Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 21/03/2013 @ 09:07:30, in Europa, visitato 1443 volte)
di Carlotta Sami - direttrice generale di Amnesty International Italia
"Spesso subiscono le conseguenze più pesanti delle politiche di segregazione e
sgomberi. Ma sono anche tra le più attive per rivendicare un miglioramento delle
condizioni di vita"
Amnesty International è impegnata da anni nella difesa dei diritti delle donne e
in una campagna europea contro la discriminazione delle persone rom, inoltre a
Gennaio ha lanciato una grande campagna sui Diritti umani in Italia: Ricordati
che devi rispondere,
www.ricordatichedevirispondere.it. Uno dei 10 punti
riguarda proprio i diritti dei rom nel nostro Paese.
Vogliamo mettere insieme questi due temi evidenziando il ruolo, fondamentale,
che le donne hanno nell'attivismo per i diritti umani - questo è vero sempre, ed
è vero anche per le persone rom, che in Italia e in tutta Europa hanno di fronte
a sé un impegnativo cammino di rivendicazione e conquista dei propri diritti.
Un impegno e un attivismo che avrà l'obiettivo di una maggiore rappresentanza,
anche politica.
Le informazioni e le analisi sulle quali si basa la nostra campagna europea per
i diritti dei rom emergono dalla ricerca sul diritto a un alloggio adeguato e
sugli sgomberi forzati che abbiamo svolto in Italia, Francia, Macedonia,
Romania, Serbia e Slovenia. L'impatto delle violazioni che i rom subiscono è
particolarmente grave per le donne, spesso vittime di discriminazione multipla,
a causa del genere e dell'appartenenza etnica, e costrette a sormontare ostacoli
altissimi per accedere all'alloggio, all'assistenza sanitaria, all'istruzione e
al lavoro.
La loro condizione va a inscriversi infatti in un contesto - quello Europeo - in
cui le comunità rom affrontano un sistematico pregiudizio e politiche
inadeguate, quando non palesemente discriminatorie, da cui derivano rischi
altissimi per i diritti e talvolta la stessa incolumità personale di adulti e
bambini.
Fanno parte di questo contesto i frequenti sgomberi forzati, spesso in mancanza
di alternative abitative accettabili, e una sistematica difficoltà di accesso a
un alloggio adeguato. Milioni di persone rom in Europa sono di fatto costrette a
vivere in baraccopoli, senza accesso ad acqua corrente o elettricità, a grande
rischio di malattie e senza assistenza sanitaria. Nei casi in cui, durante gli
sgomberi, le autorità offrano alloggi alternativi, essi sono spesso costruiti in
condizioni molto precarie e privi di servizi essenziali quali l'acqua, il
riscaldamento, l'energia elettrica. Ciò ha un particolare impatto sulla vita
delle donne rom le quali, a causa del loro ruolo all'interno della comunità,
hanno di fatto la responsabilità primaria della cura dei bambini e delle
attività domestiche come la pulizia della casa e la cucina.
Alle cattive condizioni abitative si accompagna spesso la collocazione dei rom
in campi lontani dai centri abitati, con quanto ne segue in termini di
isolamento e segregazione. Secondo le testimonianze di donne rom che i nostri
ricercatori hanno raccolto a Roma, ad esempio, una particolare difficoltà deriva
dal fatto che i campi siano scarsamente collegati ai quartieri abitati, ai
negozi e ai servizi tramite i mezzi pubblici o strade con marciapiedi sicuri su
cui camminare. I negozi di generi di prima necessità, i medici e le scuole e
strutture per l'infanzia sono difficili da raggiungere e questo rende la vita
delle donne rom che li abitano e dei loro bambini ancora più difficile.
La segregazione in aree periferiche isolate rende, inoltre, ancora più difficile
la ricerca di un lavoro e può aumentare il rischio di violenza sulle donne e sui
loro bambini, perché esse vengono a perdere le proprie reti di sicurezza e
solidarietà.
Vivere in insediamenti informali a rischio di sgombero forzato provoca, nel
complesso, grande incertezza e sofferenza. La stessa salute psicologica delle
donne rom viene segnalata come significativamente peggiore di quella del resto
della popolazione femminile dei paesi europei, proprio a causa delle condizioni
di vita inadeguate, alloggi disagiati, della povertà e della posizione
svantaggiata delle stesse nel loro ambiente domestico.
Amnesty International lavora al fianco delle donne rom che vivono nei campi e
negli insediamenti informali in Europa. In molti casi, le donne rom sono
impegnate in prima persona nelle campagne di sensibilizzazione per porre fine a
sgomberi forzati e alla segregazione, e dovrebbero essere, a nostro avviso,
ulteriormente sostenute in questo loro impegno, perché nessun vero cambiamento e
miglioramento per i diritti umani è possibile senza un ruolo centrale e
determinante delle donne.
Alle donne occorre dare accesso al credito e opportunità di indipendenza
economica: solo in questo modo si cancellerà la violenza e sarà possibile
garantire ai bambini e alle bambine l'accesso all'istruzione.
Dobbiamo credere nelle enormi potenzialità di queste donne e abbiamo, da loro,
molto da imparare.
Di Fabrizio (del 20/03/2013 @ 09:04:38, in Italia, visitato 1786 volte)
Relazione consegnata il 16 marzo scorso a Daniela Benelli
(Assessore milanese all'Area metropolitana, Decentramento e municipalità,
Servizi civici), durante il convegno
Oltre via Padova
Premesse
- Quella di via Idro è una comunità rom storica della zona 2, per niente
incline al nomadismo visto che nell'arco di oltre 40 anni si è spostata di soli
2 km. (in accordo con l'Amministrazione Comunale).
- La sua partecipazione alla vita di zona non è una novità degli ultimi anni,
ma risale ad almeno 30 anni fa. I primi tentativi di scolarizzazione risalgono
alla metà degli anni '80. Già con il trasferimento nell'attuale campo di via
Idro, partecipavano alle sedute del Consiglio di Zona (allora in via Padova), a
iniziative in quartiere, organizzandone loro stessi al campo.
- Il nostro gruppo è composito e assolutamente non gerarchizzato, con una
caratteristica che lo distingue da esperienze precedenti di lavoro con i rom:
siamo persone impegnate a vari livelli nell'attivismo di zona, e quindi la
"questione rom" non è un ghetto mentale in cui ritagliare il nostro spazio, ma
una delle molte tematiche che riguardano le periferie, da affrontare
congiuntamente alle altre.
Primi contatti e iniziative
L'insediamento per lungo tempo è stato indicato come "un campo modello per la
realtà milanese", nonostante ci siano sempre stati problemi di vario tipo. La
situazione inizia a deteriorarsi dal 2000, in parte per la caduta di sbocchi
lavorativi della
cooperativa LACI BUTI, fondata dagli stessi rom all'inizio
degli anni '90, in parte
perché i rapporti con le istituzioni comunali, che sono continuati anche con le
prime amministrazioni di centro-destra, vanno via via diradandosi. Il rapporto
col mondo esterno continua quasi esclusivamente tramite la scuola, non a caso la
prima istituzione che li ha accolti.
Occorre dire che nello stesso tempo anche per gli altri insediamenti (comunali e
non) inizia una stagione travagliata, che dipende in parte dal passaggio di
competenze dall'amministrazione centrale ad associazioni esterne, in parte dal
fatto che nello stesso periodo si inizia a mettere in discussione l'esistenza
stessa dei campi sosta, anche se con segnali contraddittori (vedi l'istituzione
dei campi di Triboniano e via Novara).
Attorno al 2006, un primo nucleo di volontari riprende il contatto con gli
abitanti di via Idro. A farlo, inizialmente, sono alcuni membri del comitato
Vivere in Zona 2, già impegnato su altre tematiche del mondo di via Padova e
dintorni. Dopo le prime diffidenze reciproche, il clima si fa più disteso e si
prendono le prime iniziative comuni:
L'altro scopo di iniziative simili è creare un ponte con quanto si va
risvegliando attorno a via Padova, e di creare i presupposti per un lavoro
condiviso.
Questi sforzi rischiano di interrompersi bruscamente nel
settembre 2010, quando al campo arrivano una ventina di lettere di sfratto
che coinvolgono un centinaio di persone, quasi la totalità degli abitanti.
In questa situazione di crisi effettiva, al nucleo iniziale del gruppo si
aggiungono (continueranno a farlo in seguito) associazioni, volontari,
cittadini, anche esponenti di partito. Il gruppo non perde la sua caratteristica
di informalità e continua a essere composito e non gerarchizzato.
Altri punti caratterizzanti l'esperienza del gruppo sono:
- l'attenzione al diritto ad abitare, coniugata con il NO unitario al paventato
campo di transito;
- il coinvolgimento attivo della comunità rom, o quantomeno di chi è disposto a
farsi coinvolgere, e l'attenzione alla sua autodeterminazione (come gruppo
discutiamo di continuo con gli abitanti del campo e sosteniamo le loro scelte,
ma in caso di divergenze non imponiamo la nostra volontà);
- la rivalutazione dell'insediamento esistente;
- l'attenzione al nesso tra abitare, lavoro e sostenibilità delle soluzioni
individuate;
- il contrasto alle politiche anti-rom;
- il contatto con analoghe esperienze cittadine;
- infine, un rapporto stretto col Consiglio di Zona e con il quartiere.
Su queste basi, seguono altre iniziative pubbliche:
- febbraio 2010: l'incontro pubblico
"Oltre la paura. Dare cittadinanza alla
questione rom", molto partecipato, che non si limita ai problemi della zona, ma
offre un momento di confronto con varie realtà milanesi;
- marzo 2011:
denuncia degli sgomberi immotivati, che ottiene una discreta
risonanza mediatica;
- maggio 2011: festa pubblica al campo (la prima dopo quasi una quindicina
d'anni), che diventa una specie di evento d'apertura della festa "Via Padova è
meglio di Milano" e vede una partecipazione inaspettata da parte degli abitanti
della zona.
Un sommario bilancio di questo primo periodo possiamo illustrarlo in questo
modo, evidenziando i risultati ottenuti e i limiti del nostro intervento:
Pregi
- Iniziative pubbliche;
- sinergie col lavoro su via Padova;
- coinvolgimento attivo di parte del campo;
- ampia discussione in mailing list e presenza sul web.
Limiti
- scarsa attenzione da parte dell'amministrazione centrale;
- carenza di unitarietà tra i temi sollevati;
- incapacità di coinvolgere nel dialogo tutti gli abitanti del campo.
Un nuovo quadro
Le votazioni di maggio 2011 vedono protagonisti anche i rom dell'insediamento di
via Idro (chi ha detto che i rom non votano?), complici anche le dichiarazioni
del sindaco Moratti e del vicesindaco De Corato, che per tutta la campagna
elettorale ripetono che il campo è destinato a chiudere, dimenticandosi di
precisare come, quando e soprattutto perché.
È da precisare che gli abitanti dell'insediamento sono tutti cittadini italiani,
e questo pone difficoltà alle autorità nell'adoperare gli strumenti classici
dello sgombero e del rimpatrio; quindi la tattica adottata è quella del "non ti
mando via, ma ti rendo la vita impossibile".
Il cambio di giunta suscita aspettative tra gli abitanti dell'insediamento, come
nel nostro gruppo, e la prima reazione da parte dei rom è quella di inviare ai
nuovi amministratori un promemoria sugli
interventi attesi da anni e sul tipo di
collaborazione che si può instaurare tra campo ed istituzioni.
Nel contempo, da questa lettera nasce nella primavera del 2012 un
progetto partecipato tra abitanti
del campo e un decina di associazioni,
che pone le basi per il mantenimento e la riorganizzazione dell'insediamento, a
cavallo tra la città e il costituendo Parco della Media Valle del Lambro.
A maggio 2012 il campo si propone come un vero e proprio polo della festa "Via
Padova è meglio di Milano", con una due giorni di balli, spettacoli per
bambini, cinema, musica, presentazioni di libri.
Dopo quest'esperienza, il campo presenta una propria programmazione estiva per i
concittadini, dove alle attività "culturali"
si affiancano momenti conviviali. Il conoscersi, la coesione sociale, si realizza quindi
non solo attraverso la cultura come la intendiamo noi, ma mangiando e
chiacchierando assieme (la cultura come la intendono i rom).
Infine, parte agli inizi del 2013 il progetto Social Rom-cittadinanza attiva,
con l'obiettivo di stimolare i giovani a diventare "cittadini attivi",
protagonisti del cambiamento della società, e anche a sviluppare una mentalità
interculturale attraverso un lavoro di gruppo. Il progetto prevede la
partecipazione di giovani italiani, rom harvati, figli di immigrati a tre
laboratori creativi:
- workshop artistico-performativo;
- workshop fotografico;
- workshop narrativo.
Prospettive
Come gruppo, non solo abbiamo agito per praticare quella "coesione sociale" che
auspichiamo, ma ci siamo accollati anche, forse sbagliando, compiti spettanti
all'amministrazione pubblica e ai gestori. Il ruolo di un sano volontariato
dovrebbe essere quello di stimolo verso le istituzioni e la politica, e non
quello di un delegato a costo zero. Riteniamo che questo sia un argomento
portante non solo per la nostra piccola ridotta di via Idro, ma riguardi più in
generale tutto ciò che si sta muovendo attorno a via Padova.
Purtroppo, le aspettative sollevate dal cambio di giunta non sono state
soddisfatte e non uno dei punti sollevati nella lettera inviata dalla comunità
quasi due anni fa è stato affrontato. Nel frattempo sono intervenute nuove
emergenze. Non staremo a ripetere l'elenco degli interventi necessari e di
quelli richiesti, perché gli assessorati competenti sono stati puntualmente
informati, da noi, dal Consiglio di Zona, dagli abitanti stessi ogni volta che
si è presentata l'occasione.
I problemi che d'ora in avanti si pongono, tanto all'amministrazione che al
prosieguo della nostra attività sono:
- i fondi: ci sono problemi ineludibili, nel senso che la situazione ambientale al
campo va deteriorandosi, e sono possibili incidenti anche gravi. La
responsabilità penale è del comune. A gennaio è stata evitata per poco il
rischio di emergenza sanitaria, che si sarebbe propagata anche nell'abitato
attorno. Il prossimo rischio è che la situazione di emergenza attuale, legata
anche a questioni di sicurezza, travalichi i confini del campo;
- dopo quasi due anni, la fiducia degli abitanti è nuovamente ai minimi termini e
si stanno deteriorando anche i rapporti tra i gruppi familiari. È così diventato
un ostacolo anche per noi persone esterne al campo avere un rapporto propositivo
con i suoi abitanti. Inutile nascondersi che questa situazione è stato favorita
dall'inerzia dell'Amministrazione, che, vogliamo ricordarlo, ha preso precisi
impegni nel corso della campagna elettorale ed è la prima responsabile della
situazione del campo, che è regolare e si trova su un terreno comunale;
- il terzo punto è la sintesi degli altri due. Se il linguaggio adottato da questa
amministrazione verso i rom è, fortunatamente, cambiato in meglio, nel
quotidiano rimane la stessa sensazione di distanza provata negli anni scorsi.
Non solo per gli impegni assunti pubblicamente e rinviati sine die, ma anche
riguardo alle possibilità di dialogo. Da un anno e mezzo si parla di colloqui
individuali con le famiglie per verificarne stato e aspettative, che però non
sono mai iniziati. Per capire quale possa essere il livello attuale di fiducia,
si consideri che la stessa promessa era stata fatta quasi otto anni fa
dall'allora assessore Moioli, con il medesimo risultato.
Rete degli Amici della Comunità Rom di Via Idro
Di Fabrizio (del 19/03/2013 @ 09:08:53, in Italia, visitato 2399 volte)
ilReferendum di Valentin Ipuche
"Sporchi. Ladri. Criminali. Sempre pronti a portarci via i nostri bambini,
nascondendoli sotto una lunga gonna di stracci, non appena distogliamo lo
sguardo. Non serve neanche esplicitare il soggetto, perché questi pregiudizi
rimandano senza esitazione all'idea comune dello zingaro."
Così recitava il volantino di invito all'incontro sull'antiziganismo tenuto dal
docente di antropologia culturale Leonardo Piasere al primo piano
dell'Università di Verona.
In un'aula piccola ma gremita i ragazzi del collettivo
Studiare con lentezza,
promotori dell'incontro, hanno fatto riferimento alle problematiche dell'Aula
Zero, un'aula autogestita aperta a tutti gli studenti. Lo spazio rischia infatti
di essere chiuso dopo i fatti del 12 febbraio, quando in occasione di un
incontro sulle foibe i ragazzi del collettivo hanno subito un'aggressione da
parte di formazioni neofasciste veronesi.
Il tema"antiziganismo" molto articolato e complesso è stato affrontato in modo
dialettico, rispondendo alle domande piuttosto che con l'uso del monologo.
Il concetto dell'identità nelle diverse realtà rom, la storia dei movimenti
migratori dei più grandi gruppi come i sinti, i calderas, etc e il ruolo della
tradizione sono elementi chiave per comprendere il razzismo condiviso nei loro
confronti. Elementi comuni ma anche di diversità come il tema dell'omosessualità
all'interno di tali comunità, tenendo sempre presente che non si può
generalizzare: le popolazioni romanì in Europa sono composte da 11 milioni di
persone. Questo vuol dire che se fossero la popolazione di uno Stato ufficiale
sarebbe il 12esimo all'interno dell'UE per numero di abitanti, e avrebbe diritto
a 22 rappresentanti nel Parlamento comunitario. Tanti quanti l'Olanda.
Il relatore, che ha vissuto a lungo all'interno di comunità rom, ha discusso dei
problemi con cui questa convive. Uno su tutti è lo stato di invisibilità totale
in cui vivono molte persone, in condizioni di apolidi di fatto, senza nemmeno il
riconoscimento di apolidia. Ma come gli zingari vedono le popolazioni che li
circondano?
La figura dello zingaro è estremamente stereotipata ed è colma di luoghi comuni
che circondano queste popolazioni. L'alone romantico di mistero esotico che
circondava lo zingaro ha fatto in modo che non troppi decenni fa nella bassa
veronese i bambini "stregati" venissero fatti allattare da balie gitane. Oggi è
totalmente svanito.
Gli zingari lasciano segni segreti sui cancelli, sulle porte: per malocchio o
per segnalare ai complici di una possibilità di furto. Questa è una leggenda
metropolitana nata da un racconto di un autore tedesco risalente agli inizi del
XIX secolo, che tra l'altro parlava di una singola donna che praticava
quest'usanza a scopi mnemonici e non di una comunità.
Nato invece da una commedia veneziana è un altro mito razzista: gli zingari
rapiscono i bambini.
Leonardo Piasere fa chiarezza: quando uno zingaro rapisce un bambino della
comunità locale è rapimento mentre quando lo Stato sottrae alla comunità rom i
suoi bambini è "difesa dell'infanzia". In tale ottica lo studioso ha esaminato
tutti i casi di presunti rapimenti di bambini degli ultimi vent'anni, scoprendo
che in tutti i casi la storia si sgonfiava, tranne in due in cui si è arrivato a
giudizio e ci sono state due condanne, secondo il relatore inconcepibili stando
agli atti.
Nello stesso lasso di tempo lo Stato Italiano ha dichiarato adottabili 300
bambini rom. La probabilità che un bambino rom sia dichiarato adottabile è 17
volte maggiore rispetto a un bambino "comunitario".
In Italia non esiste una politica nazionale in questo ambito, ma solo qualche
regolamento regionale.
Ironico è anche il fatto che per la comunità europea le priorità sono in
quest'ordine l'educazione, il lavoro, la salute e l'alloggio. Per le comunità
romanì l'ordine è specularmene invertito.
La storia del rapporto dell'Italia con queste comunità non è dei più felici. Ci
sono stati campi di concentramento istituiti esclusivamente per gli zingari,
all'interno di un piano studiato a partire dal '36. Un atteggiamento ostile che
non ha mai smesso di perpetuarsi, e che vede la sua massima espressione nei
partiti di estrema destra e nella Lega Nord. Quando Roberto Maroni è stato per
seconda volta ministro dell'Interno sotto Berlusconi ha istituito 5 commissari
straordinari per supervisionare gli zingari, provvedimento bocciato dal
Consiglio di Stato che ha accolto i ricorsi dell'associazione
European Roma
Rights Centre Foundation.
Zoomando ancora di più sul locale, Flavio Tosi sindaco di Verona è stato
condannato nel 2009 in via definitiva per propaganda razzista per una raccolta
firme nel 2001. Insieme a lui la sorella Barbara Tosi (consigliere comunale),
Matteo Bragantini (Commissario Federale della Lega Nord Südtirol e componente
del Direttivo Nazionale Veneto della Lega Nord), Enrico Corsi (assessore), Luca
Coletto (assessore) e Maurizio Filippi (altro esponente del partito).
I leghisti avevano avviato una pesante campagna mediatica per la raccolta di
firme per cacciare gli zingari dalla città, in particolare nei confronti di un
gruppo di famiglie sinti che tra l'altro avevano residenza a Verona, ed erano
quindi incacciabili.
A Mantova, Giovedì 21 marzo 2013, per la GIORNATA MONDIALE CONTRO IL RAZZISMO,
dalle ore 17.00, sarà presentato il 5° Rapporto annuale di Articolo 3
Osservatorio sulle discriminazioni.
In concomitanza sarà presentato il Rapporto ENAR sul razzismo in Italia e sarà
aperto un dibattito sul futuro dell'antidiscriminazione in Lombardia con i neo
eletti in Consiglio regionale.
A tutti i presenti all'evento sarà donata copia del Rapporto 2012
A Nantes i taxiphone per ascoltare i Rom hanno suonato più di 700 volte
- 14 febbraio 2013
Installazione tanto artistica quanto militante, "Lo strano taxiphone"
dell'associazione "Etrange Miroir" mira a far cadere i luoghi comuni sui Rom.
Ritorno su un'esperienza che ha saputo interrogare il pubblico sulla tematica
dell'altro e dei pregiudizi.
Circa 700 persone, da febbraio 2012, hanno ascoltato nelle cinque cabine
telefoniche create dall'associazione "Etrange Miroir", documenti audio destinati
a fare cadere i luoghi comuni e i timori circa la popolazione Rom.
"All'origine, si trattava di un progetto allestito nel quartiere "Montaigu",
dove dimorano dei Rom sedentarizzati", spiega Marie Arlais, incaricata di
progetti in seno all'associazione. "Benché siano installati da due anni a Montaigu, restano ancora confrontati a tabù, timori, perfino reazioni non sempre
comprensive".
Essendo destinato inizialmente a un pubblico giovane (15-17 anni), spostato in
seguito in due festival ("Spot" a
Nantes, e "L'oeil du bouillon" a
Clisson), poi
durante una quindicina di giorni a "L'espace international nantais Cosmopolis"
nello scorso ottobre, l'ingegnoso taxiphone ha fatto sentire dei suoni che hanno
permesso di fare, o rifare, il legame sociale con questa popolazione sempre poco
o per nulla ostracizzata.
Abbelliti con delle musiche originali di Raphael Rialland e David Rambaud, i
documenti audio della durata di 3 a 7 minuti, comportano tanto delle
registrazioni di suoni ambientali – momenti di vita – quanto testimonianze o
spiegazioni "pedagogiche" formulate da una collaboratrice sociale.
Un mezzo di espressione per i Rom
Questo progetto di esposizione audio, da voce a una decina di queste persone. I
montaggi audio approcciano non solo le discriminazioni subite da questa
popolazione (economiche, sociali, culturali, civiche) ma permettono di apportare
uno sguardo umano sulla vita quotidiana di questi nuovi residenti, il loro
itinerario particolare e il loro paese d'origine.
Il progetto ha beneficiato di un aiuto della Regione, di 1.000 euro. Una fiducia da
quel momento rinnovata per l'associazione, la quale da allora, si è lanciata in
un altro progetto, forte di un ulteriore aiuto di € 5'000: "Mother Border", un
documentario muto che deve essere "diffuso e recitato in live", da quattro
musicisti e una lettrice. Una creazione sempre situata in mezzo all'ambizione di
"legare la pratica artistica a una riflessione sociale e cittadina, vicina a una
strategia di educazione popolare". Si tratta questa volta di un lavoro sulla
condizione dei giovani tunisini arrivati in Francia, in seguito alla "Rivoluzione
dei Gelsomini" del 2010-2011.
Per saperne di più:
http://etrangemiroir.org/
Di Fabrizio (del 17/03/2013 @ 09:02:39, in scuola, visitato 1338 volte)
CORRIERE IMMIGRAZIONE 10 marzo 2013 | Cesare Moreno
Nadia, giovane rom, non vuole saperne dei libri... Appunti e riflessioni di uno
storico "maestro di strada".
Lunedì pomeriggio mi trovavo a Cosenza nel Circolo di via Popilia mentre erano
in corso le ultime attività del "doposcuola" frequentato da molti bambini dei
campi Rom. C'è anche Pamela (nome di fantasia, molto diffuso in quella
comunità), madre di Nadia (altro nome di fantasia) che in prima media ha smesso
di andare a scuola prima di dicembre e ora sembra, insieme alla madre, essere
ritornata sui suoi passi. Per sommi capi conosco la sua storia e c'è qualcosa
che non torna nel racconto che mi è stato fatto; quasi distrattamente, ma con
intento provocatorio le dico:
"Perché Nadia non vuole andare a scuola, è lei che non vuole mandarcela!".
Pamela non si scompone:
"Ma no, è lei che da sempre la scuola non gli entra in testa".
"Allora significa che il suo errore è cominciato da molti anni!".
Ancora non si scompone:
"Già alla scuola materna non voleva andare".
"Se è per questo anche mio figlio non voleva andarci, alla fine ha vinto lui,
però poi alla scuola elementare c'è andato. So che anche sua figlia c'è andata".
"Sì ma sempre senza voglia, non l'ha mai accettata".
Interloquisce Franca:
"Ma no! Fino alla quinta andava tutto bene, poi in quinta è successo qualcosa
che non so ed è cambiata".
"Allora, - insisto - è lei che non vuole mandarla, e cosa fa tutto il giorno?".
"Si alza tardi, verso le nove e mezza, poi passa il tempo così. Devo dire che
nei lavori di casa è coscienziosa, li fa volentieri".
Nel frattempo vedo sgusciare all'esterno una ragazzina che intuisco essere lei:
è alta, slanciata, capelli lunghi sciolti, una figura che per quel poco che ho
visto mi sembra di portamento elegante.
Finalmente Pamela reagisce:
"Io ho fatto fino alla prima elementare, poi ho abbandonato. Vorrei che lei
facesse la scuola perché solo le scuole danno il pensare" e si tocca la fronte
con le dita della mano riunite: il gesto che indica il pensare. "Ma lei con la
scuola proprio non si trova".
Poi ripete interrogativamente: "Perché solo la scuola dà il pensare".
Franca ripete che è successo qualcosa in quinta. Io invece resto senza parole; è
la prima volta che sento riassunto in una sola frase ciò che faticosamente, da
anni cerco di ripetere a tanti miei colleghi e compagni di lotta per
l'educazione: la scuola serve innanzitutto a se stessi, a costruirsi gli
strumenti di pensiero. E questa scena non mi esce di mente e continuo a pormi
delle domande, la prima delle quali vi giro: perché Pamela insiste a voler
retrodatare il disimpegno scolastico della figlia, nonostante evidenti prove
contrarie? E lo chiedo perché in migliaia di incontri avuti con i genitori di
allievi "difficili" è una affermazione piuttosto frequente.
La seconda domanda è cosa è successo in quinta, ma soprattutto - mi capita
spesso di fare questa domanda durante incontri formativi con docenti ed
educatori - perché vi interessa tanto il saperlo, perché abbiamo un bisogno
direi ossessivo di sapere "cosa c'è dietro"; non possiamo limitarci a vedere
Nadia come è oggi, a immaginare una figura elegante, mentre invece forse è
sguaiata; a immaginarla silenziosa e discreta quando invece, magari, urla al
disopra di tutte le compagne. Se vogliamo incontrare l'allievo dobbiamo avere
innanzitutto uno sguardo contemplativo, uno sguardo non analitico, che non si
separa da ciò che guarda, che si confonde in esso così come facevano i mistici
nei confronti di Dio: un'assenza di pensiero, uno stato fusionale. Senza questa
contemplazione iniziale ogni altra conoscenza sarà raccolta come dato che
inchioda la persona ai propri parametri oggettivi, ossia ad uno stereotipo
costruito con i paludamenti della scienza che non è scienza e non è neppure
conoscenza personale: è una costruzione mentale artificiosa che deve creare
l'illusione del controllo su una realtà che ci sfugge e ci inquieta.
La terza domanda è cosa significa "alleanza educativa" nel caso di Pamela. Io
credo che la frase: "solo la scuola dà il pensare" è il nucleo di una possibile
alleanza, è il punto in cui Pamela ha espresso un suo sogno. Forse appena cinque
minuti dopo avrà fatto qualcosa per smentire questo nobile proposito. Forse farà
molte cose per smentirsi. Ma il senso di una alleanza è proprio quello di
custodire in due una buona intenzione e di potersi appellare a quella intenzione
condivisa, il poter ricordare l'uno all'altro il comune intento. Alleanza
significa che da quel punto può cominciare una narrazione condivisa.
Quando parlo di queste cose vedo che spesso non ci si capisce, molti dicono che
l'alleanza c'è, ma poi non sanno esemplificare, è più implicita che esplicita,
non è stata formalizzata, non c'è stato un rito officiante. Perché un'alleanza
che non sia sufficientemente condivisa dalle parti non è un'alleanza, ma una
dichiarazione unilaterale che trasforma l'asimmetria di una relazione in una
struttura di potere. E quindi insisto che l'alleanza deve avere dei riti
appropriati, una enunciazione davanti ai testimoni giusti, una scrittura, un
simbolo che ce ne faccia ricordare. Dobbiamo potere in ogni momento ricordare a
noi educatori e ai nostri interlocutori quella parte buona di sé che
nell'alleanza si è impegnata.
La quarta domanda è cos'è che impedisce all'istituzione scuola un dialogo umano
con Pamela? Perché nei confronti di Pamela o c'è il disinteresse o si attiva una
catena persecutoria che le contesterà - come ho fatto io provocatoriamente - di
essere una madre sciagurata, di violare i diritti dei bambini, di eludere le
leggi dello Stato e quant'altro. Cos'è che impedisce alle tante donne che di
mestiere fanno le docenti e le educatrici di empatizzare con questa donna, di
capire che non è all'altezza dei suoi sogni perché è sopraffatta dai bisogni,
perché la sua mente non è libera, perché nessuno le riconosce il pensare -
neppure lei stessa - ed il nostro compito non è inchiodarla al suo piatto
realismo, ma sostenerla con i mezzi del pensiero e della riflessione a
migliorare se stessa. Ecco cosa potrebbe significare fare un lavoro educativo
con i genitori degli allievi 'che la scuola non gli è mai piaciuta'.
Di Fabrizio (del 16/03/2013 @ 09:06:25, in Regole, visitato 1718 volte)
COMUNICATO STAMPA SPOSA BAMBINA: LA MONTAGNA PARTORI' UN TOPOLINO
ROM ASSOLTI DAI REATI DI VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO, RIDUZIONE IN SCHIAVITU' E
MALTRATTAMENTI
Nessuna violenza sessuale di gruppo. Nessuna riduzione in schiavitù, né
alcuna tratta degli esseri umani. Nessun maltrattamento su minorenne. Nessun
matrimonio forzato. E' netta la sentenza pronunciata oggi dal
Tribunale di Pisa nel processo cosiddetto "della sposa bambina".
Ricordiamo brevemente i fatti. Nel 2010 vengono arrestati sette rom del campo di
Coltano: secondo l'accusa, avevano portato in Italia una minorenne kosovara,
costringendola a sposarsi, riducendola in schiavitù e compiendo su di lei abusi
e violenze sessuali. Nel corso del processo, il Pubblico Ministero ha ipotizzato
anche forme di pressione e di violenza psicologica.
La sentenza di oggi ha demolito questo castello di accuse: a carico degli
imputati resta solo il reato di immigrazione clandestina, per il quale la difesa
ricorrerà in appello.
Si tratta però, è bene dirlo, di una condanna che cambia radicalmente il senso
del processo. Era stato disegnato un quadro fatto di rom primitivi e violenti,
dediti allo sfruttamento dei minori e al maltrattamento delle donne; una
comunità in cui i matrimoni sono forzati e la volontà delle spose è calpestata.
Un vero e proprio catalogo dei peggiori pregiudizi sui rom.
Oggi, quel che resta di queste accuse è il semplice ingresso irregolare in
Italia. Un reato che non configura una violenza sulle persone, e che dipende da
semplici fatti amministrativi: solo per fare un esempio, se la ragazza fosse
stata cittadina albanese anziché kosovara, non esisterebbe reato (l'entrata
dall'Albania, infatti, non richiede visto di ingresso).
Ma ciò che è più grave in questa vicenda è il coinvolgimento del Comune di Pisa
e della Società della Salute. Sin dall'inizio, gli amministratori di questa
città hanno utilizzato il processo per diffondere veleni sulla comunità rom. Il
Comune ha condannato gli imputati prima ancora della sentenza: ricordiamo che
una giovane donna è stata sfrattata con i suoi cinque figli (l'ultima di appena
sei mesi) perché coinvolta nella vicenda processuale.
Noi chiediamo che sia restituita la dignità a persone che per mesi sono state
ingiustamente umiliate. Chiediamo al Comune di rispettare la Costituzione, e
quindi di revocare tutte le misure punitive a carico degli imputati (a partire
dagli sfratti), finché non si giungerà alla fine dei tre gradi di giudizio: è
l'unico modo per rimediare ai gravi danni, materiali e morali, inflitti a queste
famiglie.
Il nostro pensiero e la nostra solidarietà vanno alle persone ingiustamente
accusate di crimini odiosi, ma anche alla giovane minorenne kosovara (la
cosiddetta "sposa bambina"): vittima di una vicenda più grande di lei, vittima
di vergognose strumentalizzazioni politiche da parte del Comune.
ASSOCIAZIONE AFRICA INSIEME
Da Agostino Rota Martir
La sentenza di oggi della Corte d'Assise di Pisa sul caso "la sposa-bambina",
assolve tutti e quanti i Rom accusati di quelle pesanti accuse: rapimento,
riduzione in schiavitù, violenza sessuale di gruppo e maltrattamento. In 15
udienze è stato possibile dimostrare la falsità di tali accuse e la loro
inconsistenza, questo grazie anche al lavoro paziente e attento degli avvocati,
che hanno saputo smontare il castello accusatorio.
Ricordo che fin dall'inizio di questa triste vicenda, i rom del campo hanno
sempre sostenuto l'assurdità di tali accuse, ma pochi ci hanno creduto qui a
Pisa, eccetto coloro che hanno voluto conoscere e ascoltare la voce dei Rom.
Anche alcune Associazioni Rom Italiane hanno preferito prendere le distanze!
La stampa locale, diversi operatori del comune, assistenti sociali (quasi tutti)
e amministratori fin dall'inizio hanno sentenziato, condannato, mantenendo anche
un atteggiamento di tortura psicologica verso i rom coinvolti.
L'opinione pubblica è stata infettata dal virus dell'intolleranza, attraverso
gli articoli dei giornali, sopratutto quelli a firma di Candida Virgone, apparsi
su Il Tirreno di Pisa.
Alla luce dell'odierna sentenza sarebbe interessante ed educativo andare a
rileggersi quei "racconti fantascientifici" (orrendi) della giornalista: una
vera vergogna che disonora e offende chi onestamente e con competenza si dedica
a tale attività. (ne tengo copia di questi orrendi articoli)
Gli artefici di questa assurda follia non sono i Rom, come si è voluto far
credere, (giornali parlavano di orrore), ma altri e sopratutto chi era
incaricato di lavorare per la cosi detta "integrazione". Questa follia ha un
nome si chiama "Città Sottili", che in un certo senso ha permesso, incubato, ha
sollecitato e partorito il mostro del pregiudizio, sono molti i complici che a
titolo diverso vi hanno preso parte. Una delle loro colpe è la disumanità che
hanno perseguito per tutto questo tempo, ma ce ne sarebbero altre, altrettanto
gravi..che a suo tempo verranno elencate e discusse.
Di tutto questo è rimasto "solo" il reato di immigrazione clandestina, con il
massimo della pena previsto dalla Legge Bossi-Fini, 5 anni. Sono tanti e questo
ha un po' spento la gioia e la soddisfazione dei Rom e loro famigliari. [...]
Di Fabrizio (del 15/03/2013 @ 09:09:08, in Europa, visitato 1343 volte)
Criticato il percorso d'integrazione sostenuto da Bourgeois -
10/03/13 - 18h01 Source: belga.be - édité par:
Michael
Bouche
Geert Bourgeois (N-VA), ministro fiammingo all'immigrazione, vorrebbe
ottenere dall'Unione Europea l'autorizzazione ad imporre ai Rom di seguire il
percorso fiammingo d'integrazione ("inburgering") anche
in caso avessero la nazionalità di uno degli stati membri. Riportata sabato
dalla stampa, l'idea è stata criticata domenica dal Centro per le Pari
Opportunità.
Il direttore del centro, Jozef De Witte, ha giudicato "poco intelligente",
vale a dire discriminatorio, obbligare i Rom a seguire il percorso sulla base di
una selezione etnica. "Se il ministro vuole imporlo ai soli Rom, dovrà
individuarli ed operare su selezione razziale", ha detto durante la trasmissione De
Zevende Dag.
Il ministro ha risposto di non riferirsi specificatamente ai Rom, ma a tutti
i cittadini dell'Unione Europea. Tuttavia, la sua proposta ha scarse probabilità
di essere autorizzata, viste le norme europee in materia di libera circolazione
delle persone.
Ha anche difeso la politica fiamminga sull'integrazione dalle critiche, in
particolare quelle sul suo carattere vincolante. Ha detto: "Vogliamo rendere le
persone più forti e dar loro una possibilità".
Abruzzo INDEPENDENT di Marco Beef - mercoledì 06 marzo 2013, 21:38 (vedi
anche
L'angolo del cretino, 24 maggio 2012)
Marco Romandini (Lega Nord) e Lorenzo Sospiri (Pdl) denunciati da famiglie
rom per discriminazione razziale
PDL E LEGA NORD DENUNCIATI PER XENOFOBIA. L'onorevole della Lega Nord Marco
Rondini e il responsabile del coordinamento del Popolo delle Libertà di Pescara
Lorenzo Sospiri - anche se all'epoca dei fatti era Federica Chiavaroli - saranno
in tribunale, tra poche ore, per la citazione in giudizio da parte di alcune
famiglie rom (Guarnieri, Spinelli, Di Rocco) e le associazioni Rom
Sinti@Politica Abruzzo e Asgi (Associazione per gli studi giuridici
sull'immigrazione) per discriminazione razziale.
Gli avvocati che hanno presentato la denuncia querela sono Nazzarena Zorzelli,
Daniela Consoli e Michela Manente. La vicenda risale ai fatti successivi
l'omicidio di Domenico Rigante, avvenuto la sera del primo maggio del 2012, per
mano di un commando di rom.
LA MANIFESTAZIONE ANTI-ROM, I COMUNICATI E I MANIFESTI. Il sabato successivo
venne indetta una manifestazione, subito definita "Anti-Rom", a Pescara alla
quale parteciparono, oltre agli ultras del Pescara (Domenico Rigante era membro
dei Pescara Rangers), 2mila persona. Nell'occasione vennero esposti manifesti
contro la popolazione rom, come, ad esempio, quello con la scritta "avete cinque
giorni per cacciarli". L'ufficio stampa della Lega Nord Abruzzo diramò un
comunicato "per l'allontanamento degli zingari da Pescara". Nella
denuncia/querela si fa riferimento anche ai manifesti 6x3, affissi da parte del
Popolo delle Libertà, sui cartelloni del territorio comunale: "Abbiamo mantenuto
gli impegni. Via i rom dalle case popolari".
LA REAZIONE DI AMNESTY INTERNATIONAL. Il fatto sollevò l'indignazione della
comunità internazionale, tanto che anche Amnesty International è intervenuta
sulle autorità italiane affinché venissero prese tutte le misure necessarie per
proteggere la comunità dei rom da intimidazioni e attacchi violenti. L'organizzazione
per i diritti umani ha condannato pubblicamente la violenza razzista,
l'incitamento all'odio razzista e all'odio razziale, ed ha chiesto alle autorità
di avviare immediate indagini e su atti di violenza a stampo razzista.
LA LEGGE MANCINO. La legge Mancino, dal nome dell'allora ministro dell'interno
che ne fu proponente, condanna gesti, azioni e slogan legati all'ideologia
nazifascista, e aventi per scopo l'incitazione alla violenza e alla
discriminazione per motivi razziali, etnici religiosi o nazionali. Il
dispositivo all'art.1 prevede: la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la
multa fino a 6.000 euro per chi propaga idee fondate sulla superiorità o
sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di
discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; la
reclusione da sei mesi a quattro anni per chi, in qualsiasi modo, incita a
commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi. È vietata ogni organizzazione,
associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla
discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o
gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto
della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro
anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni,
movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei
anni.
Di Fabrizio (del 13/03/2013 @ 09:07:06, in Italia, visitato 1357 volte)
Corriere Immigrazione di Stefano Galieni, 10 marzo 2013
Nel lato oscuro dei grandi eventi che modificano il volto delle città ricade
anche la finanziarizzazione dei rom. Ne parla Alessia Candito nel suo libro Chi
comanda a Milano.
Chi comanda a Milano è un'inchiesta vecchio stile che si snoda attorno agli
aspetti visibili, gli intrecci opachi o letteralmente mafiosi e criminali che
gravitano attorno a Expo 2015. Nel libro, edito da Castelvecchi, Candito
ricostruisce sette anni di azione politica, si fanno nomi e cognomi dei
personaggi che sono stati e sono parte di speculazioni immobiliari, progetti di
cementificazione, devastazione ambientale e urbanistica. Ma in queste pagine si
parla anche dell'utilizzo cinico di rom e migranti.
Cos'è la finanziarizzazione dei rom cui dedica un capitolo del libro?
"La fortunata espressione non è mia, ma di Mario De Gaspari, ex sindaco di
Pioltello e voce critica della sinistra milanese. È stato lui per primo a
denunciare come per trasformare terreni agricoli o vincolati in edificabili
siano stati utilizzati anche gruppi di rom, volutamente tenuti nel degrado più
assoluto e trasformati in bomba sociale per rendere possibile la trasformazione
di destinazione d'uso di un'area o la “ristrutturazione” o “riqualificazione di
una struttura”. Queste paroline magiche devono sempre mettere sull'avviso: nella
maggior parte dei casi nascondono sempre grandi speculazioni a beneficio dei
soliti noti. In più, in omaggio, il centrodestra meneghino otteneva anche
consenso alimentato dalla paura, indotta e relativa al presunto allarme rom".
A suo avviso, c'è un legame strutturale fra la demonizzazione dei rom, che si è
fatta a Milano e in altre città, e le speculazioni edilizie?
"Non ho dati per affermarlo, ma non mi stupirebbe scoprirlo. Del resto, si
tratta di un metodo collaudato. E i grandi costruttori italiani non si sono mai
dimostrati schizzinosi al momento di fare affari: soci improbabili, metodi
ingiustificabili e devastazioni ambientali sono una costante".
Oltre che contro i rom, per anni a Milano sono state emesse ordinanze che
avevano come obiettivo gli immigrati in base a un'idea securitaria della città.
Cosa ne pensa?
"E' paradossale che Letizia Moratti e il suo vicesindaco Riccardo De Corato per
anni abbiano declinato la parabola sicurezza a forza di ordinanze anti kebabbari,
coprifuoco e sgomberi, proprio negli anni in cui più palesemente Milano si è
riscoperta totalmente infiltrata, o meglio colonizzata dalla criminalità
organizzata, in particolare dalla 'ndrangheta. Gli uomini delle 'ndrine – e lo
dicono la cronaca e le inchieste – non solo sono radicati da decenni a Milano e
in Lombardia, ma sono ospiti fissi di salotti buoni e grandi appalti. Del resto,
sono gli unici oggi che abbiano liquidità cash. E per questo risultano molto
graditi".
Oltre alla questione rom, lei accenna al fatto che in molti cantieri si utilizza
manodopera irregolare spesso immigrata. Hai esempi concreti di tale
sfruttamento?
"Ci sono diversi esempi di cui accenno, sono troppe le storie in proposito su
cui vale la pena continuare a indagare, ma non è un'esclusiva milanese. Basta
entrare in un qualsiasi cantiere da Canicattì a Bolzano per vedere come sono
sempre i lavoratori migranti, volutamente tenuti in condizioni di clandestinità,
a doversi sobbarcare i lavori più onerosi per paghe da fame. È in fondo il senso
della Bossi-Fini: creare una manodopera a basso costo, prona ed estremamente
ricattabile".
Che ruolo gioca in tale contesto la presenza delle grandi organizzazioni
criminali?
"Il radicamento delle organizzazioni criminali e della 'ndrangheta, in
particolare a Milano, non è recente, sono più di 40 anni che attraverso
l'istituto del soggiorno obbligato, numerose famiglie si sono stabilite in
Lombardia e in tutto il nord. Hanno avuto a disposizione numerosa liquidità e
sono entrate nell'economia come attori economici, come Mani Pulite insegna.
Molte persone più preparate di me hanno scritto testi molto validi e argomentati
in proposito. Su un dato credo si possa essere tutti concordi. In questo sistema
politico ed economico le 'ndrine giocano un ruolo da protagonista che solo
mettendo in discussione il sistema si potrà modificare".
Cosa è cambiato con la giunta Pisapia?
"Nonostante le elevatissime aspettative, la situazione è cambiata poco o nulla.
Le operazioni cosmetiche non possono bastare".
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