L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Di Fabrizio (del 12/11/2011 @ 09:16:47, in Italia, visitato 1232 volte)
8 novembre 2011
Gentile redazione,
A.I.Z.O. rom e sinti, associazione di volontariato che da quarant'anni opera a
fianco della popolazione rom e sinta su tutto il territorio nazionale, vi invia
un comunicato stampa riguardo le dichiarazioni del on. Cavallottoa
seguito dell'allontanamento dei rom presenti nell'accampamento di Lungo Stura
Lazio a Torino.
A disposizione per ulteriori delucidazioni, si porgono distinti saluti.
Ufficio Stampa A.I.Z.O.
A.I.Z.O. ONLUS
Via Foligno 2
10149 Torino
Tel: 0117496016 - 3488257600
Faz: 011740171 www.aizo.it
Nella giornata di ieri, a seguito dell'alluvione che ha colpito il torinese e
dell'allontanamento dei rom accampati nel campo di Lungo Stura Lazio per motivi
di sicurezza, l'onorevole Cavallotto della Lega Nord è intervenuto sull'evento
dichiarando "La pioggia è riuscita nell'impresa fallita da Fassino, cioè lo
sgombero del campo nomadi abusivo di Lunga Stura". Una dichiarazione choc che
arriva nel giorno in cui vengono commemorate le vittime di questa alluvione,
vittime che il gruppo della Lega Nord del comune di Torino ha chiesto di
ricordare con un minuto di silenzio.
A.I.Z.O. rom e sinti, Associazione che da 40 anni opera a favore
dell'inclusione del popolo rom, si esprime costernata per queste dichiarazioni,
che non possono essere giustificate con nessuna motivazione. Una calamità
naturale come un'alluvione è una tragedia che colpisce l'intera popolazione e il
popolo rom, spesso duramente colpito da queste disgrazie, merita la stessa
solidarietà di tutto il resto della popolazione. Ricordiamo per esempio la morte
di una bambina rom durante un'alluvione di alcuni anni fa', quando il fiume
Stura è esondato all'altezza del campo autorizzato di Strada dell'Aeroporto,
rischiando di travolgere tutte le abitazioni dell'area realizzata dal Comune.
Gioirsi di un evento così tragico che può mettere a repentaglio la vita di
persone, di qualsiasi etnia esse siano, è un atto vile e criminoso e che risulta
stridente con la richiesta del gruppo della Lega Nord di osservare un minuto di
silenzio per esprimere solidarietà alle famiglie colpite dalle recenti
alluvioni. Gli esponenti della Lega sembra continuino a dividere la popolazione
in due categoria: una a cui esprimere solidarietà e vicinanza, un'altra da
dimenticare e considerare solo quando crea problemi.
La replica del deputato, intervenuto dopo le polemiche che hanno suscitato le
sue parole, non sono sufficienti per giustificare delle parole così pesanti e
irrispettose della vita umana.
A.I.Z.O. ritiene che sia di fondamentale importanza affrontare la situazione
del accampamento di Lungo Stura Lazio ma trovando soluzioni alternative per le
persone che vi abitano che permettano loro di emanciparsi dalla condizione del
grande campo abusivo e non le costringano a cercare un'altra area dove
accamparsi tra topi e immondizia, senza acqua e elettricità. Uno sgombero senza
alternative di certo non risolve il problema della sicurezza e della legalità e
risulta essere solo un'inutile spreco di risorse economiche, ma augurarsi che
sia un'alluvione a sgomberare il campo è oltremodo insensato e irrispettoso.
A.I.Z.O. invece si augura che dichiarazioni di questo tenore, che provocano
anche l'indignazione della comunità internazionale, non vengano più espresse da
coloro che fanno parte dell'attuale governo.
Ndr: in redazione a Mahalla pensiamo che Davide Cavallotto si sia
montato la testa e pensi di essere parte di un progetto divino. Il sospetto ci è
venuto sin dai tempi che Cavallotto faceva l'imbianchino: come potete vedere nel
suo lavoro alla Cappella Sistina (QUI
foto originale), già allora immaginava che gli zingari non dovessero trovare
posto sull'arca.
Il capo della carovana dei gitani che si sono fermati a Villamarzana "In Italia ci trattano male"
Rovigo, 8 novembre 2011 - Sono tornate le carovane di nomadi vicino al casello
dell’autostrada a Villamarzana. Quelli che c’erano la settimana scorsa si erano
spostati poi a Costa di Rovigo, ma domenica se ne sono andati di nuovo, non si
sa verso dove. La gente del posto ha ricominciato preoccupata a chiamare il
sindaco Valerio Galvan. Questa volta non sono più di cinque o sei roulotte. Per
capire chi sono questi zingari che nelle loro peregrinazioni si fermano in
Polesine siamo andati a conoscerli ieri mattina. Appena siamo scesi dalla
macchina e ci siamo avvicinati si è fatta sotto una donna con un grembiule a
fiorellini come quelli delle contadine di una volta. Pochi denti in bocca ma il
sorriso stampato. Stava mescolando una zuppa in un pentolone e ci è venuta
incontro. «Siamo del Resto del Carlino, vogliamo conoscervi e farvi qualche
domanda». Prima ancora di stringerci la mano ci hanno chiesto dei soldi: «Quanto
avete in tasca? Dateci qualcosa per dar da mangiare ai bambini e vi facciamo
fare l’intervista».
Da dove venite?
«Dalla Spagna come origini, ma stiamo spesso in Francia. La maggior parte della
nostra comunità sta in Francia».
Come mai siete qui nei pressi di Rovigo?
«Siamo venuti per i morti, abbiamo dei parenti a 50 chilometri di distanza». E
pronuncia il cognome della famiglia ma non si capisce bene se sia Braidi, Bradi
o Bradic.
Lei come si chiama?
«Cueves, Ivanovic Manolo Cueves». Chiestogli di scriverlo su un foglio non siamo
sicuri che abbia scritto Cueveces, Cueves o qualcos’altro. Allora lo abbiamo
scritto noi in stampatello perché lo leggesse e ci desse conferma: «Non so
leggere» è stata la risposta. Il capo della carovana però era il più ben
disposto nei nostri confronti: si è fatto fotografare senza chiedere soldi,
mentre l’uomo più giovane che gli stava di fronte proponeva la foto di gruppo
per 20 euro. «Noi siamo gitani, zingari. Ma gli zingari non sono tutti cattivi o
tutti ladri. Qui in Italia ci trattano sempre male. Ci cacciano dappertutto, ma
noi non facciamo male a nessuno», ci tiene a far sapere. «Noi siamo una famiglia
che gira in tutta l’Europa. Esistiamo da 2.000 anni, prima giravamo con i
cavalli, ora ci siamo un po’ modernizzati e giriamo con le roulotte, ma siamo
sempre noi».
In quanti siete, del vostro gruppo?
«Siamo 10.000 roulotte in tutta Europa, stiamo tanto in Francia perché in Italia
ci mandano via».
Qui a Villamarzana come vi siete trovati?
«Bene, il sindaco e i carabinieri sono stati gentili».
In Francia vi aiutano?
«Sì, lo Stato ci dà dei soldi. A me, per la mia famiglia, moglie e due figli, mi
danno 800 euro al mese. E poi Sarkozy ha obbligato ogni comune sopra i 5.000
abitanti ad attrezzare un campo nomadi».
La situazione e' drammaticamente peggiorata dopo il 2008. In passato, una
famiglia rom di cinque persone avrebbe potuto, con i sussidi, arrivare fino al
14 del mese. Poi, una volta finito il denaro, avrebbe potuto ottenere un credito
presso i negozi del luogo e gli uomini, con i loro lavori occasionali,
costruzione di muri, riparazione di tetti, eccetera, sarebbero riusciti a
guadagnare il necessario per far sopravvivere la famiglia l'altra meta' del
mese.
Ma con la crisi finanziaria, la gente ha smesso di spendere soldi per questi
lavoretti e i negozi non fanno piu' credito. Anche se gli tzigani piu' poveri
sono riusciti a sopravvivere - a stento - negli ultimi vent'anni, oggi con la
crisi economica sono davvero in una situazione tragica, ed e' gia' da tempo che
si inizia ad osservare un fenomeno che per chi e' rom e' davvero sintomo di
disperazione: figli che, per mancanza di mezzi di sussistenza, vengono
abbandonati agli orfanotrofi nella speranza che almeno trovino un piatto caldo e
un tetto.
Inutile che stia qui a raccontare quanto sia dura la vita in un orfanotrofio. In
mezzo a centinaia di bambini tutti disperati, e trascurati da chi si dovrebbe
prendere cura di loro, che per menefreghismo e indolenza vengono lasciati e se
stessi, senza regole, si forma una generazione di violenti pronti a tutto pur di
conquistarsi uno spazio di sopravvivenza, nel tentativo di emergere sugli altri
e non esserne a loro volta annientati, cosi' da perdere completamente il senso
stesso di appartenenza ad una comunita'. Anche se qualcuno, di tanto in tanto,
diverso per carattere o per particolare capacita', riesce poi ad emergere non
con la forza ma con l'intelletto, ed accede a qualcosa di piu' elevato,
riscoprendo il valore della cultura e della solidarieta' fra persone.
“Mentre nella maggior parte dell'Europa occidentale la questione rom e'
marginale, in Ungheria, a causa delle dimensioni della comunita', delle
conseguenze disastrose del comunismo e del fallimento delle politiche degli
ultimi vent'anni, tale questione e' diventata centrale.” E' cio' che dichiara
Balog Zoltán, per dieci anni pastore protestante prima di diventare ministro e
il piu' fidato fra i consiglieri di Orban Viktor, il premier ungherese.
Magro, barba grigia, il cinquantatreenne Balog, oggi e' visto come la vera
coscienza del governo conservatore ungherese. E' colui che e' stato dietro alla
decisione del governo, durante il suo semestre di presidenza dell'Unione
europea, di portare il problema dell'integrazione dei rom a livello europeo come
una priorita' assoluta.
Per Balog - che ha dato al suo governo tre anni di tempo per affrontare il
problema in modo efficace e risolverlo preannunciando in caso contrario il
disastro - questa esplosione del fenomeno dei vigilantes in divisa in ghetti di
Gyöngyöspata e di molte altre localita' ungheresi, e' il sintomo di una crisi
nazionale molto profonda, ma non perche' presagisce l'ascesa dei neo-nazisti. Il
problema e' secondo lui ancor piu' serio.
"La vera differenza tra il nostro problema rom e quello dell'Europa
occidentale”, dice Balog “sta nel grado di rischio. In Italia e in Spagna si
parla di integrare un gruppo marginale, piccolo, quindi e' tutto sommato
esclusivamente una mera questione di diritti umani. Ma in Ungheria si tratta di
una questione di strategia nazionale che riguarda tutto il paese. I rom hanno il
doppio del tasso di natalita' degli altri ungheresi. La maggioranza della
popolazione ungherese sta invecchiando, mentre circa la meta' della popolazione
rom e' sotto i vent'anni. Nelle citta' del nord-est, fra dieci anni, ogni due
bambini che nasceranno, uno sara' rom. Ma la disoccupazione per i rom e'
dell'85%, e un terzo dei bambini non finiscono neppure la scuola elementare.
Quindi questo non e' un problema come gli altri, ma e' il problema principale.”
Come le altre minoranze in Ungheria, la rumena, la tedesca e gli altri gruppi
etnici, gli tzigani hanno una certa autonomia nella gestione dei propri affari,
attraverso quello che e' l'Autogoverno Nazionale Rom. Per Balog, la risposta
alla crisi spetta alle sia alle autorita' nazionali ungheresi, sia a quelle rom
per creare, insieme, centomila nuovi posti di lavoro, a partire dai lavori
pubblici da effettuare nelle comunita' in cui gli stessi rom vivono, e al tempo
stesso aumentando massicciamente gli standard educativi dei giovani, avviandone
il prossimo anno ventimila alla formazione professionale e preparandone altri
cinquemila, dei piu' brillanti, per l'universita'.
Tutto cio' dovrebbe iniziare a mostrare i primi risultati in tre anni. La
speranza di Balog e' che sul lungo periodo i rom si trasformino da problema
sociale in un vantaggio per l'economia ungherese. Infatti, se il loro tasso di
occupazione salisse fino a raggiungere la media regionale, cio' potrebbe
significare una crescita compresa tra il 4 e il 6 per cento del prodotto interno
lordo tale da poter innescare di nuovo un efficiente sistema di welfare.
Questo progetto, nonostante niente sia verificato e si tratti soprattutto di
“proiezioni” che dovrebbero essere poi confermate dai risultati, e'
controbattuto ed osteggiato da entrambe le parti. Balog e' sotto attacco da chi
difende i rom per l'approccio autoritario del suo governo, ma anche dai gadje',
soprattutto dai rappresentanti dei piu' poveri, che vedono "ancora una volta" un
favore fatto ai rom.
Ma per Balog la necessita' principale e' quella di mandare un chiaro messaggio
politico alla maggioranza degli ungheresi per far capire quanto la questione sia
importante per tutti e come cio', piu' che per gli tzigani, sia un vantaggio per
l'intera nazione. “Se infatti questi cambiamenti non saranno fatti” dice ancora
Balog, “l'intera nostra struttura sociale, economica e del mercato del lavoro
crollera', portando l'Ungheria sull'orlo del baratro e del conflitto civile. La
questione rom, dunque, e' un problema di sopravvivenza nazionale".
A una trentina di chilometri da Gyöngyöspata c'e' un altro villaggio:
Tarnabod.
Abbandonato dopo il comunismo, e lasciato in balia dei piu' disperati (rom e
non-rom) che non avevano un posto dove andare, e' stato preso in mano da giovani
operatori sociali, uomini e donne, tzigani e gadje' di provenienza anche
straniera. Oggi, in un'antica stalla riadattata a capannone, si possono vedere
dozzine di persone al lavoro mentre smontano vecchi computer e altri apparecchi
tecnologici obsoleti per il riciclarne i pezzi. Tutti percepiscono il salario
minimo nazionale.
In altri edifici di Tarnabod, riadattati e restaurati, sono state create una
scuola materna, una mensa per bambini e genitori, un centro di cultura con una
sala proiezioni, un centro di insegnamento dopo scuola, un'infermeria, un centro
sportivo. Ovunque i pavimenti sono stati sostituiti, le pareti ridipinte, i
tetti riparati. C'e' una chiesa, una squadra di calcio, un gruppo teatrale. In
biblioteca gli scaffali, tutti allineati, sono pieni di libri che vengono dati
in prestito e sul muro campeggia il ritratto del primo e finora unico santo rom:
Ceferino Giménez Malla.
Oltre settecento persone, uomini donne e bambini, a Tarnabod, vivono come una
grande famiglia. Alcune sono rom, altre no e non esiste un modo facile per
distinguerle. Ci sono voluti sette anni per arrivare a questo, ma dopo la
poverta' e la disperazione di Gyöngyöspata, Tarnabod rappresenta l'altra faccia
della medaglia, un'oasi felice in cui, a volte, confuso in mezzo alla gente, non
e' difficile incontrarvi anche Choli Daróczi József, il piu' famoso scrittore
rom ungherese vivente.
Come sostiene chi dirige il progetto, tale lavoro per avere successo su scala
nazionale ed essere esportato anche in altre citta' e villaggi, creando nuovi
posti di lavoro partendo proprio dalle comunita' tzigane, come appunto auspica
anche Balog, deve avere il sostegno totale del governo ungherese e
dell'Autogoverno Nazionale Rom. Solo cosi' non arriveranno piu' vigilantes
vestiti di nero a terrorizzare la gente, e ai razzisti saranno tolti gli
argomenti con i quali, oggi, si aizzano le persone le une contro le altre.
Questo il mio commento all'articolo originale:
Vorrei capire meglio il ruolo dell'Autogoverno Nazionale Rom.
In Italia ne ho sentito parlare qualche volta da "esperti" ed
"intellettuali" (due parole di cui istintivamente mi fido poco) ungheresi,
con toni diversi.
La mia impressione da profano, è che un organismo del genere in tempi di
vacche grasse ha contribuito a diffondere l'immagine di Ungheria come paese
all'avanguardia nell'integrazione di Rom.
Ma che col sopraggiungere della crisi, soprattutto dato la sua composizione,
veda il proprio ruolo compromesso e rischi di elargire qualche piccola
regalia agli "amici degli amici", senza riuscire ad essere un interlocutore
"politico" affidabile.
La risposta:
Avevo iniziato a scriverti la risposta. Poi la tastiera mi ha preso la
mano ed e' venuto un commento talmente lungo che forse merita farne un post.
Tu che ne pensi?
Il suo nuovo articolo lo trovate
QUI, lo riprenderò in Mahalla tra qualche giorno
VENERDI' 18 NOVEMBRE 2011 alle ore 18 presso la Sala delle Colonne – Banca Popolare di Milano (via san Paolo
12, Milano)
I ROM DI VIA RUBATTINO Una scuola di solidarietà
Elisa Giunipero e Flaviana Robbiati (a cura di)
Presentazione di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio
Collana Libroteca Paoline ISBN 88-315-4055-1
Milano, 19 novembre 2009: la baraccopoli di via Rubattino, occupata da circa
trecento rom, viene sgomberata dalle forze dell'ordine. Un'operazione gonfiata
ad arte per rassicurare i cittadini milanesi circa la presenza, guardata con
diffidenza e con sospetto, dei Rom. Questa operazione crea una reazione
inaspettata: i cittadini si mobilitano in favore dei rom. Famiglie milanesi
aprono la porta della propria casa per dare ospitalità ad alcune famiglie che
non avrebbero alternative reali alla strada. Tutto questo è avvenuto perché i
pregiudizi alimentati da una informazione tendenziosa hanno lasciato il posto
alla conoscenza reciproca.
Rom fa rima ancora oggi con allarme sociale e l'unica cosa che sembra restare è
il dovere di schierarsi. Sui rom ci si scontra senza mai fare una proposta o
indicare una possibile soluzione. Questo libro ha il grande vantaggio di
guardare in faccia la realtà così com'è, senza aggiunte né proclami, allo scopo
di provare a identificare una via da percorrere, pur consapevoli che non si
tratta di un cammino in discesa, ma certamente, per tanti motivi, in salita.
(dalla presentazione di Marco Impagliazzo)
Questo libro racconta la straordinaria avventura di incontro, solidarietà,
amicizia tra un quartiere di Milano e i Rom, avventura iniziata con l'iscrizione
a scuola di 36 bambini rom da parte della Comunità di Sant'Egidio. La scuola si
è rivelata così il primo luogo di un'integrazione, non facile ma possibile.
La rete di simpatia, buon senso, generosità, voglia di cambiare che ha
circondato i Rom di via Rubattino ha molto da dire al clima di antigitanismo che
sembra crescere in Europa. Gli autori di questo libro sono tanti: maestre,
genitori e alunni delle scuole, volontari, cittadini, giornalisti. Scritto come
cronaca diventa testimonianza di percorsi possibili e stimolo a cercare strade
di integrazione, unico futuro possibile.
A due anni esatti dallo sgombero e in occasione della Giornata dei diritti
dell'infanzia, il libro viene presentato dalla Comunità di Sant'Egidio e dalle
Mamme e maestre di Rubattino
Intervengono:
Maria Grazia Guida – Vicesindaco di Milano; Giangiacomo Schiavi – Corriere della
Sera; Gianni Zappa – Arcidiocesi di Milano; Corrado Mandreoli – CGIL; Garofita
Durusan – donna rom sgomberata da via Rubattino; Bianca Zirulia – Mamme e
maestre di Rubattino.
Musiche di Jovica Jovic.
Le Curatrici
Elisa Giunipero, della Comunità di Sant'Egidio, è impegnata nelle attività a
favore dei rom a Milano. Flaviana Robbiati, maestra elementare, da trentacinque anni insegna nella scuola
vicina a via Rubattino, a Milano.
Di Fabrizio (del 15/11/2011 @ 09:12:13, in Europa, visitato 1647 volte)
DA PS, IL 10 NOVEMBRE 2011
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha emesso una sentenza contro lo Stato
della Slovacchia nel caso della presunta sterilizzazione forzata di una donna
rom nell'ospedale di Presov nel 2000, ha informato ieri il Centro di consulenza
per i diritti civili e umani con un comunicato a tutti gli organi di stampa.
«Accogliamo con favore il verdetto. La Corte ha confermato ciò che il Centro di
consulenza andava sostenendo sin dalla sua costituzione un anno fa: donne rom
hanno subito una sterilizzazione forzata negli ospedali senza il loro consenso
informato», ha dichiarato Vanda Durbakova, avvocato di Barbara Bukovsky, la
donna rom che ha fatto la denuncia.
La Bukovsky avrebbe presumibilmente firmato un modulo di consenso per la
sterilizzazione nel reparto maternità dopo che, alla nascita del suo bambino, le
sarebbe stato detto che lei o il prossimo figlio rischiavano la morte se non si
fosse proceduto alla sterilizzazione. La donna ha affermato che all'epoca non
sapeva cosa si intendesse con il termine "sterilizzazione".
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha respinto l'affermazione che la
sterilizzazione si sarebbe dovuta fare a causa di "motivi di salute", dato che
questo tipo di procedura non è classificata come "salva-vita". La Corte ha anche
assegnato alla donna il compenso di 31.000 euro oltre ad altri 12.000 per
coprire le spese relative al processo.
(La Redazione)
NdR: il
comunicato
(.pdf in inglese) di Poradňa pre občianske a ľudské práva che sollevò il caso
Il tempo per pensare e per osservare non manca, fino a quando resto qui,
accanto al letto 14 dell'Unità Spinale. I giornali sul letto, la televisione in
sottofondo, il computer acceso per sfogliare il web. Ammetto di aver gioito in
silenzio, ieri sera, senza crudeltà e senza rabbia, ma giusto con quel tanto di
fiduciosa speranza in un cambiamento possibile, e quasi epocale, che non poteva
non accompagnarsi alle immagini delle faticose quanto ineluttabili
dimissioni di Silvio Berlusconi da presidente del Consiglio. A parte il giudizio
su di Lui, di cui si è scritto e detto anche troppo, ho pensato subito al
disfacimento di una innumerevole e costosa corte dei miracoli, governativa e
paragovernativa, che, specialmente negli ultimi anni, cioè in questa disperante
legislatura, ha dato prova talmente scarsa, in fatto di competenze e di
attendibilità delle decisioni, da meritare un rapido silenzio, un definitivo
oblio, senza ritorno.
Ecco perché stando qui, con le mie ossa in esposizione, adagiate su teche di
resina, come reliquie di una fragilità umana della quale dovrò finalmente e
stabilmente tener conto, non riesco ad appassionarmi al sangue, un po' vigliacco
e scontato, che si accompagna alle scene peraltro prevedibili e ovvie di giubilo
e di scherno nei confronti di Silvio. Il mio pensiero corre all'improvviso e
ormai quasi certo cambio di scena, come quando in teatro, tra un atto e l'altro,
si spostano le quinte, si cambiano gli arredamenti, entrano sul palco nuovi
protagonisti. Il volto di Monti è rasserenante. Dà la sensazione di avere già in
mente non soltanto le prime mosse, ma anche i dettagli, le strategie, i
collaboratori ai quali affidare, con metodo sperimentato in anni di lavoro in
alta quota, le politiche immediate, le misure congiunturali, gli scenari a breve
termine. La scelta dei ministri e dei sottosegretari, se corrisponderà al suo
profilo, e se i partiti glielo consentiranno (ma in questo senso un ruolo
decisivo lo sta giocando sicuramente il presidente Napolitano) ci porterà
improvvisamente a fare i conti con persone competenti nei singoli settori,
prevalentemente di estrazione universitaria, ma già fortemente connotati per una
lunga consuetudine al confronto programmatico con pezzi della società civile ed
economica del Paese.
Qui dal letto 14 avverto perciò un rischio tutt'altro che banale. Ossia temo che
il mondo del sociale, non solo della disabilità che ben conosco, ma più in
generale quella parte di società che ogni giorno vive su di sé e interpreta al
tempo stesso il welfare, il volontariato, la cooperazione sociale, la
sussidiarietà, la gestione dei servizi sul territorio, arrivi a questo
appuntamento con la Storia in una situazione paradossale, di massima stanchezza,
di logoramento, di sfiducia quasi rassegnata nel funzionamento delle istituzioni
pubbliche, specialmente statali.
E' invece adesso che dobbiamo, tutti quanti, trovare la forza e la lucidità
delle proposte migliori. Non solo la difesa, ovvia, dell'esistente, quando
riguarda i diritti essenziali delle persone più deboli (disabili, anziani,
vecchi e nuovi poveri, giovani, disoccupati, donne, immigrati, e così via), ma
anche l'attacco, ossia la proposta attiva di pezzetti di riforma possibile, di
miglioramento della qualità della spesa, di individuazione dei percorsi
virtuosi, di azzeramento di tavoli di discussione ridicoli (penso alla legge
delega sulla riforma dell'assistenza).
Dobbiamo cioè sforzarci di evitare che l'agenda di un governo tecnico di
emergenza sia dettata solo dagli euroburocrati che hanno messo in un angolo
Berlusconi e soci. Il modo per farlo è inserirsi attivamente, robustamente, in
modo visibile e forte, in questa fase di ripensamento del welfare, non delegando
ai poteri forti, alla finanza, alle banche, alle grandi imprese, agli opinion
makers che spesso sono totalmente sprovveduti o addirittura male informati
rispetto ai temi che ci stanno a cuore.
Mi piace immaginare che ci sia un parallelo tra la mia convalescenza lenta ma
costante e la cura ri-costituente di un governo che dovrà di volta in volta
conquistare sui singoli provvedimenti il più vasto e inedito consenso nel
Parlamento e nel Paese. In un certo senso a Roma può accadere adesso ciò che a
Milano stiamo sperimentando, fra mille fatiche e difficoltà, e anche
incomprensioni: un'alleanza creativa e operosa fra la parte più riformatrice
della società e la borghesia laica e cattolica che sa dove mettere le mani e la
testa. In questo modo, se avremo un po' di fortuna, potremo perfino aver voglia
di nuovo di far politica, nel senso più nobile e corretto del termine.
Una cosa è certa: in queste ore mi cresce la voglia di tornare a casa, di
riprendere il cammino, per quel che poco che potrò fare, da giornalista e da
cittadino. Speriamo.
Di Fabrizio (del 16/11/2011 @ 09:05:09, in Italia, visitato 1527 volte)
...dagli insediamenti siti nel Comune di Milano, promossa dal Naga
(Associazione Volontaria di Assistenza Socio-Sanitaria e per i Diritti di
Cittadini Stranieri, Rom e Sinti).
Al Sindaco di Milano
Al Prefetto di Milano
L'associazione Naga si dichiara contraria ad ogni sgombero di insediamenti
abitativi di cittadini Rom nel Comune di Milano, in particolare di quelli che
non siano accompagnati da politiche di accoglienza e alternative valide, sia
in termini di migliori e più stabili condizioni abitative che di concrete
possibilità di integrazione scolastica e lavorativa, con il preventivo
coinvolgimento delle famiglie stesse.
Riteniamo che, a maggior ragione con l'arrivo delle basse temperature e di
avverse condizioni atmosferiche, vi debba essere la cessazione immediata di
qualsiasi sgombero.
Le motivazioni addotte dall'amministrazione per gli sgomberi effettuati
nell'ultimo periodo - vale a dire che si tratterebbe di insediamenti nuovi - non
possono essere un alibi per questo tipo di azioni. Come abbiamo più volte
sottolineato, gli sgomberi riguardano da tempo, nella maggior parte dei casi,
gli stessi gruppi familiari e non hanno altra conseguenza che aggravare le
condizioni di vita di queste persone e spostare il “problema” in altre zone. Né
possono essere un alibi generiche “esigenze di sicurezza” che, se fossero
veramente esistenti, andrebbero affrontate non con i soli sgomberi, ma con la
messa in sicurezza delle aree e la ricerca di soluzioni alternative.
Segnali allarmanti arrivano anche da insediamenti come quello di Chiaravalle
che, pur nel degrado e nelle serie difficoltà in cui versa, si può considerare
uno dei campi stabili e di lunga durata dell'area di Milano, dove abitano -
forse grazie alla sua stabilità - un buon numero di persone con un lavoro e
molti bambini con un'esperienza scolastica e formativa.
Chiediamo perciò all'Amministrazione comunale chiarimenti e garanzie in merito
alla salvaguardia delle condizioni di vita degli abitanti del campo.
Sulla base di queste premesse, con la presente petizione si chiede :
1. La sospensione immediata di ogni sgombero nel Comune di Milano che non sia
accompagnato da un serio e concreto sforzo di accoglienza alternativa per i
gruppi familiari.
2. La comunicazione pubblica del piano del Comune riguardo alle condizioni
abitative di cittadini Rom e Sinti presenti in aree dismesse e campi autorizzati
e del finanziamento degli interventi attuati e ancora da attuare.
Rom e Sinti manifestano per la prima volta a Montecitorio. 22 associazioni
che hanno radunato almeno 200 persone con striscioni e bandiere. Negli scorsi
giorni, durante le alluvioni che hanno funestato il nord-ovest dell'Italia,
l'on. della Lega Nord Davide Cavallotto, manifestava sollievo perché le
alluvioni erano riuscite nell'impresa di sgomberare il campo nomadi abusivo sul
Lungo Stura a Torino. Oggi dinnanzi la Camera dei Deputati, la protesta dei
Sinti e Rom italiani rispondono alle dichiarazioni del deputato del
Carroccio, ma chiedono anche maggiori diritti, come: una tassazione meno dura
per i giostrai, case popolari al posto dei campi attrezzati e chiedono anche
l'istituzione di un giorno della memoria. "Chiediamo di essere riconosciuti come
popolazione, chiediamo il dono della memoria, perché anche noi siamo caduti in
tempo di guerra e l'Italia – dicono – è rimasta l'unica nazione a non
riconoscerci".
Presidio Sinti: 'Commercializziamo ferro in nero ma vorremmo essere
legalizzati'
C6.tv
Roma. Sono arrivati da tutta Italia per far sentire la propria voce. Sono i
Sinti delle diverse regioni del paese che ai piedi di Montecitorio chiedono a
gran voce il riconoscimento, come minoranza, dello status di Sinti. 'La seconda
cosa che noi chiediamo allo Stato è di essere legalizzati' ci racconta un
manifestante 'soprattutto nel lavoro. Noi compriamo e vendiamo ferro dalle
scuole e dai cantieri, ma lo facciamo in nero. In questo lo Stato ci deve
aiutare.' Servizio di Angela Nittoli
Dopo aver accusato la Moratti di razzismo per anni, Pisapia supera De
Corato i nomadi: a Milano li chiudono in un recinto
«Abbracciamo i nostri fratelli rom e musulmani». L'invito era stato urlato in
piazza dal leader di Sel, Niki Vendola, il giorno della vittoria alle Comunali
di Giuliano Pisapia. Sei mesi dopo i fratelli sono già diventati nemici. Dopo
aver ricevuto consulte di nomadi a Palazzo Marino, annunciato liste di attesa
per le case popolari e preparato progetti per l'acquisto di cascine in provincia
di Pavia, la giunta ha deciso di alzare un muro fra gli zingari e la città. Un
muro che nelle intenzioni dovrebbe impedire ai rom di accamparsi sotto le volte
del ponte Bacula, ma che simbolicamente mette a nudo l'ipocrisia di chi da
sempre si professa amico dei nomadi.
Il ponte ferroviario di piazzale Lugano dal 2008 è diventato il rifugio di
decine di disperati. La giunta Moratti lo ha più volte sgomberato fino a
realizzare nell'estate del 2009 - su proposta dell'allora vice sindaco Riccardo
De Corato - una cancellata in acciaio per impedire la costruzione di tende e
casupole di fortuna a due passi dai binari. Dopo mesi di tregua, gli zingari
sono tornati. Complice il clima di "tolleranza" e la decisione di revocare alla
polizia locale il compito di vigilare sul territorio. Subissato di lettere di
protesta, il Comune ha deciso di intervenire. Nessuno sgombero all'orizzonte.
Palazzo Marino intende costruire un muro che impedisca ai rom di accamparsi
sotto il cavalcavia, come ha annunciato l'assessore alla Sicurezza Marco
Granelli.
«L'ipocrisia di questo annuncio è sotto gli occhi di tutti – tuona De Corato -.
Questa giunta prima accoglie i rom nella sede del Comune promettendo cascine e
case popolari e poi pensa di risolvere un problema grave come questo con un
muro». Che, fra l'altro, potrebbe dimostrarsi assolutamente inutile. «I rom sono
ottimi muratori. Se si costruisse un muro loro praticherebbero un buco nel giro
di qualche giorno, e lo attraverserebbero – prosegue l'ex numero due di Palazzo
Marino -. Per risolvere il problema del ponte Bacula bisogna chiedere
l'immediato intervento delle Ferrovie dello Stato, che hanno l'obbligo di
mettere in sicurezza l'area. E realizzare un cancello di acciaio inossidabile,
da far pagare alle stesse Ferrovie. Questa severità di facciata, con la quale
questa amministrazione pensa di prendere in giro i cittadini, non potrà
attaccare».
Ne è convinto anche il capogruppo della Lega a Palazzo Marino, Matteo Salvini.
«Questa giunta non è credibile – conferma -. Parla adesso di un muro, dopo che
la Lega ha fatto tre sopralluoghi per denunciare la situazione del ponte». E poi
ci sono i dissidi interni, perché se da una parte il Comune pensa al muro,
dall'altra il consiglio di Zona 8 – maggioranza di centrosinistra – ha appena
approvato un documento che prevede di integrare quei nomadi offrendo loro una
casa. «Credo che sia il caso che si mettano d'accordo – conclude Salvini -.
Questa maggioranza è allo sbando, mentre il piano Maroni resta fermo. Fra
l'altro, l'unica soluzione per il cavalcavia è la recinzione che avevamo
realizzato noi. Non certo un muro».
di Daniela Uva - 16/11/2011
Commenti: Mettete un bel cancello in acciaio così dopo dieci minuti ve lo hanno già
fregato, ridotto a pezzi e rivenduto ai ferrivecchi. Quanto patetici siete a
Milano. Una bella grata attraversata da 20.000 Volt non sarebbe meglio?
Pensateci. di Alvit
Dalla redazione di Mahalla:
Direi che quei casinisti di Libero stavolta hanno centrato
in pieno.
Se proprio devo trovare un difetto, l'introduzione mi sembra confusa
come al solito, ma la cronaca non sbaglia: a Milano c'è una giunta che
(quatta quatta, zitta zitta) sta portando avanti la stessa politica che nei
loro tempi d'oro De Corato e Salvini conducevano con rulli di tamburo. Ovvio
che i due siano quantomeno agitati: pensavano che il copyright fosse loro,
non di un
Granelli ultimo arrivato!
Un appunto al simpatico commentatore: secondo me il cancello
d'acciaio andrebbe benissimo; ormai con la crisi che c'è, si parte la
mattina col furgone a raccogliere metallo, si gira tutto il giorno, e la
sera si torna a casa distrutti avendo guadagnato 10 euro (se va bene). Mi
sembra però che metterci la corrente a 20.000 volt sia un po' dispendioso
(per non parlare dei pericoli per ponte, ferrovia ecc.), costerebbe di meno
un comunissimo allaccio per la corrente civile. O forse ho capito male io le
intenzioni???
Di Fabrizio (del 17/11/2011 @ 09:21:42, in media, visitato 1495 volte)
Internazionale 8 novembre 2011 14.40 - Le celebri immagini di Josef
Koudelka sono state pubblicate in un nuovo libro aggiornato e ampliato.
Christian Caujolle ha incontrato il fotografo.
Dato che non c'è più un direttore nell'ufficio parigino della Magnum e che
l'agenzia fotografica, a causa della crisi, ormai sta tutta su un piano, Josef
Koudelka si accomoda nella poltrona del capo: "Ho sbagliato tutto nella vita,
non sono mai stato né direttore né presidente", dice ridendo. I capelli e la
barba arruffata sono diventati bianchi, ma è un eterno ragazzo, a volte serio a
volte spiritoso, costretto a dedicarsi a un esercizio che non ama: parlare di
sé. Teme sempre di essere frainteso (dà degli esempi) e cerca, nonostante le
digressioni, di essere preciso. Lo aiuta uno schemino con le cose da fare,
diviso per fasce orarie di colori diversi. A quasi 75 anni, Koudelka non si
ferma mai, ha sempre bisogno di fare, guardare e dare forma. Oggi tocca al
Mediterraneo, che attraversa e fotografa da vent'anni. Entro il 2013 porterà a
termine il progetto "Marsiglia, capitale della cultura".
Guardare al futuro, produrre, far emergere le immagini non gli impedisce di
tornare incessantemente su quello che ha fatto. Continua a inseguire quello che
potrebbe aver dimenticato, o sopravvalutato, nei lavori passati. La prossima
tappa è l'incredibile presentazione a Mosca del suo progetto sull'invasione
dell'armata rossa a Praga. Una grande rivincita, accompagnata da mille copie del
libro, in russo, pubblicato da Torst, il grande editore ceco suo complice. Anche
se è sempre riservato, Koudelka è chiaramente emozionato.
Ma è per un altro ritorno al passato che ci incontriamo: Zingari, il libro che
l'ha fatto conoscere, è stato ripubblicato in sette paesi in una nuova edizione
ampliata. La storia del volume è istruttiva, quasi esemplare. Il giovane Koudelka, che comincia la sua carriera a Praga come fotografo in un teatro, fa
dei ritratti espressionisti e compone immagini molto grafiche.
Quello che c'è tra noi
Tra il 1962 e il 1971 comincia a sviluppare un lavoro a lungo termine su quelli
che all'epoca sono chiamati zingari. Nel 1968, con il sostegno di Anna Farova,
lavora insieme al grafico Milan Kopriva al progetto di un libro. "Non sapevo
niente di libri di foto. Sapevo solo che volevo somigliasse alla vita, al mio
rapporto con gli zingari, a quello che succedeva tra noi".
Il volume dovrebbe uscire a Praga nel 1970 ma, nel frattempo, Koudelka lascia la
Cecoslovacchia occupata. Le sue foto dei carri armati e della rivolta fanno il
giro del mondo e, attraverso Henri Cartier-Bresson, incontra Robert Delpire, il
mitico editore di Robert Frank, di molti fotografi della Magnum e di tanti
altri. Delpire vuole pubblicare il libro, ma in un'altra versione: 60 foto (di
cui 50 tratte dal progetto originale) escono nel 1975 con il titolo Gitans, la
fin du voyage (Aperture si aggiudica la versione statunitense). Un'edizione
speciale è pubblicata anche dal Moma di New York per accompagnare la mostra
fotografica. Il libro diventa subito un classico, una delle opere più ricercate
della fotografia del novecento.
La nuova edizione torna oggi in gran parte al progetto originale, anche se con
109 immagini, un formato più grande e un ritmo più narrativo rispetto alla
prima, rigorosa selezione. "Non volevo solo una collezione di belle foto. E
volevo che, anche se sono tutti scatti fatti tra gli zingari, il libro andasse
oltre". Nell'edizione francese Robert Delpire spiega che la scelta editoriale
non è sua, ma che la pubblica per amicizia, stima e rispetto. Si avverte
chiaramente uno di quei conflitti che possono esserci tra un autore e un editore
molto esigenti. E Koudelka non vuole parlare di come sono andate le cose per
"ammirazione, rispetto e amicizia per Bob. E poi sono così contento che l'abbia
pubblicato come lo volevo io".
È la sua creatura: "Un progetto che ho portato con me, anche fisicamente, per
quattro anni. Ho avuto il tempo di capire cosa andava e cosa no. Ho lasciato la
Cecoslovacchia con 154 foto sugli zingari. L'essenziale del libro era già lì. È
una storia, una storia di persone, di me con queste persone la cui musica mi ha
attirato e m'incanta tutt'ora. Erano le stesse persone di cui si diceva
‘chiudete le porte, arrivano gli zingari e ruberanno le galline'".
La maggior parte degli scatti sono verticali: "Questo ha avuto un peso
importante nell'organizzazione del libro, nel ritmo che il grafico Milan Kopriva
ha saputo inventare. L'altra persona fondamentale per questo progetto è stata
Anna Farova. È lei che mi ha aiutato a strutturare le immagini, e a non
dimenticare niente". Sono le due persone a cui il libro è dedicato.
La giusta distanza
A Koudelka non piace commentare il suo lavoro. Non ha un punto di vista, dice,
sulle sue incredibili inquadrature dal respiro naturale, dalla giusta distanza.
Ammette però che "ci vuole un obiettivo da 24 millimetri perché tutto sia nitido
in spazi spesso molto ristretti e con poca luce. Poi ho cambiato, non volevo
ripetermi. L'obiettivo ti dice come fare".
Ma non dice niente sulla grana delle immagini, spesso così particolare e
sensuale, sui negativi difficili, sviluppati senza prendere troppe precauzioni.
Non ripetersi, è anche la ragione per cui non ci sono foto recenti di zingari.
"È una generazione che non esiste più. Quando sono tornato a Praga nel 1991,
sono andato a vedere. Sono sempre lì, le condizioni in cui vivono sono un po'
migliorate, ma poco, e la maggior parte di quelli che conoscevo sono morti. Ho
pensato che non avrebbe avuto senso ricominciare. Oggi è un altro mondo e prima
o poi qualcuno farà un lavoro formidabile a colori su di loro". L'importante è
"continuare a fotografare, perché ho la fortuna di averne ancora voglia e di
poterlo fare". Ma il libro rimane fondamentale. Ben più delle mostre che sono
"effimere".
Farà vedere il libro agli zingari, come faceva con le foto ("Mandavano baci e
ballavano per mostrare il loro apprezzamento")? "Certo, appena posso". Possiamo
immaginare che sfogliando le pagine, dietro l'elegante copertina bianca con il
sobrio titolo nero Cikáni, si ritroveranno, ameranno, balleranno e manderanno
baci.
Zingaridi Josef Koudelka contiene 109 fotografie scattate nell'ex
Cecoslovacchia (Boemia, Moravia e Slovacchia), in Romania, in Ungheria, in
Francia e in Spagna tra il 1962 e il 1971. Il volume è la versione aggiornata di
Cikáni (zingari in ceco), un libro che non fu mai pubblicato perché Koudelka
lasciò la Cecoslovacchia nel 1970. Le foto sono accompagnate da un testo del
sociologo Will Guy.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
il link: www.sivola.net/dblog.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicita'. Non puo' pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. In caso di utilizzo commerciale, contattare l'autore e richiedere l'autorizzazione. Ulteriori informazioni sono disponibili QUI
La redazione e gli autori non sono responsabili per quanto
pubblicato dai lettori nei commenti ai post.
Molte foto riportate sono state prese da Internet, quindi valutate di pubblico
dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla
pubblicazione, non hanno che da segnalarlo, scrivendo a info@sivola.net
Filo diretto sivola59 per Messenger Yahoo, Hotmail e Skype
Outsourcing Questo e' un blog sgarruppato e provvisorio, di chi non ha troppo tempo da dedicarci e molte cose da comunicare. Alcune risorse sono disponibili per i lettori piu' esigenti: