A proposito della "questione rom", oggi tragicamente
agli onori della
cronaca, per conoscere e capire, una delle poesie più famose del grande Paul Polansky:
The well, in italiano Il pozzo.
Leggi e ascolta anche la
versione originale!
Il pozzo
Mi presero al mercato
dove la mia gente una volta vendeva vestiti,
e dove ora gli albanesi praticano il contrabbando.
Quattro uomini mi gettarono sul sedile posteriore
di una Lada blu, urlando "Lo abbiamo detto,
niente zingari a Pristina."
Mentre mi spingevano giù sul fondo,
sentivo la canna della pistola sull’orecchio sinistro. Era così fredda
che sussultai proprio mentre qualcuno premette il grilletto.
Il sangue mi schizzò su un lato della faccia
dalla ferita sulla spalla.
Caddi, fingendomi morto.
Pregai la mia amata madre morta, tutti i
mulos*, affinché questi uomini non si accorgessero da dove
fuoriusciva il sangue. Quando arrivammo,
mi tirarono fuori per i piedi. La testa si schiantò
sul terreno, rimbalzando sulle pietre.
Mi gettarono a testa in giù in un pozzo.
Non raggiunsi mai l’acqua.
C’erano troppi corpi.
Giacevo rannicchiato, quasi incosciente
finché la puzza e il bruciore della calce viva
non mi fecero rinvenire.
Trattenni il fiato finché non sentii
ripartire la macchina, ma poi soffocai
per il fetore che mi circondava.
Con una sola mano, mi trascinai
aggrappandomi a gambe rigide
che mi fecero da scala per arrampicarmi.
La faccia, le mani, tutto il mio corpo
bruciava per la calce. Usai dell’erba
per pulire quello che potevo,
poi barcollai giù per una strada sporca
verso una lunga fila
di luci che si muovevano lentamente.
Venti minuti più tardi ero sull’autostrada
guardando i camion e le jeep verde oliva,
che mi passavano accanto come se fossi un palo del telefono.
Alla fine crollai davanti a due fari.
Non so dire se l’ultimo rumore che sentii
fu uno stridio o un grido.
Il giorno dopo in un ospedale militare
qualcuno della Nato mi interrogò per alcuni minuti.
L’interprete albanese fece sorridere i soldati.
A mezzogiorno stavo camminando
attraverso un bosco seguendo un sentiero per carri
che nessuno usa più,
tranne gli zingari
che fuggono da un paese
in cui hanno vissuto
per quasi
settecento anni.
*Mulos: spiriti di zingari defunti a cui non è stato
ancora concesso di entrare nel regno dei morti.
Nei cinque campi di Bologna ci sono 300 sinti, 250 i rom invisibili. Viaggio
negli accampamenti di Bologna dove la vita, nonostante le difficoltà può anche
sorridere. Come?
Chiedetelo a Mary che si è trasferita per amore
di LUIGI SPEZIA
Sinti, non rom, ma la paura non fa differenze, non guarda in faccia nessuno. Nei
campi nomadi - via Peglion, via Erbosa, via Dozza alle Due Madonne, via
Persicetana - vivono i sinti italiani non i rom romeni o bosniaci, che dopo i
grandi sgomberi degli anni scorsi sono ancora oltre 200, ma sono sparpagliati e
invisibili, in fuga dai vigili e senza cittadinanza. La morte dei quattro
bambini rom, soffocati tra le fiamme a Roma, ha trasmesso i brividi anche ai
250-300 abitanti sinti che vivono ai margini della città, tra scarso lavoro,
diffidenze, guai e legittime richieste di essere trattati da cittadini di serie
A. "Ma qui basta una scintilla e prende fuoco tutto" .
"Viviamo in questo campo che doveva rimanere provvisorio per sei mesi e invece è
provvisorio da vent'anni - tuona Matteo Bellinati, uno dei leader di via Erbosa
-. Ci avevano promesso di trasformare questa ammucchiata di roulotte in una
micro-area, ma i soldi ogni anno il Comune li investe altrove. Se qui in piena
notte prende fuoco una di queste roulotte, va a fuoco tutto, capito? Sono una
attaccata all'altra, non è regolare niente".
Vent'anni non è una cifra a caso. I Bellinati - con loro c'è anche un gruppo
della famiglia Orfei - sono i parenti di quel Rodolfo preso nel mirino di
Roberto e Fabio Savi, quando, con i loro Ar 70 e Sig Manurhin, il 23 dicembre
1990 spazzarono di piombo il campo abusivo di via Gobetti e lasciarono feriti e
un'altra vittima, Patrizia Della Santina. Dopo la strage, il gruppo era sciamato
per la regione, "il sindaco Imbeni ci chiese di tornare, ci ha piazzati qui ma
dopo non è successo più nulla". Il campo è infossato fra tre massicciate
ferroviarie e sorvolato dai fili di un traliccio dell'alta tensione. "Come si
può vivere qua - continua un altro Bellinati che di nome fa Antonio -? I nostri
venti bambini vanno a scuola, ma qui soffriamo di mal di testa e agli occhi, non
dicono che dai tralicci bisogna star distanti settanta metri? Le roulotte sono
riscaldate con stufette elettriche. Se scoppia un incendio di notte non si salva
nessuno, la plastica di queste nostre case è come benzina". E come benzina ha
preso fuoco ieri sera una parte di roulotte senza altre conseguenze, con
intervento dei vigili del fuoco, al campo del Bargellino, certamente meglio
attrezzato di quello di via Erbosa. Alcuni bambini bruciavano legna all'esterno.
L'accampamento migliore è quello di via Dozza alle Due Madonne. Lì vive
l'"aristocrazia" nomade e c'è anche una chiesetta in muratura degli Evangelici
Pentecostali, che hanno convertito decine di sinti, le cui anime sono curate da
pastori, sempre sinti. "Ma non curano il corpo, purtroppo - dice un residente -:
io raccolgo ferro con il furgone, non c'è altro lavoro. Qui il villaggio è
bello, sì, ma manca il lavoro". Qui ogni gruppo familiare ha un cortile tutto
suo dove campeggia il fabbricato delle cucine e dei bagni e attorno le varie
roulotte. "Ma le cucine e i bagni sono stati lasciati aperti, non danno il
permesso per chiuderli e d'inverno non è proprio il massimo".
Oltre le Due Madonne c'è l'insediamento di Idice, Comune di San Lazzaro. Il bus
giallo della scuola scarica i bambini, in mezzo al grande prato centrale gli
adulti stanno festeggiando un compleanno, c'è il baffuto Franco che stende
spiedini di pecora sul fuoco. Qui abita Giuseppe Bonora, 64 anni, detto "il
bimbo", coordinatore dell'Opera Nomadi dell'Emilia Romagna: "Abbiamo chiesto più
di una volta un incontro con il sindaco Macciantelli, ma non l'abbiamo ancora
avuto. Qui siamo ancora ad una favelas, non alle micro-aree. In tutti i comuni
dell'Emilia Romagna non fanno più aree di transito e di sosta. E siamo italiani.
Da noi non cresce nemmeno l'erba, chissà cosa ci hanno messo qua sotto". Bonora
ci tiene a dire che tutti i 15 bimbi del campo vanno a scuola, "nessuno va a
chiedere l'elemosina, eh? Gli adulti raccolgono ferro, o fanno spettacoli
viaggianti e poi magari c'è anche chi fa cose non belle. Ma bisogna pur dire che
una mano non ce la dà nessuno".
Se il campo disastrato di via Erbosa è circondato da tre ferrovie, quello
piccolo della famiglia Gallieri in via Peglion ha vista sul guardrail dell'A14.
Un campo che è stato trasferito in loco per tre volte, anche l'ultimo pezzo di
terra acquistato dalla famiglia per abitarci è stato espropriato dal Comune "e
io - dice Antonio Gallieri, che a 58 anni ha 9 figli, 18 nipoti e 3 pronipoti -
ho fatto una causa alla Corte europea. Ho avuto venti processi contro di me, ora
ce n'è ho uno "Gallieri contro lo Stato"".
Non ci sono solo i campi. Dappertutto ci sono le famiglie isolate, soprattutto
rom, anche dentro luoghi abbandonati come l'ex Casaralta o l'ex Cevolani. In via
Biancolelli, a Borgo Panigale, ecco una roulotte di sinti che non trovano posto
in via Persicetana, con tre bimbi che vanno alle elementari: "Abbiamo chiesto
casa due anni fa al Comune, non l'abbiamo ancora", dice Adriano Bonora. Lì
accanto una vecchia roulotte di rom, il capofamiglia è Brahim Husovic, calderas
bosniaco. La moglie è incinta, ha sei figli stipati dentro quel cubo fatiscente,
la più grande ha 18 anni. "Mio nonno viveva al Casilino 900", racconta
riferendosi alla tragedia di Roma. "Da Roma ho dovuto scappare". Storie che si
intrecciano. "I rom oggi sono circa 250 a Bologna, compresi quelli ai semafori -
dice Dimitris Argiropoulos, attivista della Federazione Romanì -. Stanno
nascosti". Due famiglie vivono tra le frasche del giardino del Baraccano.
Di Fabrizio (del 16/02/2011 @ 09:13:18, in Europa, visitato 1614 volte)
Ho scritto di recente dei rimpatri forzati di Rom kosovari
dalla Germania. Da qualche anno politiche simili si verificano anche in
Svizzera, Austria, Benelux e Svezia. Da quest'ultimo paese mi arriva la lettera
che riporto qua sotto.
Caro Fabrizio
ti scrivo augurandomi che tu possa fare qualcosa, riguardo la deportazione
dalla Svezia dei rom kosovari. Da tempo i rom sono mandati verso il Kosovo senza
nessuna sicurezza di essere accolti oppure assistiti nel paese di provenienza.
Ho letto l'articolo sulle famiglie rom deportate dalla Germania, scritto
sempre sulle tue pagine, è vero che nessuno se ne frega dei rom quando arrivano
nella loro maledetta destinazione, sono lasciti alla loro sorte, credetemi per
niente buona, nessuna assistenza, né previdenza sociale o assistenza medica, ed
infine non sanno dove e come chiedere aiuto, la maggioranza di loro non sono
nemmeno iscritti all'anagrafe.
Spero che l'Unione Europea faccia qualche mossa per fermare, questo quasi
genocidio di oggi. Sapendo che le dichiarazioni delle bande criminali che
guidano il paese, qualcuno controlli meglio, che tutti coloro che alcuni paesi
della EU mandano in Kosovo, vengano ben accettati e accolti non sono affatto
vere, e sonno lasciati alla loro cattiva sorte.
Per non essere italiano mi auguro di essermi spiegato bene e che mi
abbiate capito, perché il traduttore di google ha tradotto questa mia lettera.
Di Fabrizio (del 16/02/2011 @ 09:31:45, in Italia, visitato 1615 volte)
Segnalazione di
Alberto Maria Melis,
che aggiunge: "Un bell'articolo, che dimostra come si può fare del buon
giornalismo anche senza intingere la penna nel fango e nel sangue, semplicemente
raccontando la verità che chiunque conosca personalmente i rom ha potuto toccare
con mano."
Repubblica Un anno fa in questo campo in un rogo era morto un bambino. Pneumatici e
rifiuti abbandonati sono l'eredità di un vecchio sgombero - di BEPPE SEBASTE
La prima cosa che ci colpisce è il pudore. Poiché al mattino gli uomini sono
tutti al lavoro, a venirci incontro è stato un nugolo di bambini, sorvegliati a
vista e seguiti dalle madri, dai tre ai tredici anni. Sono curiosi e vivaci, e
al tempo stesso protettivi. Tra tutti spicca Dario Valentino, undici anni:
"Venite stasera, quando torna mio padre e gli altri uomini", ci ripete serio. Ci
proibisce (ci prega di non farlo) di fotografare le case e le persone, cioè loro
stessi. Colpisce la sua dignità, il volto serio nello sforzo di assumersi la
responsabilità del campo. E' anche perfettamente consapevole del bello e del
brutto. "Tutta questa zozzeria" - dice indicando una distesa di terra piena di
detriti, e le carcasse arrugginite e bruciate di automobili, "non è nostra,
l'abbiamo trovata qui". Ci dice il via vai di questi giorni di fotografi, che
non hanno chiesto il permesso di scattare immagini a case e persone, come se
fossero gabbie di uno zoo: "sono venuti a fotografare tutto e poi sono
scappati".
Ci presentiamo. Siamo in un agglomerato di baracche nel quartiere della
Magliana, racchiuse da canneti e pezzi di campagna sopravvissuta, chiusa da un
lato dai palazzi che ospitano la Fao. Il sentiero che vi conduce da via Morselli
è costellato di pneumatici e tracce di sgomberi recenti. Anche qui, un anno fa,
un altro bambino morì bruciato per l'imperizia e la miseria, non questa volta
dal riscaldamento, ma dalle candele. Sono rimaste famiglie bosniache di
Sarajevo, da cui imparo che le tragedie della miseria accadono a quei rom che
non hanno la sapienza pratica di altri, l'arte del sopravvivere. Nuovi poveri,
per così dire. Con me e Francesca, fotografa, c'è Alessandro, un giovane
antropologo che lavora con Arci Solidarietà nel vicino campo rom "regolare" di
via Candoni: concepito per ospitare trecento persone, ne vivono più di mille,
stipate dentro container di 18 metri quadrati. Alessandro aiuta le famiglie rom
a sbrigare le pratiche sanitarie, scolastiche e sociali in genere. I bambini e
le madri di questa baraccopoli di irregolari lo conoscono di vista, e si fidano
poco alla volta di noi. Il fatto è che ci sentiamo in colpa a essere qui anche
noi solo dopo l'ennesima tragedia che ha fatto notizia e suscitato clamore, a
far visita e fotografare delle condizioni di vita, di vita nuda, come se le
scoprissimo sempre per la prima volta, dimenticando che le abbiamo create noi,
la nostra politica, e solo in seguito attribuite a "loro". Non solo il triste
concetto di "campo", mi spiega il giovane antropologo volontario, è
un'invenzione nostra, frutto di una logica di esclusione; ma anche all'estremo
opposto la lirica adesione a un loro presunto e folcloristico stile di vita, a
una loro presunta esigenza di separatezza.
Ci colpisce la serenità di questo scorcio di vita quotidiano di donne e bambini,
e la tranquilla dignità delle donne e madri. "Ci portano di qui e di là come se
fossimo giocattoli", dice una donna. Da uno sgombero all'altro, da una
deportazione all'altra, la loro precarietà è una condanna, non una scelta. "Io
vivo qui con mio padre, sono arrivata in Italia quando avevo 11 anni - mi dice
un'altra che si definisce single, gonna verde con disegni fantasiosi, collana di
perline, pendenti e un bracciale di corallo - vorrei lavorare, sono brava a fare
le pulizie" - dice mostrandomi la baracca ordinata e accogliente sulla terra
nuda e spazzolata: un letto, un fornelletto, un tavolino, due quadretti di "Roma
sparita" appesi alle pareti fragili di legno, e un terzo che è un ritratto di
padre Pio. Ma non sa leggere né scrivere, in nessuna lingua. Poi si siede
all'aperto, in postura perfettamente eretta toglie il rame scorticando le guaine
dei cavi elettrici e lo mette da parte. Sanno, a differenza di altri rom, che
non bisogna bruciare il rame per non respirarne la diossina che sprigiona.
Tutte le baracche sono di legno, nessun uso di materiali nocivi, e dalle tettoie
pendono le plastiche azzurre della Posta Italiana, con la scritta in bianco. In
una, l'unica con l'impiantito pure di legno, tra i letti, i tappeti e le coperte
dai colori festosi e sgargianti noto vicino alla porta una stufa circolare di
metallo, saldature perfette, ma soprattutto una forma che sembra il frutto di un
designer di grido. "L'ha fatta mio marito", dice la donna con orgoglio seguendo
il mio sguardo. "Questa è sicura". E' una stufa a legno, davvero bella da
guardare.
Dario Valentino, il ragazzo undicenne (che scopriamo essere il figlio del
falegname e fabbro delle stufe), mentre attorniato dagli altri bambini
costruisce con assi di legno, chiodi e un martello una piccola casetta per
giocare, pone delle domande ad Alessandro come un grande, sul loro destino, se
li sposteranno a via Candoni, che cosa siano le fantomatiche "case popolari", e
chi ci può andare. Non è facile spiegare a bambini dagli occhi sgranati, che
aspirerebbero ad avere una casa normale, cosa siano e chi abbia diritto alle
case popolari, e perché. Intanto si sono avvicinate ad ascoltare alcune donne.
Quando nominiamo il Cei (Centro di identificazione e espulsione), la madre di
Dario Valentino, che sembrava disinteressata ai nostri discorsi, si affaccia
dalla sua baracca per esclamare, seria: "Là non ci voglio andare neanche morta".
Tutti qui hanno un regolare permesso di soggiorno, tutti vorrebbero che i loro
figli andassero a scuola, vorrebbero una normale assistenza sanitaria, tutto ciò
che per noi è così normale che ci dimentichiamo di averlo. Ignoro quali siano i
criteri per l'attribuzione, ma una cosa è certa: i nomadi, come li chiamiamo,
non sono nomadi, la loro origine è spesso contadina, e il lavoro degli uomini si
relaziona con la realtà della metropoli, non in un mondo separato.
"Questa potete fotografarla", ci propongono fieri dopo avere finito la loro
capanna di legno. Adesso i bambini, quelli più piccoli a piedi nudi, sono
contenti di mostrarci quante più cose possibili, felici della nostra attenzione.
Fotografiamo Lisa, il boxer femmina, Bambi, una pecora compagna di giochi dei
bimbi. Siamo incantati dalla loro creatività e dalla loro gentilezza. La piccola
Samantha, una biondina sempre sorridente, corre e grida di gioia quando diciamo
che torneremo a portarle dei vestiti. "Anche delle scarpine", ci dice da
lontano.
Il 95% dei Rom conduce ormai una vita sedentaria e non vuole tornare a
essere nomade
Tra i rischi maggiori quello della povertà e della mancanza di
istruzione
Mentre la tragica morte di quattro bambini in un campo di Roma commuove
l'Italia, sono oltre 12 milioni i Rom europei che continuano a lottare contro
segregazione e povertà nell'UE. Oggi l'Europa sta cercando una soluzione comune
per risolvere il problema. La presidenza ungherese ha definito la strategia
europea sui Rom una delle sue priorità.
Ne abbiamo parlato con la parlamentare di centro-destra (PPE) ungherese
Lívia
Járóka, l'unica deputata Rom seduta in Parlamento. La giovane 36enne è la
relatrice di un rapporto che si propone di non permettere più all'Europa di
sprecare il potenziale dei Rom e il loro possibile contributo all'Unione.
Sta cercando di lanciare una strategia europea sui Rom. Quali punti sono più
importanti? Dobbiamo cambiare il nostro approccio. Da una prospettiva etnica di questa
minoranza dobbiamo allargare la nostra visuale, dando ai Rom più prospettive
specialmente dal punto di vista lavorativo. Abbiamo leggi europee per combattere
la discriminazione, ma spesso non vengono messe in atto nei singoli Stati
membri. Comunque la discriminazione etnica è soltanto uno dei fattori. Esiste in
Europa una povertà invisibile che non viene percepita neanche da coloro che
assegnano i fondi europei.
Nella mia strategia metà del successo dipenderà dalla stessa comunità Rom e
dalla presenza di leader fra loro. Per questo c'è il bisogno di una nuova classe
dirigente di Rom istruiti che vengano dalla comunità stessa e la rappresentino.
Molti continuano a pensare che i Rom siano nomadi. Ma è ancora così? I Rom hanno il diritto di andare dove vogliono in quanto cittadini europei. Se
poi desiderino davvero muoversi è un altro discorso. Oggi il 95% dei Rom europei
conduce una vita sedentaria. Quel 5% che continua a muoversi lo fa per ragioni
culturali o lavorative.
Negli ultimi anni l'emigrazione che abbiamo visto era legata a motivi economici.
Gli Stati membri usciti dall'epoca comunista si sono trovati di fronte a realtà
economiche nuove che hanno lasciato i più poveri senza un lavoro. I Rom sono
stati i primi a essere espulsi non in quanto gruppo etnico, ma perché non erano
istruiti.
I Rom non vogliono una vita nomade, ma lavoro, dignità e cibo. La prossima
generazione rischia di continuare a vivere in povertà non per la sua etnia, ma
perché probabilmente ha entrambi i genitori disoccupati. Dobbiamo evitare che i
Rom emigrino di nuovo per ragioni economiche come hanno fatto quando si sono
diretti verso la Francia, il Regno Unito, l'Italia e molti altri paesi. Ma non
sono stati soltanto i Rom: anche molte altre persone in difficoltà sono state
costrette a lasciare il loro paese alla ricerca di un lavoro.
Perché è tanto importante sostenere le donne Rom? Nelle aree più svantaggiate, due generazioni di Rom stanno crescendo senza
vedere i genitori andare al lavoro. Questo vuol dire anche che sono le donne
coloro che mentalmente e fisicamente coltivano la speranza. Sono un'antropologa
e ho visto con i miei occhi quanto molto dipenda dal lavoro delle donne. Sono
loro a assicurarsi che ogni giorno ci sia del cibo sul tavolo, sono loro a
assicurare che vengano rispettati i diritti dei propri figli.
Sostenere le donne Rom è uno degli elementi chiave della nostra strategia.
Dobbiamo accertarci che non avvengano più i matrimoni forzati e che si combatta
contro l'abuso di droghe e la tratta di esseri umani.
Con la sua storia personale ha dimostrato che è possibile sconfiggere povertà e
esclusione sociale. Cosa suggerirebbe a altri Rom che vogliono seguire il suo
esempio? La mia fortuna è stata l'istruzione. I miei genitori si sono trasferiti per
evitare che fossimo messi in classi separate, soltanto per Rom. Hanno
controllato che studiassimo abbastanza per essere ammessi in buone scuole.
Comunque una delle cose più importanti che mi hanno dato è questo forte legame
familiare e la nostra tradizione di accettarci l'uno con l'altro.
Io sono figlia di un matrimonio misto. Ho visto quello che hanno fatto i miei
genitori per darci una vita migliore. Tutti noi, i miei fratelli e io, siamo
andati all'università, grazie ai messaggi positivi trasmessi da mia madre e mio
padre.
Ha mai sofferto sulla sua pelle la discriminazione? Per me essere una Rom è una ricchezza, un elemento molto positivo. Mio padre è sempre stato molto protettivo: non ho mai sentito nessun commento
etnico a casa. Per noi era naturale essere Rom, ma prima di tutto ungheresi e
europei.
Per mia sorella è stato diverso. Č nata dieci anni dopo di me in un momento in
cui il governo stava cambiando e si respiravano turbolenze economiche e tensioni
sociali. Si stava creando un baratro tra Rom e non Rom, tra ricchi e poveri.
Abbiamo iniziato a avvertire questa sensazione sulla nostra pelle.
Mi sono accorta all'università di quanto colleghi e amici non sapessero niente
dei Rom e fossero completamente pieni di pregiudizi infondati. Ho capito così
che dovevo fare qualcosa e mostrare che, oltre ai curriculum nazionali, al
dialogo sociale e al lavoro nelle comunità Rom, era estremamente importante
lavorare con i media.
Come potremmo creare fiducia e cooperazione reciproca? I media hanno un ruolo molto importante, dovrebbero mostrare modelli di
cooperazione tra Rom e non Rom. La crisi economica ha reso ancora più difficile
combattere i pregiudizi. Il nostro compito dovrebbe essere quello di creare
degli spazi per l'integrazione, come associazioni sportive miste, classi e
luoghi di lavoro comuni. Poi abbiamo bisogno di una valida classe dirigente tra
i Rom. Aspetto con ansia la nascita all'interno della società Rom di un
approccio comune che venga dal basso.
Il rapporto sulla strategia europea per l'inclusione dei Rom dovrebbe essere
votato dalla commissione per le libertà civili il 14 febbraio per poi arrivare
in plenaria a marzo.
Un nuovo ed esaltante progetto artistico è attualmente in corso a Bódvalenke,
Ungheria del nord.
Agli artisti è stato chiesto di affrescare le pareti delle case, in
quella che è un'area socialmente svantaggiata, dove di 210 abitanti il 90% è
Rom. Il budget annuale a Bódvalenke è di 30 milioni di fiorini (circa 100.000
euro), utilizzato principalmente per il funzionamento dell'ufficio del sindaco,
assegni sociali e progetti di lavori pubblici, senza lasciare soldi per lo
sviluppo del villaggio.
I pittori rom ungheresi hanno già completato 13 stupendi disegni sulle
pareti.
Artisti rom di tutta Europa ora sono stati invitati a Bódvalenke per
partecipare al progetto.
Gli elaborati verranno prima giudicati da una giuria selezionata. A quei
pittori le cui opere verranno scelte, verranno forniti vernici, pennelli, vitto
e alloggio e verranno coperte le spese di viaggio. In aggiunta, verrà fornita
una borsa di studio, a seconda delle dimensioni del lavoro, della media di 1.000
euro.
Qualsiasi aiuto sarà grandemente apprezzato. Quanti siano interessati,
dovrebbero inviare le loro proposte (meglio in formato PDF) a Eszter Pásztor at
epasztor@enternet.hu
Di Fabrizio (del 17/02/2011 @ 09:20:14, in Italia, visitato 1408 volte)
La tesi dello scrittore Luca Cefisi autore di un'inchiesta sui minorenni
zingari. "O risolviamo il problema oppure tra vent'anni quarta e quinta
generazione cresciuta nell'illegalità e nella segregazione".
I bambini rom si salvano solo insieme alle loro famiglie. E i campi nomadi sono
uno spreco di denaro pubblico. Anzi, peggio. Rappresentano un modello di
segregazione. E tra vent'anni il problema si ripresenterà. Allora, che fare?
Semplice: dare a questa gente un'opportunità, trovargli un lavoro e lanciare un
piano di edilizia sociale che riguardi tutti i "poveri", italiani e non.
Insomma, rendere autonome le famiglie zingare. Luca Cefisi, che ha appena
pubblicato per la Newton Compton il libro-inchiesta "Bambini ladri" e ha
collaborato alla stesura delle legge sull'immigrazione della Regione Lazio,
sfata i luoghi comuni e invoca iniziative politiche coraggiose per risolvere
definitivamente la "questione rom".
Lei non crede negli affidamenti dei minori che vivono in baracche? "I bambini si salvano con le famiglie. Č un'ipocrisia sostenere che la mamma
ventenne è cattiva e il figlio di tre anni è buono. E la pressione sugli affidi
non è sincera, rappresenta una sorta di genocidio mascherato".
Ma se vivono in condizioni di degrado? "Allora anche gli scugnizzi che vivevano nei bassi napoletani andavano tolti
alle madri...".
E se rifiutano l'assistenza? "Che assistenza? Dare un alloggio a mamme e bimbi ed escludere i padri è un
meccanismo ricattatorio. Č chiaro che non l'accettano".
Gli sgomberi sono una soluzione? "Prendiamo molti rom fuggiti dall'ex Jugoslavia nei primi Anni '90. Con il
regime comunista avevano almeno una casa. Qui si sono ritrovati alle periferie
della grandi città senza accoglienza e assistenza. I loro figli sono cresciuti
senza patria, status sociale, residenza. Vogliamo illuderci che se li
tormentiamo con gli sgomberi se ne andranno? E poi sia Amato che Mantovano,
sinistra e destra insomma, hanno ammesso che non sono rimpatriabili. Sarebbe
solo un criminale spreco di risorse e di speranze".
Parliamo di risorse. Molti
pensano che i soldi per i rom siano sprecati...
"Alemanno chiede 30 milioni per
i campi, un errore condiviso dalle giunte di centrosinistra, perché costano
molto e spingono alla segregazione. Si spende denaro non per risolvere il
problema, ma per perpetuarlo".
E allora? "Bisogna farli uscire dai campi, non concentrarli là dentro. Occorrono politiche
che rendano autonome le famiglie per uscire dal bivio tra furti e accattonaggio.
Ci vogliono case e occupazione. Ma se vivi in un campo nessuno ti dà un lavoro".
Però anche molti italiani non hanno casa e lavoro. Č giusto privilegiare i rom?
"Se sono italiani sono uguali agli altri. Se non lo sono, bisogna decidere se
devono diventarlo o no. Il problema si risolve aiutando tutte le persone in
stato d'indigenza. Da quanto tempo a Roma non si fa un piano di edilizia
sociale? Non ci sono risorse e poi chiedi 30 milioni per i campi? Si potrebbe
spendere meno e dare a queste famiglie un assegno di povertà e un alloggio,
evitando così furti e accattonaggio. Altrimenti tra vent'anni avremo la quarta o
quinta generazione di rom cresciuti nell'illegalità e nella segregazione".
Maurizio Gallo - 12/02/2011
PS: So benissimo che tipo di giornale sia IL TEMPO, l'ho ripubblicato
apposta
Una volta che allacci un bottone sul tuo giubbotto in modo sbagliato, allora
tutto il tuo giubbotto è ovviamente abbottonato sbagliato, ha detto Rudolf Chmel,
il Vice Primo Ministro per i diritti umani e le minoranze nazionali, descrivendo
le tensioni che hanno circondato la Legge sulla Lingua dello stato della
Slovacchia. Il suo ufficio ha iniziato ufficialmente a lavorare con più forti
poteri il 1° novembre e tra le sue prime iniziative legislative c'è un
emendamento alla legge sulle lingue minoritarie che è stato presentato per la
discussione pubblica poco prima della fine del 2010. Il diritto di usare la
propria lingua madre, nonché i conflitti che scoppiano regolarmente tra
slovacchi e ungheresi e i problemi della situazione di esclusione sociale delle
comunità rom sono stati tra i temi che Chmel ha discusso con il pubblico
slovacco poco prima della vacanze di Natale.
The Slovak Spektator (TSS): La legge statale sulla lingua, che ha provocato
molta tensione tra ungheresi e slovacchi, è stata recentemente modificata. Come
ha fatto a percepire l'emergere del problema?
Rudolf Chmel (RCH): La legge statale sulla lingua è emersa come problema quando
è stata approvata dal governo di Vladimir Meciar nel 1995, perché ha un evidente
tono contro le minoranze, e soprattutto anti-ungherese, ivi comprese le
sanzioni. Ma il periodo precedente della situazione risale agli inizi degli anni
'90 quando una certa parte di nazionalisti si avvicinò con l'idea di protezione
della lingua di Stato, come se qualcuno stava ancora cercando di portarla via da
noi. In generale gli slovacchi sembrano che vivano ancora nel XIX secolo, nel
Romanticismo, quando il linguaggio doveva essere combattuto, o più tardi, quando
la magiarizzazione era parte delle politiche statali. Ma oggi la lingua slovacca
è una parte naturale dell'identità degli slovacchi e come tale non ha bisogno di
meccanismi repressivi giuridici per la sua tutela. E' fondamentalmente una
controversia tra chi vuole proteggere e lottare per la lingua e coloro che
vogliono prendersi cura di essa e coltivarla. Se c'è una minaccia per la lingua
slovacca, è a causa di ignoranti slovacchi e non degli ungheresi o altre
minoranze.
Il governo di Mikuláš Dzurinda ha liberalizzato la legge nel 1999 ed ha
approvato una legge sulle lingue minoritarie, così formalmente questi due
problemi sono stati modificati, ma la verità è che entrambe le leggi sono
imperfette - e quindi hanno bisogno e avranno bisogno di essere migliorate. Nel
2009 il governo di Robert Fico ha rinforzato nuovamente la legge, e praticamente
l'ha riportata di nuovo ai tempi di Meciar. La coalizione di governo attuale sta
cercando sia di armonizzarle che liberalizzarle - ossia, moderare la protezione
ed incrementare l'attenzione per entrambe le lingue, quella di stato e quella
delle minoranze.
TSS: Come ha visto la tensione che è emersa fra gli ungheresi e gli slovacchi
per la Legge statale sulla lingua?
RCH: La minoranza ungherese si occupa della questione della lingua in modo
diverso rispetto alle altre minoranze, come gli ungheresi, simili agli
slovacchi, vivono ancora con la convinzione che la lingua sia l'attributo più
importante della loro identità nazionale. E' vero, ce ne solo accorgiamo meno
quando si parla di minoranze. Quando si tratta della lingua, una minoranza è
naturalmente più vulnerabile ed in pericolo perché vive in un ambiente della
lingua in maggioranza ed è nel maggiore dei casi la lingua minoritaria piuttosto
che la lingua di maggioranza che è assimilata. Nel 2009, la legge statale sulla
lingua è stata reintrodotta nell'agenda nazionale inter statale
slovacca-ungherese, dal momento che le caratteristiche repressive della modifica
erano rivolte soprattutto contro la minoranza ungherese. Il governo ungherese ha
interferito e la bolla è cresciuta. In quel momento ho creduto che fosse
inutile, in quanto faceva parte della carta ungherese che il governo guidato da
Fico ha giocato nelle relazioni bilaterali con l'Ungheria. Ecco perché abbiamo
creduto che le misure restrittive dovrebbero essere eliminate. Dopo tutto,
c'erano pertinenti raccomandazioni internazionali che supportavano la nostra
posizione.
TSS: Ma le sanzioni che lei ha criticato in passato rimangono nella legge, anche
se in modo limitato. E' soddisfatto della soluzione che il parlamento ha
recentemente approvato?
RCH: Siamo venuti con le richiesta di rimuovere le misure restrittive sia sulla
legge statale sulla lingua, e nella legge sulla lingua delle minoranze, in
quanto le due leggi in realtà sono due facce di una stessa medaglia e, pertanto,
devono essere compatibili. L'emendamento alla legge statale sulla lingua è stato
proposto dal ministro della cultura perché compete al suo dipartimento. C'è
anche un dipartimento di lingua di stato presso il ministero della cultura che
supervisiona sul corretto uso dello slovacco. Questo è quello che ho cancellato
quando ero ministro della cultura (nel 2002-2005) perché mi sembrava troppo per
i funzionari ministeriali dire cosa è giusto e cosa è sbagliato nella lingua.
Per tutto questo abbiamo un'autorità accademica, L'istituto di linguistica
Ludovit Stur presso l'accademia slovacca delle scienze, come pure diversi
dipartimenti universitari. Non è dato agli ufficiali ed hai politici il
codificare il linguaggio. A parte questo, credo che la legge statale sulla
lingua, dovrebbe essere una legge di solo valore simbolico e non dovrebbe essere
utilizzata per qualsiasi repressione o minaccia.
Così è stato necessario emendare la legge, ma è più facile a dirsi che a farsi,
come i vecchi pregiudizi nazionalisti e i traumi che hanno lavorato nelle
relazioni fra slovacchi ed ungheresi per decenni, permangono nella coscienza
politica slovacca sia nazionalistica che democratica, quella che attualmente
governa il paese.
Ora i nazionalisti da Smer e dal Partito Nazionale Slovacco (SNS) dicono che la
legge è servile a Budapest, dall'altro lato i nazionalisti ungheresi criticano
il governo slovacco dicendo che la legge continua a perseguitare le minoranze.
Quindi di solito i nazionalisti partono dalle stesse piattaforme, rimanendo
solamente uno contro l'altro. Ma credo che se le sanzioni sono state eliminate,
la legge sarebbe piuttosto buona. Usando il termine "sanzione" o "ammenda" in
relazione al linguaggio, è un intervento drastico nella società, come la lingua
è un affare molto intimo, molto personale dell'identità umana come dell'identità
di una comunità più grande. Qualsiasi repressione in quella zona interferisce
con l'identità umana. Dopo la nostra ultima modifica, le repressioni verranno
utilizzate solo in campo ufficiale, molto formalmente, ma penso che siano
completamente ridondanti. C'è stato un sollievo significativo in diversi settori
della comunicazione pubblica, per esempio in uffici di auto-governo o negli
uffici di polizia. Il rilievo è ancora più grande nel settore della cultura. Ma
la legge ancora non contiene tutti i provvedimenti che potrebbero essere
necessari.
TSS: Ora tenterà anche di modificare la legge sulle lingue minoritarie, che
dovrebbe per molti aspetti allargare il diritto delle minoranze ad usare la loro
lingua madre – una misura che spesso incontra resistenze da parte dei politici
in Slovacchia. Perché c'è una mancanza di volontà tra i politici della
Slovacchia per questo?
RCH: E' necessario modificare la legge sulle lingue minoritarie da quando
abbiamo modificato la legge statale sulla lingua e queste due leggi devono
essere compatibili. Abbiamo inoltre stabilito come uno dei nostri obbiettivi sia
un concetto più ampio della politica per le minoranze in termini giuridici.
Vogliamo farla finita con la discordia tra le due lingue, come la legga statale
sulla lingua ha interferito negli usi delle lingue minoritarie, in particolare
dopo che il governo di Fico l'ha modificata. Ciò doveva essere rimosso perché
l'uso delle lingue minoritarie è disciplinato dalla legge sulle lingue
minoritarie e non dalla legge statale sulla lingua. Le raccomandazioni
internazionali hanno parlato con la stessa voce che questa discordia dev'essere
rimossa.
Per rendere compatibili le due leggi, ora ci sono le sanzioni introdotte nel
progetto di modifica della legge sulle lingue minoritarie perché ci sono già
delle sanzioni nella legge statale sulla lingua. Se un membro della minoranza
non è in grado di far valere il suo diritto di parlare una lingua minoritaria,
possono lamentare l'istituzione in questione. Ma io personalmente credo che non
ci dovrebbero essere sanzioni in nessuna delle due leggi.
Ovviamente, per qualcuno dei miei colleghi questo suonava come un reato contro
la maggioranza slovacca, che le istituzioni slovacche potrebbero essere
sanzionate se un ungherese, un ruteno, un ucraino od un rom non possano ottenere
un'informazione nella loro rispettiva lingua. La mentalità slovacca, non pensa
se accadesse al contrario, ma quando è la maggioranza che deve essere punita,
tutto ad un tratto non ci piace.
TSS: Uno dei principali cambiamenti che lei sta introducendo nel progetto di
modifica della legge sulle lingue minoritarie, è abbassare il quorum per chi
parla la lingua minoritaria, dall'attuale 20% al 10%.
RCH: Tutte le raccomandazioni internazionali dicono che il quorum dev'essere
abbassato. Nel 1999, quando la legge è stata redatta per la prima volta, anche
il 20% sembrava troppo alto. Ma l'esperienza ha dimostrato che non è un buon
quorum, in quanto permette ancora di assimilare le minoranze. Le raccomandazioni
internazionali che abbiamo ricevuto parlano del 10%, sostenendo che le lingue
minoritarie richiedono maggiore protezione in quanto la loro posizione statale
non è uguale a quella della lingua nazionale. Ho il sospetto che non sarebbe
accettato facilmente da molti cittadini e politici ma il quorum proposto non è
così basso. Nota bene, non riguarda la minoranza ungherese, bensì le altre
minoranze. Attualmente, sotto il quorum del 20%, sono circa 520 municipalità con
lingua ungherese e, con il quorum abbassato al 10%, sarebbero altre 30, meno del
1% in più. Ma è interessante considerare che la minoranza tedesca, che è molto
più piccola. Attualmente, vi è un solo comune di lingua tedesca, Krahule nella
Slovacchia centrale, ma con il quorum del 10%, salirebbe da 10 ad 11
municipalità. Con la minoranza croata, si potrebbero influire due parti della
municipalità di Bratislava, Jarovce e Cunovo. Considerando la minoranza rutena,
proponiamo il conteggio insieme alla minoranza ucraina per finalità di utilizzo
delle minoranze linguistiche, il che significherebbe che persino la città di
Humenné diventerebbe ufficialmente bilingue.
Il problema con la minoranza rom, a questo riguardo, è che un'infrastruttura
completamente nuova per la loro lingua, avrebbe bisogno di essere stabilita. In
questo caso, dovremmo prendere in considerazione un modo per rinviare
l'implicazione pratica della legge per creare spazio per l'educazione
dell'intelligenza rom che sarebbe in grado di saturare questa infrastruttura.
Non è una cosa facile, che richiede anche un più alto budget per le municipalità
interessate.
TSS: Il suo ufficio si occupa anche di alcuni problemi legati alla minoranza
rom. Quali di questi consideri più seri?
RCH: L'agenda dei rom è attualmente distribuita tra diversi uffici e penso che
sia necessario un approccio più globale. Negli ultimi 21 anni lo stato ha
fallito nelle politiche sociali. Vi è una sorta di egoismo economico tra i
non-rom e le problematiche per ridurre la povertà dei rom. E da quando
nascondiamo le problematiche economiche ed i fallimenti dello stato, le
soluzioni che vengono proposte sono spesso razziste, ideologiche e dirette verso
i cittadini più poveri di questo paese.
"Le comunità socialmente escluse" è solo un bel nome per le baraccopoli, dove le
persone non hanno una possibilità di prendere una via d'uscita dal circolo
vizioso in cui vivono. E poiché non esiste un approccio globale per risolvere i
loro problemi, ma ogni ufficio lo risolve nel suo piccolo dipartimento – nella
sanità, nella scuola, negli affari sociali, nella giustizia – le soluzioni sono
sempre e solo parziali. Secondo me, non solo non abbiamo mosso il problema della
socializzazione reale delle comunità rom in avanti negli ultimi 20 anni, ma
abbiamo raggiunto persino "numeri rossi".
Attualmente sono soprattutto le associazioni civiche che si interessano di
questi problemi, sulla base della volontà di alcuni appassionati che operano
all'interno delle comunità rom, ma non c'è stato alcun approccio sistemico. Il
problema della minoranza rom non può essere risolto dal mercato, che alcuni
ritengono che sia in grado di risolvere tutto. Oltre a questo, tutti i programmi
per i rom che sono stati eseguiti fino ad ora, erano programmi a breve termine.
E questo problema deve essere risolto nel lungo periodo ed in modo esaustivo.
D'altra parte, la povertà estreme che non si vuol vedere in questo ambiente,
continuerà a generare costi sempre più elevati. Ma il denaro non è il problema
più grande. Il problema è che c'è una mancanza di un concetto a lungo termine ed
una mancanza di esperti di politica che proponga soluzioni.
TSS: I problemi delle minoranze rom non sono solo slovacchi e sempre più
influenzano l'intera Europa. Pensi che la cooperazione europea una soluzione
completa ed a lungo termine?
RCH: Se c'era qualche senso nella "soluzione" francese del problema, poi si
sarebbe attirata l'attenzione al carattere europeo del problema rom, dimostrando
che non è un problema di un paio di stati dei Balcani e dell'Europa centrale, ma
un problema che l'Unione Europea deve rifletter e risolvere. Se ignoriamo i
problemi dei rom in Romania ed in Bulgaria, questi si apriranno come una
questione irrisolta in Francia o in Italia e continuerà a crescere. Non possiamo
tenere gli occhi chiusi su questo. La UE attualmente ha attualmente molto più
gravi problemi economici e finanziari e non può quindi concentrarsi interamente
sulla questione rom, ma forse dovremmo essere uno di quelli che avrebbe spinto
l'agenda, soprattutto una volta che abbiamo un'idea. Uno dei problemi principali
che il governo sta affrontando adesso, è quello di trovare soluzioni chiave
all'agenda rom e di non far finta che questo problema non esiste o che non lo
possiamo vedere. Il problema è qui, ed è grave.
TSS: I suoi predecessori sono stati criticati per la cattiva gestione
dell'agenda rom. Saranno i poteri forti del suo ufficio a cambiare la percezione
critica del pubblico del vostro ufficio?
RCH: Questo ufficio porta sempre una certa sfida in esso – è in un certo senso
un ufficio virtuale, perché i suoi poteri non sono realmente tangibili, come i
diritti umani che sono ancora violati anche nelle democrazie, anche in
Slovacchia. Questo ufficio vuole servire come coordinatore dell'agenda dei
diritti umani, che di fatto rientra nella responsabilità di tutti i dipartimenti
governativi. Siamo come un custode, ma senza la possibilità di punire. Possiamo
solo consigliare e cercare di migliorare la normativa. Il secondo pilastro di
questo ufficio, sono le minoranze nazionali, che comprendono anche la minoranza
rom, e ci sono alcuni problemi molto seri lì. Ho intenzione di avere incontri
con il ministro dell'istruzione per cercare per cercare insieme di risolvere i
problemi di educazione delle minoranze. Ci sono ancora molte cose controverse
che succedono e che devono essere indagate e guardate – come figli di famiglie
rom che vengono spesso inviati alle scuole speciali anche se non li
appartengono. Vedo molto lavoro da fare per noi insieme con l'istruzione e ed i
servizi sociali in materia di istruzione dei bambini rom. Alcuni passi decisivi
bisogna finalmente prenderli.
Di Fabrizio (del 18/02/2011 @ 09:14:27, in Italia, visitato 1990 volte)
Venerdì 25 febbraio dalle ore 16.30
La neo cooperativa Aquila è lieta di annunciare la riapertura del BAR RIGHI,
sito in fondo al parco Talvera, in mezzo ai campi sportivi. Vi aspettiamo tutti
per brindare insieme all'inaugurazione con la NUOVA GESTIONE dove troverete un
buonissimo buffet con delle buonissime bibite.
Dorina, 32 anni e Daniel, 3 anni, 25 dicembre 2008, morti bruciati nella pineta di Castelfusano Andreia, 18 anni, 27 dicembre 2009, morta bruciata in via Ardeatina 630 Mario, anni 3, (nato in Italia) 26 agosto 2010, morto bruciato in via Morselli, (il fratellino di
4 mesi al momento dell'incendio è ancora in terapia per le ustioni) Raul 4 anni, Fernando 5, Sebastian 11 e Patrizia 8
anni, (i tre più piccoli nati a Roma) 6 febbraio 2011, morti bruciati su via Appia Nuova a due passi
dall'esclusivo circolo del Golf dell'Acquasanta.
L'attenzione sull'emergenza umanitaria per coloro che ci si ostina a chiamare
nomadi (e nomadi non sono) si accende con la tragica ricorrenza dei roghi.
L'emarginazione uccide.
A Roma tutta la comunità Rom e Sinti conta poco più di settemila mila presenze.
Otto tragiche morti su una popolazione così piccola sono uno sterminio vero e
proprio.
Come provocazione si possono mettere a confronto le morti del Piano Nomadi di
Alemanno con quelle dell'operazione Piombo Fuso.
Il numero di morti, rapportato alla popolazione, è paragonabile a Gaza ed a
Roma, ma a Roma è assai più alta l'incidenza delle morte tra i bambini Rom.
Striscia di Gaza
Roma, presenza Rom
Popolazione
400.000
7.200
Piombo Fuso
Piano Nomadi
Morti
455
8
ogni 1.000 abitanti
1,1
1,1
di cui minori
87
6
ogni 1.000 abitanti
0,2
0,8
Giovedì 9 febbraio a piazza del Campidoglio Rifondazione ha
partecipato alla manifestazione indetta da varie realtà dell'associazionismo,
della politica e soprattutto dai comitati auto organizzate delle comunità dei
Rom romani. In particolare hanno fatto sentire la loro voce i Rom che, dopo lo
sgombero del Casilino 900, si sono trovati di fronte alla realtà delle false
promesse della giunta Alemanno. (vedi il comunicato).
Essere contro il Piano Nomadi di Alemanno significa anche fare i conti con le
responsabilità passate delle fallimentari gestioni delle giunte Rutelli e
Veltroni.
Superare le politiche segregazioniste, operare per un generale diritto
all'abitare.
Intanto la giunta parla di un ennesimo campo... a Malagrotta... nei pressi
della discarica... ci si appresta a costruire una nuova discarica umana. Ed i
fascisti tracciano i loro orrendi slogan sui muri.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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