Sempre dalla newsletter di
Articolo 3, un
aggiornamento su una situazione segnalata
10 giorni fa. di Elena Borghi*
Apriva la guida alla rassegna stampa della
newsletter n.30 una riflessione sugli avvenimenti che da circa un mese
animano la vita di Torrazza Coste (PV).
Niente di speciale, all’apparenza: una trattativa in corso tra due privati, per
l’acquisto di un terreno parzialmente edificabile, sito in una delle vie più
"in" del paese dell’Oltrepò. Un banale episodio di compravendita come ne
accadono ogni giorno, senza mai finire sulle pagine dei giornali.
Ma questo caso è diverso. La notizia ha ottenuto l’attenzione del giornale
locale, la Provincia Pavese, è passata di bocca in bocca tra i millesettecento
abitanti di Torrazza – schieratisi a sostegno o contro il compaesano deciso a
vendere quel terreno –, ha fatto mettere in campo polizia locale ed avvocati, e
probabilmente sta guastando il sonno a più persone, coinvolte a vari livelli
nell’episodio.
A trasformare questa ordinaria vicenda in fatto di cronaca è un particolare
piccolo ma evidentemente insormontabile, l’appartenenza etnica degli acquirenti:
rom, una parola minuscola che desta preoccupazioni enormi.
Avevamo promesso di approfondire l’episodio, e così abbiamo cercato di fare,
recandoci a Torrazza Coste. Ma quel che possiamo raccontare è solo una serie di
impressioni.
Le persone con cui abbiamo parlato, infatti, sono state vaghe e sfuggenti: tanto
timide nell’azzardare commenti personali, quanto decise nell’affermare la
propria estraneità ai fatti, restie a fare i nomi dei compaesani più
direttamente coinvolti, caute nella scelta dei termini e barricate dietro una
facciata politically correct impenetrabile, come chi si stia muovendo su
un terreno pericoloso e cerchi di tenersi al riparo da possibili scivoloni.
Al Bar Sport siedono gli avventori più loquaci. Parlano della vicenda di via
Moro come di una cosa che non li riguarda granché, cercano di esporre i fatti in
ordine cronologico e di astenersi da notazioni personali. Punzecchiati sulla
questione della petizione – che qualcuno in paese avrebbe organizzato per
scongiurare l’arrivo dei rom, radunando oltre 350 firme [1] –
si lasciano scappare un commento: "Beh, nessuno li vuole…", con il tono di chi
sta dicendo la cosa più ovvia del mondo, una verità universale e condivisa.
Intanto, in via Moro scorre tranquillo il sabato pomeriggio, dietro i cancelli e
i muri di cinta alti e robusti, dietro le porte blindate di villette
pretenziose, troppo simili a miniature di castelli, dentro i Suv e sulla ghiaia
dei vialetti d’ingresso, che annunciano ospitali: "Attenti al cane". Non c’è
niente di così diverso, in fondo, in questa via e in questo paese, rispetto a
centinaia di altre piccole città italiane, familiari a tutti noi; eppure, il
sospetto che qui si stia consumando una silenziosa ingiustizia rende minacciosi
particolari che, altrimenti, ci parrebbero assolutamente normali, addirittura
rassicuranti.
Il terreno incriminato, ora deserto perché da giorni i futuri acquirenti non si
fanno più vedere a Torrazza, sorge in mezzo a questo idillio borghese a tinte
pastello: c’è una parte di verde ed alberi (per quelli che la famiglia rom ha
abbattuto è già intervenuta la Forestale, con una multa al proprietario), una
parte di semplice terreno, una piccola costruzione in pietra fatiscente – forse
un ex capanno per gli attrezzi. Niente altro. Episodi spiacevoli, nei giorni in
cui la famiglia è stata con i camper sul terreno? Pare di no. Arrivavano al
mattino, ripartivano al tramonto. Segni di incuria, immondizie, rottami? No.
Sono stati fatti intervenire (a scopo preventivo, si direbbe) Carabinieri e
Polizia locale; si sono ipotizzati sgomberi, scritte e firmate petizioni,
allertate le autorità locali. Eppure i residenti di via Moro con cui abbiamo
parlato dicono di non sapere nulla – più criptici della Sibilla, omertosi come
neanche in terra di mafia.
Gli abitanti della prima casa in cui ci rechiamo ci danno un’indicazione nemmeno
troppo velata. Loro naturalmente non sanno nulla, ma: "Chiedete ai signori di
fronte, che sono i più aggiornati sulla questione", riferendosi ai proprietari
della villa confinante con il terreno incriminato. Ma no, nemmeno loro sanno
essere precisi. "Non voglio dire cose di cui non sono certa" – ripete la
signora, assicurando che ora è l’amministrazione comunale a occuparsi
dell’intera faccenda. Sì, forse una raccolta firme c’è stata, ma lei non ne sa
granché. Stessi occhi sospettosi, stesse mezze parole anche nelle due case
successive. Questi trecentocinquanta nomi paiono essersi volatilizzati.
Pare che il rogito ancora non sia stato stipulato, sembra che sia
circolata una petizione e si siano raccolte delle firme, corre voce che
la petizione sia stata recapitata in Comune, si dice che l’amministrazione si
stia facendo direttamente carico della faccenda, forse alla ricerca di quella
"soluzione pacifica che soddisfi i residenti" di cui parla la Provincia Pavese,
e che consisterebbe nel "convincere i proprietari a trovare nuovi acquirenti".
Ripartiamo con i taccuini vuoti e nessuna vera informazione in più.
Ci rimane addosso solo un’impressione generale di disagio, l’inquietudine che
inducono i luoghi apparentemente inattaccabili, perfetti, nel giusto – facciate
dietro le quali spesso si consumano pesanti ingiustizie e prevaricazioni. E’
questo, il messaggio sotteso ai silenzi e alle parole vaghe delle persone che
abbiamo intervistato?
E’, questa, una vicenda in cui qualcuno – elettori e cittadini benestanti,
affidabili, "pacifici e forti" – sta non solo accettando di avere il coltello
dalla parte del manico, ma decidendo di far valere questa condizione contro
qualcun altro, persone che del coltello vedono sempre e solo la punta acuminata?
Non possiamo ancora dirlo. Ripartiamo con il dubbio ben vivo in mente, in attesa
che lo sviluppo degli eventi decida il carattere di questa piccola grande
storia.
Poco fuori il paese, sul ciglio della strada si erge una chiesetta bianca, di
cui qualcuno ha imbrattato la facciata, stampandovi un Sole delle Alpi leghista,
bello grande, in verde d’ordinanza.
- * Titolo da: Ascanio Celestini, I miei racconti "in
fila indiana" contro il razzismo (Corriere
Sera, 30/5)
- [1] Firme contro l’area nomadi. Residenti di via
Moro in rivolta (Provincia
Pavese, 1/9)