore al primo grado,
rispetto alla media nazionale del 67 per cento. Solo lo 0,3 per cento ha
conseguito un diploma universitario. Tra gennaio 2008 e settembre 2012, vi sono
stati 61
episodi di violenza contro i rom e le loro proprietà, che hanno causato
la morte di nove persone, tra cui due minorenni, e decine di feriti, 10 dei
quali in modo grave.
I circa
150.000 rom, sinti e caminanti presenti in
Italia costituiscono lo 0,25
per cento della popolazione del paese. Le comunità rom comprendono persone
provenienti da altri paesi dell'Ue (soprattutto la Romania) e dai paesi dell'ex
Jugoslavia, un numero imprecisato di apolidi e circa un 50 per cento di
cittadini italiani. Solo il 3 per cento è costituito da gruppi itineranti. Oltre
un quarto dei rom presenti in Italia, circa 40.000 persone, vive in campi,
informali o autorizzati ma comunque a rischio di sgombero forzato. Negli ultimi
sei anni, a Roma e a Milano, ne sono stati eseguiti oltre 1000, quasi uno al
giorno e nella stragrande maggioranza dei casi si è trattato di sgomberi
forzati. Il 51 per cento della popolazione italiana ritiene che la società non
trarrebbe beneficio dalla migliore integrazione dei rom.
In Romania si stima vivano 1.850.000 rom, l'8,63 per cento della popolazione.
Circa l'80 per cento dei rom vive in povertà e quasi il 60 per cento risiede in
comunità segregate e senza accesso ai servizi pubblici essenziali. Il 23 per
cento delle famiglie rom (su una media nazionale del 2 per cento) subisce
multiple privazioni relative all'alloggio, tra cui il mancato accesso a fonti
d'acqua potabile e a servizi igienico-sanitari così come l'assenza di titoli
comprovanti la proprietà dei loro alloggi.
I circa 490.000 rom presenti in Slovacchia costituiscono il 9,02 per cento della
popolazione. Un terzo dei bambini e delle bambine rom, il 36 per cento, si trova
in
classi segregate per soli rom, il 12 per cento è assegnato a scuole speciali.
Nello spazio di una generazione, il numero degli alunni rom assegnati alle
scuole speciali è più o meno raddoppiato. Tra il gennaio 2008 e il luglio 2012
vi sono stati 16
attacchi contro i rom o le loro proprietà: cinque rom sono
stati uccisi e altri 10 feriti.
In Slovenia i rom sono circa 8500 e costituiscono lo 0,41 per cento della
popolazione. A differenza della percentuale nazionale che arriva quasi al 100
per cento, i rom che vivono nel 20-30 per cento degli insediamenti nel sud-est
del paese sono privi di accesso all'acqua. Mentre i litri d'acqua per uso
personale sono in media 150 al giorno (con punte del doppio nei centri urbani),
alcune famiglie rom hanno accesso solo a 10 - 20 litri d'acqua a persona.
Sul sito di Amnesty International Italia, è online da stamattina
un appello
indirizzato alla Commissaria europea per la giustizia, i diritti fondamentali e
la cittadinanza, Viviane Reding, per chiederle di porre fine alla
discriminazione nei confronti dei rom nell'Ue.
Nei prossimi giorni si svolgeranno numerose iniziative, organizzate sia da
Amnesty International che dall'Associazione 21 luglio, in
Italia e in
Europa.
L'associazione Sucar Drom, insieme alla
Federazione Rom e Sinti Insieme,
invita tutti alla manifestazione con corteo "IA CHER PAR KROLL - UNA CASA PER
TUTTI" per riaffermare il diritto alla casa per i Cittadini italiani,
appartenenti alle minoranze linguistiche sinte.
Partecipa anche tu per manifestare contro le discriminazioni istituzionali che
colpiscono i sinti sull'abitare. I singoli e le associazioni possono aderire
alla manifestazione scrivendo a
info@sucardrom.eu
Nel mese di febbraio 2012 il Governo italiano ha adottato il documento
"Strategia d'inclusione dei rom,dei sinti e dei camminanti" in ottemperanza alla
Comunicazione n.173/2011 della Commissione europea. Nel documento si chiede
esplicitamente alle Amministrazioni comunali di regolarizzare le abitazioni
(roulotte) delle famiglie sinte nelle aree agricole (pagina 85). Questa
richiesta è motivata dal fatto che le famiglie a partire dagli Anni Ottanta
hanno acquistato piccole proprietà con l'obiettivo di non entrare od uscire
dalle logiche ghettizzanti e assistenzialistiche proprie dei cosiddetti "campi
nomadi", in particolare nel Nord Italia. Le piccole proprietà sono state
acqusitate agricole per due motivi:
1) la legge permetteva di posizionare le strutture mobili sulle aree agricole,
2) la limitata capacità economica delle famiglie.
Dal 2005 il posizionamento di strutture mobili su terreni agricoli è diventato
illegale, ma nessuna norma è stata predisposta per regolarizzare le piccole
proprietà abitate dalle famiglie da decenni. Il Comune di Mantova colpevolmente
non ha attuato nessuna azione per ricercare delle soluzioni e tutte le proposte
presentate dall'associazione Sucar Drom in questi anni sono state rifiutate.
Nel mese di maggio 2012 sono stati presentati i dati dell'indagine "The
situation of Roma in 11 Ue Member States" che ha coinvolto 11 Paesi membri
dell'UE, tra cui l'Italia e Mantova ed è stata curata dell'Agenzia dell'UE per i
diritti fondamentali (FRA) e del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite
(UNDP). In Italia e a Mantova l'indagine è stata coordinata da Sucar Drom, dalla
Federazione Rom e Sinti Insieme, da Demaskopea e ha coinvolto decine di giovani
e meno giovani sinti e rom come rilevatori. La relazione finale si basa su due
indagini che analizzano la situazione socioeconomica di rom e sinti e dei loro
concittadini abitanti nelle stesse zone, in undici Stati membri dell’Unione
europea e in paesi europei limitrofi. Secondo la relazione molti rom e sinti
continuano a essere oggetto di discriminazione ed esclusione sociale in tutta
l’Unione europea. In media, la situazione dei rom e dei sinti è peggiore di
quella dei loro concittadini che vivono nelle strette vicinanze. Secondo la
relazione, negli undici Stati membri dell’UE considerati, che ospitano la
stragrande maggioranza dei cittadini rom e sinti dell’Unione europea, la
situazione scolastica, occupazionale, abitativa e sanitaria dei rom e dei sinti
è in media peggiore di quella degli altri abitanti nelle stesse zone. Inoltre,
rom e sinti continuano a subire discriminazioni e non hanno una conoscenza
sufficiente dei diritti garantiti dalla legislazione dell’Unione europea.
Il 26 marzo 2013 con un'azione spettacolare il Comune di Mantova, insieme alla
procura di Mantova, ha posto sotto sequestro le piccole proprietà dove vivono
tante famiglie sinte a Mantova. Noi diciamo no a questo scempio e alla
criminalizzazione di intere famiglie.
Di Fabrizio (del 03/04/2013 @ 09:09:27, in Europa, visitato 1220 volte)
Da Roma_Francais (Augurandovi di essere usciti tutti interi dalla
scorsa settimana santa, ho beccato un articoletto a tema)
I Rom sono pericolosi alla salute dei morti - 29 marzo
2013 par
Philippe Alain
Il sindaco di Villeurbanne è quello che si dice un socialista disinibito.
La scorsa estate aveva firmato su Le Monde una piattaforma a sostegno della
politica razzista del governo e chiedendo lo smantellamento mirato degli
accampamenti rom. Per lui, l'importante non è la rosa, non è nemmeno
l'accampamento, ma proprio il campo rom.
Fine agosto: assegna quindi al tribunale un centinaio di persone che avevano
trovato rifugio in fondo ad un parco naturale. Allora, per giustificare la
domanda d'espulsione, il sindaco precisava che i Rom minacciavano... le specie
protette.
La richiesta in effetti precisa: "Il parco naturale della Feyssine ospita
delle specie protette la cui protezione può essere minacciata da questo tipo di
occupazione."
In Francia è più importante proteggere gli animali che i bambini rom.
Il giudice ordina l'espulsione immediata e le famiglie si spostano su altri
due terreni, sempre a Villeurbanne, tanto per dimostrare l'assurdità di questa
politica che sposta senza risolvere assolutamente niente.
Ancora, i due terreni sono oggetto di una procedura d'espulsione, lanciata a
fine agosto 2012.
Durante tutti i 6 mesi in cui sono occupati dalle famiglie, nessuno di questi
terreni è fatto oggetto dell'applicazione della
circolare interministeriale del 28 agosto, inviata a tutti i prefetti.
E' la circolare che prevede la messa in opera, prima dell'espulsione, di una
diagnosi e sostegno alle famiglie.
Probabilmente, il prefetto di Lione non riceve le circolari
interministeriali. O forse non le legge, troppo occupato, senza dubbio, ad
affrontare la questione degli
elefanti da sottoporre ad eutanasia, che si trascina da mesi.
Per giustificare la sua domanda d'espulsione, il sindaco di Villeurbanne, in
mancanza di specie animali da proteggere trova un nuovo argomento: "Questa
occupazione, se dovesse prolungarsi, porrebbe immancabilmente gravi problemi
d'igiene tanto per gli occupanti che per gli abitanti attorno."
Bon, mi direte, è un classico, è l'argomento abituale... Salvo che... I
vicini delle famiglie installate sul terreno di Villeurbanne non sono dei vicini
così comuni. Sono morti.
Eh sì, morti e sepolti. Cacciate da tutte le parti, minacciati dai vicini che
a volte bruciano le loro baracche, queste famiglie si sono installate a lato di
un cimitero. Pensando, senza ombra di dubbio, che almeno qui non rischiano di
svegliare i vicini facendo troppo rumore.
Invece no. Il sindaco di Villeurbanne ritiene che i Rom, dopo aver minacciato
specie protette, minaccino l'igiene delle persone sepolte. Forte, vero?
In Francia l'igiene dei morti è più importante di quella dei bambini rom.
Ieri, 28 marzo 2013, sotto una pioggia gelata, il prefetto del Rodano, a
seguito della richiesta del sindaco di Villeurbanne, ha dunque provveduto
all'espulsione di 80 persone, la metà delle quali sono bambini. Tutto è successo
molto in fretta. La polizia è arrivata con i bulldozer che hanno spaccato tutto.
Gettate sul marciapiede, le famiglie si sono fermate per un momento a guardare
la Francia distruggere tutto ciò che possedevano, cioè: poca roba.
La sera stessa, alla televisione, François Hollande, dall'alto del suo 29% di
popolarità, ci spiegava che rinunciava al socialismo. L'avevamo capito, grazie.
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