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Viaggio nei campi nomadi "Da vent'anni in roulotte"
Di Fabrizio (del 15/02/2011 @ 09:48:54, in Italia, visitato 2388 volte)

Segnalazione da Evangelici.net

Repubblica.it

Nei cinque campi di Bologna ci sono 300 sinti, 250 i rom invisibili. Viaggio negli accampamenti di Bologna dove la vita, nonostante le difficoltà può anche sorridere. Come? Chiedetelo a Mary che si è trasferita per amore di LUIGI SPEZIA

Sinti, non rom, ma la paura non fa differenze, non guarda in faccia nessuno. Nei campi nomadi - via Peglion, via Erbosa, via Dozza alle Due Madonne, via Persicetana - vivono i sinti italiani non i rom romeni o bosniaci, che dopo i grandi sgomberi degli anni scorsi sono ancora oltre 200, ma sono sparpagliati e invisibili, in fuga dai vigili e senza cittadinanza. La morte dei quattro bambini rom, soffocati tra le fiamme a Roma, ha trasmesso i brividi anche ai 250-300 abitanti sinti che vivono ai margini della città, tra scarso lavoro, diffidenze, guai e legittime richieste di essere trattati da cittadini di serie A. "Ma qui basta una scintilla e prende fuoco tutto" .

"Viviamo in questo campo che doveva rimanere provvisorio per sei mesi e invece è provvisorio da vent'anni - tuona Matteo Bellinati, uno dei leader di via Erbosa -. Ci avevano promesso di trasformare questa ammucchiata di roulotte in una micro-area, ma i soldi ogni anno il Comune li investe altrove. Se qui in piena notte prende fuoco una di queste roulotte, va a fuoco tutto, capito? Sono una attaccata all'altra, non è regolare niente".

Vent'anni non è una cifra a caso. I Bellinati - con loro c'è anche un gruppo della famiglia Orfei - sono i parenti di quel Rodolfo preso nel mirino di Roberto e Fabio Savi, quando, con i loro Ar 70 e Sig Manurhin, il 23 dicembre 1990 spazzarono di piombo il campo abusivo di via Gobetti e lasciarono feriti e un'altra vittima, Patrizia Della Santina. Dopo la strage, il gruppo era sciamato per la regione, "il sindaco Imbeni ci chiese di tornare, ci ha piazzati qui ma dopo non è successo più nulla". Il campo è infossato fra tre massicciate ferroviarie e sorvolato dai fili di un traliccio dell'alta tensione. "Come si può vivere qua - continua un altro Bellinati che di nome fa Antonio -? I nostri venti bambini vanno a scuola, ma qui soffriamo di mal di testa e agli occhi, non dicono che dai tralicci bisogna star distanti settanta metri? Le roulotte sono riscaldate con stufette elettriche. Se scoppia un incendio di notte non si salva nessuno, la plastica di queste nostre case è come benzina". E come benzina ha preso fuoco ieri sera una parte di roulotte senza altre conseguenze, con intervento dei vigili del fuoco, al campo del Bargellino, certamente meglio attrezzato di quello di via Erbosa. Alcuni bambini bruciavano legna all'esterno.

L'accampamento migliore è quello di via Dozza alle Due Madonne. Lì vive l'"aristocrazia" nomade e c'è anche una chiesetta in muratura degli Evangelici Pentecostali, che hanno convertito decine di sinti, le cui anime sono curate da pastori, sempre sinti. "Ma non curano il corpo, purtroppo - dice un residente -: io raccolgo ferro con il furgone, non c'è altro lavoro. Qui il villaggio è bello, sì, ma manca il lavoro". Qui ogni gruppo familiare ha un cortile tutto suo dove campeggia il fabbricato delle cucine e dei bagni e attorno le varie roulotte. "Ma le cucine e i bagni sono stati lasciati aperti, non danno il permesso per chiuderli e d'inverno non è proprio il massimo".

Oltre le Due Madonne c'è l'insediamento di Idice, Comune di San Lazzaro. Il bus giallo della scuola scarica i bambini, in mezzo al grande prato centrale gli adulti stanno festeggiando un compleanno, c'è il baffuto Franco che stende spiedini di pecora sul fuoco. Qui abita Giuseppe Bonora, 64 anni, detto "il bimbo", coordinatore dell'Opera Nomadi dell'Emilia Romagna: "Abbiamo chiesto più di una volta un incontro con il sindaco Macciantelli, ma non l'abbiamo ancora avuto. Qui siamo ancora ad una favelas, non alle micro-aree. In tutti i comuni dell'Emilia Romagna non fanno più aree di transito e di sosta. E siamo italiani. Da noi non cresce nemmeno l'erba, chissà cosa ci hanno messo qua sotto". Bonora ci tiene a dire che tutti i 15 bimbi del campo vanno a scuola, "nessuno va a chiedere l'elemosina, eh? Gli adulti raccolgono ferro, o fanno spettacoli viaggianti e poi magari c'è anche chi fa cose non belle. Ma bisogna pur dire che una mano non ce la dà nessuno".

Se il campo disastrato di via Erbosa è circondato da tre ferrovie, quello piccolo della famiglia Gallieri in via Peglion ha vista sul guardrail dell'A14. Un campo che è stato trasferito in loco per tre volte, anche l'ultimo pezzo di terra acquistato dalla famiglia per abitarci è stato espropriato dal Comune "e io - dice Antonio Gallieri, che a 58 anni ha 9 figli, 18 nipoti e 3 pronipoti - ho fatto una causa alla Corte europea. Ho avuto venti processi contro di me, ora ce n'è ho uno "Gallieri contro lo Stato"".

Non ci sono solo i campi. Dappertutto ci sono le famiglie isolate, soprattutto rom, anche dentro luoghi abbandonati come l'ex Casaralta o l'ex Cevolani. In via Biancolelli, a Borgo Panigale, ecco una roulotte di sinti che non trovano posto in via Persicetana, con tre bimbi che vanno alle elementari: "Abbiamo chiesto casa due anni fa al Comune, non l'abbiamo ancora", dice Adriano Bonora. Lì accanto una vecchia roulotte di rom, il capofamiglia è Brahim Husovic, calderas bosniaco. La moglie è incinta, ha sei figli stipati dentro quel cubo fatiscente, la più grande ha 18 anni. "Mio nonno viveva al Casilino 900", racconta riferendosi alla tragedia di Roma. "Da Roma ho dovuto scappare". Storie che si intrecciano. "I rom oggi sono circa 250 a Bologna, compresi quelli ai semafori - dice Dimitris Argiropoulos, attivista della Federazione Romanì -. Stanno nascosti". Due famiglie vivono tra le frasche del giardino del Baraccano.