Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

L'OROLOGERIA DI MILANO srl viale Monza 6 MILANO

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Di Fabrizio (del 15/02/2011 @ 09:40:58, in musica e parole, visitato 2062 volte)

Blog di Casa della Poesia

A proposito della "questione rom", oggi tragicamente agli onori della cronaca, per conoscere e capire, una delle poesie più famose del grande Paul Polansky: The well, in italiano Il pozzo.
Leggi e ascolta anche la versione originale!

Il pozzo

Mi presero al mercato
dove la mia gente una volta vendeva vestiti,
e dove ora gli albanesi praticano il contrabbando.
Quattro uomini mi gettarono sul sedile posteriore
di una Lada blu, urlando "Lo abbiamo detto,
niente zingari a Pristina."

Mentre mi spingevano giù sul fondo,
sentivo la canna della pistola sull’orecchio sinistro. Era così fredda
che sussultai proprio mentre qualcuno premette il grilletto.
Il sangue mi schizzò su un lato della faccia
dalla ferita sulla spalla.
Caddi, fingendomi morto.

Pregai la mia amata madre morta, tutti i
mulos*, affinché questi uomini non si accorgessero da dove
fuoriusciva il sangue. Quando arrivammo,
mi tirarono fuori per i piedi. La testa si schiantò
sul terreno, rimbalzando sulle pietre.

Mi gettarono a testa in giù in un pozzo.
Non raggiunsi mai l’acqua.
C’erano troppi corpi.
Giacevo rannicchiato, quasi incosciente
finché la puzza e il bruciore della calce viva
non mi fecero rinvenire.

Trattenni il fiato finché non sentii
ripartire la macchina, ma poi soffocai
per il fetore che mi circondava.
Con una sola mano, mi trascinai
aggrappandomi a gambe rigide
che mi fecero da scala per arrampicarmi.

La faccia, le mani, tutto il mio corpo
bruciava per la calce. Usai dell’erba
per pulire quello che potevo,
poi barcollai giù per una strada sporca
verso una lunga fila
di luci che si muovevano lentamente.

Venti minuti più tardi ero sull’autostrada
guardando i camion e le jeep verde oliva,
che mi passavano accanto come se fossi un palo del telefono.
Alla fine crollai davanti a due fari.
Non so dire se l’ultimo rumore che sentii
fu uno stridio o un grido.

Il giorno dopo in un ospedale militare
qualcuno della Nato mi interrogò per alcuni minuti.
L’interprete albanese fece sorridere i soldati.
A mezzogiorno stavo camminando
attraverso un bosco seguendo un sentiero per carri
che nessuno usa più,

tranne gli zingari
che fuggono da un paese
in cui hanno vissuto
per quasi
settecento anni.

* Mulos: spiriti di zingari defunti a cui non è stato ancora concesso di entrare nel regno dei morti.

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Di Fabrizio (del 15/02/2011 @ 09:48:54, in Italia, visitato 2388 volte)

Segnalazione da Evangelici.net

Repubblica.it

Nei cinque campi di Bologna ci sono 300 sinti, 250 i rom invisibili. Viaggio negli accampamenti di Bologna dove la vita, nonostante le difficoltà può anche sorridere. Come? Chiedetelo a Mary che si è trasferita per amore di LUIGI SPEZIA

Sinti, non rom, ma la paura non fa differenze, non guarda in faccia nessuno. Nei campi nomadi - via Peglion, via Erbosa, via Dozza alle Due Madonne, via Persicetana - vivono i sinti italiani non i rom romeni o bosniaci, che dopo i grandi sgomberi degli anni scorsi sono ancora oltre 200, ma sono sparpagliati e invisibili, in fuga dai vigili e senza cittadinanza. La morte dei quattro bambini rom, soffocati tra le fiamme a Roma, ha trasmesso i brividi anche ai 250-300 abitanti sinti che vivono ai margini della città, tra scarso lavoro, diffidenze, guai e legittime richieste di essere trattati da cittadini di serie A. "Ma qui basta una scintilla e prende fuoco tutto" .

"Viviamo in questo campo che doveva rimanere provvisorio per sei mesi e invece è provvisorio da vent'anni - tuona Matteo Bellinati, uno dei leader di via Erbosa -. Ci avevano promesso di trasformare questa ammucchiata di roulotte in una micro-area, ma i soldi ogni anno il Comune li investe altrove. Se qui in piena notte prende fuoco una di queste roulotte, va a fuoco tutto, capito? Sono una attaccata all'altra, non è regolare niente".

Vent'anni non è una cifra a caso. I Bellinati - con loro c'è anche un gruppo della famiglia Orfei - sono i parenti di quel Rodolfo preso nel mirino di Roberto e Fabio Savi, quando, con i loro Ar 70 e Sig Manurhin, il 23 dicembre 1990 spazzarono di piombo il campo abusivo di via Gobetti e lasciarono feriti e un'altra vittima, Patrizia Della Santina. Dopo la strage, il gruppo era sciamato per la regione, "il sindaco Imbeni ci chiese di tornare, ci ha piazzati qui ma dopo non è successo più nulla". Il campo è infossato fra tre massicciate ferroviarie e sorvolato dai fili di un traliccio dell'alta tensione. "Come si può vivere qua - continua un altro Bellinati che di nome fa Antonio -? I nostri venti bambini vanno a scuola, ma qui soffriamo di mal di testa e agli occhi, non dicono che dai tralicci bisogna star distanti settanta metri? Le roulotte sono riscaldate con stufette elettriche. Se scoppia un incendio di notte non si salva nessuno, la plastica di queste nostre case è come benzina". E come benzina ha preso fuoco ieri sera una parte di roulotte senza altre conseguenze, con intervento dei vigili del fuoco, al campo del Bargellino, certamente meglio attrezzato di quello di via Erbosa. Alcuni bambini bruciavano legna all'esterno.

L'accampamento migliore è quello di via Dozza alle Due Madonne. Lì vive l'"aristocrazia" nomade e c'è anche una chiesetta in muratura degli Evangelici Pentecostali, che hanno convertito decine di sinti, le cui anime sono curate da pastori, sempre sinti. "Ma non curano il corpo, purtroppo - dice un residente -: io raccolgo ferro con il furgone, non c'è altro lavoro. Qui il villaggio è bello, sì, ma manca il lavoro". Qui ogni gruppo familiare ha un cortile tutto suo dove campeggia il fabbricato delle cucine e dei bagni e attorno le varie roulotte. "Ma le cucine e i bagni sono stati lasciati aperti, non danno il permesso per chiuderli e d'inverno non è proprio il massimo".

Oltre le Due Madonne c'è l'insediamento di Idice, Comune di San Lazzaro. Il bus giallo della scuola scarica i bambini, in mezzo al grande prato centrale gli adulti stanno festeggiando un compleanno, c'è il baffuto Franco che stende spiedini di pecora sul fuoco. Qui abita Giuseppe Bonora, 64 anni, detto "il bimbo", coordinatore dell'Opera Nomadi dell'Emilia Romagna: "Abbiamo chiesto più di una volta un incontro con il sindaco Macciantelli, ma non l'abbiamo ancora avuto. Qui siamo ancora ad una favelas, non alle micro-aree. In tutti i comuni dell'Emilia Romagna non fanno più aree di transito e di sosta. E siamo italiani. Da noi non cresce nemmeno l'erba, chissà cosa ci hanno messo qua sotto". Bonora ci tiene a dire che tutti i 15 bimbi del campo vanno a scuola, "nessuno va a chiedere l'elemosina, eh? Gli adulti raccolgono ferro, o fanno spettacoli viaggianti e poi magari c'è anche chi fa cose non belle. Ma bisogna pur dire che una mano non ce la dà nessuno".

Se il campo disastrato di via Erbosa è circondato da tre ferrovie, quello piccolo della famiglia Gallieri in via Peglion ha vista sul guardrail dell'A14. Un campo che è stato trasferito in loco per tre volte, anche l'ultimo pezzo di terra acquistato dalla famiglia per abitarci è stato espropriato dal Comune "e io - dice Antonio Gallieri, che a 58 anni ha 9 figli, 18 nipoti e 3 pronipoti - ho fatto una causa alla Corte europea. Ho avuto venti processi contro di me, ora ce n'è ho uno "Gallieri contro lo Stato"".

Non ci sono solo i campi. Dappertutto ci sono le famiglie isolate, soprattutto rom, anche dentro luoghi abbandonati come l'ex Casaralta o l'ex Cevolani. In via Biancolelli, a Borgo Panigale, ecco una roulotte di sinti che non trovano posto in via Persicetana, con tre bimbi che vanno alle elementari: "Abbiamo chiesto casa due anni fa al Comune, non l'abbiamo ancora", dice Adriano Bonora. Lì accanto una vecchia roulotte di rom, il capofamiglia è Brahim Husovic, calderas bosniaco. La moglie è incinta, ha sei figli stipati dentro quel cubo fatiscente, la più grande ha 18 anni. "Mio nonno viveva al Casilino 900", racconta riferendosi alla tragedia di Roma. "Da Roma ho dovuto scappare". Storie che si intrecciano. "I rom oggi sono circa 250 a Bologna, compresi quelli ai semafori - dice Dimitris Argiropoulos, attivista della Federazione Romanì -. Stanno nascosti". Due famiglie vivono tra le frasche del giardino del Baraccano.

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Di Fabrizio (del 16/02/2011 @ 09:13:18, in Europa, visitato 1614 volte)

Ho scritto di recente dei rimpatri forzati di Rom kosovari dalla Germania. Da qualche anno politiche simili si verificano anche in Svizzera, Austria, Benelux e Svezia. Da quest'ultimo paese mi arriva la lettera che riporto qua sotto.

Caro Fabrizio

ti scrivo augurandomi che tu possa fare qualcosa, riguardo la deportazione dalla Svezia dei rom kosovari. Da tempo i rom sono mandati verso il Kosovo senza nessuna sicurezza di essere accolti oppure assistiti nel paese di provenienza.

Ho letto l'articolo sulle famiglie rom deportate dalla Germania, scritto sempre sulle tue pagine, è vero che nessuno se ne frega dei rom quando arrivano nella loro maledetta destinazione, sono lasciti alla loro sorte, credetemi per niente buona, nessuna assistenza, né previdenza sociale o assistenza medica, ed infine non sanno dove e come chiedere aiuto, la maggioranza di loro non sono nemmeno iscritti all'anagrafe.

Spero che l'Unione Europea faccia qualche mossa per fermare, questo quasi genocidio di oggi. Sapendo che le dichiarazioni delle bande criminali che guidano il paese, qualcuno controlli meglio, che tutti coloro che alcuni paesi della EU mandano in Kosovo, vengano ben accettati e accolti non sono affatto vere, e sonno lasciati alla loro cattiva sorte.

Per non essere italiano mi auguro di essermi spiegato bene e che mi abbiate capito, perché il traduttore di google ha tradotto questa mia lettera.

Cordiali saluti da Mauro - bajrami162009@hotmail.com

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Di Fabrizio (del 16/02/2011 @ 09:31:45, in Italia, visitato 1615 volte)

Segnalazione di Alberto Maria Melis, che aggiunge: "Un bell'articolo, che dimostra come si può fare del buon giornalismo anche senza intingere la penna nel fango e nel sangue, semplicemente raccontando la verità che chiunque conosca personalmente i rom ha potuto toccare con mano."

Repubblica
Un anno fa in questo campo in un rogo era morto un bambino. Pneumatici e rifiuti abbandonati sono l'eredità di un vecchio sgombero - di BEPPE SEBASTE

La prima cosa che ci colpisce è il pudore. Poiché al mattino gli uomini sono tutti al lavoro, a venirci incontro è stato un nugolo di bambini, sorvegliati a vista e seguiti dalle madri, dai tre ai tredici anni. Sono curiosi e vivaci, e al tempo stesso protettivi. Tra tutti spicca Dario Valentino, undici anni: "Venite stasera, quando torna mio padre e gli altri uomini", ci ripete serio. Ci proibisce (ci prega di non farlo) di fotografare le case e le persone, cioè loro stessi. Colpisce la sua dignità, il volto serio nello sforzo di assumersi la responsabilità del campo. E' anche perfettamente consapevole del bello e del brutto. "Tutta questa zozzeria" - dice indicando una distesa di terra piena di detriti, e le carcasse arrugginite e bruciate di automobili, "non è nostra, l'abbiamo trovata qui". Ci dice il via vai di questi giorni di fotografi, che non hanno chiesto il permesso di scattare immagini a case e persone, come se fossero gabbie di uno zoo: "sono venuti a fotografare tutto e poi sono scappati".

Ci presentiamo. Siamo in un agglomerato di baracche nel quartiere della Magliana, racchiuse da canneti e pezzi di campagna sopravvissuta, chiusa da un lato dai palazzi che ospitano la Fao. Il sentiero che vi conduce da via Morselli è costellato di pneumatici e tracce di sgomberi recenti. Anche qui, un anno fa, un altro bambino morì bruciato per l'imperizia e la miseria, non questa volta dal riscaldamento, ma dalle candele. Sono rimaste famiglie bosniache di Sarajevo, da cui imparo che le tragedie della miseria accadono a quei rom che non hanno la sapienza pratica di altri, l'arte del sopravvivere. Nuovi poveri, per così dire. Con me e Francesca, fotografa, c'è Alessandro, un giovane antropologo che lavora con Arci Solidarietà nel vicino campo rom "regolare" di via Candoni: concepito per ospitare trecento persone, ne vivono più di mille, stipate dentro container di 18 metri quadrati. Alessandro aiuta le famiglie rom a sbrigare le pratiche sanitarie, scolastiche e sociali in genere. I bambini e le madri di questa baraccopoli di irregolari lo conoscono di vista, e si fidano poco alla volta di noi. Il fatto è che ci sentiamo in colpa a essere qui anche noi solo dopo l'ennesima tragedia che ha fatto notizia e suscitato clamore, a far visita e fotografare delle condizioni di vita, di vita nuda, come se le scoprissimo sempre per la prima volta, dimenticando che le abbiamo create noi, la nostra politica, e solo in seguito attribuite a "loro". Non solo il triste concetto di "campo", mi spiega il giovane antropologo volontario, è un'invenzione nostra, frutto di una logica di esclusione; ma anche all'estremo opposto la lirica adesione a un loro presunto e folcloristico stile di vita, a una loro presunta esigenza di separatezza.

Ci colpisce la serenità di questo scorcio di vita quotidiano di donne e bambini, e la tranquilla dignità delle donne e madri. "Ci portano di qui e di là come se fossimo giocattoli", dice una donna. Da uno sgombero all'altro, da una deportazione all'altra, la loro precarietà è una condanna, non una scelta. "Io vivo qui con mio padre, sono arrivata in Italia quando avevo 11 anni - mi dice un'altra che si definisce single, gonna verde con disegni fantasiosi, collana di perline, pendenti e un bracciale di corallo - vorrei lavorare, sono brava a fare le pulizie" - dice mostrandomi la baracca ordinata e accogliente sulla terra nuda e spazzolata: un letto, un fornelletto, un tavolino, due quadretti di "Roma sparita" appesi alle pareti fragili di legno, e un terzo che è un ritratto di padre Pio. Ma non sa leggere né scrivere, in nessuna lingua. Poi si siede all'aperto, in postura perfettamente eretta toglie il rame scorticando le guaine dei cavi elettrici e lo mette da parte. Sanno, a differenza di altri rom, che non bisogna bruciare il rame per non respirarne la diossina che sprigiona.

Tutte le baracche sono di legno, nessun uso di materiali nocivi, e dalle tettoie pendono le plastiche azzurre della Posta Italiana, con la scritta in bianco. In una, l'unica con l'impiantito pure di legno, tra i letti, i tappeti e le coperte dai colori festosi e sgargianti noto vicino alla porta una stufa circolare di metallo, saldature perfette, ma soprattutto una forma che sembra il frutto di un designer di grido. "L'ha fatta mio marito", dice la donna con orgoglio seguendo il mio sguardo. "Questa è sicura". E' una stufa a legno, davvero bella da guardare.

Dario Valentino, il ragazzo undicenne (che scopriamo essere il figlio del falegname e fabbro delle stufe), mentre attorniato dagli altri bambini costruisce con assi di legno, chiodi e un martello una piccola casetta per giocare, pone delle domande ad Alessandro come un grande, sul loro destino, se li sposteranno a via Candoni, che cosa siano le fantomatiche "case popolari", e chi ci può andare. Non è facile spiegare a bambini dagli occhi sgranati, che aspirerebbero ad avere una casa normale, cosa siano e chi abbia diritto alle case popolari, e perché. Intanto si sono avvicinate ad ascoltare alcune donne. Quando nominiamo il Cei (Centro di identificazione e espulsione), la madre di Dario Valentino, che sembrava disinteressata ai nostri discorsi, si affaccia dalla sua baracca per esclamare, seria: "Là non ci voglio andare neanche morta". Tutti qui hanno un regolare permesso di soggiorno, tutti vorrebbero che i loro figli andassero a scuola, vorrebbero una normale assistenza sanitaria, tutto ciò che per noi è così normale che ci dimentichiamo di averlo. Ignoro quali siano i criteri per l'attribuzione, ma una cosa è certa: i nomadi, come li chiamiamo, non sono nomadi, la loro origine è spesso contadina, e il lavoro degli uomini si relaziona con la realtà della metropoli, non in un mondo separato.

"Questa potete fotografarla", ci propongono fieri dopo avere finito la loro capanna di legno. Adesso i bambini, quelli più piccoli a piedi nudi, sono contenti di mostrarci quante più cose possibili, felici della nostra attenzione. Fotografiamo Lisa, il boxer femmina, Bambi, una pecora compagna di giochi dei bimbi. Siamo incantati dalla loro creatività e dalla loro gentilezza. La piccola Samantha, una biondina sempre sorridente, corre e grida di gioia quando diciamo che torneremo a portarle dei vestiti. "Anche delle scarpine", ci dice da lontano.

(11 febbraio 2011)

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Di Fabrizio (del 16/02/2011 @ 09:56:47, in Europa, visitato 1375 volte)

PARLAMENTO EUROPEO Giustizia e affari interni - 09-02-2011 - 15:24

La deputata Lívia Járóka

  • Il 95% dei Rom conduce ormai una vita sedentaria e non vuole tornare a essere nomade
  • Tra i rischi maggiori quello della povertà e della mancanza di istruzione

Mentre la tragica morte di quattro bambini in un campo di Roma commuove l'Italia, sono oltre 12 milioni i Rom europei che continuano a lottare contro segregazione e povertà nell'UE. Oggi l'Europa sta cercando una soluzione comune per risolvere il problema. La presidenza ungherese ha definito la strategia europea sui Rom una delle sue priorità.

Ne abbiamo parlato con la parlamentare di centro-destra (PPE) ungherese Lívia Járóka, l'unica deputata Rom seduta in Parlamento. La giovane 36enne è la relatrice di un rapporto che si propone di non permettere più all'Europa di sprecare il potenziale dei Rom e il loro possibile contributo all'Unione.

Sta cercando di lanciare una strategia europea sui Rom. Quali punti sono più importanti?
Dobbiamo cambiare il nostro approccio. Da una prospettiva etnica di questa minoranza dobbiamo allargare la nostra visuale, dando ai Rom più prospettive specialmente dal punto di vista lavorativo. Abbiamo leggi europee per combattere la discriminazione, ma spesso non vengono messe in atto nei singoli Stati membri. Comunque la discriminazione etnica è soltanto uno dei fattori. Esiste in Europa una povertà invisibile che non viene percepita neanche da coloro che assegnano i fondi europei.

Nella mia strategia metà del successo dipenderà dalla stessa comunità Rom e dalla presenza di leader fra loro. Per questo c'è il bisogno di una nuova classe dirigente di Rom istruiti che vengano dalla comunità stessa e la rappresentino.

Molti continuano a pensare che i Rom siano nomadi. Ma è ancora così?
I Rom hanno il diritto di andare dove vogliono in quanto cittadini europei. Se poi desiderino davvero muoversi è un altro discorso. Oggi il 95% dei Rom europei conduce una vita sedentaria. Quel 5% che continua a muoversi lo fa per ragioni culturali o lavorative.

Negli ultimi anni l'emigrazione che abbiamo visto era legata a motivi economici. Gli Stati membri usciti dall'epoca comunista si sono trovati di fronte a realtà economiche nuove che hanno lasciato i più poveri senza un lavoro. I Rom sono stati i primi a essere espulsi non in quanto gruppo etnico, ma perché non erano istruiti.

I Rom non vogliono una vita nomade, ma lavoro, dignità e cibo. La prossima generazione rischia di continuare a vivere in povertà non per la sua etnia, ma perché probabilmente ha entrambi i genitori disoccupati. Dobbiamo evitare che i Rom emigrino di nuovo per ragioni economiche come hanno fatto quando si sono diretti verso la Francia, il Regno Unito, l'Italia e molti altri paesi. Ma non sono stati soltanto i Rom: anche molte altre persone in difficoltà sono state costrette a lasciare il loro paese alla ricerca di un lavoro.

Perché è tanto importante sostenere le donne Rom?
Nelle aree più svantaggiate, due generazioni di Rom stanno crescendo senza vedere i genitori andare al lavoro. Questo vuol dire anche che sono le donne coloro che mentalmente e fisicamente coltivano la speranza. Sono un'antropologa e ho visto con i miei occhi quanto molto dipenda dal lavoro delle donne. Sono loro a assicurarsi che ogni giorno ci sia del cibo sul tavolo, sono loro a assicurare che vengano rispettati i diritti dei propri figli.

Sostenere le donne Rom è uno degli elementi chiave della nostra strategia. Dobbiamo accertarci che non avvengano più i matrimoni forzati e che si combatta contro l'abuso di droghe e la tratta di esseri umani.

Con la sua storia personale ha dimostrato che è possibile sconfiggere povertà e esclusione sociale. Cosa suggerirebbe a altri Rom che vogliono seguire il suo esempio?
La mia fortuna è stata l'istruzione. I miei genitori si sono trasferiti per evitare che fossimo messi in classi separate, soltanto per Rom. Hanno controllato che studiassimo abbastanza per essere ammessi in buone scuole. Comunque una delle cose più importanti che mi hanno dato è questo forte legame familiare e la nostra tradizione di accettarci l'uno con l'altro.

Io sono figlia di un matrimonio misto. Ho visto quello che hanno fatto i miei genitori per darci una vita migliore. Tutti noi, i miei fratelli e io, siamo andati all'università, grazie ai messaggi positivi trasmessi da mia madre e mio padre.

Ha mai sofferto sulla sua pelle la discriminazione?
Per me essere una Rom è una ricchezza, un elemento molto positivo.
Mio padre è sempre stato molto protettivo: non ho mai sentito nessun commento etnico a casa. Per noi era naturale essere Rom, ma prima di tutto ungheresi e europei.

Per mia sorella è stato diverso. Č nata dieci anni dopo di me in un momento in cui il governo stava cambiando e si respiravano turbolenze economiche e tensioni sociali. Si stava creando un baratro tra Rom e non Rom, tra ricchi e poveri. Abbiamo iniziato a avvertire questa sensazione sulla nostra pelle.

Mi sono accorta all'università di quanto colleghi e amici non sapessero niente dei Rom e fossero completamente pieni di pregiudizi infondati. Ho capito così che dovevo fare qualcosa e mostrare che, oltre ai curriculum nazionali, al dialogo sociale e al lavoro nelle comunità Rom, era estremamente importante lavorare con i media.

Come potremmo creare fiducia e cooperazione reciproca?
I media hanno un ruolo molto importante, dovrebbero mostrare modelli di cooperazione tra Rom e non Rom. La crisi economica ha reso ancora più difficile combattere i pregiudizi. Il nostro compito dovrebbe essere quello di creare degli spazi per l'integrazione, come associazioni sportive miste, classi e luoghi di lavoro comuni. Poi abbiamo bisogno di una valida classe dirigente tra i Rom. Aspetto con ansia la nascita all'interno della società Rom di un approccio comune che venga dal basso.

Il rapporto sulla strategia europea per l'inclusione dei Rom dovrebbe essere votato dalla commissione per le libertà civili il 14 febbraio per poi arrivare in plenaria a marzo.

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Di Fabrizio (del 17/02/2011 @ 09:19:58, in Europa, visitato 1647 volte)

Da Hungarian_Roma

Bódvalenke, 7.2.2011 16:35, (ROMEA)

Photo: http://www.bodvalenke.eu

Un nuovo ed esaltante progetto artistico è attualmente in corso a Bódvalenke, Ungheria del nord.

Agli artisti è stato chiesto di affrescare le pareti delle case, in quella che è un'area socialmente svantaggiata, dove di 210 abitanti il 90% è Rom. Il budget annuale a Bódvalenke è di 30 milioni di fiorini (circa 100.000 euro), utilizzato principalmente per il funzionamento dell'ufficio del sindaco, assegni sociali e progetti di lavori pubblici, senza lasciare soldi per lo sviluppo del villaggio.

I pittori rom ungheresi hanno già completato 13 stupendi disegni sulle pareti.

Artisti rom di tutta Europa ora sono stati invitati a Bódvalenke per partecipare al progetto.

Gli elaborati verranno prima giudicati da una giuria selezionata. A quei pittori le cui opere verranno scelte, verranno forniti vernici, pennelli, vitto e alloggio e verranno coperte le spese di viaggio. In aggiunta, verrà fornita una borsa di studio, a seconda delle dimensioni del lavoro, della media di 1.000 euro.

Qualsiasi aiuto sarà grandemente apprezzato. Quanti siano interessati, dovrebbero inviare le loro proposte (meglio in formato PDF) a Eszter Pásztor at epasztor@enternet.hu

Ulteriori informazioni sono disponibili su http://www.bodvalenke.eu.

Minesh Patel, Bódvalenke

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Di Fabrizio (del 17/02/2011 @ 09:20:14, in Italia, visitato 1408 volte)

La tesi dello scrittore Luca Cefisi autore di un'inchiesta sui minorenni zingari. "O risolviamo il problema oppure tra vent'anni quarta e quinta generazione cresciuta nell'illegalità e nella segregazione".

I bambini rom si salvano solo insieme alle loro famiglie. E i campi nomadi sono uno spreco di denaro pubblico. Anzi, peggio. Rappresentano un modello di segregazione. E tra vent'anni il problema si ripresenterà. Allora, che fare? Semplice: dare a questa gente un'opportunità, trovargli un lavoro e lanciare un piano di edilizia sociale che riguardi tutti i "poveri", italiani e non. Insomma, rendere autonome le famiglie zingare. Luca Cefisi, che ha appena pubblicato per la Newton Compton il libro-inchiesta "Bambini ladri" e ha collaborato alla stesura delle legge sull'immigrazione della Regione Lazio, sfata i luoghi comuni e invoca iniziative politiche coraggiose per risolvere definitivamente la "questione rom".

Lei non crede negli affidamenti dei minori che vivono in baracche?
"I bambini si salvano con le famiglie. Č un'ipocrisia sostenere che la mamma ventenne è cattiva e il figlio di tre anni è buono. E la pressione sugli affidi non è sincera, rappresenta una sorta di genocidio mascherato".

Ma se vivono in condizioni di degrado?
"Allora anche gli scugnizzi che vivevano nei bassi napoletani andavano tolti alle madri...".

E se rifiutano l'assistenza?
"Che assistenza? Dare un alloggio a mamme e bimbi ed escludere i padri è un meccanismo ricattatorio. Č chiaro che non l'accettano".

Gli sgomberi sono una soluzione?
"Prendiamo molti rom fuggiti dall'ex Jugoslavia nei primi Anni '90. Con il regime comunista avevano almeno una casa. Qui si sono ritrovati alle periferie della grandi città senza accoglienza e assistenza. I loro figli sono cresciuti senza patria, status sociale, residenza. Vogliamo illuderci che se li tormentiamo con gli sgomberi se ne andranno? E poi sia Amato che Mantovano, sinistra e destra insomma, hanno ammesso che non sono rimpatriabili. Sarebbe solo un criminale spreco di risorse e di speranze".

Parliamo di risorse. Molti pensano che i soldi per i rom siano sprecati...
"Alemanno chiede 30 milioni per i campi, un errore condiviso dalle giunte di centrosinistra, perché costano molto e spingono alla segregazione. Si spende denaro non per risolvere il problema, ma per perpetuarlo".

E allora?
"Bisogna farli uscire dai campi, non concentrarli là dentro. Occorrono politiche che rendano autonome le famiglie per uscire dal bivio tra furti e accattonaggio. Ci vogliono case e occupazione. Ma se vivi in un campo nessuno ti dà un lavoro".

Però anche molti italiani non hanno casa e lavoro. Č giusto privilegiare i rom?
"Se sono italiani sono uguali agli altri. Se non lo sono, bisogna decidere se devono diventarlo o no. Il problema si risolve aiutando tutte le persone in stato d'indigenza. Da quanto tempo a Roma non si fa un piano di edilizia sociale? Non ci sono risorse e poi chiedi 30 milioni per i campi? Si potrebbe spendere meno e dare a queste famiglie un assegno di povertà e un alloggio, evitando così furti e accattonaggio. Altrimenti tra vent'anni avremo la quarta o quinta generazione di rom cresciuti nell'illegalità e nella segregazione".

Maurizio Gallo - 12/02/2011


PS: So benissimo che tipo di giornale sia IL TEMPO, l'ho ripubblicato apposta

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Di Daniele (del 17/02/2011 @ 09:36:52, in Europa, visitato 2196 volte)

Da Slovak_Roma

Michaela Terenzani - Stanková Rendendo la lingua legale

Una volta che allacci un bottone sul tuo giubbotto in modo sbagliato, allora tutto il tuo giubbotto è ovviamente abbottonato sbagliato, ha detto Rudolf Chmel, il Vice Primo Ministro per i diritti umani e le minoranze nazionali, descrivendo le tensioni che hanno circondato la Legge sulla Lingua dello stato della Slovacchia. Il suo ufficio ha iniziato ufficialmente a lavorare con più forti poteri il 1° novembre e tra le sue prime iniziative legislative c'è un emendamento alla legge sulle lingue minoritarie che è stato presentato per la discussione pubblica poco prima della fine del 2010. Il diritto di usare la propria lingua madre, nonché i conflitti che scoppiano regolarmente tra slovacchi e ungheresi e i problemi della situazione di esclusione sociale delle comunità rom sono stati tra i temi che Chmel ha discusso con il pubblico slovacco poco prima della vacanze di Natale.

The Slovak Spektator (TSS): La legge statale sulla lingua, che ha provocato molta tensione tra ungheresi e slovacchi, è stata recentemente modificata. Come ha fatto a percepire l'emergere del problema?

Rudolf Chmel (RCH): La legge statale sulla lingua è emersa come problema quando è stata approvata dal governo di Vladimir Meciar nel 1995, perché ha un evidente tono contro le minoranze, e soprattutto anti-ungherese, ivi comprese le sanzioni. Ma il periodo precedente della situazione risale agli inizi degli anni '90 quando una certa parte di nazionalisti si avvicinò con l'idea di protezione della lingua di Stato, come se qualcuno stava ancora cercando di portarla via da noi. In generale gli slovacchi sembrano che vivano ancora nel XIX secolo, nel Romanticismo, quando il linguaggio doveva essere combattuto, o più tardi, quando la magiarizzazione era parte delle politiche statali. Ma oggi la lingua slovacca è una parte naturale dell'identità degli slovacchi e come tale non ha bisogno di meccanismi repressivi giuridici per la sua tutela. E' fondamentalmente una controversia tra chi vuole proteggere e lottare per la lingua e coloro che vogliono prendersi cura di essa e coltivarla. Se c'è una minaccia per la lingua slovacca, è a causa di ignoranti slovacchi e non degli ungheresi o altre minoranze.

Il governo di Mikuláš Dzurinda ha liberalizzato la legge nel 1999 ed ha approvato una legge sulle lingue minoritarie, così formalmente questi due problemi sono stati modificati, ma la verità è che entrambe le leggi sono imperfette - e quindi hanno bisogno e avranno bisogno di essere migliorate. Nel 2009 il governo di Robert Fico ha rinforzato nuovamente la legge, e praticamente l'ha riportata di nuovo ai tempi di Meciar. La coalizione di governo attuale sta cercando sia di armonizzarle che liberalizzarle - ossia, moderare la protezione ed incrementare l'attenzione per entrambe le lingue, quella di stato e quella delle minoranze.

TSS: Come ha visto la tensione che è emersa fra gli ungheresi e gli slovacchi per la Legge statale sulla lingua?

RCH: La minoranza ungherese si occupa della questione della lingua in modo diverso rispetto alle altre minoranze, come gli ungheresi, simili agli slovacchi, vivono ancora con la convinzione che la lingua sia l'attributo più importante della loro identità nazionale. E' vero, ce ne solo accorgiamo meno quando si parla di minoranze. Quando si tratta della lingua, una minoranza è naturalmente più vulnerabile ed in pericolo perché vive in un ambiente della lingua in maggioranza ed è nel maggiore dei casi la lingua minoritaria piuttosto che la lingua di maggioranza che è assimilata. Nel 2009, la legge statale sulla lingua è stata reintrodotta nell'agenda nazionale inter statale slovacca-ungherese, dal momento che le caratteristiche repressive della modifica erano rivolte soprattutto contro la minoranza ungherese. Il governo ungherese ha interferito e la bolla è cresciuta. In quel momento ho creduto che fosse inutile, in quanto faceva parte della carta ungherese che il governo guidato da Fico ha giocato nelle relazioni bilaterali con l'Ungheria. Ecco perché abbiamo creduto che le misure restrittive dovrebbero essere eliminate. Dopo tutto, c'erano pertinenti raccomandazioni internazionali che supportavano la nostra posizione.

TSS: Ma le sanzioni che lei ha criticato in passato rimangono nella legge, anche se in modo limitato. E' soddisfatto della soluzione che il parlamento ha recentemente approvato?

RCH: Siamo venuti con le richiesta di rimuovere le misure restrittive sia sulla legge statale sulla lingua, e nella legge sulla lingua delle minoranze, in quanto le due leggi in realtà sono due facce di una stessa medaglia e, pertanto, devono essere compatibili. L'emendamento alla legge statale sulla lingua è stato proposto dal ministro della cultura perché compete al suo dipartimento. C'è anche un dipartimento di lingua di stato presso il ministero della cultura che supervisiona sul corretto uso dello slovacco. Questo è quello che ho cancellato quando ero ministro della cultura (nel 2002-2005) perché mi sembrava troppo per i funzionari ministeriali dire cosa è giusto e cosa è sbagliato nella lingua. Per tutto questo abbiamo un'autorità accademica, L'istituto di linguistica Ludovit Stur presso l'accademia slovacca delle scienze, come pure diversi dipartimenti universitari. Non è dato agli ufficiali ed hai politici il codificare il linguaggio. A parte questo, credo che la legge statale sulla lingua, dovrebbe essere una legge di solo valore simbolico e non dovrebbe essere utilizzata per qualsiasi repressione o minaccia.

Così è stato necessario emendare la legge, ma è più facile a dirsi che a farsi, come i vecchi pregiudizi nazionalisti e i traumi che hanno lavorato nelle relazioni fra slovacchi ed ungheresi per decenni, permangono nella coscienza politica slovacca sia nazionalistica che democratica, quella che attualmente governa il paese.
Ora i nazionalisti da Smer e dal Partito Nazionale Slovacco (SNS) dicono che la legge è servile a Budapest, dall'altro lato i nazionalisti ungheresi criticano il governo slovacco dicendo che la legge continua a perseguitare le minoranze. Quindi di solito i nazionalisti partono dalle stesse piattaforme, rimanendo solamente uno contro l'altro. Ma credo che se le sanzioni sono state eliminate, la legge sarebbe piuttosto buona. Usando il termine "sanzione" o "ammenda" in relazione al linguaggio, è un intervento drastico nella società, come la lingua è un affare molto intimo, molto personale dell'identità umana come dell'identità di una comunità più grande. Qualsiasi repressione in quella zona interferisce con l'identità umana. Dopo la nostra ultima modifica, le repressioni verranno utilizzate solo in campo ufficiale, molto formalmente, ma penso che siano completamente ridondanti. C'è stato un sollievo significativo in diversi settori della comunicazione pubblica, per esempio in uffici di auto-governo o negli uffici di polizia. Il rilievo è ancora più grande nel settore della cultura. Ma la legge ancora non contiene tutti i provvedimenti che potrebbero essere necessari.

TSS: Ora tenterà anche di modificare la legge sulle lingue minoritarie, che dovrebbe per molti aspetti allargare il diritto delle minoranze ad usare la loro lingua madre – una misura che spesso incontra resistenze da parte dei politici in Slovacchia. Perché c'è una mancanza di volontà tra i politici della Slovacchia per questo?

RCH: E' necessario modificare la legge sulle lingue minoritarie da quando abbiamo modificato la legge statale sulla lingua e queste due leggi devono essere compatibili. Abbiamo inoltre stabilito come uno dei nostri obbiettivi sia un concetto più ampio della politica per le minoranze in termini giuridici. Vogliamo farla finita con la discordia tra le due lingue, come la legga statale sulla lingua ha interferito negli usi delle lingue minoritarie, in particolare dopo che il governo di Fico l'ha modificata. Ciò doveva essere rimosso perché l'uso delle lingue minoritarie è disciplinato dalla legge sulle lingue minoritarie e non dalla legge statale sulla lingua. Le raccomandazioni internazionali hanno parlato con la stessa voce che questa discordia dev'essere rimossa.

Per rendere compatibili le due leggi, ora ci sono le sanzioni introdotte nel progetto di modifica della legge sulle lingue minoritarie perché ci sono già delle sanzioni nella legge statale sulla lingua. Se un membro della minoranza non è in grado di far valere il suo diritto di parlare una lingua minoritaria, possono lamentare l'istituzione in questione. Ma io personalmente credo che non ci dovrebbero essere sanzioni in nessuna delle due leggi.
Ovviamente, per qualcuno dei miei colleghi questo suonava come un reato contro la maggioranza slovacca, che le istituzioni slovacche potrebbero essere sanzionate se un ungherese, un ruteno, un ucraino od un rom non possano ottenere un'informazione nella loro rispettiva lingua. La mentalità slovacca, non pensa se accadesse al contrario, ma quando è la maggioranza che deve essere punita, tutto ad un tratto non ci piace.

TSS: Uno dei principali cambiamenti che lei sta introducendo nel progetto di modifica della legge sulle lingue minoritarie, è abbassare il quorum per chi parla la lingua minoritaria, dall'attuale 20% al 10%.

RCH: Tutte le raccomandazioni internazionali dicono che il quorum dev'essere abbassato. Nel 1999, quando la legge è stata redatta per la prima volta, anche il 20% sembrava troppo alto. Ma l'esperienza ha dimostrato che non è un buon quorum, in quanto permette ancora di assimilare le minoranze. Le raccomandazioni internazionali che abbiamo ricevuto parlano del 10%, sostenendo che le lingue minoritarie richiedono maggiore protezione in quanto la loro posizione statale non è uguale a quella della lingua nazionale. Ho il sospetto che non sarebbe accettato facilmente da molti cittadini e politici ma il quorum proposto non è così basso. Nota bene, non riguarda la minoranza ungherese, bensì le altre minoranze. Attualmente, sotto il quorum del 20%, sono circa 520 municipalità con lingua ungherese e, con il quorum abbassato al 10%, sarebbero altre 30, meno del 1% in più. Ma è interessante considerare che la minoranza tedesca, che è molto più piccola. Attualmente, vi è un solo comune di lingua tedesca, Krahule nella Slovacchia centrale, ma con il quorum del 10%, salirebbe da 10 ad 11 municipalità. Con la minoranza croata, si potrebbero influire due parti della municipalità di Bratislava, Jarovce e Cunovo. Considerando la minoranza rutena, proponiamo il conteggio insieme alla minoranza ucraina per finalità di utilizzo delle minoranze linguistiche, il che significherebbe che persino la città di Humenné diventerebbe ufficialmente bilingue.
Il problema con la minoranza rom, a questo riguardo, è che un'infrastruttura completamente nuova per la loro lingua, avrebbe bisogno di essere stabilita. In questo caso, dovremmo prendere in considerazione un modo per rinviare l'implicazione pratica della legge per creare spazio per l'educazione dell'intelligenza rom che sarebbe in grado di saturare questa infrastruttura. Non è una cosa facile, che richiede anche un più alto budget per le municipalità interessate.

TSS: Il suo ufficio si occupa anche di alcuni problemi legati alla minoranza rom. Quali di questi consideri più seri?

RCH: L'agenda dei rom è attualmente distribuita tra diversi uffici e penso che sia necessario un approccio più globale. Negli ultimi 21 anni lo stato ha fallito nelle politiche sociali. Vi è una sorta di egoismo economico tra i non-rom e le problematiche per ridurre la povertà dei rom. E da quando nascondiamo le problematiche economiche ed i fallimenti dello stato, le soluzioni che vengono proposte sono spesso razziste, ideologiche e dirette verso i cittadini più poveri di questo paese.
"Le comunità socialmente escluse" è solo un bel nome per le baraccopoli, dove le persone non hanno una possibilità di prendere una via d'uscita dal circolo vizioso in cui vivono. E poiché non esiste un approccio globale per risolvere i loro problemi, ma ogni ufficio lo risolve nel suo piccolo dipartimento – nella sanità, nella scuola, negli affari sociali, nella giustizia – le soluzioni sono sempre e solo parziali. Secondo me, non solo non abbiamo mosso il problema della socializzazione reale delle comunità rom in avanti negli ultimi 20 anni, ma abbiamo raggiunto persino "numeri rossi".
Attualmente sono soprattutto le associazioni civiche che si interessano di questi problemi, sulla base della volontà di alcuni appassionati che operano all'interno delle comunità rom, ma non c'è stato alcun approccio sistemico. Il problema della minoranza rom non può essere risolto dal mercato, che alcuni ritengono che sia in grado di risolvere tutto. Oltre a questo, tutti i programmi per i rom che sono stati eseguiti fino ad ora, erano programmi a breve termine. E questo problema deve essere risolto nel lungo periodo ed in modo esaustivo. D'altra parte, la povertà estreme che non si vuol vedere in questo ambiente, continuerà a generare costi sempre più elevati. Ma il denaro non è il problema più grande. Il problema è che c'è una mancanza di un concetto a lungo termine ed una mancanza di esperti di politica che proponga soluzioni.

TSS: I problemi delle minoranze rom non sono solo slovacchi e sempre più influenzano l'intera Europa. Pensi che la cooperazione europea una soluzione completa ed a lungo termine?

RCH: Se c'era qualche senso nella "soluzione" francese del problema, poi si sarebbe attirata l'attenzione al carattere europeo del problema rom, dimostrando che non è un problema di un paio di stati dei Balcani e dell'Europa centrale, ma un problema che l'Unione Europea deve rifletter e risolvere. Se ignoriamo i problemi dei rom in Romania ed in Bulgaria, questi si apriranno come una questione irrisolta in Francia o in Italia e continuerà a crescere. Non possiamo tenere gli occhi chiusi su questo. La UE attualmente ha attualmente molto più gravi problemi economici e finanziari e non può quindi concentrarsi interamente sulla questione rom, ma forse dovremmo essere uno di quelli che avrebbe spinto l'agenda, soprattutto una volta che abbiamo un'idea. Uno dei problemi principali che il governo sta affrontando adesso, è quello di trovare soluzioni chiave all'agenda rom e di non far finta che questo problema non esiste o che non lo possiamo vedere. Il problema è qui, ed è grave.

TSS: I suoi predecessori sono stati criticati per la cattiva gestione dell'agenda rom. Saranno i poteri forti del suo ufficio a cambiare la percezione critica del pubblico del vostro ufficio?

RCH: Questo ufficio porta sempre una certa sfida in esso – è in un certo senso un ufficio virtuale, perché i suoi poteri non sono realmente tangibili, come i diritti umani che sono ancora violati anche nelle democrazie, anche in Slovacchia. Questo ufficio vuole servire come coordinatore dell'agenda dei diritti umani, che di fatto rientra nella responsabilità di tutti i dipartimenti governativi. Siamo come un custode, ma senza la possibilità di punire. Possiamo solo consigliare e cercare di migliorare la normativa. Il secondo pilastro di questo ufficio, sono le minoranze nazionali, che comprendono anche la minoranza rom, e ci sono alcuni problemi molto seri lì. Ho intenzione di avere incontri con il ministro dell'istruzione per cercare per cercare insieme di risolvere i problemi di educazione delle minoranze. Ci sono ancora molte cose controverse che succedono e che devono essere indagate e guardate – come figli di famiglie rom che vengono spesso inviati alle scuole speciali anche se non li appartengono. Vedo molto lavoro da fare per noi insieme con l'istruzione e ed i servizi sociali in materia di istruzione dei bambini rom. Alcuni passi decisivi bisogna finalmente prenderli.

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Di Fabrizio (del 18/02/2011 @ 09:14:27, in Italia, visitato 1990 volte)

Venerdì 25 febbraio dalle ore 16.30

La neo cooperativa Aquila è lieta di annunciare la riapertura del BAR RIGHI, sito in fondo al parco Talvera, in mezzo ai campi sportivi. Vi aspettiamo tutti per brindare insieme all'inaugurazione con la NUOVA GESTIONE dove troverete un buonissimo buffet con delle buonissime bibite.

(La notizia del mese scorso)

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Di Fabrizio (del 18/02/2011 @ 09:24:48, in blog, visitato 2104 volte)

NO(b)LOGO Feb. 12th, 2011 at 11:17 PM

Dorina, 32 anni e Daniel, 3 anni,
25 dicembre 2008, morti bruciati nella pineta di Castelfusano
Andreia, 18 anni,
27 dicembre 2009, morta bruciata in via Ardeatina 630
Mario, anni 3, (nato in Italia)
26 agosto 2010, morto bruciato in via Morselli, (il fratellino di 4 mesi al momento dell'incendio è ancora in terapia per le ustioni)
Raul 4 anni, Fernando 5, Sebastian 11 e Patrizia 8 anni, (i tre più piccoli nati a Roma)
6 febbraio 2011, morti bruciati su via Appia Nuova a due passi dall'esclusivo circolo del Golf dell'Acquasanta.

L'attenzione sull'emergenza umanitaria per coloro che ci si ostina a chiamare nomadi (e nomadi non sono) si accende con la tragica ricorrenza dei roghi.

L'emarginazione uccide.

A Roma tutta la comunità Rom e Sinti conta poco più di settemila mila presenze. Otto tragiche morti su una popolazione così piccola sono uno sterminio vero e proprio.

Come provocazione si possono mettere a confronto le morti del Piano Nomadi di Alemanno con quelle dell'operazione Piombo Fuso.
Il numero di morti, rapportato alla popolazione, è paragonabile a Gaza ed a Roma, ma a Roma è assai più alta l'incidenza delle morte tra i bambini Rom.
 

  Striscia di Gaza Roma, presenza Rom
Popolazione 400.000 7.200
  Piombo Fuso Piano Nomadi
Morti 455 8
ogni 1.000 abitanti 1,1 1,1
di cui minori 87 6
ogni 1.000 abitanti 0,2 0,8


Giovedì 9 febbraio a piazza del Campidoglio Rifondazione ha partecipato alla manifestazione indetta da varie realtà dell'associazionismo, della politica e soprattutto dai comitati auto organizzate delle comunità dei Rom romani. In particolare hanno fatto sentire la loro voce i Rom che, dopo lo sgombero del Casilino 900, si sono trovati di fronte alla realtà delle false promesse della giunta Alemanno. (vedi il comunicato).

Essere contro il Piano Nomadi di Alemanno significa anche fare i conti con le responsabilità passate delle fallimentari gestioni delle giunte Rutelli e Veltroni.

Superare le politiche segregazioniste, operare per un generale diritto all'abitare.

Intanto la giunta parla di un ennesimo campo... a Malagrotta... nei pressi della discarica... ci si appresta a costruire una nuova discarica umana. Ed i fascisti tracciano i loro orrendi slogan sui muri.

 (il link per chi legge da Facebook)

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