Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 14/03/2012 @ 09:06:32, in Italia, visitato 3074 volte)
Il titolo di un articolo prima mi ha fatto ridere (alla fine svelerò il mistero), e
poi disordinatamente sono arrivati in successione alcuni frammenti di pensiero,
riassunti in tre immagini.
Osservate questa prima immagine o date un occhio a
Gypsy Waggon: piccoli
capolavori quasi scomparsi, frutto dell'esperienza, leggeri (alcuni quasi leggiadri), il simbolo
del viaggio (ed anche della natura, del cavallo, della musica, di tutto quanto
le nostre menti rinchiuse nelle case associano alla vita nomade).
Oggi questa è l'evoluzione REALE di quel mondo fantastico
(l'immagine viene nientepopodimeno che dal blog di
Riccardo De Corato): una roulotte scassata e senza ruote, che non può andare
da nessuna parte... ma neanche restare: la foto è stata scattata durante la
chiusura del campo di Triboniano.
Dove si va, mi chiedo? Un tempo, si sarebbe preso il vurdon o la kampina e si
sarebbero cercate mete più fortunate, ma adesso i discendenti di chi le abitava
non sarebbero più capaci di farlo, e non ci sono più posti dove accamparsi senza
che l'autorità ti dica di andar via.
E' quello che ho sentito da molti Rom e Sinti: "Prima ci hanno obbligato a
fermarci, a mandare i figli a scuola. L'abbiamo fatto in cambio del campo, che
in qualche modo era una certezza. E quando hanno ottenuto da noi ciò che
volevano, chiudono il campo e fanno nuove promesse."
Attenzione a quest'altra foto,
Mirafiori: riuscite ad immaginare qualcosa di più statico e pesante,
impossibile da spostare con tutte le sue catene ed i suoi dipendenti?
Eppure... siamo capaci di farlo. Il titolo a cui accennavo all'inizio è:
Marchionne: "Siamo nomadi, andiamo dove si fanno affari". ABBIAMO consegnato
a Marchionne (tramite le pagine di Repubblica, non del Giornale o del
Sole24Ore) prima che il patrimonio del nomade, le nostre teste. Lasciando a
Marchionne la possibilità di andare, con tutti i contributi che i vari governi
hanno dato alla FIAT negli scorsi decenni, ed una roulotte senza ruote a chi
forse per la prima volta nella sua lunga storia si interroga sul proprio futuro.
Per la vulgata, il primo passa da imprenditore, i secondi per ladri...
E mentre Marchionne si riscopre nomade, sono in molti tra i suoi connazionali
che parimenti a Rom e Sinti non hanno certezza del loro futuro.
Il bello, è che tutto ciò che avete letto dall'inizio, l'abbiamo voluto,
l'abbiamo permesso, lo pagheremo. E so già che i futuri disoccupati troveranno
il modo per odiare di più "gli zingari", perché succede questo quando si ha
fame. L'abbiamo voluto... basta ciò a dire che sia anche intelligente?
PS: Un compleanno recente mi ha ricordato che l'epilogo era già stato
scritto anni fa, prima che arrivassero fabbriche e città. Non c'era bisogno di saper leggere le stelle, poteva arrivarci
anche un gagio che
amasse i libri.
Di Fabrizio (del 13/03/2012 @ 09:09:21, in Italia, visitato 1823 volte)
di Matteo de Bellis, attivista europeo di
Amnesty International
Una ruspa ad appena pochi metri dal campo di via Sacile, ricorda che i
lavori continueranno © Private
"Sappiamo che dovremo andarcene per i lavori di costruzione, ma dovrebbero
dare un posto, non limitarsi a lasciarci per strada."
Giovanni mi parla, in piedi di fronte a me, davanti ad una fila di baracche,
raggruppate in uno spazio grande quanto un campo di calcio a sette.
Sotto il lucente sole di Milano, i bambini corrono come se il campo di via
Sacile fosse un parco giochi. Ma non è così.
Giovanni vive da marzo 2011 nel campo non autorizzato di via Sacile. Ora ci
sono ci 50 famiglie, attorno alle 250-300persone, tutte Rom dalla Romania.
Da circa un anno vivono qui. Le autorità non hanno fornito alcun servizio:
bagni, acqua, raccolta dell'immondizia.
Gli abitanti usano aree specifiche come toilette, ogni giorno vanno a
raccogliere l'acqua presso una fontanella a qualche centinaia di metri e pagano
una società privata per raccogliere una volta la settimana la spazzatura.
Anche le OnG locali, le associazioni rom e dei cittadini stanno facendo la
loro parte, mandando i medici a visitare il campo, aiutando le famiglie ad
iscrivere i bambini a scuola e raccogliendo i curriculum degli adulti per
aiutarli a trovare lavoro.
© NAGA
Le autorità cittadine sono quasi completamente assenti da via Sacile. Eccetto
forse le visite periodiche della polizia locale, che diverse volte ha annunciato
l'imminente sgombero per tutti quanti vivano al campo.
L'area dove vivono le famiglie rom è interessata da lavori infrastrutturali -
una nuova rampa autostradale, le fognature ed i relativi lavori di drenaggio.
Lo scorso dicembre, gli abitanti spostarono le loro baracche a qualche metro
dalla sistemazione originaria, per permettere che continuassero i lavori
nell'area. Allora, le autorità lo considerarono sufficiente ad evitare lo
sgombero nella gelata condizione
invernale.
Ma ora che il sole splende ed ancora una volta i lavori di costruzione
minacciano di invadere il campo, tutti hanno paura che una sgombero sia
imminente.
Alcuni degli abitanti di via Sacile vivevano nel campo autorizzato di via
Triboniano, chiuso dalle autorità ad aprile 2011.
Giovanni mi racconta che tutta la sua famiglia è stata espulsa da via
Triboniano, subito prima della chiusura, perché aveva ospitato suo padre e sua
madre senza la dovuta autorizzazione.
Amnesty International ha documentato espulsioni di questo tipo, dove le
autorità hanno applicato regolamenti poi dichiarati illegali. Nel novembre 2011,
una decisione del Consiglio di stato ha stracciato la cosiddetta "Emergenza
Nomadi", uno stato d'emergenza che violava la legge e discriminava i Rom.
Ma le autorità milanesi e nazionali sinora non hanno fatto niente per aiutare
chi era coinvolto. Sembra invece intendano proseguire sulla stessa strada degli
sgomberi forzati che hanno oscurato le vite di centinaia di Rom milanesi, e
migliaia altrove, negli ultimi anni.
La gente come Giovanni potrebbe ora trovarsi nuovamente di fronte ad uno
sgombero forzato.
Un bulldozer parcheggiato appena a pochi metri dal campo di via Sacile
ricorda che i lavori proseguiranno, riportando quelle che possono essere
dolorose memorie dei precedenti sgomberi forzati.
Baracche, materassi, vestiti, bambole e quaderni furono travolti e distrutti.
Tutto questo senza che le autorità si consultassero preventivamente con la
comunità rom, dessero un preavviso od offrissero soluzioni abitative alternative
adeguate.
"Stavolta speriamo che diano almeno 5 o 10 giorni di preavviso," dice Bi, un
altro giovane che si guadagna da vivere scaricando e distribuendo casse di
frutta in centro città. "Se ci sgomberano senza preavviso, perderò anche il mio
lavoro, perché dovrei prendere un giorno di ferie e non so come spiegarlo al
capo, che non sa che vivo in un campo."
Le famiglie rom di via Sacile chiedono solo un preavviso per lo sgombero ed
un posto dove stare, molto meno di quanto le autorità siano tenute a fornire in
base al diritto internazionale.
Sperano ancora che il sindaco di Milano faccia la cosa giusta, e sospenda lo
sgombero fino a quando non seguano procedure corrette, con l'identificazione di
alternative adeguate per ogni famiglia.
Ma ogni notte, quelle famiglie vanno a dormire nelle loro baracche sapendo
che può essere la loro ultima notte lì, e la mattina successiva le ruspe
potrebbero entrare nel campo.
Di Fabrizio (del 13/03/2012 @ 09:09:01, in Regole, visitato 1701 volte)
Segnalazione di Agostino Rota Martir
E-IL MENSILE online 8 marzo 2012 -
Antonella De Vito
Ibadet Dibrani è una giovane donna rom molta coraggiosa. Un coraggio che in
questo momento le nasce dalla disperazione, ma che le conferisce comunque la
caratteristica di una donna forte e combattiva, non disponibile ad arrendersi
alla logica e al potere di un'amministrazione comunale che da una parte dà e
dall'altra toglie sulla base di logiche e principi che lasciano molti dubbi.
Oggi Ibadet ha 34 anni e con i suoi 5 figli, la cui più piccola ha solo 9 mesi,
è stata sfrattata dalla casa dove viveva da oltre un anno. Da una piccola e
vecchia roulotte sistemata a pochi metri dall'abitazione, senza vestiti per
potersi cambiare e con poche coperte per tutti i bambini, continua a chiedersi
perché ce l'hanno proprio con lei. "È la prima volta che qualcuno della nostra
etnia, arriva fino alla Corte d'Assise" spiega Ibadet. I suoi figli, tutti
minorenni, sono Belen di 9 mesi, Corona di due anni e mezzo, Merema di 12 anni,
Ekrem di 13 e Toni di 15. Tutta la famiglia raggiunge gli onori delle cronache
nel 2010 quando ad appena due mesi dal matrimonio, la moglie di suo figlio Toni
decide di rompere l'unione accusando il marito e tutta la sua famiglia, di
averla rapita, violentata e trattata da schiava. I giornali locali si gettano
sulla storia battezzando il caso come "la sposa bambina" dividendo subito i
protagonisti della vicenda fra buoni e cattivi. Toni ha 15 anni e così sua
moglie, anche se sugli organi d'informazione alla sposa, per essere ancora più
bambina, attribuiscono 13 anni, e le fanno indossare le vesti della giovane
eroina, che denunciando i suoi aguzzini infonde il coraggio per ribellarsi, ad
altre coetanee nelle sue condizioni. Questa la storia letta sulla stampa.
Diversa è invece la vicenda raccontata dai protagonisti che incontriamo al campo
di Coltano in provincia di Pisa dove la famiglia Dibrani vive. A parlare è
Ibadet, che stanca di subire i pregiudizi, le sentenze e i provvedimenti
amministrativi che l'hanno gettata fuori di casa con i suoi figli, decide di
raccontare la sua storia a chi ha voglia di ascoltarla.
"Accetterò la decisione del magistrato -ci dice Ibadet- e se riterrà che la
nostra famiglia è colpevole lascerò spontaneamente la casa che mi ha assegnato
la Società della Salute di Pisa. Ma fino a quel momento ho dei diritti, e
desidero difendere la mia famiglia dalle tante ingiuste bugie che sono state
dette. La prima è quella di aver dato alla moglie di mio figlio 13 anni, quando
in realtà ne hanno entrambi 15, fra loro vi sono solo due mesi di differenza.
Per il nostro popolo sposarsi giovani è una tradizione. Dopo il matrimonio di
mio figlio ci sono state tante altre unioni di questo tipo nel territorio pisano
e italiano, ma nessuno se n'è interessato: perché allora ce l'hanno solo con
noi? Perché il comune di Pisa ha dato ascolto, fin dall'inizio solo ad una
versione dei fatti? Perché non aspetta che sia il Tribunale ad esprimersi?
Perché non rispetta la Costituzione Italiana, dove si dice che la responsabilità
penale è sempre individuale e che non può ricadere mai sui minori?".
Il matrimonio di Toni è stato, secondo tradizione rom, accordato fra le due
famiglie, dopo che i due giovani si erano conosciuti. Infatti i genitori si sono
incontrati due volte in Kosovo, stabilendo la dote e festeggiando con una grande
festa, prima con i genitori della sposa in Kosovo e poi a Coltano con gli altri
parenti e amici del campo. Dopo la denuncia della ragazza sono stati arrestati
Ibadet, suo marito Riza di 35 anni, il figlio Toni, i nonni, lo zio e la zia
dello sposo. "Mio figlio -continua Ibadet- ha fatto sei mesi di carcere dove è
stato anche picchiato dal suo compagno di cella. Io sono stata la prima ad
uscire dopo 26 giorni perché ero incinta, poi mia suocera e successivamente mio
suocero e gli zii di mio figlio". In carcere a Prato resta il marito in attesa
di giudizio, che dovrebbe arrivare dopo il processo iniziato in questi giorni e
che non è prevedibile sapere quanto durerà.
In questo periodo sembrano essere emerse varie contraddizioni nell'accusa e nel
racconto della 'sposa bambina', mentre sono state raccolte prove a favore della
famiglia di Ibadet: nel frattempo la Società della Salute dell'area pisana ha
revocato la concessione amministrativa con la quale aveva assegnato la casa ai
Dibrani e ad altre 13 famiglie Rom, all'interno del progetto chiamato "Città
sottili". Secondo la Società della Salute, la famiglia di Ibadet non ha
rispettato i patti, infrangendo le leggi. "Non abbiamo commesso nessun reato.
Dopo il matrimonio in Kosovo, siamo tornati in Italia e l'abbiamo trattata come
una regina, non le abbiamo mai fatto del male. Non capisco perché non posso
entrare nella mia casa -continua-. Io al momento sono solo un'imputata ed ho
diritto a tre gradi di giudizio. Il Comune ci ha condannati prima del giudice e
ci ha buttato fuori di casa, senza darmi il tempo di prendere le mie cose.
Adesso tramite l'avvocato dovrò fare la richiesta per poter riavere almeno i
vestiti per me e i miei figli".
Ma come si può togliere la casa a dei bambini, nel periodo più freddo dell'anno?
Che colpe hanno loro in tutta questa storia? Il Comune di Pisa ha la risposta
pronta, ed ha invitato Ibadet ad andare a Pontedera dai suoi suoceri, affermando
che hanno una grande casa, ma non dicendo che vi abitano già molte persone, e
non c'è certo lo spazio sufficiente per la famiglia Dibrani. Ma il Comune è
anche disposto a prendersi cura dei bambini di Ibadet, togliendoli alle cure e
all'affetto della madre, usando un metodo molto discutibile e criticato anche da
diversi assistenti sociali e pedagogisti, che non credono assolutamente che
disgregare una famiglia, allontanando i figli dall'affetto dei genitori, sia una
procedura positiva e corretta. Il legame affettivo fra questi bambini e Ibadet è
molto forte, proprio come quello delle madri italiane con i loro figli, l'essere
rom non vuol dire trascurare i bambini, tutt'altro. Basterebbe entrare in un
campo per rendersene conto. Ed i bambini Rom reagiscono come tutti i bambini
italiani, perché non sono diversi da loro: "La scorsa notte -ci spiega Ibadet-
Corona che ha due anni e mezzo ha pianto fino alle due di notte perché voleva il
suo cuscino rimasto dentro casa, voleva andare nel suo letto, abbiamo pianto
insieme perché non sapevo cosa dirgli". Possiamo immaginare quale trauma sarebbe
per lui essere separato anche dalla madre.
Dopo che Ibadet ha rifiutato di andare a Pontedera e di lasciare il figli alle
cure del Comune, pare che neanche la piccola e vecchia roulotte sistemata nel
campo possa rispettare le regole. Idadet non può continuare a stare sul
territorio del Comune di Pisa, perché le sue condizioni sono definite "precarie"
e quindi deve andarsene. Secondo l'amministrazione, Ibadet adesso può
raggiungere i suoceri a Pontedera o i genitori in Belgio, ed il Comune è anche
disposto a pagare il viaggio, naturalmente di sola andata, a lei e alla famiglia
poiché - questo è stato messo in chiaro - anche se Ibadet e la sua famiglia
saranno assolti, non riavranno la casa. Non importa se non potrà essere presente
al processo, non importa se i figli che hanno iniziato un percorso scolastico
dovranno cambiare compagni, non importa se i più piccoli, che hanno già vissuto
lo sfratto dalla casa come un episodio traumatico, dovranno subire anche
l'allontanamento dal campo dove sono nati e la separazione dalle persone che
hanno conosciuto fin dalla nascita. L'unica cosa che conta per l'amministrazione
è che Ibadet vada fuori dal territorio del comune.
Quello dei Rom è uno dei popoli più discriminati della storia dell'umanità, il
loro avere solo una tradizione orale li mette ai margini della società, di loro
nessuno ricorda o forse neanche conosce, le numerose persecuzioni che possiamo
far risalire a molti secoli fa, passando dai lager nazisti, fino alle più
recenti guerre balcaniche. Anche Ibaded è scappata allo scoppio del conflitto in
Kosovo risparmiandosi le violenze che questa etnia ha dovuto subire fino al
culmine delle atrocità compiute nel '99 da Milosevic con le sue operazioni di
pulizia etnica.
Alla discriminazione si aggiunge discriminazione. E' Ibadet stessa che racconta:
"Dopo le notizie pubblicate dai giornali locali non potevamo più salire
sull'autobus che la gente ci sputava; una donna rom del campo è stata aggredita
verbalmente; un medico si è rifiutato di visitarmi quando ero incinta. Perché mi
hanno condannato prima del giudice senza ascoltare quello che avevo da dire?
Perché gli operatori del comune che ci frequentavano, se ne stanno zitti?".
Di Fabrizio (del 12/03/2012 @ 09:53:13, in Italia, visitato 1361 volte)
quiBrescia.it
8 marzo 2012
(red.) Un altro tassello si aggiunge alla difficile questione del trattamento
dei rom e dei sinti a Brescia. La Federazione Rom e Sinti Insieme ha espresso
infatti il suo parere
su quanto sta accadendo nel campo di via Orzinuovi. "La
situazione bresciana è molto complessa e negli ultimi anni si è avvitata sul
presupposto che l'essere sinti e rom è uno dei mali della società. Presupposto
ideologico che preoccupa perché rischia di inficiare qualsiasi intervento
rispettoso della legislazione vigente", ha scritto in un comunicato
l'associazione. "Dopo una prima analisi ci sembra che le proposte, presentate il
5 marzo dall'amministrazione comunale, contengano elementi di discriminazione
perché per dieci famiglie è previsto un trattamento penalizzante, a fronte di
una situazione economica famigliare eguale a quella delle altre famiglie (vedi
dichiarazioni Isee). E' comunque parso evidente", prosegue, "che tutte le
proposte presentate non sono state concordate con le famiglie ma vengono imposte
in base ad un "patto di cittadinanza" che porta a pensare ad una lesione dei
diritti sanciti dalla Costituzione italiana".
Secondo l'associazione le proposte delle famiglie non sono state nemmeno prese
in considerazione. "Nell'incontro del 5 marzo è stato fatto un solo accenno, da
parte dei responsabili dei servizi comunali, alle proposte presentate da due
famiglie ed è di fatto scoraggiata qualsiasi iniziativa che preveda la piena
autonomia delle famiglie sinte. L'impressione avuta durante l'incontro è che
l'amministrazione comunale operi in una logica emergenziale anche dopo la
sentenza 6050 del Consiglio di Stato. Inoltre, dobbiamo rilevare che in tutti
questi anni nessuna azione significativa è stata messa in campo nell'ambito del
lavoro e della formazione professionale. Per queste ragioni la Federazione Rom e
Sinti Insieme chiede all'Amministrazione comunale di prorogare il termine della
chiusura dell'area di via Orzinuovi allo scopo di ricercare soluzioni
alternative e definitive, nel rispetto della cultura sinta e in accordo con le
famiglie residenti".
"Nei prossimi giorni la Federazione valuterà eventuali altri interventi",
prosegue il comunicato, "per la tutela delle famiglie e inviterà il Prefetto di
Brescia ad istituire un tavolo di lavoro per approfondire le diverse
problematiche a cui si devono confrontare le famiglie sinte e rom. Auspichiamo
che la società civile, che in questi anni si è impegnata a fianco delle famiglie
sinte e rom di Brescia, riesca a comprendere l'importanza di non arrendersi a
soluzioni che in questi anni si sono dimostrate fallimentari in diverse Città
italiane. Rimarchiamo che qualsiasi soluzione abitativa, diversa dai terreni
privati, è destinata nel tempo a fallire se non è accompagnata da un serio
progetto condiviso di mediazione culturale, con la partecipazione diretta di
sinti e rom".
Di Fabrizio (del 12/03/2012 @ 09:34:04, in Europa, visitato 1376 volte)
Puglialive.net
06/03/12 - Conferenza di presentazione delle risultanze del Progetto
"Sviluppo dei diritti umani in Albania in favore delle popolazioni Rom nel
distretto di Fier, formazione professionale nel settore dello smaltimento dei
Residui solidi urbani"
L'Assessorato regionale al Mediterraneo presenterà i risultati del Progetto
"Sviluppo dei diritti umani in Albania in favore delle popolazioni Rom nel
distretto di Fier, formazione professionale nel settore dello smaltimento dei
Residui solidi urbani" il 9 marzo, alle ore 10, presso la Mediateca regionale,
via Zanardelli.
All'incontro interverranno: l'Assessore al Mediterraneo Silvia Godelli,
l'Assessore regionale alle Politiche giovanili e Cittadinanza sociale Nicola
Fratoianni,, l'Assessore al Mezzogiorno e Politiche comunitarie del Comune di
Bari Gianluca Paparesta, il Direttore UTL MAE di Tirana Aldo Sicignano, il
Presidente di Legacoop Puglia Carmelo Rollo, il Presidente dell'AMIU Bari
Gianfranco Grandalliano, il Direttore dell'AMIU di Bari Antonio Di Biase, il
Sindaco della Municipalità di Topoja (Fier Albania), Orben Voja, Padre Rosario
Avino in rappresentanza Centro Sociale Murialdo dei Padri Giuseppini in Albania,
il coordinatore del progetto.Vladimir Malo, il responsabile della progettazione
Xhevahir Ngeqari, e un gruppo di giovani Rom allievi del corso.
Il progetto è stato proposto e realizzato dalla Lega Regionale delle Cooperative
e Mutue della Puglia - Legacoop Puglia, in collaborazione con AMIU Bari, la
Municipalità di Topoja nel distretto di Fier in Albania, il Centro Sociale
Murialdo dei Padri Giuseppini, con il diretto coinvolgimento della locale
Comunità Rom, e ha avuto come destinatari un gruppo di giovani cittadini Rom,
impegnati in un percorso di formazione e di avvio al lavoro nel settore della
raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani, mediante il ricorso a tecniche
avanzate; esso ha conseguito anche l'ambizioso traguardo di arrivare alla
costituzione di un'associazione composta da cittadini Rom e Albanesi per la
gestione del servizio.
"Questa iniziativa, sottolinea l'Assessore Silvia Godelli, si
inserisce in una più ampia politica di intervento adottata dalla Regione Puglia
a sostegno dei diritti umani, in difesa delle minoranze e contro tutte le forme
di discriminazioni, che ha visto tra l'altro l'adesione ufficiale della Regione
nel 2010 alla Campagna DOSTA, promossa dal Consiglio d'Europa di Strasburgo per
combattere i pregiudizi e gli stereotipi nei confronti dei rom e per favorire
politiche di integrazione attraverso la conoscenza della realtà storica, sociale
e culturale della comunità rom."
Nell'ambito di tale Campagna, si sono già svolte iniziative con i rappresentanti
del Consiglio d'Europa a Bari e a Lecce. Tra le attività programmate e sostenute
dall'Assessorato al Mediterraneo, vi è la realizzazione di un abbecedario
romanes-italiano, di una antologia di scrittori rom dell'area balcanica, di un
seminario dedicato ai media per un corretto approccio alle problematiche della
comunità rom, di un corso per mediatori rom.
Di Fabrizio (del 11/03/2012 @ 09:04:11, in blog, visitato 1852 volte)
NO(b)LOGO
Alcuni giorni fa in nel post
Zingaro
anche se ti fa male un dente! mi facevo qualche domanda sull'assistenza
sanitaria.
Scrivevo:
L'esercizio abusivo della professione medica è un reato, farsi curare i
denti, anche se sei uno zingaro, dovrebbe essere un diritto.
Ancora una volta per lo scribacchino la vittima passa per colpevole e neanche un
dubbio lo sfiora sul fatto che sarebbe parte della sua professione cercare di
capire perché parte della popolazione residente a Roma si debba avvalere di un
circuito clandestino per ottenere anche solo la cura odontoiatrica.
L'amico Fabrizio, che è un'impagabile memoria storica di tutto ciò che accade
nell'universo Rom, mi segnalava che questo modo "pittoresco" di raccontare la
tragedia della mancata assistenza non è affatto una novità.
Ad esempio in Mahalla riportava già nel 2006 "una gustosa storia" di dentisti
arabi improvvisati, di sorrisi etnici a 24 carati, e di tutto il ciarpame
razzista con cui la stampa fa passare la negazione di un diritto costituzionale
come una bizzarria etnica.
Ed il fenomeno della mancata assistenza nella stampa mainstream viene fatto
passare come "una storia di colore" e scivola nel dimenticatoio ... magari
lasciando solo echi nella stampa della corporazione dei dentisti preoccupata per
la concorrenza sleale:
IlDentale - Un altro abusivo siriano, nomade, scoperto
dai carabinieri a Roma
La notizia vera, quella che un buon giornalista dovrebbe evidenziare, invece
esce solo oggi sull'onda di un comunicato stampa, riservata alle pagine più
nascoste dei quotidiani.
Il diritto alla salute non esiste ... neanche per i cittadini neo comunitari.
Tanto più non esiste se sei Rom.
Riporto qui l'articolo che ha come fonte la meritoria azione del
NAGA
Lombardia, senza cure mediche fino a 40 mila immigrati comunitari
Luisa, 4 anni, è stata rifiutata da due ospedali, Paolo Pini e Buzzi, prima di
riuscire a trovare un odontoiatra e un cardiologo che la visitassero (al San
Paolo).
Ha i denti in pessimo stato, ma ha anche una cardiopatia congenita. E
l'intervento alla bocca può essere eseguito solo in un ospedale con l'assistenza
di un cardiologo. Il guaio di Luisa è di essere romena.
Da quando, nel 2007, Romania e Bulgaria sono entrati a far parte dell'Unione
europea, è molto più difficile per gli immigrati neocomunitari farsi curare dal
sistema sanitario italiano.
In particolare in Lombardia, visto che la regione finora non ha fatto nulla per
aiutarli. Infatti hanno diritto alle cure mediche solo coloro che hanno un
lavoro in regola oppure la Tessera europea di assicurazione malattia (Team) che
viene rilasciata dal Paese d'origine.
Non tutti i romeni e i bulgari hanno però la Team. Di conseguenza i disoccupati
e persino i familiari a carico di chi ha un'occupazione in regola non hanno
diritto alle cure. Secondo il Naga, associazione di medici volontari, in
Lombardia sono dai 20 mila ai 40mila senza assistenza sanitaria (circa 6mila a
Milano). "E fra questi i più emarginati sono i rom", afferma Piero Massarotto.
Per due mesi, novembre e dicembre 2011, il Naga ha raccolto i dati di 167
pazienti comunitari che si sono presentati all'ambulatorio gestito dai volontari
in via Zamenhof, per capire che tipo di accoglienza trovano nelle strutture
sanitarie pubbliche di Milano. E i risultati sono sconfortanti: nonostante siano
in Italia in media da cinque anni e mezzo, due su tre (116 persone) è stato
visitato solo dal Naga o da altre associazioni, ma mai da ospedali o da
ambulatori pubblici. 68 hanno ricevuto assistenza anche dai pronto soccorso.
La
situazione dei bambini è addirittura peggiore: su 71 casi, risulta che 29 non
sono mai stati visitati da un medico in vita loro, 28 dai pronto soccorso e 13
solo da medici di organizzazioni di volontariato (la somma è maggiore dei casi
perché alcuni hanno ricevuto visite da diverse realtà). Inoltre, 17 non sono mai
stati vaccinati e di 13 i genitori non ricordavano quali vaccinazioni avessero
fatto. I risultati dello studio, realizzato insieme a Casa per la pace di
Milano!, Centro internazionale Helder Camara e Sant'Angelo solidale onlus, sono
stati presentati questa mattina nella sede del Naga.
La Lombardia rappresenta un caso particolare. Molte Regioni infatti per evitare
che ci fossero persone senza assistenza sanitaria sono corse ai ripari
istituendo il codice Eni (Europei non iscritti), che apre le porte di ospedali e
medici di base. La Lombardia no: in una circolare (la 4 del 2008) ha
riconosciuto a tutti il diritto alla salute, ma non ha stabilito come. E così i
romeni e bulgari privi di qualsiasi tessera sanitaria quando si presentano ai
centri prenotazione degli ospedali per visite ambulatoriali vengono rifiutati. E
non hanno possibilità di scegliere un medico di base, senza il quale non è
possibile avere la prescrizione per i farmaci. Sono cittadini comunitari, ma per
la Regione Lombardia di serie B. In un sistema sanitario che burocraticamente
dipende tutto da codici, il fatto di essere senza tessera trasforma l'ammalato
in un fantasma. "Da quando appartengono all'Unione europea dovrebbero avere più
di diritti, ma in realtà solo sulla carta", sottolinea Piero Massarotto. In
effetti gli stranieri irregolari extracomunitari hanno diritto all'assistenza
sanitaria, perché il Testo unico sull'immigrazione riconosce loro la possibilità
di ottenere il codice Stp (Straniero temporaneamente presente). Romeni e bulgari
no.
Nei casi gravi i pronto soccorsi rappresentano un'ancora di salvezza. Ma anche
qui non mancano i problemi. La stragrande maggioranza viene dimesso senza alcuna
ricetta medica e, non avendo il medico di base, non possono acquistare i
farmaci.
Di Fabrizio (del 10/03/2012 @ 09:26:27, in lavoro, visitato 1690 volte)
Radio Vaticana
"Ho visto anche degli zingari felici" è il titolo di un originale seminario
tenutosi nei giorni scorsi presso la Sala della Crociera di Roma. Nel tentativo
di ribaltare la questione, si è scelto di partire, almeno una volta, non da cosa
la società possa fare per i rom, ma da cosa i rom hanno da offrire alla
società. Centro dell'incontro, l'esperienza della "Antica Sartoria Rom", una
cooperativa di sarte modelle rom che produce capi di alta moda e abiti di scena
per teatri dell'Opera di mezza Europa: sono loro ad aver fornito i vestiti ai
cantanti lirici e ai danzatori che hanno aperto il convegno eseguendo arie
tratte dalla "Carmen" di Bizet. Ora, la sartoria è a rischio chiusura: si
ripongono speranze nella strategia nazionale di inclusione di Rom, Sinti e
Camminanti ufficializzata il primo marzo. Il servizio di Luca Attanasio:
real -
mp3
D. – Carmen Rocco, direttrice dell'Antica Sartoria Rom: un
primo risultato del seminario "Ho visto anche degli zingari felici"?
R. – Tante persone, convinte del fatto che gli zingari vogliano lavorare, che
non è vero che gli zingari stanno in giro ad elemosinare perché sono dei
nullafacenti.
D. – Come si è inserita nel mercato la vostra cooperativa?
R. – L'Antica Sartoria Rom, finalmente si è guadagnata una nicchia di mercato e
noi tentiamo in ogni modo di mantenerla. In questo momento, sta per realizzare i
costumi per l'opera rossiniana dell'‘Italiana in Algeri'".
D. – Ma rischia di chiudere. Mancano la sede e i fondi per formare nuove
sarte...
R. – La nostra sede è del tutto fatiscente. Si allaga, è senza metà del soffitto
e le fogne sono scoperte... Noi avremmo delle commesse: le persone in grado di
fare questo genere di lavoro, su misura, ad altissima precisione attualmente,
nell'Antica Sartoria Rom, sono tre che hanno ricevuto una formazione
professionale adeguata per costumista-sarto. Senza fondi per la formazione non è
possibile.
D. – Signora Nadia Dumitru, lei ha imparato un mestiere…
R. – Sì: mi sento una sarta, felice di questo lavoro. Non avrei mai pensato di
diventare una sarta ed è una cosa molto bella. Fare vedere alle persone che
siamo capaci di fare di tutto: molti non si fidano perché pensano che noi non
vogliamo lavorare, che vogliamo soltanto "integrare"… Ma noi abbiamo la
possibilità.
D. – Dr. Monnanni, lei è direttore generale dell'Unar,
l'Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali: la speranza di questo popolo
risiede nella nuova strategia nazionale di inclusione…
R. – Si tratta di un atto inedito con cui il governo italiano chiude una fase –
quella dell'emergenza nomadi – per avviare una nuova politica, condivisa con le
comunità rom e sinti e con tutta la società civile, per avviare un quadro
strutturale di inclusione sociale e lavorativa dei rom e dei sinti.
D. – Casa, istruzione, accesso ai servizi sanitari e lavoro…
R. – Sono i quattro assi voluti dalla Commissione europea e sono i quattro
pilastri dell'inclusione. Per la prima volta, l'Italia si dota di una cabina di
regia guidata dal ministro Andrea Riccardi, che coinvolgerà il Ministero
dell'interno, del Lavoro, della Salute e dell'Istruzione. L'inclusione sociale e
lavorativa si realizza attraverso una costante presenza e un costante utilizzo
di tutte le risorse, a partire da quelle comunitarie che sono per lo più
inutilizzate. (gf)
nuova Agenzia Radicale lunedì 05 marzo 2012 di FLORE MURARD-YOVANOVITCH
Strano come, nell'indifferenza generale, i "campi rom" vadano a
fuoco in questo Paese. Ultimo di una lunga catena, da Ponticelli a oggi,
l'incendio del 2 marzo scorso (valutato come accidentale ma avvenuto a poca
distanza da una manifestazione organizzata dal Pdl contro i "nomadi") del campo
del Parco della Marinella a Napoli, con due feriti; dopo i ripetuti incendi di
gennaio nel insediamento di viale Maddalena.
Una ripetizione che fa dichiarare a Rodolfo Viviani, presidente
dell'associazione radicale "Per la Grande Napoli": "Assistiamo a una drammatica
catena di fatti che è impossibile ricondurre a casualità. Campagne stampa,
interventi repressivi, incendi".
A seguito del tentato pogrom di Torino, nel dicembre scorso, un
embrione di reazione anti-razzista sembrava nascere nella società civile, ma
sembra, a posteriori, più un'onda emotiva in reazione alla strage dei senegalesi
a Firenze che vera presa di coscienza della drammatica crescita in Italia dell'antiziganismo,
dell'odio contro questa minoranza specifica.
Anche da vittime, i Rom sono trattati in secondo piano. Invece
è allarmante l'escalation dal 2008 a oggi, che spesso non viene nemmeno
raccontata dai media, di aggressioni e attacchi razzisti particolarmente gravi
contro i campi rom nelle vicinanze di grandi città come Milano, Napoli, Pisa,
Roma e Venezia; con incendi dolosi che hanno talvolta messo in pericolo la vita
dei loro abitanti, in certi casi costretti ad andarsene sotto la protezione
della polizia.
Atti di violenza collettiva, a volte quasi pianificata, come a
Torino. Quei roghi vengono ad aggiungersi alle gravi forme di emarginazione e di
discriminazione che subiscono la maggior parte dei Rom e Sinti, nel loro
quotidiano. Circa un terzo, siano essi cittadini italiani o meno, vive in campi
"nomadi" praticamente segregato dal resto della società e senza avere accesso ai
servizi più basilari, come educazione e salute.
Senza parlare della questione alloggio, mai davvero affrontata
dalle autorità locali. Anzi, su di loro e come gruppo, sono piovute le
cosiddette misure di "emergenza" del "pacchetto sicurezza", alcune riguardanti
esplicitamente i Rom o i "nomadi" e utilizzate in modo discriminatorio:
censimenti effettuati in insediamenti abitati esclusivamente da Rom, raccolta,
spesso non volontaria, delle impronte digitali; e strapotere conferito ai
Prefetti nella gestione di uno pseudo "stato di emergenza in relazione agli
insediamenti di comunità nomadi".
Leggere: sgomberi forzati e abusi quotidiani. Non a caso, la
maggior parte delle denunce di presunti maltrattamenti commessi dalle forze
dell'ordine riguarda atti compiuti nei confronti di Rom. Tutte politiche che
rafforzano l'impressione che i Rom siano presi di mira proprio dalle autorità e
che legittimano l'intolleranza popolare invece di contrastarla.
Una deriva chiaramente xenofoba in Italia, che invece non è
stata passata sotto silenzio dalla Commissione europea contro il razzismo e
l'intolleranza (ECRI), organo indipendente di monitoraggio istituito dal
Consiglio d'Europa per la tutela dei diritti umani. Nel Rapporto sull'Italia
2012 (che rispecchia la situazione fino a giugno 2011), dichiara: "Si respira un
clima generale fortemente negativo rispetto ai Rom: i pregiudizi esistenti nei
loro confronti si riflettono talvolta negli atteggiamenti e nelle decisioni
adottate dai politici, o sono da queste rafforzati".
O, ancora, è "in aumento il discorso razzista e xenofobo in politica,
che prende di mira neri, africani, rom, romeni, (…) immigrati in generale; in
certi casi, certe dichiarazioni hanno provocato atti di violenza contro questi
gruppi". L'Ecri punta il dito sulla radice del problema: la relazione che esiste
tra discorso razzista e violenza a sfondo razziale. E' infatti nel linguaggio
che si opera la progressiva disumanizzazione dell'altro. Nell'uso improprio
della parola "nomadi", per etichettare cittadini che per la metà sono italiani e
appartengono a gruppi che vivono in Italia da secoli.
O nell'uso di termini che suggeriscono una minaccia, una
presunta pericolosità. Perché le parole sono armi. L'ECRI intanto è convinta che
il contesto attuale richieda una reazione urgente, molto più incisiva, da parte
delle autorità italiane.
"Adottare fermi provvedimenti per combattere l'uso di discorsi
xenofobi da parte dei partiti politici o dei loro esponenti o di discorsi che
costituiscano un incitamento all'odio razziale e, in particolare, ad adottare
delle disposizioni legali finalizzate alla soppressione dei finanziamenti
pubblici per i partiti politici che fomentano il razzismo o la xenofobia". Si
potrebbe iniziare ad applicare le leggi in materia. Ogni riferimento a un
partito politico in particolare, è puramente casuale.
Di Fabrizio (del 09/03/2012 @ 09:09:24, in lavoro, visitato 1554 volte)
Dagli all'untore! [...]
Da il Mattino del 23 febbraio apprendiamo della brillante "Operazione della
polizia municipale nei campi rom di Napoli: stop alla 'rivendita' di materiale,
come capi di abbigliamento, prelevato dai cassonetti di rifiuti lungo le strade
della città. «Impressionanti» vengono definite le condizioni igieniche delle
baracche, infestate da topi. Personale composto da 150 unità, diretto dal
comandante, generale Luigi Sementa, è impegnato dalle prime ore del mattino per
inibire l'immissione nelle strade della città di capi d'abbigliamento, utensili
ed oggetti di scarto prelevati dai rom dai cassonetti dei rifiuti e rivenduti
senza nessun trattamento igienico sanitario e, quindi, con rischio per la salute
pubblica e degli stessi rom.
Le tonnellate di mercanzie sequestrate, si legge in una nota dei vigili urbani,
sono state immediatamente distrutte dai compattatori dell'Asia, presenti sul
posto, per evitare qualsiasi forma di recupero. Sono stati inoltre sottoposti a
sequestro i mezzi utilizzati come ricettacoli di spazzatura, che al momento
sono: 524 carrozzine, 45 motocarri Ape, 97 veicoli trovati senza targhe,
documenti e copertura assicurativa, 12 auto risultate rubate, e migliaia di
pezzi d'auto di dubbia provenienza." Ebbene si! C'è qualcuno (una parte
dell'umanità) che vive degli scarti dell'altra parte. Certo questo può
infastidire "malamente" e risultare intollerabile, ma tant'è!
In realtà per il popolo Rom, grande protagonista del Riutilizzo in Italia i
tempi che stiamo vivendo non sono tempi felici. Un decennio di pratiche legali
legate a mercatini del riutilizzo e raccolta di materiali ferrosi e rifiuti
ingombranti (esemplificative le "buone pratiche" di Mestre, Roma e Reggio
Calabria) rischia di finire definitivamente nel dimenticatoio sopratutto in
vista delle varie competizioni elettorali. La certezza è che le attività di
riutilizzo operate dalle Comunità rom raggiungono un volume ed un valore
ambientale, economico, sociale e culturale che non sarà possibile occultare a
lungo. Sicuramente, accanto ad altre, saranno queste le attività virtuose che
garantiranno a questo popolo un futuro di integrazione economica e sociale e una
vita più piena e più degna.
L'attività di recupero e riutilizzo dei Rom è aumentata in modo considerevole in
questo PERIODO DI CRISI GENERALE E DI RECESSIONE ECONOMICA, soprattutto grazie
al lavoro delle ultime comunità che si sono inserite in questo settore (rumene e
bulgare). Ma nonostante il grande servizio che i Rom rendono all'ambiente e le
innovazioni normative nazionali ed europee che sanciscono l'importanza delle
reti locali di riutilizzo, non è ancora registrabile da parte delle
amministrazioni locali e centrali nessun vero segnale di voler regolarizzare il
fenomeno.
Mentre le presenze di rigattieri Rom all'interno di mercati regolari sono sempre
più sporadiche (pur rimanendo significative), i mercati spontanei sono sempre
più sottoposti a sgomberi, multe e sequestro delle merci. Gli operatori
dell'usato Rom sono sotto attacco in tutta Italia: nei mercati delle periferie
romane come nel centrale e famoso mercato di Porta Portese; nel mercatino
dell'usato vicino lo stadio San Nicola di Bari così come nel mercato di Bonola
(Milano); nel mercato del Porto antico di Genova, così come in quello di Piazza
Garibaldi a Napoli o in quello che si sviluppa tra via Aldo Moro e via Salvo
D'Acquisto a Cava dei Tirreni.
Nonostante i problemi di pulizia o decoro che sono principalmente attribuibili
alla mancanza di adeguate regole nell'approvvigionamento e nell'esposizione
delle merci, non c'è dubbio che in tema di riutilizzo il segmento dei Rom è tra
i più virtuosi e lungimiranti. Il 7 Maggio del 2011 il Corriere del Mezzogiorno
riportava le dichiarazioni degli oncologi Antonio Marfella e Giuseppe Comella,
che all'interno di una relazione preparata per l'Isde –Associazione Medici per
l'Ambiente, non esitano ad affermare che i rom sono gli unici ad aver compreso
«la ricchezza diffusa che potrebbe provenire dall'Oro di Napoli: i rifiuti
urbani», poiché sono in grado di recuperare fino al 90% dei mucchi di spazzatura
che si trovano a rovistare ai lati delle strade.
Anche se oggettivamente Ambientalista, per i Rom la pratica del riutilizzo
rimane profondamente e principalmente un'attività Economica: grazie alla vendita
di merci usate circa il 10% di questa comunità riesce ad avere un lavoro e un
reddito onesto, e oggi i Rom sono il vero primo anello della filiera dell'usato.
Se negli anni ‘80 le Comunità dell'ex Yugoslavia avevano determinato un forte
ribasso sul mercato dei prezzi dell'usato imponendo una ristrutturazione delle
attività degli altri rigattieri (italiani e migranti di altre etnie),
attualmente questa dinamica è prodotta dai rom rumeni e bulgari. Questi ultimi
riescono ad adottare prezzi bassissimi a causa di una molteplicità di fattori,
tra i quali segnaliamo:
a) Condizioni abitative di estremo disagio senza servizi (e costi) essenziali
come acqua, luce e riscaldamento;
b) Il frequente insediamento in luoghi urbani che si trovano a ridosso dei
mercati; vicinanza che riduce le spese legate alla ricerca delle merci e il loro
trasporto (sia l'usato da vendere al mercato che i materiali ferrosi da vendere
ai rottamatori).
L'usato Rom non è monolitico e presenta sfaccettature e diversità anche
importanti: si va dai "frugatori" che rovistano i cassonetti (soprattutto quelli
localizzati in zone popolari) agli svuotacantine che sgomberano cantine e
soffitte e agli operatori che ricevono in donazione beni tecnologicamente
superati da negozi e magazzini, o libri da biblioteche, librerie e privati.
Al loro fianco ci sono gli eredi dei "ferrivecchi", che laboriosi come
formichine spalmano la loro attività su tutto il territorio cercando materiali
ferrosi da rivendere ai rottamatori per qualche centesimo di euro al chilo.
Quest'ultima tipologia di operatore è attualmente la più tartassata, con multe
di migliaia di euro e frequenti sequestri dei mezzi e dei materiali raccolti.
Anche nel settore "ferrivecchi" la normativa è molto farraginosa e controversa.
A tal proposito è illuminante un recente articolo dell'avvocato Marilisa Bombi "Cenciaoli
e ferrivecchi: Condannati al carcere dalla semplificazione" che nella sua
conclusione afferma che "sarebbe quanto mai necessario un intervento del
legislatore di modifica della disposizione in materia ambientale, nel senso che
l'articolo 266, comma 5, del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, Norme in materia
ambientale, dovrebbe essere modificato nei termini qui di seguito indicati: 5.
Le disposizioni di cui agli articoli 189, 190, 193 e 212 non si applicano alle
attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti iscritti al
registro imprese, per l'attività già disciplinata dall'art. 121 del Testo unico
di pubblica sicurezza ed abrogato dall'art. 6, d.P.R. 28 maggio 2001, n. 311,
limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio".
Roma 23 febbraio 2012
Aleramo Virgili
Rete di sostegno mercatini rom di Roma
Vicepresidente Rete ONU
Di Fabrizio (del 08/03/2012 @ 09:50:22, in Italia, visitato 1562 volte)
CORRIERE DEL VENETO (NdR. neanche a farlo apposta, una risposta all'articolo
precedente. Ma già all'inizio degli anni '90...)
Sabrina Bastianello (archivio)
IL CASO A VICENZA Sabrina Bastianello:
«Pagano sempre E noi non siamo razzisti»
VICENZA — «I nomadi? Io li ospito già in un appartamento di mia proprietà,
pagano l'affitto e io li aiuto così». Parola di una consigliera leghista,
Sabrina Bastianello. È lei l'esponente del Carroccio che ha pronunciato quella
frase, ieri, durante il Consiglio, sfatando qualsiasi luogo comune che vede i
fazzoletti verdi avere sempre il pugno di ferro contro rom e sinti. La scena si
consuma all'inizio dell'assemblea consiliare, quando in sala si discute del
trasferimento, per lavori, dei nomadi che vivono nell'area di via Cricoli.
Nell'interrogazione presentata dagli esponenti del Carroccio, per chiedere
informazioni su quel trasferimento annunciato dall'amministrazione per i
prossimi mesi, la Lega chiede alcune informazioni sulla zona destinata ad
ospitare, in modo temporaneo, le cento persone che vivono in via Cricoli. Nel
testo vengono citate alcune dichiarazioni dell'assessore ai Servizi sociali,
Giovanni Giuliari, in merito alla vicenda del cartello contro gli zingari appeso
dalla commessa marocchina Fatima Mecal, poche settimane fa. Contro quel cartello
si era scagliato l'assessore Giuliari e la Lega, ora, avanza una proposta, dai
toni provocatori, all'assessore: «È disposto - scrivono i consiglieri del
Carroccio - ad ospitare a casa sua alcune di queste persone al fine di
provvedere personalmente alla loro integrazione?».
Il clima si surriscalda, Giuliari ribatte: «È una provocazione, ma comunque non
potrei, nell'appartamento dove vivo non c'è abbastanza spazio. Fatelo voi». E
qui arriva la risposta della Bastianello: «Io, i nomadi, li ospito già a casa
mia - dichiara la consigliera - o meglio in un appartamento di mia proprietà».
L'annuncio è forte, perché arriva da una esponente della Lega nord, il partito
che, da sempre, lancia strali nei confronti di nomadi e rom che vivono nelle
città. Solo lo scorso 24 febbraio, il segretario cittadino Carlo Rigon
descriveva alcune delle famiglie di nomadi che abitano nel capoluogo come
«persone che mai hanno dimostrato la volontà di integrarsi nel tessuto sociale
cittadino ». Ma per la consigliera Bastianello, questi sono «pregiudizi che non
esistono». Lei, in un appartamento in città ospita una famiglia di cinque
persone, formata da padre, madre e tre figli. Tutti di etnia rom, che un mese fa
vivevano in una roulotte e che, adesso, abitano in un condominio. «Lo faccio
perché sono venuta a conoscenza della grave situazione di difficoltà economica
questa famiglia - dichiara Bastianello - e ho deciso di ospitarli. Pagano
regolare contratto d'affitto, anche se minimo, e la considero una dimostrazione
di aiuto verso queste persone, perché noi leghisti non siamo razzisti».
Gian Maria Collicelli
Ricordo Personale: Non so l'anno
preciso: a Milano il centrosinistra stava vivendo il suo autunno (quello dei
sindaci Pillitteri, Borghini...) e di lì a poco sarebbe esplosa Tangentopoli. La
Lega muoveva i primi passi, in Comune e nei Consigli di Zona, e naturalmente i
"nomadi" erano già allora uno dei suoi bersagli preferiti.
Col centrosinistra di allora, i rapporti erano buoni, ma freddi: nel
senso che se volevi organizzare una festa, un corso scolastico o di formazione
al lavoro, non mancava il loro patrocinio, ti ammollavano anche "la centomila"
per il sovvenzionamento, ma per loro era come se la città finisse al bordo del
campo. Per chi ci abitava dentro erano come dei fantasmi, nessuno aveva mai
varcato il cancello.
Dei consiglieri leghisti di allora me ne ricordo tanti (col tempo sono
tutti usciti da quel partito). Una di loro, nella nostra zona, a vederla era la
classica signora-bene, col girocollo di perle ed una voce stridula ed
antipatica... con lei polemiche a non finire.
Quando la Lega prese la maggioranza in Consiglio di Zona, lei divenne
presidente della commissione sanità ed Assistenza Sociale. Mi ricordo un
inverno, col Lambro che esondò per le piogge ed allagò tutto il campo. Le
famiglie avevano perso tutto. Quella consigliera fu la prima a varcare i confini
del campo, senza collana di perle ed indossando stivali da pescatore, portando
qualche sacco di vestiti rimediati chissà come.
Continuammo a polemizzare, finché non abbandonò la politica, ma imparammo
a rispettarla.
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