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Pestaggi omofobici a Torino, tra i rom c'è chi reagisce
Di Fabrizio (del 25/07/2012 @ 09:16:48, in Italia, visitato 1846 volte)



SABATO 21 LUGLIO 2012 - "Entrano nella mia roulotte, se lo tirano fuori e mi dicono di succhiarli se non voglio le botte". La prima volta che ha sentito questa storia, Valter Halilovic, mediatore culturale e animatore della comunità rom di Torino, quasi non ci voleva credere. Ma, nel corso delle ultime settimane, le testimonianze di minacce e violenze ai danni di omosessuali e bisessuali all'interno della comunità rom sono diventate più numerose e gravi. Halilovic ha deciso di denunciare la situazione dopo che l'altroieri notte sono stati diagnosticati quattordici giorni di prognosi ad un amico che aveva accompagnato al pronto soccorso: lo avevano ripetutamente colpito in testa con i pugni avvolti in catene di ferro. "E ad altri è andata anche peggio, con un mese di prognosi. Se va avanti così, ci scappa il morto" racconta Halilovic a Il grande colibrì.

La banda di violenti sarebbe composta da ragazzi del campo nomadi "Aeroporto". "Hanno dai 25 ai 32 anni, girano in cinque-sette alla volta, colpiscono membri della comunità sia nel loro campo sia nel campo di via Germagnano". Il gruppo avrebbe iniziato le proprie scorribande violente circa un anno fa, quando uno di loro è uscito dal carcere. Le loro vittime, tutte rom, sono "i più disgraziati, quelli che non possono reagire", racconta ancora il mediatore culturale: tra di loro sembra ci siano anziani, disabili, intere famiglie che vengono malmenate, senza che siano risparmiati né i bambini piccoli né le donne. Halilovic ha raccolto in particolare le testimonianze dirette di tre omosessuali e di un bisessuale.

Uno di questi ragazzi, dopo essere stato più volte picchiato e derubato, dopo che la banda gli ha distrutto l'automobile e l'ha costretto ad abbandonare la casa faticosamente conquistata, è fuggito da Torino e spera di non essere più rintracciato dai suoi aguzzini. Gli altri tre vivono in una situazione angosciosa di costanti angherie. Solo in due, però, hanno sporto denuncia alle autorità: se in un caso il processo non si è ancora aperto, nell'altro il giudice ha vietato ai componenti del gruppo di avvicinarsi alla loro vittima. Ovviamente, purtroppo, il divieto non è stato mai rispettato: "A questi non gliene frega niente delle autorità".

La mancata applicazione delle sentenze penali, tuttavia, spiega solo in parte perché gli altri due ragazzi angariati non abbiano sporto denuncia: i loro timori sono tanti, da quello di vedersi rovinata la reputazione rivelando il proprio orientamento sessuale alla possibilità di ritorsioni contro se stessi o contro le proprie famiglie. E alla mancanza reale o percepita di tutele legali (l'assenza dell'aggravante di omofobia per i reati è spesso sentita dalle vittime come una manifestazione di disinteresse dello stato) si aggiunge il silenzio della propria comunità: "Tutti sanno tutto, persino nelle comunità rom di origini bosniache delle altre città, ma nessuno fa niente. Quelli della banda appartengono a famiglie molto numerose e potenti e la fiducia nello Stato è molto bassa".

La situazione, insomma, è complessa. Per ragioni contestuali, con le forze dell'ordine che, purtroppo, appaiono molto più impegnate negli inumani sgomberi fatti a scopi mediatici ed elettoralistici che in attività di integrazione. E per ragioni interne alla cultura rom, perché, come spiega Halilovic, "la comunità non ti dà nessuno spazio per ribellarti". E allora cosa possono fare queste persone sole, che non sanno più cosa fare e dove andare? Dopo averne parlato con loro, il mediatore culturale ha deciso: "E' tempo di parlare. E abbiamo scelto Il grande colibrì, perché magari gli altri media avrebbero puntato tutto sul sensazionalismo". I rom sanno bene quanto le loro storie, quando finiscono nelle mani di un giornalista, possano essere usate non per risolvere problemi, ma per diffondere paura ed emarginazione...

E invece questa storia è piena di violenza, ma è anche un esempio importante di volontà di non stare più a tacere e di cambiare in meglio il proprio e l'altrui destino, come riconosce anche Paolo Hutter, giornalista e attivista gay da sempre attento anche al contrasto del razzismo: "Valter Halilovic è una figura nuova, che prende parola senza paura contro la violenza e l'omofobia. E' un esempio di come si possono promuovere i diritti all'interno delle minoranze etniche: mantiene salda la solidarietà con la propria comunità, ma non accetta che diventi omertà".

Ora dobbiamo dimostrare tutti che davvero i diritti sono universali, che la loro violazione non può essere intesa come un problema di un gruppo nel quale non ci si riconosce, ma invece ci riguarda tutti personalmente. Hutter è ottimista: "Con le sue strutture comunali, con la sua società civile, con le sue associazioni, Torino saprà rispondere nel migliore dei modi". Coinvolgendo positivamente, si spera, l'intera comunità rom.

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