Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 27/05/2010 @ 09:08:56, in casa, visitato 2078 volte)
Segnalazione di Tommaso Vitale
Inchiesta di Terre di mezzo. Per le operazioni effettuate dal primo
gennaio 2007 al 30 aprile 2010 speso più del doppio di quanto l'Assessorato ai
servizi sociali ha destinato all'integrazione abitativa e lavorativa (2 milioni
e 535 mila euro)
MILANO - Sono costati 5 milioni e 400 mila euro i 250 sgomberi di campi rom
abusivi effettuati dal comune di Milano, dal primo gennaio 2007 al 30 aprile
2010. Più del doppio di quanto speso dall'Assessorato ai servizi sociali per
l'integrazione abitativa e lavorativa dei rom e sinti, pari a 2 milioni e 535
mila euro. È quanto rivela l'inchiesta "Il derby degli zingari" di Terre di
mezzo di giugno. Solo nei primi quattro mesi di quest'anno il comune ha
ordinato 75 sgomberi, quanti ne aveva fatti l'anno scorso. Un crescendo che si
spiega solo con l'avvicinarsi delle elezioni amministrative, che si terranno nel
2011. Il derby, cui fa riferimento il titolo, è fra Pdl e Lega: "Vincerà chi si
dimostrerà più duro con i rom -scrive Terre di mezzo-. Ad ogni intervento delle
ruspe, fa seguito un comunicato stampa di De Corato (il vicesindaco, ndr) in cui
si annuncia il trionfo della legalità. Una campagna elettorale continua".
Nella stima di Terre di mezzo sul costo degli sgomberi, vengono considerate le
spese per la rimozione dei rifiuti e per l'impiego di vigili urbani, poliziotti
e carabinieri. "In un comunicato del 14 giugno 2009, De Corato scrive che per le
operazioni di bonifica e pulizia dei rifiuti effettuate da Amsa in 27
insediamenti sono stati spesi ben 452.788 euro. Poco meno di 17mila euro per
sgombero. Moltiplicati per i 250 effettuati finora, si arriva a 4 milioni e
250mila euro -calcola Terre di mezzo-. Bisogna poi considerare il costo delle
forze dell’ordine: un vigile urbano, ad esempio, costa 95 euro lorde al giorno.
Se per ogni operazione ipotizziamo l’impiego di 25 vigili, al nostro conto
dobbiamo aggiungere 593.750 euro. Lo stesso per l’intervento di carabinieri e
poliziotti. Si tratta di stime al ribasso, ma il risultato finale fa pensare: 5
milioni e 437mila euro. Spendiamo più soldi per abbattere le baracche che per
aiutare i rom a trovare casa".
Due consiglieri comunali, Patrizia Quartieri (Rifondazione comunista) e Giuseppe
Landonio (Gruppo Misto) hanno presentato in febbraio un'interrogazione in cui
chiedono al Sindaco Letizia Moratti il "conto" degli sgomberi. La risposta è
arrivata il 13 maggio, a firma del vicesindaco Riccardo De Corato: 1 milione e
756mila euro per l'intervento dell'Amsa, 270mila euro per l'impiego del Nu.I.R
(Nucleo di intervento rapido per la manutenzione) e 102.300 euro per i "costi
relativi al personale per servizi straordinari". Totale: 2 milioni e 128mila
euro. Meno di quanto stimato da Terre di mezzo: nel calcolo effettuato dagli
uffici comunali però non viene specificato su quanti sgomberi e dell'impiego dei
vigili urbani non viene considerata la retribuzione ordinaria. Non viene
contemplato il costo di poliziotti e carabinieri: certo non a carico del Comune,
ma comunque un costo per la collettività.
Terre di mezzo è andato anche a vedere che fine hanno fatto i 36 bambini che
vivevano nell'ex palazzina Enel di via Rubattino e sgomberati il 19 novembre
2009. Frequentavano le scuole del quartiere Feltre: a fine aprile fra i banchi
ne sono rimasti 15. Gli altri, sgomberati più volte dai campi abusivi in cui
cercano di sistemarsi, hanno abbandonato gli studi. Un brutto anno scolastico. (dp)
In attesa dell'incontro di stasera con
Paul Polansky, ecco un suo articolo su
Sagarana.net.
La segnalazione è di Alessandra Meloni
Da quasi quindici anni vivo con gli Zingari Rom dell'Europa orientale per
mettere insieme le loro storie orali. Ho vissuto con loro anche in qualità di
poeta, romanziere e attivista per i diritti umani. Ma recentemente la maggior
parte della mia vita è stata impegnata a registrare le loro storie, tradizioni e
costumi.
Ho iniziato a mettere insieme le loro storie quasi per caso dopo aver scoperto
in un archivio ceco, 40 mila documenti su un campo di sterminio per zingari
esistente nel sud della Boemia durante la seconda guerra mondiale. Dal momento
che il campo era stato costruito e gestito da cechi, il governo stava ancora
cercando di occultare ciò che era accaduto lì nel 1942-1943, sostenendo che non
c'erano sopravvissuti. Anche il Presidente Havel in persona disse che non
c'erano sopravvissuti, anche se io scoprii successivamente che in molti gli
avevano scritto per avere il suo aiuto nel rivendicare il diritto ad una
indennità. Quindi queste furono le prime storie orali che raccolsi sui Rom, più
di cento dopo un anno trascorso a cercare e trovar sopravvissuti.
Negli ultimi dieci anni ho vissuto in Kosovo e Serbia, come capo della
delegazione per la Society for Threatened Peoples. In quel periodo ho filmato
più di 200 interviste ai Rom in tutte le repubbliche della ex Yugoslavia. Da
questo progetto di tre anni sono risultati tre volumi (1,553 pagine), il cui
titolo è “ONE BLOOD, ONE FLAME: the oral histories of the Yugoslav Gypsies
before, during and after WWII.”
Di recente, mi sono recato in Bulgaria per intervistare dei vecchi Rom ed
espandere così le mie ricerche nei Balcani. Mi sono concentrato in particolare
sugli insediamenti dei Rom sulle montagne lungo il confine con la Grecia. Fino a
30 anni fa quella era un'area in cui molti zingari viaggiavano ancora con
cavalli ed carri, vivendo in tende, spostandosi di villaggio in villaggio per
vendere i loro prodotti tradizionali, coma cesti, calderoni, cucchiai di legno,
ed ombrelli fissi.
Mi sono anche interessato ai Rom che vivono nelle vicinanze di montagne
innevate, perché molti dei primi insediamenti di zingari in Europa erano di
fronte a cime innevate: dal monte Ararat nella Turchia orientale a Granada nella
Spagna meridionale. Come affermano molti antropologi specializzati in
migrazioni, i pionieri trovano quasi sempre una terra che ricordi il loro paese
d'origine.
La maggior parte delle persone sbaglia pensando che gli zingari siano nomadi. La
maggior parte di loro non è mai stata costantemente in viaggio. La maggior arte
di loro viaggiava nei mesi estivi per vendere gli oggetti che facevano durante
l'inverno a casa. Dalla primavera inoltrata fino all'inizio dell'autunno,
viaggiavano di mercato in mercato per vendere cesti di giunchi, ferri di
cavallo, briglie, setacci e tamburelli. Altri zingari viaggiavano nello stesso
periodo in cerca di lavori stagionali nei campi: piantare, zappare e fare il
raccolto.
Una delle migliori storie che ho messo insieme sui Rom che vivono in abitazioni
fisse è la leggenda del serpente domestico. Per molti anni ho creduto che solo i
rom kosovari credessero in questo mito. Ma nell'ampliare il mio progetto sulle
storie orali dalla ex Yugoslavia all'Albania, alla Grecia e alla Turchia, ho
scoperto che la maggior parte dei Rom crede ancora di avere un serpente che vive
nelle fondamenta delle case e che protegge la famiglia.
Alcuni dicevano che il serpente era tutto nero, altri che aveva la pancia
bianca. Alcuni lo chiamavano il Figlio di Dio, altri il Figlio della Casa.
Alcuni pensavano che ogni notte uscisse e strisciasse su tutte le persone che
dormivano in casa per proteggerle e portar loro fortuna. Molte di queste storie
sul serpente domestico differivano per alcuni dettagli, ma tutte concordavano su
una cosa: se il serpente domestico fosse stato ammazzato, qualcuno della
famiglia sarebbe morto e per molti anni ci sarebbe stata sfortuna.
Tutti gli zingari che ho intervistato sulle montagne in Bulgaria ancora
credevano nel serpente domestico; e ciascuno di loro aveva una storia da
raccontare su qualcuno che era morto perché un membro della sua famiglia aveva
ammazzato il serpente domestico.
Senza dubbio questa leggenda viene dall'antica India, dove, in molte aree,
vedere un serpente è ancora considerato di buon auspicio. I serpenti uccidono i
parassiti; i parassiti portano malattie; le malattie uccidono. Per cui se uccidi
il tuo serpente domestico, qualcuno nella tua famiglia potrebbe morire di
colera. Ma a mio avviso l'aspetto più importante di questa tradizione è che essa
ci rivela che gli zingari vivevano in abitazioni prima della grande diaspora. I
nomadi che per tutto l'anno vivono in tende non hanno un serpente che vive nelle
fondamenta domestiche.
Durante il mio recente viaggio in Bulgaria, è stato eccitante per me scoprire
che le famiglie Bulgare da noi intervistate (o almeno i loro antenati)
utilizzavano ancora gi stessi rimedi fatti in casa per curare le malattie. Il
più comune rimedio fatto in casa dai Rom bulgari consisteva nel mettere un
topolino appena nato in una bottiglia di acqua e poi, dopo diversi giorni,
utilizzare quest'acqua, poche gocce alla volta, per curare il mal d'orecchi,
specialmente nei bambini. I Rom kosovari, d'altro canto, mettono un topolino in
una bottiglia di olio, ma non usano quest'olio finché il topo non si è
completamente decomposto, il che a volte avviene anche dopo un anno. Ma tutte le
nonne hanno giurato sul sole che la medicina del topolino, come cura per il mal
d'orecchi, era migliore di qualunque altro prodotto farmaceutico usato oggi.
A proposito del Sole, esso è sempre stato uno degli argomenti che affronto
quando intervisto gli zingari. Soprattutto sulle montagne della Bulgaria, ogni
volta che parlavo di religione, ottenevo la stessa risposta: “Noi crediamo al
Sole e a Dio.”
Da diversi anni porto avanti l'idea che gli zingari fossero originari di due
aree diverse, prima di unirsi. Un'area, come ho già detto, deve essere stata una
terra vicino ad una qualche cima innevata. L'altra zona deve essere stata dove
veniva adorato il sole.
All'inizio del secolo scorso, sulla rivista della Gypsy Lore Society in Gran
Bretagna, fu pubblicato un articolo di una pagina di un missionario cristiano a
cui era stato chiesto di trovare zingari in quest'area e chiedere loro da dove
provenissero originariamente. Questo missionario, che lavorava nella Turchia
orientale, disse che gli zingari da lui trovati si autodefinivano Dum. Alcuni
dissero di provenire dalla Cina, altri dal piccolo Egitto.
Nessuno aveva mai menzionato la Cina in precedenza come luogo di origine degli
zingari, mentre il piccolo Egitto era già storia conosciuta. Nel 15° secolo,
quando bande di zingari stavano già viaggiando per l'Europa centrale e
occidentale, i loro capi dicevano di provenire dal Piccolo Egitto. Perciò essi
furono chiamati (ed in molte zone vengono tuttora chiamati) Egyptians (egiziani)
o Gypsies (zingari).
Ma dove si trovava il piccolo Egitto? Dalle mie ricerche ho ragione di credere
che si trattasse di Multan, l'antica capitale del Punjab, dove per tre secoli,
all'incirca dal 950 al 1250, gli esiliati egiziani musulmani governarono la
città. Infatti a quei tempi, i gruppi consistenti di esiliati erano soliti
chiamare la loro nuova terra dal nome del loro vecchio paese; di qui Piccolo
Egitto.
Ma Multan a quel tempo aveva anche il più famoso tempio del Sole in India, che
attirava non solo pellegrini da ogni parte del sub-continente, ma anche orde di
accattoni e venditori ambulanti. Nel 985 gli egiziani del luogo (che erano
fondamentalisti islamici rigidi) distrussero il tempio del Sole, scacciando
tutti i mendicanti e i venditori ambulanti e chiunque adorasse il Sole. E questo
avvenne più o meno in contemporanea col periodo in cui, secondo gli studiosi,
gli zingari avrebbero iniziato la loro diaspora dall'India antica.
Il primo scalo dopo aver lasciato l'India fu Kabul, Afghanistan, dove ancora
oggi la maggior parte degli zingari qui stanziati (ed anche in Asia, Armenia e
Georgia) vengono chiamati Moultani.
Oggi la maggior parte dei Rom in Kosovo e sulle montagne della Bulgaria sono
musulmani e giurano sul Corano. Ma tutti ammettono di giurare anche sul Sole di
tanto in tanto, come facevano i loro antenati.
E' risaputo che la maggioranza dei Rom adotta la religione professata nell'area
in cui si stabiliscono. Pertanto, quelli stanziatisi in un paese cattolico di
solito diventano cattolici, mentre quelli stanziatisi in un paese musulmano
giurano fedeltà all'Islam. I primi zingari arrivati nei Balcani diventarono
ortodossi.
Sebbene i Rom non abbiano una storia scritta, molti ancora ricordano le storie
che raccontavano i loro antenati. Un vecchio Rom kosovaro disse che suo nonno
gli aveva detto che quando i Rom lasciarono la terra natia (non sapeva dove
questa fosse), erano buddisti. Avevano viaggiato verso ovest, in cerca di
lavoro. Quando erano arrivati in Armenia, era stato offerto loro un lavoro nei
Balcani, ma prima si sarebbero dovuti convertire al cristianesimo. Dovevano
diventare ortodossi.
Credo che il primo documento in cui vengono menzionati gli zingari nei Balcani
provenga da un monastero sul monte Athos. Guardando tutti quei monasteri
arroccati sui fianchi dei precipizi, si capisce come sia stato necessario
utilizzare parecchia manodopera importata per costruirli. Ma in tutta l'area
balcanica, specialmente in Bulgaria, Macedonia e Serbia, laddove ho trovato un
monastero risalente al periodo tra l'11° e il 14° secolo, ho sempre scoperto che
la comunità più vicina era un insediamento di zingari. A volte restano solo
poche abitazioni, ma altre volte ci trovo una grossa comunità. I vecchi Rom in
una comunità mi dissero che, secondo la loro tradizione orale, i loro antenati
erano stati portati come schiavi per costruire i monasteri del luogo.
Successivamente, dopo l'arrivo dei turchi, i loro antenati si erano convertiti
all'Islam. Alcuni avevano sentito dire che i loro antenati erano cristiani.
Eppure ancora oggi essi giurano sul Sole.
E per quanto riguarda i riferimenti alla Cina? I Rom sicuramente non presentano
le tipiche caratteristiche dei cinesi, sebbene io debba ammettere che in alcune
rare occasioni mi sono imbattuto in dei Rom che avevano gli occhi decisamente a
mandorla e gli zigomi piuttosto alti.
In realtà avevo scordato quel riferimento alla Cina durante una intervista,
nella Turchia orientale, ad un quartiere di zingari che si rifiutavano di
ammettere che erano zingari o Rom. La persona che me li aveva presentati disse
che in Turchia era una infamia essere conosciuti come zingari, perciò queste
persone si autodefinivano “musicisti per i matrimoni”.
Successivamente, dopo che il mio assistente – un Rom kosovaro-ebbe suonato le
percussioni con loro e che si furono convinti che appartenevano allo stesso
popolo, iniziammo a confrontare la loro lingua e quella dei Rom kosovari.
Sebbene le due lingue fossero sostanzialmente diverse, molte parole erano
identiche al punto che entrambi decisero che i rispettivi antenati dovevano aver
parlato la stessa “lingua segreta”. Quindi chiesi loro come si chiamasse questa
loro lingua segreta. Ed essi dissero il Domaaki.
Non ho mai pensato molto al nome con cui chiamavano la loro lingua segreta fin
quando non ho fatto una ricerca su internet. Ragazzi, che sorpresa! Il Domaaki è
la lingua parlata dalla casta bassa di musicisti e fabbri nella valle di Hunza
nel nord del Pakistan (India antica). La valle di Hunza confina con la Cina e da
parecchi punti della valle di Hunza si ha una bella vista sull'Himalaya
innevato. L'area era un tempo una roccaforte della religione buddista.
In Bulgaria, passando in macchina attraverso le montagne da Yakoruda verso
Razlog, c'è una striscia di terra con rigogliosi campi verdi sotto le
torreggianti cime innevate dei monti Pirini. Non lontano si trova Rila, il più
famoso monastero in Bulgaria, costruito originariamente nel 927 e poi
ricostruito nel 1335. A badare al campo ed a raccogliere patate vedemmo le
stesse facce scure che oggi si vedono nelle foto di Hunza e del vicino Kashmir.
Ad ogni modo, fu sempre sulle montagne bulgare che trovai degli zingari che
ancora credevano ai vampiri. Nell'India antica molte caste basse credevano che i
“mulos” (zingari morti) tornassero per importunarli e perseguitarli. Una volta
arrivati nei Balcani, quella superstizione indiana si adattava così bene alle
locali storie di vampiri che oggi esse sono diventate interscambiabili.
Paradossalmente, oggi molti zingari balcanici diranno che non credono nella
chiromanzia o nella magia nera (sebbene molti Rom kosovari lo facciano ancora).
Ma quando si parla di credere ai vampiri, la maggior parte dei Rom adulti
giurano sugli occhi dei loro figli che hanno visto un vampiro. Una donna a
Peshtera, Bulgaria, ci disse che una notte, tornando da un altro villaggio in
cui si era recata per vendere cesti, un uomo iniziò a camminarle accanto. Non la
toccò, ma un momento era un uomo, subito dopo era un cane, poi una mucca. La
donna era sicura che fosse un vampiro: non le aveva fatto nulla, ma lei si era
spaventata molto.
Un'altra Rom, a Septemvri, Bulgaria, ci disse di aver conosciuto un uomo una
volta. Si chiamava Teke Babos ed era un vampiro. Lei lo aveva visto un anno dopo
che era morto. Era molto alto ed indossava scarpe nere ed una giacca nera. Aveva
un frustino in mano. Le unghie erano molto lunghe. Lei lo vedeva solo se era da
sola, e solo da mezzanotte alle 4 del mattino. Anche stavolta, lui non le aveva
fatto nulla. Ma molte storie che ho sentito nel corso degli anni sono piene di
sangue e ferite.
Sebbene molte delle tradizioni originarie dell'India antica siano andate
perdute, ce ne sono ancora abbastanza per identificare le tribù e le caste
d'origine di molti Rom. Oggi la maggior parte della gente crede che i Rom siano
tutti uguali. Ma non lo sono. Se c'è una tradizione generale che gli zingari
hanno mantenuto dall' antica India, è quella relativa all'identità delle tribù e
delle caste. Nei Balcani ci sono più di 50 gruppi diversi di zingari. Sebbene
essi possano avere tradizioni affini e parlare lingue simili, la maggior parte
sa di non essere uguale agli altri e non vi sono matrimoni misti né rapporti.
Secondo il vecchio sistema indiano delle caste, essi si identificano dalla
professione ereditata dai loro antenati. Il nome del gruppo è di solito il nome
indiano della casta tradotto nella lingua locale parlata dove vivono oggi. Ad
esempio, il nome della casta dei Lohar, che erano fabbri provenienti dall'India
antica e che oggi vivono nei Balcani, è stato tradotto in “Kovachi”, che è la
parola slava per “fabbro”. Ad ogni modo, alcuni Rom hanno in realtà continuato a
definire la propria casta con il nome indiano originario, sebbene l'ortografia e
la pronuncia potrebbero essere un po' diversi. Un esempio è costituito dai
Gabeli in Kosovo, il cui nome d'origine indiano per la casta era Khebeli.
Non è solo il vecchio nome della casta ad identificare una certa tribù, ma anche
certe tradizioni. Ad esempio, molti Rom kosovari e bulgari credono che quando
una persona muore si debba raccogliere una grossa pietra da un fiume pulito e
metterla sulla tomba del defunto. Essi credono che questo sia l'unico modo in
cui il defunto può ottenere l'acqua in cielo. Come mi ha detto una vecchia donna
Rom, va bene mendicare sulla terra, ma non in cielo. Sebbene il numero di giorni
in cui la pietra deve stare sulla tomba possa variare da un giorno ad un anno,
la tradizione è identica ed è praticata solo dai Gond nell'India centrale.
Un'alta tradizione che faccio risalire ai Gond è quella di pagare per il latte
materno quando si compra una sposa. La maggior parte dei Rom nei Balcani ancora
pratica la compravendita delle spose (un'usanza proveniente per lo più dal
sud-est dell'India nell'area di Multan!). Ma anziché definirlo un acquisto
diretto come quello di una mucca, essi pretendono di pagare per il latte che la
madre ha dato alla sposa quando era in fasce.
Un'altra tradizione (in realtà un bluff) che sono riuscito a far risalire dai
Balcani ad una casta semi-nomadica nell'attuale Punjab è quella di succhiare via
i vermi bianchi dal naso o dalle orecchie dei bambini per curare il mal
d'orecchi. Sebbene molte anziane donne Rom nei Balcani erano solite andare di
villaggio in villaggio a succhiare i vermi fuori dalle orecchie dei figli di
ignoranti gadjos (non – Rom), molti Rom credono ancora che non sia un raggiro e
pagherebbero per farlo fare quando i loro figli sono malati. Ma è una truffa. La
“dottoressa” zingara in realtà si infila dei vermi bianchi in bocca,
nascondendoli di soliti in una cavità dentale, e poi finge di succhiarli via
dall'orecchio del bambino con una cannuccia. E' un'antica tradizione della tribù
dei Sansis in Punjab ed è tuttora praticata lì.
Sebbene agli zingari che vivono in Europa abbiano svariati nomi, come Rom, Kali,
Sinti, Manoush, ecc. ecc., non è difficile tracciare a ritroso il loro percorso,
villaggio dopo villaggio, fino ad arrivare al paese d'origine. Una volta lo
feci, dalla Repubblica Ceca all'Iran. La maggior parte dei Rom non hanno mai
sentito dire da dove il loro popolo provenisse prima di stanziarsi in Europa, ma
sanno da quale villaggio i loro antenati sono partiti per arrivare a quello in
cui si trovano ora, ed quello si trova sempre in direzione di un ritorno
all'India. Nel tentativo di spostarsi ad ovest, gli zingari hanno sempre
lasciato dietro alcune famiglie. Dalla Repubblica Ceca ho tracciato a ritroso il
percorso di una famiglia fino ad un villaggio nella Slovacchia orientale. In
quel villaggio mi fu detto che i loro antenati provenivano da un villaggio in
Ungheria. In Ungheria, fui mandato ad un villaggio in Croazia, e di lì in Bosnia
e Montenegro. Dal Montenegro fui mandato a trovare dei cugini perduti in
Macedonia, e dalla Macedonia alla Bulgaria; e dalla Bulgaria alla Grecia. In
Grecia fu più difficile trovare qualcuno che avesse memoria di posti reali in
Turchia, ma seguendo la professione della loro casta, fu possibile allacciarsi
allo stesso tipo di zingari in Turchia. Dopo fu facile spostarsi di villaggio in
villaggio fino ad arrivare in Iran. Ma nella Turchia orientale, quando trovai i
“musicisti per matrimoni, fu possibile saltare direttamente indietro alla Valle
di Hunza sul confine cinese.
Sebbene debba ancora intervistare parecchi zingari nei Balcani e nel resto
dell'Europa, sto progettando di recarmi nella valle di Hunza ad ottobre,
portando con me non solo la mia videocamera, ma anche il kit per il test del
DNA. Le tradizioni, e persino la lingua, possono essere adottate. Ma il DNA non
mente. Solo allora sarò in grado di dimostrare alcune delle mie ricerche e di
dar credito alle storie orali degli zingari. E soprattutto, di dimostrare che è
valsa la pena di salvarli.
Paul Polansky, scrittore e storico, è uno dei più importanti poeti statunitensi
“in esilio”, autore di diverse raccolte poetiche e romanzi di forte impegno
civile, dedicandosi negli ultimi anni soprattutto alla drammatica situazione dei
rom residenti nel Kosovo, vittime di avvelenamento per il piombo rimasto nel
sottosuolo dalle guerre precedenti e ignorati anche dalle Nazioni Unite che
dovrebbero protteggere la loro incolumità fisica, soprattutto quella dei
bambini, le vittime più numerose. Questa poesia, “Il mio lavoro”, è un esempio
della produzione poetica fortemente politica e umanitaria di Polansky. Nel 1994
il Comune di Weimar, in Germania, ha concesso a Paul Polansky il prestigioso
Human Rights Award, consegnatogli dal Premio Nobel Günther Grass.
Di Fabrizio (del 26/05/2010 @ 09:15:41, in Italia, visitato 2475 volte)
2 – 6 Giugno 2010.
(l'appuntamento su
Facebook)
Il 1° Meeting Antirazzista Europeo invita ogni persona a confrontarsi
con i temi dell’antirazzismo e dell’antidiscriminazione.
La Campagna DOSTA (“Basta” in lingua Romanì) è stata promossa dal Consiglio
d’Europa e dalla Commissione Europea in vari paesi europei; in Italia si sta
portando avanti con il coordinamento e il finanziamento dell’UNAR.
Il suo obiettivo è quello di superare i pregiudizi nei confronti dei Rom e
Sinti, facendo conoscere la ricchezza della loro cultura, nonché le difficoltà
che essi trovano per raggiungere una piena inclusione sociale, abitativa,
educativa e lavorativa.
Nella cornice naturale del Parco Europa potrai ascoltare e discutere insieme a
Sinti, Rom, politici, attivisti e operatori su come leggere e combattere il
razzismo e le discriminazioni. Nei gazebo situati nell’area circostante del
grandissimo tendone, troverai mostre sulla storia, la cultura e l’artigianato
tradizionale. Ma non solo, perché ogni sera potrai vivere insieme a Sinti e Rom
momenti di festa con gastronomia e musica che ti delizieranno e affascineranno.
Luogo:
“ >> PARCO EUROPA << “
Viale Europa – Bolzano
MEETING ANTIRAZZISTA EUROPEO
Mercoledì 2 giugno 2010 ore 17.00 - 24.00
Ore 17.00 Apertura del MEETING
On. Maria Luisa Gnecchi
Luigi Spagnolli, Sindaco della città di Bolzano
Christian Tommasini, Vice Presidente della Provincia di Bolzano
Roberto Bizzo,Assessore alle Pari Opportunità della Prov. di Bolzano
Primo Schönsberg
Radames Gabrielli Presidente dell’associazione Nevo Drom
18.00 Apertura Festa con:
GASTRONOMIA TRADIZIONALE SINTA
21.00 Musica jazz con il complesso Django ’ Clan
con Carmelo Tartamella
24.00 Chiusura festa
“SINTI E ROM, CITTADINI
EUROPEI DISCRIMINATI: DOSTA!”
Giovedì 3 giugno 2010 ore 17.00 - 24.00
Moderatore: Dijana Pavlovic, Vice Presidente della
Federazione Nazionale Rom e Sinti Insieme
17.00 La campagna Dosta! in Italia e in Europa
Radames Gabrielli, Presidente Fed. Nazionale Rom Sinti Insieme
Rappresentante Unar (Uff. Nazionale Antidiscriminazione Razziale ed Etnica)
Rappresentante del Consiglio d’Europa
Vladimiro Torre, Presidente associazione Them Romano (RE)
Roberto Bizzo, Assessore alle Pari Opportunità, Provincia Bolzano
Karl Tragust, Direttore di ripartizione sociale provincia Bolzano
19.35 Apertura Festa con:
GASTRONOMIA TRADIZIONALE SINTA E ROM
21.00 Musica tradizionale sinta
- STRAUMALI & MARLENE
- THE GIPSYES VAGANES
24.00 Chiusura Festa
LOTTA ALLE DISCRIMINAZIONI
Venerdì 4 giugno 2010 ore 17.00 - 24.00
Moderatore:
Luciano Scagliotti, (Enar) European Network Against Racism
17.00 Tavola Rotonda
Dott.ssa Karin Girotto
Onorevole Rita Bernardini
Enrico Lillo, Presidente circoscrizione don Bosco
Onorevole Luisa Gnecchi
Robert Gabrielli, Federazione Rom Sinti Insieme
Mauro Minniti,Vice presidente Consiglio prov. Bolzano
Onorevole Letizia de Torre
Maurizio Alemi,“progetto azioni contro le discriminazioni” Porte Aperte,
Voluntarius, Fondazione Langer, HRI
19.35 Apertura Festa con:
GASTRONOMIA TRADIZIONALE SINTA E ROM
21.00 L’attore teatrale, scrittore e musicista
MONI OVADIA con il suo gruppo
24.00 Chiusura Festa
SINTI E ROM IN ITALIA E IN EUROPA
Sabato 5 giugno 2010 ore 17.00 - 24.00
Moderatore: Carlo Berini
Associazione Sucar Drom
17.00 Tavola Rotonda
Primo Schönsberg
Mauro Di Vieste, Direttore Popoli Minacciati
Gabrieli Mirco, Vice Presidente Associazione NEVO DROM TN
Tommaso Vitale, sociologo
Prof. Oliver Legros, Francia
Elisabetta Vivaldi, attivista rom
Yuri Del Bar, Segretario federazione Rom Sinti Insieme
Davide Casadio, Pastore evangelico MEZ
19.30 Apertura Festa con:
GASTRONOMIA TRADIZIONALE SINTA E ROM
21.00 Musica tradizionale sinta
Con il complesso musicale altoatesino
DAVIDE IL GITANO
24.00 Chiusura Festa
FESTA SINTA
Domenica 6 giugno 2010 ore 15.30 - 24.00
15.00 Apertura Festa con:
GASTRONOMIA TRADIZIONALE SINTA E ROM E VARIE
17.00 Musiche varie
21.00 - Straumali & Marlene
- THE GIPSYES VAGANES
24.00 Chiusura Festa
PORRAJMOS ALTRE TRACCE
SUL SENTIERO PER AUSCHWITZ
2 – 6 Giugno 2010
dalle 9.00 alle 24.00 al Parco Europa - BZ
Mostra fotografica documentaria sulle persecuzioni razziali
subite da Sinti e Rom durante il nazifascismo.
PER NON DIMENTICARE IL PORRAJMOS
Giovedì 3 giugno 2010
Sala riunioni del Centro Syn
Piazza Don Bosco, 21 - 39100 Bolzano
Patrocinio della Città di Bolzano e in collaborazione
con l’Archivio Storico
9.30 Conferenza
sulle persecuzioni subite da Sinti e Rom, con
interventi di storici e proiezioni di filmati in
ricordo e memoria della Sinta,
BARBARA RICHTER
Bolzanina, d’origine Cecoslovacca sopravvissuta ad
Auschwitz Birkenau e agli esperimenti di Mengele,
Deceduta alcuni anni fa a Bolzano.
11.00 Deposizione di una corona
a Passaggio della Memoria davanti alla Targa in
Memoria dei Sinti e Rom, Vittime delle persecuzioni
razziali, nei pressi del Muro del Lager di Via Resia
30 Bolzano.
CINEMA
Sabato 5 giugno 2010 alle ore 21.00
AL CINEFORUM BOLZANO
(Via Roen 6, Bolzano)
“Io, la Mia Famiglia Rom e Woody Allen”
Con la partecipazione della REGISTA Rom
Laura Halilovich
Segnalazione di Marco Brazzoduro SERATA ROM
Mercoledì 26 Maggio ore 19.30
Biblioteca Vaccheria Nardi
Via Grotta di Gregna 27 ROMA
Letture di favole e storie di vita dei Rom
a cura di Cristina Fazzi e Marisa Giampietro
Alla chitarra: Emanuele Maraschini
Intervengono:
prof. Marco Brazzoduro (Università "Sapienza" di Roma)
Roberta Zaccagnini (Amnesty International -Coordinamento DESC )
Valerio Tursi (Presidente "ARCI Solidarietà")
Carmen Rocco (Antica Sartoria Rom)
Esposizione degli abiti della Sartoria Rom
Proiezione di
Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen (50') Regia di Laura Halilovic
La manifestazione è realizzata con il sostegno dell'Assessorato alle Politiche
Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma.
Per prenotazioni e informazioni, telefonare al 064073474 o al 3336625293 oppure
inviare un'email all'indirizzo
giovannialfonso@fastwebnet.it
"ad Auschwitz dove sono rimasti gli zingari,
la lacrima è scesa, la mano ha preso la penna,
per scrivere parole qualunque"
RasimSejdic
Associazione Spazio Tempo
Biblioteca Vaccheria Nardi per la Solidarietà
Il Paesaggio umano e la memoria
Laboratorio autobiografico
Quando l'altrove è qui. Storie di vita e di migrazione
Di Fabrizio (del 25/05/2010 @ 09:56:25, in media, visitato 1842 volte)
Segnalazione di Franco Marchi, anche se qualcuno si interroga quanto sia lecito
sostituire uno stereotipo negativo con uno romantico...
Nel campo profughi di Formelli (Sandro Weltin/©Council of Europe)
Repubblica.it
"Chimere assenti" è il cortometraggio che la popolare attrice francese ha
finito di girare nei pressi di Roma. E' la storia di una bambina zingara alla
quale viene negata la mensa perché troppo povera di GABRIELLA BIANCHI
"GLI ZINGARI, è una fortuna averli. Noi vogliamo mettere il mondo in una
scatola, loro ci offrono la fantasia e la liberta'". Risplende Fanny Ardant,
dal tavolino appartato incorniciata dal decor art nouveau del bar dell'Hotel
Locarno, mentre presenta il suo ultimo lavoro: un cortometraggio che ha appena
finito di girare vicino a Roma che narra le vicende di una bambina Rom.
Bellissima e chic, vestita di nero, una gonna di tafta', una camicia sobria, una
cascata di capelli castani e gli occhi sfavillanti. Ma soprattutto è
appassionata, questa famosa interprete che si ripropone come regista dopo aver
esordito due anni fa con "Cenere e Sangue", presentato fuori concorso al
Festival di Cannes.
I VOLTI SUL SET 1
Nato da un progetto delle Nazioni Unite per promuovere i diritti umani
attraverso l'arte, "Chimere assenti", un film di 6 minuti che denuncia
l'intolleranza e l'esclusione scolastica dei bambini Rom, è stato commissionato
dal Consiglio d'Europa in collaborazione con l'ONG Art for the World. Il film
verrà presentato oggi in anteprima al Cinesesc di San Paolo in Brazile per poi
partecipare il 27, assieme ad altri 14 cortometraggi realizzati da registi
internazionali, al Forum delle Nazioni Unite sull'Alleanza delle Civiltà a Rio
de Janeiro.
"E' un vero mistero perché lo abbiano chiesto a me", si schernisce l'icona del
cinema francese. In realtà la Ardant ha recentemente accettato di patrocinare la
campagna Dosta! (Basta! In lingua romanesque) promossa dal Consiglio d'Europa
per combattere i pregiudizi e gli stereotipi nei confronti della comunità Rom.
"Sono sempre stata molto interessata al problema degli zingari che vivono
nell'Europa occidentale. Io amo profondamente gli zingari da sempre e
l'ingiustizia mi ha sempre scandalizzato soprattutto quando è
istituzionalizzata", spiega la Ardant che si è recata a più riprese nel campo
Rom di Via della Cesarina, alla periferia della capitale, per scegliere i
protagonisti del film. "Non frequento Rom, né mi sono formata una conoscenza
tramite documentari o film, ma mi affascinano" e aggiunge, "è un grande onore
per me rappresentare gli zingari, ed è anche la prova che si può avere delle
radici diverse."
Il cortometraggio è stato girato nella zona di Formello, a nord di Roma, con
attori professionisti tra i quali Francesco Montanari e Paolo Triestino e attori
Rom. "Le nostre comunità occidentali, in Italia e in Francia, ma in generale
tutta l'Europa sono conformiste e parlano di tolleranza". precisa la Ardant. "Io
detesto il termine "tolleranza", in fondo è un termine dispregiativo se ci
pensa: 'ci sta bene che tu stia qua a condizione però che stai zitto'. Questo
termine non ha lo stesso significato per tutti", s'infervora l'artista. "Ecco
questo mio film cerca di descrivere questi due mondi paralleli che potrebbero
incontrarsi. E' la storia di una bambina zingara alla quale viene negata la
mensa perché è troppo povera. Queste cose sono successe davvero e non solo in
Italia". Il mio non è un discorso strutturato, faccio parlare la mia
immaginazione..."
La Ardant interpreta Malvina, un'insegnante di musica che tiene una lezione ad
una scolaresca svogliata mentre, nel suo ufficio, il preside rimprovera
un'anziana zingara che non è in grado di pagare la mensa alla sua nipotina,
Sonietchka. Finita la scuola, sulla via di casa, l'insegnante viene attratta dal
suono della musica zigana proveniente dal campo Rom. Il giorno successivo, la
bambina, esclusa dalla scuola, ascolta a sua volta le melodie che escono dalla
classe. Ad un tratto, si presenta nella scuola un Rom infuriato che prende a
sassate le finestre della classe. Il preside chiama la polizia e gli zingari
fuggono. Ma fugge anche l'insegnante. La ritroveremo circondata da bambini Rom
seduti intorno ad un fuoco che studiano Eschilo mentre le musiche di Gluck si
mischiano a motivi zigani.
"Le nostre civiltà sono ricche di certezze, di dogmi, sono appiattite,
politicamente corrette. Questo modo di vedere le cose crea molti danni perché
eliminano le differenze, i punti di vista diversi, sull'arte, sulla scuola,
l'educazione", commenta con passione la Ardant. "In tutte le forme di razzismo
sono la stupidità e la paura che dettano i comportamenti e questo non vale solo
per la nostra generazione ma è vero anche del passato. La paura comunque è la
cosa peggiore".
Magdalena, una Rom rumena del campo di via della Cesarina ha fatto la comparsa
nel film. "Avevano ricostruito un campo Rom in un bosco", racconta, "era
bellissimo, proprio come era una volta, c'era tutto, le roulotte, i tappeti, le
pentole, i vestiti appesi ad asciugare. Dovevamo dare l'impressione di essere
poveri ma felici". Per Magdalena tuttavia il film dà "un'immagine un po'
fantasiosa dei Rom". "Io comunque, preferirei vivere in un appartamento".
Diva anticonformista, la Ardant due anni fa venne duramente criticata per aver
dichiarato al settimanale 'A' di ritenere Renato Curcio "un eroe" e di "aver
sempre considerato il fenomeno delle Brigate Rosse come appassionante e
accattivante". Dovette poi scusarsi pubblicamente con le vittime del terrorismo.
"I guai non mi fanno paura, ai giornalisti piace fare andare i loro tamburi"
spiega sorridendo la diva: "Ho sempre detto quello che pensavo a mio rischio. Io
non cerco niente, non ho degli interessi nascosti, interessi politici,
elettorali, nulla di tutto questo".
(23 maggio 2010)
Di Fabrizio (del 25/05/2010 @ 09:55:35, in Regole, visitato 1838 volte)
I testi dei cartelli posti fuori dalle baracche
e delle tende in via Rubattino. Tommaso Vitale
QUESTA TENDA È LA CASA
DELLA FAMIGLIA CHE LA ABITA
ED È UN DONO DELLE FAMIGLIE
DELLE SCUOLE DI LAMBRATE
CHIEDIAMO ALLE FORZE DELL'ORDINE, GARANTI DELLA LEGALITÀ, DI RISPETTARE QUESTA
TENDA E I BENI DELLE PERSONE CHE VI ABITANO, OSSERVANDO COSÌ LA LORO
DIGNITA’ E IL LORO DIRITTO FONDAMENTALE AL DOMICILIO E ALLA VITA FAMILIARE,
PROTETTI DAGLI ARTT. 14 E 29 DELLA COSTITUZIONE, DAGLI ARTT. 7 E 33 DELLA CARTA
DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA, DALL’ART. 8 DELLA CONVENZIONE
EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI E
DALLE PRESCRIZIONI DELLE NAZIONI UNITE IN MATERIA DI SGOMBERI FORZATI.
IN CASO DI SGOMBERO CHIEDIAMO DI CONTATTARE I NUMERI: [numero oscurato] OPPURE
[numero oscurato]
QUESTA TENDA È LA CASA
DELLA FAMIGLIA CHE LA ABITA
ED È UN DONO DEI VOLONTARI
DI RUBATTINO – LAMBRATE
CHIEDIAMO ALLE FORZE DELL'ORDINE, GARANTI DELLA LEGALITÀ, DI RISPETTARE QUESTA
TENDA E I BENI DELLE PERSONE CHE VI ABITANO, OSSERVANDO COSÌ LA LORO DIGNITA’ E
IL LORO DIRITTO FONDAMENTALE AL DOMICILIO E ALLA VITA FAMILIARE, PROTETTI DAGLI
ARTT. 14 E 29 DELLA COSTITUZIONE, DAGLI ARTT. 7 E 33 DELLA CARTA DEI DIRITTI
FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA, DALL’ART. 8 DELLA CONVENZIONE EUROPEA PER LA
SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI E DALLE
PRESCRIZIONI DELLE NAZIONI UNITE IN MATERIA DI SGOMBERI FORZATI.
IN CASO DI SGOMBERO CHIEDIAMO DI CONTATTARE I NUMERI: [numero oscurato] OPPURE
[numero oscurato]
QUESTA TENDA È LA CASA
DELLA FAMIGLIA CHE LA ABITA
CHIEDIAMO ALLE FORZE DELL'ORDINE, GARANTI DELLA LEGALITÀ, DI RISPETTARE QUESTA
TENDA E I BENI DELLE PERSONE CHE VI ABITANO, OSSERVANDO COSÌ LA LORO DIGNITA’ E
IL LORO DIRITTO FONDAMENTALE AL DOMICILIO E ALLA VITA FAMILIARE, PROTETTI DAGLI
ARTT. 14 E 29 DELLA COSTITUZIONE, DAGLI ARTT. 7 E 33 DELLA CARTA DEI DIRITTI
FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA, DALL’ART. 8 DELLA CONVENZIONE EUROPEA PER LA
SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI E DALLE
PRESCRIZIONI DELLE NAZIONI UNITE IN MATERIA DI SGOMBERI FORZATI.
IN CASO DI SGOMBERO CHIEDIAMO DI CONTATTARE I NUMERI: [numero oscurato] OPPURE
[numero oscurato]
Segnalazione di Marco Brazzoduro "Sala della Pace" Palazzo Valentini - Provincia di Roma
Via IV Novembre 119/A (Piazza Venezia)
25 maggio ore 17:00
PRESENTAZIONE DEL LIBRO
"ZINGARE SPERICOLATE" di Vania Mancini
Edito da Sensibili alle Foglie
Proiezione del video "Cheja Celen" diretto da P. Grassini
Con l’autrice ne discuteranno:
C. Guardiani: del Dipartimento Servizi Educativi e Scolastici del Comune
di Roma,
T. D’Amico: Fotografo,
Umiza H.: Portavoce del campo rom di MonteMario,
Fiorella: Tassista,
M. Brazzoduro: Docente Università La Sapienza,
P.Perrini: Mediatore Interculturale,
Docenti e studenti di alcune scuole di Monte Mario
Evento a sorpresa
Concluderà
M. SMERIGLIO
Assessore Formazione e Lavoro della Provincia di Roma
Di Fabrizio (del 24/05/2010 @ 12:21:22, in media, visitato 1941 volte)
Finite le violenze dopo gli scontri nel campo di Triboniano,
è già iniziata la guerra sporca dell'informazione. Domenica pomeriggio era
previsto un incontro tra gli abitanti del campo e gli antirazzisti, al campo
stesso. Domenica sera ricevo questa breve mail dalla Federazione Anarchica
Torinese:
Milano. La polizia impedisce l’assemblea e porta via gli antirazzisti
Domenica 23 maggio. La polizia sta cercando di impedire l’assemblea al campo rom
di via Triboniano. Dopo le violente cariche
http://piemonte.indymedia.org/article/8837 di giovedì 20 gli abitanti della
baraccopoli alle spalle del cimitero maggiore avevano deciso di fare oggi
un’assemblea. La polizia ha bloccato l’ingresso, imprigionando gli abitanti
all’interno dell’area del campo. Gli antirazzisti sono stati tenuti lontani e poi portati via di peso dalla polizia.
Uno dei loro ha cercato invano di resistere, gridando a chi lo allontanava con
la forza “fascisti!”.
Difficile trovare una definizione migliore per quanto sta accadendo.
Persino riunirsi in assemblea e discutere è vietato. Se sei rom, povero devi
tacere ed accettare in silenzio la deportazione.
Quella che stanno rubando ai rom di Triboniano è la dignità e la libertà di noi
tutti.
Seguiranno aggiornamenti.
Sorprendete, per chi ha letto sopra, la ricostruzione del
Giornale:
Blitz degli autonomi: ma neanche i nomadi li stanno ad ascoltare
di Enrico Silvestri I no global provano a sfondare i cordoni della polizia.
Poi chiedono ai rom un incontro al Torchiera: disertato
Anche ieri Triboniano è finito sotto assedio, causa Centri sociali in missione
di agit-prop al campo nomadi dove volevano organizzare una assemblea. Ma si sono
trovati davanti a un massiccio schieramento di agenti che li ha respinti al
mittente. Di peso. Qualcuno s’era infatti sdraiato a terra ed è stato sollevato
e portato via a braccia. Dopo un lungo conciliabolo è stato deciso un incontro
al vicino Centro sociale Torchiera. A cui i nomadi, si sono ben guardati dal
partecipare.
Dopo i violenti scontri di giovedì dunque, da tre giorni sembra essere tornata
la calma allo storico campo nomadi, passato dall’abusivismo selvaggio a una
parvenza di legalità. Da anni infatti in quell’area dietro il cimitero maggiore
si erano accampati zingari e profughi vari dai Balcani. Arrivati in certi
momenti fino a mille. Creando una zona franca, fuori da ogni controllo. Poi nel
2007 il patto di legalità: il Comune organizzava condizioni minime di
vivibilità, allacciamenti di acqua, luce, fogne, ma dentro ci sarebbero finiti
solo i regolari, incensurati e che mandavano i figli a scuola. E nel momento di
trasferimento dal campo abusivo, gli esclusi scatenarono scontri feroci, con
incendi, sassaiole e bambini branditi a mo’ di clava.
Poi la situazione si avviò alla normalità, anche se non sono mancati in questi
anni i momenti di tensione. L’ultimo la settimana scorsa quando lo sgombero di
una famiglia proprietaria di una casa finì in tafferugli. Una tensione destinata
a salire. Sul campo ballerebbe infatti uno sgombero da effettuare entro il 30
giugno, perché quell’area è interessata a lavori per l’Expò. Giovedì un gruppo
di rom si apprestava a marciare verso Palazzo Marino per chiedere quali fossero
le intenzioni della Giunta, trovando la strada sbarrata dalle forze dell’ordine.
Subito bersagliate da una fitta sassaiola. Gli agenti hanno risposto serrando i
ranghi e ricacciato i nomadi dentro il campo.
In quella, come in tutte le altre occasioni, però non erano mancati i
«suggerimenti» di alcuni esponenti dell’area antagonista, in particolare gli
«Antirazzisti milanesi» di Fabio Zerbini che anche ieri alle 15 si sono
presentati in Triboniano per riprendere la loro azione di «agitazione e
propaganda». Venendo rimbalzati da polizia e carabinieri, che ne hanno alzati
diversi di peso, portati a 500 metri di distanza e mollati in mezzo alla strada,
dove sono rimasti guardati a vista. Ma subito dopo anche dagli stessi rom. Non
essendo possibile entrare al campo, i nomadi venivano invitati ad un incontro al
Torchiera. «Si, si ora veniamo» hanno risposto. Senza poi farsi vedere.
Preferendo rimanere sulle verande dello loro roulotte a fumare e chiacchierare.
E verso le 19, dopo quattro ore di attesa sotto un sole cocente, gli
«antirazzisti» se ne sono andati delusi. Cacciati alla fin fine non dalla
polizia, ma dal «2 di picche» rimediato dagli zingari.
Lascio a voi decidere chi mente e perché, a questo punto
riporto un'ulteriore lunga mail di stamattina del gruppo EveryOne
Triboniano: dobbiamo recuperare fiducia e umanità
Milano, 24 maggio 2010. Ieri pomeriggio, dalle 15, alcuni operatori umanitari,
difensori dei Diritti Umani ed esponenti del movimenti di critica globale hanno
trascorso alcune ore nei pressi dell'insediamento. Era previsto un incontro fra
il Comitato Antirazzista Milanese, che da tempo offre il suo sostegno ai Rom di
via Triboniano, ed altre ong, fra cui il Gruppo EveryOne. Dopo i recenti
scontri, la questura però ha impedito lo svolgersi dell'assemblea all'interno
del campo, considerata anche la presenza di bambini e persone malate. L'ingresso
dell'insediamento è stato bloccato da un cordone di agenti, ma è stato possibile
durante tutto il pomeriggio un dialogo con i rappresentanti delle forze
dell'ordine. Alcuni attivisti si sono opposti alle operazioni di blocco
dell'accesso al Triboniano attuando una resistenza nonviolenta, che hanno
proseguito di fronte all'invito da parte degli agenti ad allontanarsi fino a una
distanza di circa 200 metri dall'entrata. Gli attivisti, dietro disposizione del
funzionario di polizia che coordinava le operazioni, sono stati spostati a
braccia - per amor del vero senza alcuna brutalità - dagli agenti. Roberto
Malini, Dario Picciau e Steed Gamero di EveryOne hanno intrattenuto un dialogo
sereno con il funzionario della polizia di Stato, finalizzato ad evitare
qualsiasi tensione e a prevenire, grazie al confronto di esperienze, futuri
tumulti. "Da parte mia," ha detto nel corso della conversazione il funzionario,
"mi rendo perfettamente conto che il problema di questo insediamento è la
povertà delle famiglie che vi abitano. I Rom chiedono l'elemosina e commettono
qualche furto, ma a volte mi chiedo: e se fossi io a trovarmi, con moglie e
figli, nelle loro condizioni, come mi comporterei? E' vitale aiutare queste
famiglie, che hanno tanti bambini, ad inserirsi. Se potessero vivere in
appartamenti e i loro giovani potessero pensare solo a studiare e non a lottare
per sopravvivere, avremmo risolto gran parte di questa emergenza".
Non vi era alcuna ostilità, negli sguardi dagli agenti, molti dei quali assai
giovani. "Quel ragazzino sembra il mio fratellino," esclamava un poliziotto
indicando un monello Rom dagli occhi chiari e vivacissimi. Un clima umano, in
cui gli attori di un dramma metropolitano che dura da troppo tempo riuscivano,
anche grazie alla presenza di alcuni operatori sociali che seguono da tre anni i
bambini e gli adolescenti del campo, a guardarsi negli occhi senza inimicizia.
Questa era l'aria che si avvertiva ieri al Triboniano, dove qualcuno, è vero,
ipotizzava nuovi scontri e nuove barricate, ma dove è ora tempo di riflettere
per ritrovare la via del dialogo e della solidarietà. "Il nostro Gruppo rispetta
le scelte effettuate da alcuni Rom del Triboniano," commentano gli attivisti di
EveryOne, "ma sta cercando di promuovere il recupero di un clima sereno, perché
si formi una piattaforma di fiducia reciproca da cui ricominciare. E' evidente
che il progetto del Comune di sbarazzarsi di 600 persone Rom, con tanti bambini
e malati, senza attuare tutte le procedure di sostegno sociale necessarie è un
progetto disumano, che porterà solo nuova violenza e intolleranza. Sfrattare
famiglie inermi con i più disparati pretesti, essere causa di drammi umanitari
senza via di uscita, instillare odio nei giovani Rom contro la nostra città e il
nostro Paese è una politica palesemente sbagliata, come dimostrano tutte le
persecuzioni etniche nella Storia. E' altrettanto evidente che proseguire in una
lotta senza quartiere - anche se è comprensibile e giustificato persino dalla
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che sancisce la liceità della
ribellione di fronte all'emergenza sociale - è una strada pericolosa e lontana
dalle migliori esperienze nel campo della difesa dei Diritti Umani. I Rom sono
un popolo, non una classe sociale, e ognuno di loro ha gli stessi obiettivi di
tutti gli altri cittadini: essere felici, avere una famiglia, svolgere un lavoro
soddisfacente, godere della libertà e dei beni che offre la vita".
Anche qualora si ritenga necessario proseguire con gli squilli di rivolta, vi
sono numerosi operatori sociali e difensori dei Diritti Umani convinti che non
esista via di uscita se non si prosegue contemporaneamente ogni possibile
tentativo di dialogo con le Istituzioni e con tutte le componenti della
struttura sociale, politica e umanitaria della città, del Paese e delle realtà
oltre i nostri confini.
"Il popolo Rom pone i bambini e le donne in cima ai valori da difendere,"
prosegue EveryOne. "Ad Auschwitz, dove le famiglie Rom e Sinte potevano restare
unite in attesa delle camere a gas, migliaia di genitori morirono di stenti,
perché rinunciavano al poco cibo disponibile per nutrire i loro bambini. Nel
campo del Triboniano, durante gli scontri, bambini e donne si sono posti in
prima fila, armati di sassi e bastoni, come prevedono certe tecniche di
guerriglia o resistenza violenta. Ripetiamo che, di fronte alla persecuzione,
non possono essere considerate illegittime, tuttavia snaturano la cultura di
pace che da ottocento anni caratterizza i Rom e i Sinti in Europa, tanto che gli
anziani di questi popoli affermano con fierezza di essere 'l'unico popolo al
mondo che non ha mai fatto guerre'. Non è una debolezza, ma una straordinaria
virtù di questa gente. Non togliamola loro, neanche per una causa che riteniamo
giusta. Non rendiamo i Rom siimili ai loro aguzzini".
Verso le 19.30m i Rom hanno tenuto una riunione all'interno del campo,
manifestando timore per il futuro. Gli operatori umanitari e i difensori dei
Diritti Umani non hanno potuto incontrare i capifamiglia, per una decisione che
nasce da precedenti opzioni e che gli attivisti presenti vicino al campo hanno
responsabilmente accettato. "Abbiamo tuttavia parlato con alcuni giovani Rom,"
conclude EveryOne, "che si augurano di vivere in pace il prima possibile. Non
chiedono la luna, ma solo un posto dove vivere, una sicurezza minima da cui
partire per trovare un lavoro e avere la possibilità di provvedere alle
famiglie. Si sentono traditi da tante promesse e hanno assistito all'espulsione
di tanti loro fratelli, colpevoli di aver ospitato parenti 'non autorizzati' o
di possedere un rudere inabitabile, definito 'appartamento' da persone in
cattiva fede. Si sentono diversi dagli altri cittadini, perché devono obbedire a
un regolamento speciale, pieno di norme che non toccano gli altri. Anche un cane
può ricevere la visita di un suo simile, ma i Rom del Triboniano no. Se lo fanno
e non sono 'autorizzati', vengono messi in mezzo alla strada, condannati al
randagismo. Se vogliamo, unendo le forze di tutte le persone di buona volontà,
recuperare la fiducia dei Rom e contemporaneamente la nostra umanità, dobbiamo
stracciare le regole e gli inganni del passato e ripartire dalla solidarietà. In
caso contrario, avremo perso tutti. Avremo perso tutto".
Contatti:
Gruppo EveryOne
+39 393 4010237 :: 39 331 3585406
info@everyonegroup.com ::
www.everyonegroup.com
La Federazione romanì tra tanto altro si è posta l'obiettivo di promuovere una politica per la cultura romanì e di riconoscere e valorizzare le professionalità romanì con la finalità di diffondere la conoscenza della cultura e della lingua romanès o romanì chib.
Dal mese di settembre 2010 prenderà il via il primo corso di lingua romanès standard, oggi la Federazione romanì comunica l'avvio di un progetto editoriale “O romanò gi” (l'anima romanì), saggi di letteratura romanì, anche strumento pedagogico del corso di lingua.
Un’opera che vuole essere anche un’antologia letteraria e un valido strumento educativo e divulgativo.
Tanti hanno letto, commentato ed analizzato le opere di autori Rom, Sinti, Kale, Manouches e Romanichals viventi e non, e da questo lavoro di studio ed analisi sono nati dei saggi critici riguardanti la letteratura romaní.
Si tratta di un analisi sui testi in lingua romanì nei diversi dialetti in cui si ramifica la romanì chib, la lingua romanì o romanès, la lingua di tutte le comunità appartenenti alla popolazione romanì, una popolazione indo-ariana che treae origine dalle regioni a Nord-Ovest dell’India (Punjab, Rajasthan, Valle del Sindh, Pakisthan).
Il progetto editoriale “O romanò gi” porta all'attenzione del lettore i commenti, le analisi, le critiche delle opere di autori rom, sinti, kalè, manouches, romanichels viventi e non.
Un progetto editoriale ambizioso, originale ed innovativo per la diffusione della conoscenza della cultura e la lingua romanì.
Un progetto editoriale dal costo sostenibile per la sua realizzazione, avendo già raccolto e sistemato il materiale, e che vogliamo realizzare con il sostegno volontario di tutti coloro che credono nell'interculturalità.
I sostenitori di questo progetto editoriale saranno mensionati nell'operra, che riceveranno in omaggio. Contributi a sostegno di questa iniziativa possono essere inviati al codice IBAN: IT 20 O 05387 03204 000001892874 intestato a Federazione romanì, causale: Progetto editoriale. Per informazioni inviare email a: federazioneromani@libero.it
La letteratura romanì
La letteratura romaní, in modo particolare la poesia, è piena di singolari bellezze primitive, di delicato calore umano, di rara fantasia selvaggia che non si può misurare in nessun altro metro se non nella lingua romaní stessa.
La letteratura romaní è lo specchio fedelissimo del sentimento di un popolo oppresso nell'anima la cui voce si eleva al cielo per chiedere giustizia.
Le diverse varianti della stessa lingua rappresentano la ricchezza culturale di un popolo che ha saputo conservare, nel tempo e nello spazio, i suoi tratti essenziali traendo linfa dall’ambiente circostanze e dagli scambi artistici, culturali e linguistici con i popoli che via via ha incontrato lungo il viaggio dalle regioni indiane fino all’Occidente passando per la Persia, l’Armenia e l’Impero Bizantino e attraverso le disumane deportazioni con i popoli delle Americhe e dell’ Australia.
Questi saggi permettono di penetrare “ O Romano Gi”, l’anima dei Rom, Sinti, Kale, Manouches e Romanichals, i cinque grandi gruppi che con le loro infinite comunità costituiscono di fatto la nazione romanì senza Stato e senza territorio dove i confini sono rappresentati proprio dall’estensione sui cinque Continenti della lingua romanì.
La letteratura romaní nasce in Serbia grazie a Gina Ranij©i© (nata verso il 1830), le cui poesie furono raccolte nel libro Canti Zingari pubblicato in Svezia nel 1864. È una voce isolata.
Nell’Unione Sovietica nel 1925, nasce invece un vero e proprio movimento letterario romanò: si iniziò la pubblicazione del periodico Nevo Drom (nuovo cammino) in lingua romaní da parte di un gruppo di Rom russi che si erano riuniti in una associazione. Sempre in Unione Sovietica nel 1931 fu fondato a Mosca il celebre teatro Romen, tutt’ora esistente, grazie a Anatole Vasilievi© Luna©arskij, inaugurato con un’opera di Alexandr Vie©eslavovi© Germano (1893-1956), il precursore della letteratura romaní in Russia.
Bronislawa Wajs detta “Papùshka” è una figura mitica nel moderno panorama letterario romanó.
Nacque in Polonia nel 1910 in una famiglia girovaga.
Papùshka rappresenta per la letteratura romaní quello che il grande Django (Jean Baptiste Reinhardt) rappresenta per la musica: un’artista autodidatta straordinariamente geniale, capace di lasciare agli uomini un’enorme ricchezza umana e culturale, prima che artistica.
Papùshka fu una grande risorsa di forza e di speranza per i Rom durante la II° guerra Mondiale. Profondamente toccante è la poesia “Lacrime di Sangue” composta per le vittime del folle genocidio romanó ad opera dei nazi-fascisti.
Le sue opere, racchiuse in una trentina di collezioni, furono raccolte e pubblicate per la prima volta nel 1956 col titolo Canto di Papùshka dallo scrittore polacco Jerzy Ficowski in versione bilingue Romaní-Polacco.
La sua produzione artistica è essenzialmente legata alla sua esistenza e al legame con la natura, alla sua romanipé.
Il suo pensiero fu originariamente interpolato e manipolato da Ficowski tanto che fu isolata dalla sua comunità. Delusa e amareggiata, Papùshka brucishk parte dei suoi componimenti letterari.
Visse gli ultimi anni di vita malata e sola, morì nel febbraio del 1987. Dalla sua storia personale lo scrittore Colum McCann ha tratto ispirazione per il romanzo Zoli edito in Italia dalla Rizzoli nel 2007.
John Bunyan (1618-1688) è autore del famoso The Pilgrim's Progress, un classico della letteratura inglese ed era un Romanichal.
La grande produzione letteraria romaní trova il suo pieno sviluppo soprattutto nella seconda metà del novecento e, in particolar modo, negli ultimi trent’anni grazie alla produzione letteraria di autori con una statura artistica internazionale come: Slobodan Berberski (1919-1989) autore di una decina di raccolte, Rajko Diuri© (di origine serba, oggi vive in Germania), Joseph Daroczy detto “Choli” (Ungheria), Nagy Gustav (Ungheria), Bari Karoly (Ungheria), Leksa Manushk, al secolo Alexandr Belugin (Russia, 1942-1997), Matéo Maximoff (Francia, 1917-1999), Veijo Baltzar (Finlandia), Alija Krasnici (Kossovo), Jorge F. Bernal detto “Lòlo” (Argentina), Jimmie Storey (Australia), Lumini†a Mihai Cioabæ (Romania), Margarita Reisnerovà (originaria della Repubblica Ceca, oggi vive in Belgio), Rostas-Farkas György (Ungheria).
In Italia ricordiamo Santino Spinelli, Olimpio Cari, Nada Braidich, Paola Schöps, Bruno Morelli, Spatzo Vittorio Mayer Pasquali, Giulia Di Rocco, Demir Mustafa e lo scomparso Rasim Sejdi© di origine serba (1943-1981), ecc.
L’uso scritto della lingua romaní, tramandato per dieci secoli e fino a pochi decenni fa solo oralmente, è un dato importante: la forte e sicura presa di coscienza porta gli scrittori Rom, Sinti, Manouches, Romanichals e Kalé a cercare il posto che gli compete nelle moderne società rifiutando lo storico e riduttivo ruolo di “liberi emarginati”, quale riflesso delle politiche di annientamento della cultura romaní.
Sono loro i pionieri eroici della possibilità di esistere senza dover essere né assimilati, né emarginati, ma soggetti attivi e liberi di esprimere le proprie specificità culturali in seno alle società ospitanti.
Lo scrittore romanó si affaccia sulla pagina a specchiarsi ed è proprio il netto contrasto fra le immagini negative stereotipate esterne e la propria interiorità che provoca incertezza e sbalordimento, ma al tempo stesso determina una maggiore presa di coscienza della propria identità.
E l’ostinata ricerca d’identità è al tempo stesso ricerca di una mitologia romaní.
Allo specchio della pagina gli stessi letterati chiedono di più di un fedele riflesso.
Su di essa si affacciano desideri inespressi, preghiere, incantesimi, volontà di partecipazione che trovano realizzazione nella parola.
Ogni pagina, ogni poesia è un diario, una trascrizione di vita, un’epitome di esperienze vissute.
Pur nelle loro differenze stilistiche e contenutistiche nella letteratura romanì si possono rimarcare delle caratteristiche costanti come:
- l’immediatezza, dovuta alla necessità di stabilire un punto di contatto con gli altri per comunicare;
- l’essenzialità del linguaggio, per essere sicuri di non essere fraintesi e per eliminare la frustrazione di non essere capiti;
- la spontaneità, per sottolineare le proprie buone intenzioni;
- la semplicità, in cui si riflette la desolazione della realtà circostante e il proprio sereno distacco;
- l’uso di ritmi e musicalità, dovuti all’esigenza di rilevare un’emozione direttamente.
Le opere romanès paiono dar luogo ad una lunga ed ordinaria conversazione per rompere il mortale silenzio, per scacciare la solitudine causata dalla mancanza di comunicazione.
Sono prodotti artistici vivi, genuini, spontanei con una profonda considerazione dei valori umani, soprattutto l’amore per la vita è grande nonostante le sofferenze e le incomprensioni.
I temi sono quelli che riguardano l’uomo universalmente, come ad indicare che esiste un solo essere, quello umano, seppur con tante diverse culture.
Sono temi che vanno dal dolore del vivere all’amore, alla famiglia, dalla relazione con il Gagio (non Rom), alla condizione femminile, dall’emarginazione alla festa religiosa passando attraverso una ricca simbologia, come l’albero, il bosco, l’uccello, la pioggia, le stelle. L’albero è simbolo della vita, di fertilità. Il ©iriklò (l’uccello) è l’anima del poeta, la gioventù, il viaggio, la libertà. Il bosco rappresenta la sicurezza, la famiglia, la creatività.
La pioggia è simbolo di pensieri e di emozioni nascosti.
Le stelle rappresentano il subconscio, ma anche un barlume di luce in un mondo ottuso e oscuro.
La ricchezza della cultura romaní consiste proprio nella multipla capacità di espressione e nelle varianti linguistiche maturate in differenti regioni del mondo che esprimono la medesima comune sensibilità in sfumature prismatiche.
La letteratura romaní, in modo particolare la poesia, è piena di singolari bellezze primitive, di delicato calore umano, di rara fantasia selvaggia che non si pushk misurare in nessun altro metro se non nella lingua romaní stessa.
L'anelito supremo ad armonizzarsi e ad identificarsi con la natura libera il poeta da qualsiasi asservilismo materialistico riportando così l'animo umano al candore primitivo.
Ogni membro appartenente alla comunità romaní è figlio del dolore e dell’incomprensione, ogni poeta è cantore della sofferenza, ogni canto è un intenso lamento però mai disgiunto dalla speranza.
Forte è nel popolo romanó il senso del riscatto e della ribellione, dell'amore e della pace, della fratellanza e della libertà.
Neanche la morte è vista con orrore, ma piuttosto come un mezzo per esorcizzare gli eventi della vita.
La letteratura romaní è lo specchio fedelissimo del sentimento di un popolo oppresso nell'anima la cui voce si eleva al cielo per chiedere giustizia.
Federazione romani – il presidente Nazzareno Guarnieri
Federazione romanì sede legale: Via Altavilla Irpina n. 34 – 00177 ROMA codice fiscale 97322590585 - tel. E fax 0664829795 email: federazioneromani@libero.it Web: http://federazioneromani.wordpress.com Presidenza 3277393570 - Coordinamento 3331486005 - Segreteria 3483915709
Di Fabrizio (del 24/05/2010 @ 09:35:49, in casa, visitato 1634 volte)
Da
Hungarian_Roma
immagine tratta da
fn.hu
Cari amici,
- Tenendo conto che è passato oltre un anno dall'ondata di omicidi contro
i Rom in Ungheria e niente è stato fatto per i parenti delle vittime,
- Testimoniando il loro dolore quotidiano e le difficoltà,
- Sapendo che mai hanno ricevuto un aiuto psicologico professionale,
Abbiamo dato inizio ad un'azione di solidarietà civile!
Le famiglie delle vittime devono vivere in case semi-distrutte che hanno
visto l'assassinio a sangue freddo dei loro cari ...
Così abbiamo deciso di costruire nuove case per loro, per rendere le loro
vite sopportabili.
Adesso stiamo ricostruendo la casa della famiglia del piccolo Robert Csorba a
Tatárszentgyörgy.
L'azione di ricostruzione [...] è partita dal 16 marzo a Tatárszentgyörgy.
L'organizzazione tedesca Verband Deutscher Sinti und Roma, i volontari
internazionali di International Bau Orden (IBO) e l'associazione Rom
Indipendente Phralipe di Budapest stanno progredendo rapidamente nella
ricostruzione della casa della famiglia Csorba. Sono state rimpiazzate porte e
finestre, è stato dato il cemento ai muri per l'isolamento.
Ma c'è ancora molto da fare ed abbiamo bisogno del vostro aiuto.
Abbiamo aperto un conto bancario apposito per ricevere le vostre donazioni:
Phralipe Független Cigány Szervezet (1084 Budapest, Tavaszmező 6.) OTP Bank IBAN – HU56-11706016- 20825070-00000000 SWIFT: OTPVHUHB
Vi saremmo anche grati per donazioni di materiale edile o per la
partecipazione volontaria diretta!
La prossima tranche di lavori partirà a luglio.
Agite, donate, unitevi a noi! Facciamolo assieme! Ricostruiamo un senso di
speranza in Ungheria!
SOLO LA SOLIDARIETA' PUO' ALLEVIARE IL DISPIACERE!
Ágnes Daróczi
Phralipe
daroczia@mmikl.hu
+36 30 21 27 521
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