Di Fabrizio (del 30/09/2011 @ 09:51:01, in lavoro, visitato 1479 volte)
...che abbiano lavorato in Italia per almeno due anni consecutivi dalla
data dell’11 gennaio 2008. Lo può richiedere anche un datore di lavoro diverso.
23 settembre 2011: Lo ha chiarito il Ministero dell’interno con la
circolare n. 6914 del 12 settembre 2011.
Il 22 marzo scorso ha preso il via la procedura on line, attiva fino al 31
dicembre 2011, per la presentazione delle domande di nulla osta per lavoro
stagionale prevista dal DPCM del 17 febbraio 2011 che consente l'ingresso in
Italia di 60.000 lavoratori extracomunitari stagionali. Novità di quest’anno la
possibilità di richiedere un nulla osta pluriennale per quei lavoratori,
cittadini dei Paesi indicati nel decreto, che siano già entrati in Italia per
prestare lavoro subordinato stagionale per almeno due anni consecutivi. Una
grande semplificazione per i datori di lavoro che, consapevoli di avere bisogno
del lavoratore anche per le stagioni future, il prossimo anno potranno
confermare l’assunzione del lavoratore indipendentemente dal decreto flussi
stagionale. Ma i due anni consecutivi devono essere immediatamente antecedenti
la data di presentazione della domanda? Può presentare la domanda un datore di
lavoro diverso da quello per cui si è già lavorato? A queste domande, poste
dalle Questure, ha risposto il Ministero dell’interno attraverso la circolare n.
6914 del 12 settembre 2011. Per quanto riguarda "i due anni consecutivi",
chiarisce il Ministero, si intendono due anni a partire dall’11 gennaio 2008,
data in cui è entrato in vigore il sistema di rilevazione delle comunicazioni
obbligatorie di assunzione "indispensabile per verificare l’effettiva
sussistenza dei due pregressi rapporti di lavoro stagionali" mentre, per quanto
riguarda il secondo quesito "si ritiene che il datore che presenti, per la prima
volta, l’istanza di rilascio del nulla osta pluriennale possa essere anche
persona diversa da quella delle due precedenti annualità".
Di Fabrizio (del 30/09/2011 @ 09:33:57, in scuola, visitato 1515 volte)
Segnalazione di Stefano Pasta da
Libero. Da notare che basta abbandonare i toni da crociata che in questi
casi sono soliti per quel giornale (difatti si tratta di un pezzo che arriva da
Adnkronos ) e anche i soliti commentatori razzisti stanno zitti.
Milano, 22 set. (Adnkronos) - A quindici anni ha imparato, in soli sei mesi,
a leggere, scrivere e fare di conto, in tempo utile ad iscriversi ad una scuola
professionale, dove potra' imparare un mestiere che gli dia da vivere.
Protagonista della storia e' un giovane rom venuto dalla Romania a Milano e
a raccontarla e' Elisa Graziano, insegnante all'Itc Schiaparelli-Gramsci di
Milano e, all'occorrenza, insegnante di strada.
"E. (l'iniziale e' di fantasia, ndr) - riferisce la Graziano - e' uno studente
sedicenne al centro di un progetto piuttosto avventuroso: a quindici anni ha
seguito un percorso di studi organizzato esclusivamente per lui da un gruppo di
insegnanti volontari. Quando Stefano Pasta, della Comunita' di Sant'Egidio, ci
ha chiesto di occuparcene ci ha spiegato che bisognava insegnargli a leggere, a
scrivere e a far di conto nell'arco di otto mesi, perche' questo era il tempo
massimo per non perdere il treno dei corsi di formazione professionale".
"La cosa - continua l'insegnante - poteva sembrare complessa, benche' fattibile,
ma lo era oltre le nostre aspettative perche' E. si esprimeva esclusivamente in
lingua romanes, l'idioma della sua famiglia e del suo popolo, la lingua dei rom.
Era troppo grande per essere inserito nelle scuole elementari ma decisamente
analfabeta per le scuole medie. Sapevamo che era fuggito dalla miseria di un
villaggio romeno per cercare opportunita' di vita".
"Poi - prosegue l'insegnante - la faccenda si e' complicata anche perche'
abbiamo dovuto seguirlo negli spostamenti causati dagli sgomberi dei campi a
Milano. C'e' da dire che la determinazione di questo adolescente ci ha aiutati a
proseguire comunque, infatti non abbiamo fatto nessuna fatica a fargli
rispettare i nostri appuntamenti di studio: ricordo che un pomeriggio si e'
presentato bagnato fradicio, ma con i quaderni asciutti, per aver dormito in un
giardinetto sotto l'acqua scrosciante di novembre, dopo l'ennesimo sgombero".
"Ancora pazienza - continua la Graziano - la nostra scuola itinerante e'
continuata tra la sede Acli di via Conterosso e la biblioteca di via Valvassori
Peroni, a Milano, dall'ottobre del 2010 a giugno del 2011, per 10 ore
settimanali, di pomeriggio. Studente tenace e fiducioso, il nostro E. ha
frequentato le lezioni nonostante, da due mesi, venisse da Pavia, dove tuttora
vive in una casa abbandonata, per completare l'anno scolastico con i suoi
insegnanti di sempre: se noi abbiamo avuto pazienza, lui ha dovuto trovare
risorse interiori di ben piu' alto respiro".
"Sostenuto dal nostro affetto e da una nostra piccola borsa di studio - conclude
l'insegnante - ha potuto ancora proseguire sulla strada della sua personale
emancipazione sino a tagliare il suo primo personalissimo traguardo:
l'inserimento in una scuola di formazione professionale a settembre. Adesso ci
sentiamo di ringraziare sia Stefano, della Comunita' di S. Egidio, che molti
altri cittadini i quali , facendo rete con il loro sostegno, ci hanno permesso
di realizzare questo piccolo ma concreto gesto di solidarieta'".
Le Parisien Giudicato per aver pulito la baraccopoli Julien
Heyligen | Publié le 09.09.2011, 07h00
Villabé, il 27 marzo. Serge Guichard (a sinistra), con l'aiuto dei volontari e
degli abitanti della baraccopoli, aveva pulito il campo rom di Moulin-Galant.
Oggi è accusato di "deposito o abbandono sulla strada pubblica di rifiuti e
altri materiali". | (lp/louise combet.)
Nel mese di marzo scorso, Serge Guichard presidente di un'associazione di
sostegno ai rom, aveva aiutato a pulire il campo di Villabé. Una spazzata che
gli costa una denuncia per "deposito di rifiuti su suolo pubblico".
"La solidarietà non è un delitto" Serge Guichard, presidente
dell'Associazione di solidarietà in Essonne, con le famiglie rumene e rom (ASERFF),
lo dice ad alta voce da sempre.
Oggi, la sua frase prende una risonanza del tutto particolare. Il volontario
dovrà comparire davanti al Tribunale di Evry il 22 settembre alle 14.00
"E' totalmente assurdo. Ho pulito il campo rom tra Ormoi, Corbeil e Villabé in
accordo con le autorità e preavvisando gli uffici comunali interessati. Mi
ritrovo oggi denunciato..." dice sospirando. I fatti rimproverati al volontario
risalgono a marzo. Quel mese, con l'aiuto di altri volontari e degli abitanti
del campo, pulisce il campo rom di Moulin-Galant. E' urgente. I ratti invadono
le casupole. Il fiume Essonne, che scorre a due passi, incomincia ad essere
inquinato dall'immondizia. Il consiglio generale, proprietario del terreno,
fornisce i sacchi. In poche ore, circa duemila ne sono riempiti. Prima di
toglierli, la spazzatura viene sistemata lungo la strada. Il consiglio generale
finanzia la raccolta realizzata dai servizi della comunità dell'agglomerato Evry
Centre Essonne (CAECE), del quale dipende Villabé, dove si trova ubicato la
maggiore parte del campo. Un container viene posizionato. Da allora è utilizzato
dai rom ed è regolarmente svuotato dalla CAECE. "Funziona piuttosto bene"
attesta Serge Guichard.
Una petizione di 800 firme.
A luglio, il presidente dell'ASEFRR riceve la chiamata di un ufficiale
giudiziario. Deve andare a prendere una convocazione per il Tribunale. Serge
Guichard, incuriosito, pensa a un "eccesso di velocità un po' elevato". Scoprendo
la verità, casca dalle nuvole. I sostegni del volontario si organizzano. Con una
petizione sono state raccolte finora 800 firme.
Varie associazioni, come la Lega per i diritti dell'Uomo, e associazioni
politiche, come il Partito Comunista, sostengono l'accusato. Alcuni confinanti
con il campo, anche se non ancora pronti a firmare la petizione, sono piuttosto
soddisfatti dell'operazione di pulizia. "E' certamente più pulito di prima. Ora
ciò che occorrerebbe sono dei servizi igienici...." dice una vicina.
Nel frattempo, l'origine della denuncia resta un mistero. Malgrado le sue
richieste, Julie Bonnier-Hamon non ha avuto ancora accesso al fascicolo. "Che
passi così velocemente in aula dopo la denuncia di un confinante mi sorprende.
Potrebbe anche essere che il procuratore abbia fatto tutto lui. Ma l'operazione
era sostenuta da istituzioni importanti. Francamente, questo fascicolo non ha
nessun senso. Pulire un campo rom, non vedo dove sia il male."
Ci sono le ladre rinchiuse nel carcere romano di Rebibbia e le bambine mandate a
mendicare, ma anche la giovane regista di Torino superpremiata per il film in
cui racconta la storia della sua famiglia e la sua passione per Woody Allen,
l'artista che ha scolpito il monumento in onore del Porrajmos, l'Olocausto rom,
l'ex maestro che rifiutò di insegnare nelle classi speciali per i rom e che,
alla guida di un'associazione, si batte per tirar fuori la sua gente dal degrado
dei campi nomadi, il ragazzino di origine slava che a scuola è tra i primi della
classe e da grande vuole fare il soldato, i rumeni sgomberati dalle baraccopoli
abusive di Milano che oggi vivono in dignitosi appartamenti. È un caleidoscopio
di storie che riunisce italiani, slavi, rumeni nel ritratto sorprendente di un
popolo apparso in Italia nel 1422, ma ancora oggi considerato sempre e solo
straniero. Rimprovera all'autrice la fragile Ermina: «Ci giudicate senza averci
conosciuto». Il viaggio che questo libro propone è un viaggio di conoscenza, un
utile antidoto contro l'assedio dei luoghi comuni, a cominciare dal primo, il
più diffuso, che gli zingari siano nomadi.
BIANCA STANCANELLI, autrice del libro "La vergogna e la fortuna" ha gentilmente
messo a disposizione dei lettori di Articolo21 uno dei capitoli del suo libro.
Il suo sogno italiano, Ramona può riassumerlo in sette parole: «fare una vita
bella per i figli.» Mi accompagna da lei Donatella De Vito. Ramona ha trentasei
anni, un marito cinque anni più grande e tre figli. Appartiene alla
generazione che ha fatto in tempo a conoscere la Romania comunista e il dopo.
Preferiva la dittatura: «Quando lui era vivo, lavoravi.» Non pronuncia il nome
di Nicolae Ceausescu: solo quell'ingombrante pronome evocativo. Quando c'era
"lui", Ramona si guadagnava da vivere come contadina nei campi di mais e suo
marito aveva un impiego come operaio in fabbrica. Caduto il regime, hanno perso
il lavoro. Nel 2003 hanno deciso di venire in Italia, lasciando alla nonna
materna, all'inizio, i tre figli. A Milano sono arrivati nel campo di via Capo Rizzuto, verso l'autostrada per Torino, una baraccopoli nascosta tra gli
alberi. Ci abitavano trecento persone: alcuni avevano chiesto l'asilo
politico, altri, portandosi dietro un figlio malato, avevano ottenuto un
permesso di soggiorno. Per due anni vissero in pace e in miseria. «Nessuno
veniva a trovarci» dice Ramona, e quel nessuno è la polizia. Niente di cui
gioire, in quella quiete: «Avevo una vita malissima.» Suo marito è un musicista
della casta dei lautari, il suo strumento, purtroppo, è la batteria.
Purtroppo? Gli amici con cui era venuto, musicisti come lui, andavano a
suonare in metropolitana e guadagnavano benino, ma non potevano portarselo
dietro «perché faceva troppo rumore.» Per tirare avanti, Ramona chiedeva
l'elemosina davanti ai supermercati. Nel giugno del 2005 li sgomberarono e
sulla loro strada si alzò la mano protettrice della Casa della Carità. Cinque
anni dopo, la famiglia di Ramona vive in affitto, in un bilocale di periferia.
L'appartamento è modesto e confortevole. Ai balconi, sgargianti tende di garza
rossa, contro il malocchio. La figlia maggiore, che ha ventidue anni, è
impegnata in un tirocinio come assistente alla persona, una via di mezzo tra
un'infermiera e una badante, il figlio sedicenne frequenta un corso per
diventare meccanico, il piccolo va a scuola, il marito è stato assunto in una
cooperativa che ha in appalto dal Comune la pulizia delle docce pubbliche, Ramona lavora come domestica, una sua sorella di vent'anni si è sposata con un
italiano e gli ha pure confessato di essere rom senza esserne ripudiata (ma ai
suoceri non l'hanno detto, non si sa mai), altre due sorelle, che si erano
trasferite in Italia con la famiglia, sono tornate indietro perché non hanno
trovato nulla. Quanto alla Romania, i suoi figli non hanno nessuna intenzione
di tornarci e lei vuole solo dimenticarla: «Speriamo che non ci vado più.»
Questo quadretto di tranquillità domestica prospera al riparo di un'identità "di
copertura". Nessuno dei vicini, dei datori di lavoro, dei compagni di classe dei
figli sa che la famiglia è zingara. La Casa della Carità ha giudicato che tacere
questo dettaglio sia il metodo migliore per offrire ai rom sgomberati
l'opportunità di rifarsi una vita. Sembrano precauzioni eccessive, ma
l'esperienza insegna che non sono mai troppe. Ramona si è giocata un posto
scoprendosi per sbaglio come zingara e ancora non se lo perdona. L'errore, forse
un minuscolo peccato di vanità, è stato prender parte a un film con i comici Ale
e Franz. S'intitolava, come per sberleffo, Mi fido di te. È successo nel 2006,
quando da due anni Ramona faceva le pulizie a casa di una ricca signora milanese
che vendeva a domicilio abiti firmati, aveva un vasto giro d'amicizie e
l'abitudine di seminare i soldi per casa senza problemi. Capitava che la
signora andasse a prendere Ramona alla fermata della metropolitana e che, in
macchina, incontrassero rom. La signora si sfogava: «Che gente schifosa, questi
zingari: ne arrivano a milioni, non se ne può più.» Seduta accanto a lei, rigida
come un lampione, Ramona farfugliava: «Ma davvero, ma che schifo» e tremava di
paura al pensiero che da un segno, da un gesto, la signora capisse che anche lei
era zingara e la cacciasse. Né Ramona né, probabilmente, la sdegnata signora
che le sedeva accanto potevano sapere che la capitale della Lombardia ha
un'antica tradizione di odio antizigano. Uno dei più brutali editti che mi sia
capitato di leggere è una grida pubblicata a Milano l'8 agosto 1693. Consente a
chiunque incontri zingari «d'ammazzarli impune e levar loro ogni sorta di robbe,
bestiami e denari che gli trovasse.» Trecento anni dopo quella grida, Ramona
traccia i suoi giudiziosi distinguo tra gli zingari: «I rom jugoslavi sono
cattivi davvero. Anche noi rumeni siamo zingari, ma non facciamo male.» La
ascolto, non replico: dopotutto, perché a noi italiani soltanto deve essere
riservato il privilegio del pregiudizio? La sua conclusione non ammette
repliche: «Tutti credono che i zingari fanno male, così non ti danno lavoro se
sei zingaro.» Quando accettò di recitare in quel film, in una particina
minuscola, confusa in un gruppo di rom, Ramona non sospettava che la signora
avrebbe mai potuto saperlo. Lo scoprì, invece; forse qualcuno che aveva visto il
film le riferì che, tra gli zingari che recitavano la parte di allegri truffaldi,
c'era Ramona. Stanata, non poté più nascondersi: «Sai come stavo male quando
quella signora ha saputo che ero zingara? Prima mi dava i soldi della spesa, mi
faceva tenere le chiavi. Dopo il film, mi stava sempre vicino, mi controllava,
alla fine mi ha lasciato a casa.» Grazioso eufemismo per definire il
licenziamento di una presunta nomade. Don Massimo Mapelli mi dice che, per i
progetti che riguardavano più di duecento rom sgomberati negli anni dal 2005 al
2007, sono stati impiegati due milioni di euro. È meno della metà della cifra
che il Comune ha speso in sgomberi nei quattro anni dal 2006 al 2010. Ma gli
sgomberi producono solo altri sgomberi, in uno sfiancante inseguimento tra
guardie e zingari, mentre i progetti della Casa della Carità hanno trasformato i
minacciosi invasori in famiglie serene. Non tutti e non sempre, naturalmente. E
non senza frizioni, difficoltà, inciampi. Don Massimo sa bene che «dovendo
sopravvivere, i rom tendono a concepire la relazione con te secondo il modello
"devo succhiare tutto quello che posso".» Come se il manghél, l'elemosina, fosse
diventato uno stile di vita. «L'idea che ha guidato gli interventi sui rom è
sempre stato l'assistenzialismo. Farli passare all'autonomia è complicato. Noi
ce l'abbiamo fatta perché, detto brutalmente, eravamo a casa nostra, potevamo
mettere le cose in chiaro: se non ci stai, amici come prima, ma te ne vai. È
quello che nei campi non si può fare. Intendiamoci, non tutti accettano. Qualche
famiglia se ne è andata, ha preferito continuare a vivere in quel sottobosco
dove l'informale si lega all'illegale.» È in quel sottobosco che gli zingari,
spesso, incontrano gli italiani. Don Massimo fa un esempio: «Nei campi abusivi,
abbiamo scoperto che i rom lavoravano in nero a fabbricare bancali, perché gli
zingari non li vuole nessuno, ma i bancali in nero li vogliono tutti. Allora
abbiamo fondato una cooperativa per fabbricarli noi, mettendoci dentro sette rom
e due nordafricani. In un anno di crisi pesante come il 2009, abbiamo creato
posti di lavoro e regolarizzato un settore che era in nero.»
In nome di un'esperienza lunga cinque anni, don Massimo può dichiarare: «Il
problema rom è un problema che, finché resta tale, è utilizzabile.» Amara
sentenza che dà ragione della curiosa inefficienza milanese nell'inventare
soluzioni diverse dai brutali, costosi, inutili sgomberi e di altre storie
accadute qua e là in Italia. Come la cacciata dei prefetti di Roma e di Venezia,
rimossi d'autorità – e senza spiegazioni – nel pieno dell'"emergenza nomadi". Il
primo, nel novembre 2008, fu Carlo Mosca, prefetto di Roma che rifiutò di
prendere le impronte ai bambini rom e mai venne meno al motto «Si sgomberano le
macerie, non le persone.» Il secondo, nel dicembre 2009, è stato Michele Lepri Gallerano, prefetto di Venezia per quattro mesi: il tempo di gestire il trasloco
di 38 famiglie di sinti veneziani dalle baracche a un villaggio di casette
allestito dal Comune. Trasloco compiuto a mezzanotte, in trentotto minuti –
troppo pochi perché le torpide truppe antizigane potessero accorgersene e
impedirlo.
In Abruzzo nel mese di maggio 2011 è stato avviato il progetto Fattoria
sociale bravalipè per dare occupazione ai giovani, in particolare giovani rom.
L'iniziativa è stata promossa da una partership composta da associazione
RomSinti@ politica, Centro studi e ricerche CILICLO', Azienda agricola Ciattoni.
Obiettivo ambizioso dell'iniziativa è di avviare due fattoria sociali in
provincia di Chieti e di Pescara per dare occupazione a 15 giovani.
Dopo un periodo di preparazione dell'iniziativa dal 22 agosto 2011 sono iniziate
le assunzioni di giovani e dai primi di settembre QUATTRO giovani rom sono stati
regolarmente assunti e svolgono le attività agricole della fattoria.
Nelle prossime settimane saranno assunti altri giovani rom e non rom e nel mese
di Marzo 2012 le assunzioni di dovrebbero completare con 15 giovani che
lavorano.
I promotori dell'iniziativa in queste settimane stanno valutando la possibilità
di apertura di punti vendita dei prodotti della fattoria sociale in alcune
città, iniziativa che potrebbe dare occupazione ad alcune ragazze.
Portiamo a conoscenza che da ogni regione italiana è possibile acquistare i
prodotti della fattoria sociale, attualmente i prodotti disponibili per la
spedizione sono: miele ed olio extravergine di oliva biologico.
Nelle prossime settimane ci sarà una conferenza stampa dei promotori
dell'iniziativa e dei giovani che già lavorano nella fattoria per informare
l'opinione pubblica, i media, gli enti locali e le istituzioni dell'iniziativa,
per sfatare il pregiudizio che " i rom non vogliono lavorare" , ma anche per far
conoscere che i progetti destinati alla popolazione romanì devono essere
adeguati ai bisogni della persona rom coinvolta nell'ottica della "normalità" e
con il rifiuto di ogni forma di assistenzialismo.
Di Fabrizio (del 28/09/2011 @ 09:32:49, in conflitti, visitato 2932 volte)
Fonti varie
Su
Youtube da Euronews (20" in inglese ndr.)
QUI in italiano.
Da domenica scorsa sono in corso violenti scontri a carattere etnico in tutto
il paese.
Tutto è iniziato quando nel villaggio di Kanunitsa (160 Km. a sud di Sofia) un
uomo è stato investito (decedendo in seguito) da un furgone guidato da un
appartenente ad una famiglia rom molto ricca ed in vista nel paese.
Come succede spesso in casi simili, si dice che la fortuna della famiglia sia
collegata ad attività fuorilegge: in questo caso il commercio illegale di
alcool.
L'investitore è poi fuggito. Gli abitanti del villaggio hanno immediatamente
pensato che si fosse trattato di un'azione deliberata, a causa di minacce
precedenti subite dalla vittima, ed hanno assalito la villa della famiglia rom.
Durante questo assalto, ci sono stati 5 feriti, tra cui 3 poliziotti, ed un
giovane è caduto in coma, morendo durante il trasporto in ospedale. La polizia
ha operato 127 arresti ed è riuscita ad arrestare l'investitore, mentre cercava
di oltrepassare il confine con la Turchia.
Nonostante gli appello alla calma delle autorità, dello stesso primo ministro (e di converso, del capo dell'opposizione), di diverse organizzazioni,
tra cui quelli di esponenti della minoranza turca e di altre associazioni civili
e politiche, gli incidenti si sono subito propagati in tutto il paese, tanto nei
piccoli villaggi che nelle grandi città, vedendo tra gli assalitori diversi fan
ultrà delle squadre di calcio ed i soliti gruppi neonazisti; un dato significativo e preoccupante indicherebbe che un terzo di chi sta manifestando contro i Rom sia minorenne. Tra le città coinvolte Plovdiv (350.000 abitanti,
ospita il quartiere di Stolipinovo, dove abitano 40.000 Rom), la capitale
Sofia (con una manifestazione di migliaia di persone davanti al Parlamento),
la città marittima di Varna (corteo di 200 persone verso la mahala rom di
Maksuda), ed inoltre a Pleven e Burgas, con diversi incidenti che hanno
coinvolto membri della comunità rom, le loro macchine e negozi.
Attualmente a causa dei timori, molti bambini sono tenuti a casa da scuola ed i loro padri non si stanno presentando al lavoro.
Si vocifera di possibili manifestazioni della comunità rom, per
esprimere solidarietà e vicinanza alle famiglie dei morti e preoccupazioni per i
disordini che sono succeduti, ma ovviamente il clima molto teso invita anche
alla prudenza estrema prima di esporsi. Nel contempo, circolano anche voci (preoccupanti ma da verificare) che i Rom asserragliati nei loro ghetti, si stiano armando per resistere.
Sono in corso riunioni, tanto a livello
locale che nazionale, sia nella polizia, che nel governo e nelle amministrazioni
decentrate, che tra le associazioni della società civile, nel tentativo di porre
freno alla catena di violenze che attualmente non si sono ancora fermate.
Nel contempo, la
situazione rimane molto tesa anche in
Repubblica Ceca, soprattutto nelle regioni confinanti con Polonia e
Germania, nonostante l'azione repressiva della polizia.
Di Sucar Drom (del 27/09/2011 @ 09:59:25, in casa, visitato 1798 volte)
Sempre dalla newsletter di
Articolo 3, un
aggiornamento su una situazione segnalata
10 giorni fa. di Elena Borghi*
Apriva la guida alla rassegna stampa della
newsletter n.30 una riflessione sugli avvenimenti che da circa un mese
animano la vita di Torrazza Coste (PV).
Niente di speciale, all’apparenza: una trattativa in corso tra due privati, per
l’acquisto di un terreno parzialmente edificabile, sito in una delle vie più
"in" del paese dell’Oltrepò. Un banale episodio di compravendita come ne
accadono ogni giorno, senza mai finire sulle pagine dei giornali.
Ma questo caso è diverso. La notizia ha ottenuto l’attenzione del giornale
locale, la Provincia Pavese, è passata di bocca in bocca tra i millesettecento
abitanti di Torrazza – schieratisi a sostegno o contro il compaesano deciso a
vendere quel terreno –, ha fatto mettere in campo polizia locale ed avvocati, e
probabilmente sta guastando il sonno a più persone, coinvolte a vari livelli
nell’episodio.
A trasformare questa ordinaria vicenda in fatto di cronaca è un particolare
piccolo ma evidentemente insormontabile, l’appartenenza etnica degli acquirenti:
rom, una parola minuscola che desta preoccupazioni enormi.
Avevamo promesso di approfondire l’episodio, e così abbiamo cercato di fare,
recandoci a Torrazza Coste. Ma quel che possiamo raccontare è solo una serie di
impressioni.
Le persone con cui abbiamo parlato, infatti, sono state vaghe e sfuggenti: tanto
timide nell’azzardare commenti personali, quanto decise nell’affermare la
propria estraneità ai fatti, restie a fare i nomi dei compaesani più
direttamente coinvolti, caute nella scelta dei termini e barricate dietro una
facciata politically correct impenetrabile, come chi si stia muovendo su
un terreno pericoloso e cerchi di tenersi al riparo da possibili scivoloni.
Al Bar Sport siedono gli avventori più loquaci. Parlano della vicenda di via
Moro come di una cosa che non li riguarda granché, cercano di esporre i fatti in
ordine cronologico e di astenersi da notazioni personali. Punzecchiati sulla
questione della petizione – che qualcuno in paese avrebbe organizzato per
scongiurare l’arrivo dei rom, radunando oltre 350 firme [1] –
si lasciano scappare un commento: "Beh, nessuno li vuole…", con il tono di chi
sta dicendo la cosa più ovvia del mondo, una verità universale e condivisa.
Intanto, in via Moro scorre tranquillo il sabato pomeriggio, dietro i cancelli e
i muri di cinta alti e robusti, dietro le porte blindate di villette
pretenziose, troppo simili a miniature di castelli, dentro i Suv e sulla ghiaia
dei vialetti d’ingresso, che annunciano ospitali: "Attenti al cane". Non c’è
niente di così diverso, in fondo, in questa via e in questo paese, rispetto a
centinaia di altre piccole città italiane, familiari a tutti noi; eppure, il
sospetto che qui si stia consumando una silenziosa ingiustizia rende minacciosi
particolari che, altrimenti, ci parrebbero assolutamente normali, addirittura
rassicuranti.
Il terreno incriminato, ora deserto perché da giorni i futuri acquirenti non si
fanno più vedere a Torrazza, sorge in mezzo a questo idillio borghese a tinte
pastello: c’è una parte di verde ed alberi (per quelli che la famiglia rom ha
abbattuto è già intervenuta la Forestale, con una multa al proprietario), una
parte di semplice terreno, una piccola costruzione in pietra fatiscente – forse
un ex capanno per gli attrezzi. Niente altro. Episodi spiacevoli, nei giorni in
cui la famiglia è stata con i camper sul terreno? Pare di no. Arrivavano al
mattino, ripartivano al tramonto. Segni di incuria, immondizie, rottami? No.
Sono stati fatti intervenire (a scopo preventivo, si direbbe) Carabinieri e
Polizia locale; si sono ipotizzati sgomberi, scritte e firmate petizioni,
allertate le autorità locali. Eppure i residenti di via Moro con cui abbiamo
parlato dicono di non sapere nulla – più criptici della Sibilla, omertosi come
neanche in terra di mafia.
Gli abitanti della prima casa in cui ci rechiamo ci danno un’indicazione nemmeno
troppo velata. Loro naturalmente non sanno nulla, ma: "Chiedete ai signori di
fronte, che sono i più aggiornati sulla questione", riferendosi ai proprietari
della villa confinante con il terreno incriminato. Ma no, nemmeno loro sanno
essere precisi. "Non voglio dire cose di cui non sono certa" – ripete la
signora, assicurando che ora è l’amministrazione comunale a occuparsi
dell’intera faccenda. Sì, forse una raccolta firme c’è stata, ma lei non ne sa
granché. Stessi occhi sospettosi, stesse mezze parole anche nelle due case
successive. Questi trecentocinquanta nomi paiono essersi volatilizzati. Pare che il rogito ancora non sia stato stipulato, sembra che sia
circolata una petizione e si siano raccolte delle firme, corre voce che
la petizione sia stata recapitata in Comune, si dice che l’amministrazione si
stia facendo direttamente carico della faccenda, forse alla ricerca di quella
"soluzione pacifica che soddisfi i residenti" di cui parla la Provincia Pavese,
e che consisterebbe nel "convincere i proprietari a trovare nuovi acquirenti".
Ripartiamo con i taccuini vuoti e nessuna vera informazione in più.
Ci rimane addosso solo un’impressione generale di disagio, l’inquietudine che
inducono i luoghi apparentemente inattaccabili, perfetti, nel giusto – facciate
dietro le quali spesso si consumano pesanti ingiustizie e prevaricazioni. E’
questo, il messaggio sotteso ai silenzi e alle parole vaghe delle persone che
abbiamo intervistato?
E’, questa, una vicenda in cui qualcuno – elettori e cittadini benestanti,
affidabili, "pacifici e forti" – sta non solo accettando di avere il coltello
dalla parte del manico, ma decidendo di far valere questa condizione contro
qualcun altro, persone che del coltello vedono sempre e solo la punta acuminata?
Non possiamo ancora dirlo. Ripartiamo con il dubbio ben vivo in mente, in attesa
che lo sviluppo degli eventi decida il carattere di questa piccola grande
storia.
Poco fuori il paese, sul ciglio della strada si erge una chiesetta bianca, di
cui qualcuno ha imbrattato la facciata, stampandovi un Sole delle Alpi leghista,
bello grande, in verde d’ordinanza.
* Titolo da: Ascanio Celestini, I miei racconti "in
fila indiana" contro il razzismo (Corriere
Sera, 30/5)
[1] Firme contro l’area nomadi. Residenti di via
Moro in rivolta (Provincia
Pavese, 1/9)
Un uomo della tribù degli Awá, una delle ultime tribù di
cacciatori-raccoglitori nomadi rimaste in Brasile, è stato brutalmente attaccato
dai taglialegna che hanno invaso la sua terra.
Stando ai racconti, l’uomo stava cacciando nella foresta quando i taglialegna lo
hanno legato e bendato, picchiato con violenza e poi hanno tentato di
decapitarlo. Quando la moglie è accorsa per portargli aiuto, le hanno sparato,
fortunatamente senza colpirla.
Nel corso delle ultime settimane, gli Awá hanno subito una serie di minacce da
parte dei taglialegna, che intimano agli indiani di non entrare nella loro
stessa foresta, pena la morte.
Tra i vari attacchi, uno è stato sferrato contro la sede del gruppo locale della
Ong CIMI (il Consiglio Missionario Indigeno), che è stata svaligiata.
Le violenze sono state compiute per ritorsione contro l’intervento del governo,
che ha chiuso le segherie dove viene lavorato il legno tagliato nella terra
degli Awá. Nel corso dell’operazione sono stati arrestati due taglialegna.
Nella terra degli Awá si sono insediati illegalmente anche coloni e allevatori
di bestiame, che contribuiscono a distruggere ulteriormente la foresta.
Uno dei territori degli Awá è già stato deforestato per oltre il 30%.
Per gli Awá sta diventando sempre più difficile trovare selvaggina da cacciare.
“Presto soffriremo tutti la fame” ha dichiarato a Survival Pirei Ma’a Awá. “I
bambini avranno fame, mia figlia avrà fame e avrò fame anch’io. Non ci sarà più
nulla nella foresta… I taglialegna arrivano con i loro camion e portano via
tutti gli alberi.”
Survival ha scritto alle autorità brasiliane, evidenziando il pericolo di
attacchi violenti e ribadendo la necessità urgente di allontanare gli invasori e
di proteggere la terra della tribù, senza cui gli Awá non potranno sopravvivere.
Di Fabrizio (del 26/09/2011 @ 09:10:15, in casa, visitato 2193 volte)
La proroga alla ordinanza che prevede la demolizione di sei casette
all'interno del
Q.re Terradeo (conosciuto come Campo nomadi abitato da numerosi anni da
venti famiglie di etnia Sinta) a giorni sta per scadere.
Giovedì 22.09.2011 abbiamo avuto il previsto incontro con i due Commissari.
Presenti questa volta, il Segretario Comunale e l' Arch. Stano.
Continuiamo ad avere l'impressione di avere di fronte persone con posizioni
molto rigide, con una sola idea in testa: la demolizione delle sei "Casette in
Legno", senza porsi, per ora, il problema di cosa succederà poi alle famiglie
coinvolte in questa vicenda.
Abbiamo presentato ampiamente le nostre Proposte e visto l'aria che tirava,
abbiamo comunicato che le stesse le avremmo formulate entro oggi 23.09.2011 per
iscritto. Cosa che poi abbiamo puntualmente fatto, protocollandole.
Attendiamo ora dai due Commissari una risposta.
Riteniamo più che mai opportuno, per ogni evenienza, ampliare ed irrobustire la
rete di sostegno alle nostre proposte per il raggiungimento di una equa
soluzione.
dr.ssa Francesca Iacontini, Commissario Prefettizio
dr.ssa Anna Pavone, Commissario,
e p.c. dr Alberto Scrivano, Segretario Generale Comune di Buccinasco
In seguito agli accordi presi nell'incontro del 22 settembre con la nostra
Associazione, inoltriamo alla Loro attenzione le seguenti considerazioni e
proposte.
La prima considerazione non può che riguardare, poiché l'argomento è stato
sollevato in un precedente incontro, il tema del rispetto delle leggi, che
Apertamente ha posto all'inizio del proprio Statuto, assumendo come riferimento
della propria azione la Costituzione della Repubblica Italiana, insieme alle
Dichiarazioni "sui diritti dell'uomo, delle minoranze o nazioni (ed è il caso
nostro), dell'infanzia, delle donne e ogni altra dichiarazione o indicazione di
carattere universale" (Statuto, art.2). E a questo abbiamo conformato le nostre
azioni. È pertanto ovvio il rispetto delle leggi da parte nostra.
Nella pluridecennale vicenda dei Sinti di Buccinasco, varie Autorità hanno
mancato, per errori od omissioni, e oggi ne viene chiesto conto agli abitanti
del Quartiere Terradeo. Riteniamo che nella presente situazione sia necessario
sanare le illegalità verificatesi, in modo che si possa procedere, così come
meritoriamente (e finalmente) ha fatto il Commissario Prefettizio preposto al
Comune di Buccinasco, nella definizione dello status del terreno comunale su cui
il Quartiere insiste, compreso attualmente nei confini del Parco Agricolo Sud
Milano.
Le proposte che ci sentiamo di fare, dopo esserci come d'abitudine consultati
con gli abitanti del Quartiere, sono le seguenti:
1 - Confermiamo la richiesta di almeno una unità abitativa da assegnare alla
famiglia più numerosa, che comprende anche minori con problemi sanitari,
famiglia che dispone di un reddito stabile, ed è quindi in grado di sostenere
costi di affitto e utenze.
2 - Per le altre famiglie, proponiamo che il Comune acquisti cinque (o sei, nel
caso non fosse praticabile la precedente richiesta) case mobili usate, da
collocarsi nelle corrispondenti piazzuole, una volta eliminate le costruzioni
contestate. Esse saranno concesse ad affitto calmierato alle famiglie, con
facoltà di riscatto attraverso il pagamento del canone. Dalle informazioni
assunte, queste case mobili presentano i costi meno onerosi, rispetto ad altri
prodotti, oltre a garantire la sicurezza degli impianti e un conveniente spazio
abitabile.
3 - Per quanto concerne l'eliminazione delle edificazioni contestate, facciamo
presente che gli stessi titolari possono provvedere in tempi ragionevoli allo
smontaggio e allo stoccaggio, o eliminazione, o rivendita dei materiali
recuperati, in modo da poter rientrare in parte dei risparmi investiti nella
loro realizzazione.
4 – Rinnoviamo in questa sede, data la stretta connessione con le precedenti
proposte, la richiesta che il Comune assegni a cooperative sociali di tipo B
parti spesso marginali di appalti (pulizia marciapiedi, svuotamento dei cestini,
traslochi, lavori di ripulitura e d'imbiancatura dei muri, piccole riparazioni
murarie interni/esterni, montaggio e smontaggio di palchi e strutture
provvisorie, cabine e pannelli elettorali, manutenzione piste ciclabili, ecc.),
col patto esplicito che queste cooperative debbano prioritariamente ricorrere
alla mano d'opera presente nel Quartiere. Ci pare questa una proposta utile a
risollevare quelle fra queste famiglie che la crisi ha più duramente colpito,
anzi che farne dei "clienti" forzati dei servizi sociali. Facciamo presente che
in piccola parte alcune di queste attività già sono state affidate direttamente
dal Comune a queste persone con risultati soddisfacenti.
Infine, in merito alla regolarizzazione del terreno, trattandosi di
procedura, come ben sappiamo da precedenti tentativi, alquanto complessa, ci
permettiamo di chiedere la maggior sollecitudine, onde scongiurare il rischio
che il termine della Gestione Commissariale sopraggiunga senza che il percorso
sia stato concluso o consolidato e quindi sia recuperabile e proseguibile a cura
della
Ernesto Rossi, Augusto Luisi
Comunicato dei gruppi politici:
Buccinasco, 22 settembre 2011
Gent.ma
Dr.ssa FRANCESCA IACONTINI
Commissario Straordinario
COMUNE di BUCCINASCO
Oggetto: intervento campo "Sinti".-
Le sottoscritte forze politiche della città
Premesso che
ritengono fondamentale ogni intervento teso al ripristino della legalità sul
territorio esprimendo quindi apprezzamento e condivisione degli sforzi che
l'Amministrazione nel merito intende porre in atto e convinte che solo in un
quadro di certezza del diritto è possibile promuovere il corretto sviluppo
rivolgono alla S.V. Ill.ma un appello a valutare con disponibilità ed attenzione
le proposte che associazioni ed enti interessati a favorire e completare
l'integrazione di piena cittadinanza dei soggetti appartenenti alla minoranza
etnica richiamati in oggetto.
Le stesse associazioni, infatti, hanno considerato opportuno raccordarsi con
tutte le forze politiche della città e rappresentare loro più ipotesi di
soluzione del problema che, contestualmente a nostro avviso, soddisfano
l'esigenza di legalità e pongono i nuclei interessati nella condizione di
tranquillità psicologica ed umana responsabilizzandoli e facendo loro
condividere gli stessi obiettivi. Di cosa si tratti saranno ovviamente gli
stessi organismi associativi a rappresentarli alla Sua attenzione. Noi li
abbiamo condivisi.
Nostro compito è far presente che la situazione si trascina ormai da lunghi
anni, come certamente avrà avuto modo di ricavare dalla copiosa documentazione
che sappiamo essere stata presentata.
Non abbiamo dubbi che in buona parte la responsabilità è propria della
"politica" non sufficientemente in grado di offrire risposte tempestive in
assenza sempre di qualcuno degli interlocutori interessati.
Nelle incertezze e nei ritardi si sono situate e si situano tutte le
situazioni lamentate e che è sacrosanto ricondurre a normalità sia con la
definizione di un regolamento sia, appunto, con il ripristino della legittimità
violata.
Un intervento, come quello paventato dall'ordinanza emessa all'inizio
dell'estate, visto il periodo intercorso, poco propenso a dar avvio a qualsiasi
iniziativa di sistemazione, viste le condizione economiche dei nuclei sui quali
grava l'intervento, vista la presenza di ben quattro donne in stato di
gravidanza, vista la condizione di grave patologia di una bambina di poco più di
due anni, potrebbe portare ad una reazione difficilmente prevedibile e comunque
ad un impegno di spesa dell'Amministrazione a garantire condizione di vivibilità
civile di suoi cittadini attraverso l'ospitalità dei nuclei o presso abitazioni
libere sul mercato o con ospitalità in strutture alberghiere.
E' nostro convincimento quindi, fermo restando la condivisione ed il
raggiungimento, dell'obiettivo del ripristino della legalità in tempi certi, di
un'azione più graduata nel tempo che ne faciliti la soluzione con soddisfazione
di tutte le parti in causa.
Siamo certi che non vorrà mancare di valutare con l'attenzione dovuta quanto
le verrà prospettato e costruire insieme un finale coerente agli elementi di
criticità che abbiamo cercato di enucleare.
Siamo anche certi che non fermerà l'azione dell'Amministrazione nei confronti
degli abusi perpetrati all'interno del territorio del parco anche prossimi ed
adiacenti al campo "Sinti" con costruzioni e realizzazione di manufatti che
nulla hanno a che vedere con il bisogno di un tetto dove riparare così come
invece si configura, pur in assenza di autorizzazioni, la situazione di queste
sei famiglie appartenenti ad una minoranza etnica.
RingraziandoLa della disponibilità, distintamente La salutiamo.
I Gruppi politici di Buccinasco: Partito Democratico, Federazione della
Sinistra, Sinistra e Libertà, Verdi, Lista civica "Per Buccinasco", PDL.
Di Fabrizio (del 26/09/2011 @ 09:05:51, in lavoro, visitato 1703 volte)
Cingeneyiz.org 15/09/2011: I raccoglitori di rifiuti solidi chiedono una
ricicleria
I rappresentanti di gruppi di cittadini principalmente di origine zingara che
campano con la raccolta di cartoni e rottami, si sono recati nell'ufficio di Hakan Tütüncü,
sindaco del quartiere di Kepez nella regione di Antalia (città sul
Mediterraneo). I rappresentanti hanno chiesto l'appoggio di Hakan Tütüncü nel
costruire un centro di riciclaggio per la raccolta e la rivendita dei rifiuti
solidi.
Hakan Gezer - presidente dell'associazione rom Muratpaşa, Ferhat Uçakdağ
- presidente dell'associazione Cultura, Cooperazione, Solidarietà Sociale dei
Rom di Antalia, Doğan Arkın - presidente della Federazione Rom di
Aydin, [...] hanno spiegato le loro richieste al sindaco. Tütüncü a sua volta ha
risposto che non ci sono spazi liberi per realizzare il centro di riciclaggio e
che chiederà alle fondazioni pubbliche di trovare una zona adatta in Antalia.
La raccolta di cartoni e rottami è una delle più comuni forme di sussistenza
tra i cittadini di diversi gruppi zingari: Rom in Tracia, Marmara e nella
regione dell'Egeo, Abdali nell'Anatolia centrale ed orientale, Dom nel sud-est
della Turchia, per lo più campano di queste raccolte in difficili condizioni.
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