In attesa dell'incontro di stasera con
Paul Polansky, ecco un suo articolo su
Sagarana.net.
La segnalazione è di Alessandra Meloni
Da quasi quindici anni vivo con gli Zingari Rom dell'Europa orientale per
mettere insieme le loro storie orali. Ho vissuto con loro anche in qualità di
poeta, romanziere e attivista per i diritti umani. Ma recentemente la maggior
parte della mia vita è stata impegnata a registrare le loro storie, tradizioni e
costumi.
Ho iniziato a mettere insieme le loro storie quasi per caso dopo aver scoperto
in un archivio ceco, 40 mila documenti su un campo di sterminio per zingari
esistente nel sud della Boemia durante la seconda guerra mondiale. Dal momento
che il campo era stato costruito e gestito da cechi, il governo stava ancora
cercando di occultare ciò che era accaduto lì nel 1942-1943, sostenendo che non
c'erano sopravvissuti. Anche il Presidente Havel in persona disse che non
c'erano sopravvissuti, anche se io scoprii successivamente che in molti gli
avevano scritto per avere il suo aiuto nel rivendicare il diritto ad una
indennità. Quindi queste furono le prime storie orali che raccolsi sui Rom, più
di cento dopo un anno trascorso a cercare e trovar sopravvissuti.
Negli ultimi dieci anni ho vissuto in Kosovo e Serbia, come capo della
delegazione per la Society for Threatened Peoples. In quel periodo ho filmato
più di 200 interviste ai Rom in tutte le repubbliche della ex Yugoslavia. Da
questo progetto di tre anni sono risultati tre volumi (1,553 pagine), il cui
titolo è “ONE BLOOD, ONE FLAME: the oral histories of the Yugoslav Gypsies
before, during and after WWII.”
Di recente, mi sono recato in Bulgaria per intervistare dei vecchi Rom ed
espandere così le mie ricerche nei Balcani. Mi sono concentrato in particolare
sugli insediamenti dei Rom sulle montagne lungo il confine con la Grecia. Fino a
30 anni fa quella era un'area in cui molti zingari viaggiavano ancora con
cavalli ed carri, vivendo in tende, spostandosi di villaggio in villaggio per
vendere i loro prodotti tradizionali, coma cesti, calderoni, cucchiai di legno,
ed ombrelli fissi.
Mi sono anche interessato ai Rom che vivono nelle vicinanze di montagne
innevate, perché molti dei primi insediamenti di zingari in Europa erano di
fronte a cime innevate: dal monte Ararat nella Turchia orientale a Granada nella
Spagna meridionale. Come affermano molti antropologi specializzati in
migrazioni, i pionieri trovano quasi sempre una terra che ricordi il loro paese
d'origine.
La maggior parte delle persone sbaglia pensando che gli zingari siano nomadi. La
maggior parte di loro non è mai stata costantemente in viaggio. La maggior arte
di loro viaggiava nei mesi estivi per vendere gli oggetti che facevano durante
l'inverno a casa. Dalla primavera inoltrata fino all'inizio dell'autunno,
viaggiavano di mercato in mercato per vendere cesti di giunchi, ferri di
cavallo, briglie, setacci e tamburelli. Altri zingari viaggiavano nello stesso
periodo in cerca di lavori stagionali nei campi: piantare, zappare e fare il
raccolto.
Una delle migliori storie che ho messo insieme sui Rom che vivono in abitazioni
fisse è la leggenda del serpente domestico. Per molti anni ho creduto che solo i
rom kosovari credessero in questo mito. Ma nell'ampliare il mio progetto sulle
storie orali dalla ex Yugoslavia all'Albania, alla Grecia e alla Turchia, ho
scoperto che la maggior parte dei Rom crede ancora di avere un serpente che vive
nelle fondamenta delle case e che protegge la famiglia.
Alcuni dicevano che il serpente era tutto nero, altri che aveva la pancia
bianca. Alcuni lo chiamavano il Figlio di Dio, altri il Figlio della Casa.
Alcuni pensavano che ogni notte uscisse e strisciasse su tutte le persone che
dormivano in casa per proteggerle e portar loro fortuna. Molte di queste storie
sul serpente domestico differivano per alcuni dettagli, ma tutte concordavano su
una cosa: se il serpente domestico fosse stato ammazzato, qualcuno della
famiglia sarebbe morto e per molti anni ci sarebbe stata sfortuna.
Tutti gli zingari che ho intervistato sulle montagne in Bulgaria ancora
credevano nel serpente domestico; e ciascuno di loro aveva una storia da
raccontare su qualcuno che era morto perché un membro della sua famiglia aveva
ammazzato il serpente domestico.
Senza dubbio questa leggenda viene dall'antica India, dove, in molte aree,
vedere un serpente è ancora considerato di buon auspicio. I serpenti uccidono i
parassiti; i parassiti portano malattie; le malattie uccidono. Per cui se uccidi
il tuo serpente domestico, qualcuno nella tua famiglia potrebbe morire di
colera. Ma a mio avviso l'aspetto più importante di questa tradizione è che essa
ci rivela che gli zingari vivevano in abitazioni prima della grande diaspora. I
nomadi che per tutto l'anno vivono in tende non hanno un serpente che vive nelle
fondamenta domestiche.
Durante il mio recente viaggio in Bulgaria, è stato eccitante per me scoprire
che le famiglie Bulgare da noi intervistate (o almeno i loro antenati)
utilizzavano ancora gi stessi rimedi fatti in casa per curare le malattie. Il
più comune rimedio fatto in casa dai Rom bulgari consisteva nel mettere un
topolino appena nato in una bottiglia di acqua e poi, dopo diversi giorni,
utilizzare quest'acqua, poche gocce alla volta, per curare il mal d'orecchi,
specialmente nei bambini. I Rom kosovari, d'altro canto, mettono un topolino in
una bottiglia di olio, ma non usano quest'olio finché il topo non si è
completamente decomposto, il che a volte avviene anche dopo un anno. Ma tutte le
nonne hanno giurato sul sole che la medicina del topolino, come cura per il mal
d'orecchi, era migliore di qualunque altro prodotto farmaceutico usato oggi.
A proposito del Sole, esso è sempre stato uno degli argomenti che affronto
quando intervisto gli zingari. Soprattutto sulle montagne della Bulgaria, ogni
volta che parlavo di religione, ottenevo la stessa risposta: “Noi crediamo al
Sole e a Dio.”
Da diversi anni porto avanti l'idea che gli zingari fossero originari di due
aree diverse, prima di unirsi. Un'area, come ho già detto, deve essere stata una
terra vicino ad una qualche cima innevata. L'altra zona deve essere stata dove
veniva adorato il sole.
All'inizio del secolo scorso, sulla rivista della Gypsy Lore Society in Gran
Bretagna, fu pubblicato un articolo di una pagina di un missionario cristiano a
cui era stato chiesto di trovare zingari in quest'area e chiedere loro da dove
provenissero originariamente. Questo missionario, che lavorava nella Turchia
orientale, disse che gli zingari da lui trovati si autodefinivano Dum. Alcuni
dissero di provenire dalla Cina, altri dal piccolo Egitto.
Nessuno aveva mai menzionato la Cina in precedenza come luogo di origine degli
zingari, mentre il piccolo Egitto era già storia conosciuta. Nel 15° secolo,
quando bande di zingari stavano già viaggiando per l'Europa centrale e
occidentale, i loro capi dicevano di provenire dal Piccolo Egitto. Perciò essi
furono chiamati (ed in molte zone vengono tuttora chiamati) Egyptians (egiziani)
o Gypsies (zingari).
Ma dove si trovava il piccolo Egitto? Dalle mie ricerche ho ragione di credere
che si trattasse di Multan, l'antica capitale del Punjab, dove per tre secoli,
all'incirca dal 950 al 1250, gli esiliati egiziani musulmani governarono la
città. Infatti a quei tempi, i gruppi consistenti di esiliati erano soliti
chiamare la loro nuova terra dal nome del loro vecchio paese; di qui Piccolo
Egitto.
Ma Multan a quel tempo aveva anche il più famoso tempio del Sole in India, che
attirava non solo pellegrini da ogni parte del sub-continente, ma anche orde di
accattoni e venditori ambulanti. Nel 985 gli egiziani del luogo (che erano
fondamentalisti islamici rigidi) distrussero il tempio del Sole, scacciando
tutti i mendicanti e i venditori ambulanti e chiunque adorasse il Sole. E questo
avvenne più o meno in contemporanea col periodo in cui, secondo gli studiosi,
gli zingari avrebbero iniziato la loro diaspora dall'India antica.
Il primo scalo dopo aver lasciato l'India fu Kabul, Afghanistan, dove ancora
oggi la maggior parte degli zingari qui stanziati (ed anche in Asia, Armenia e
Georgia) vengono chiamati Moultani.
Oggi la maggior parte dei Rom in Kosovo e sulle montagne della Bulgaria sono
musulmani e giurano sul Corano. Ma tutti ammettono di giurare anche sul Sole di
tanto in tanto, come facevano i loro antenati.
E' risaputo che la maggioranza dei Rom adotta la religione professata nell'area
in cui si stabiliscono. Pertanto, quelli stanziatisi in un paese cattolico di
solito diventano cattolici, mentre quelli stanziatisi in un paese musulmano
giurano fedeltà all'Islam. I primi zingari arrivati nei Balcani diventarono
ortodossi.
Sebbene i Rom non abbiano una storia scritta, molti ancora ricordano le storie
che raccontavano i loro antenati. Un vecchio Rom kosovaro disse che suo nonno
gli aveva detto che quando i Rom lasciarono la terra natia (non sapeva dove
questa fosse), erano buddisti. Avevano viaggiato verso ovest, in cerca di
lavoro. Quando erano arrivati in Armenia, era stato offerto loro un lavoro nei
Balcani, ma prima si sarebbero dovuti convertire al cristianesimo. Dovevano
diventare ortodossi.
Credo che il primo documento in cui vengono menzionati gli zingari nei Balcani
provenga da un monastero sul monte Athos. Guardando tutti quei monasteri
arroccati sui fianchi dei precipizi, si capisce come sia stato necessario
utilizzare parecchia manodopera importata per costruirli. Ma in tutta l'area
balcanica, specialmente in Bulgaria, Macedonia e Serbia, laddove ho trovato un
monastero risalente al periodo tra l'11° e il 14° secolo, ho sempre scoperto che
la comunità più vicina era un insediamento di zingari. A volte restano solo
poche abitazioni, ma altre volte ci trovo una grossa comunità. I vecchi Rom in
una comunità mi dissero che, secondo la loro tradizione orale, i loro antenati
erano stati portati come schiavi per costruire i monasteri del luogo.
Successivamente, dopo l'arrivo dei turchi, i loro antenati si erano convertiti
all'Islam. Alcuni avevano sentito dire che i loro antenati erano cristiani.
Eppure ancora oggi essi giurano sul Sole.
E per quanto riguarda i riferimenti alla Cina? I Rom sicuramente non presentano
le tipiche caratteristiche dei cinesi, sebbene io debba ammettere che in alcune
rare occasioni mi sono imbattuto in dei Rom che avevano gli occhi decisamente a
mandorla e gli zigomi piuttosto alti.
In realtà avevo scordato quel riferimento alla Cina durante una intervista,
nella Turchia orientale, ad un quartiere di zingari che si rifiutavano di
ammettere che erano zingari o Rom. La persona che me li aveva presentati disse
che in Turchia era una infamia essere conosciuti come zingari, perciò queste
persone si autodefinivano “musicisti per i matrimoni”.
Successivamente, dopo che il mio assistente – un Rom kosovaro-ebbe suonato le
percussioni con loro e che si furono convinti che appartenevano allo stesso
popolo, iniziammo a confrontare la loro lingua e quella dei Rom kosovari.
Sebbene le due lingue fossero sostanzialmente diverse, molte parole erano
identiche al punto che entrambi decisero che i rispettivi antenati dovevano aver
parlato la stessa “lingua segreta”. Quindi chiesi loro come si chiamasse questa
loro lingua segreta. Ed essi dissero il Domaaki.
Non ho mai pensato molto al nome con cui chiamavano la loro lingua segreta fin
quando non ho fatto una ricerca su internet. Ragazzi, che sorpresa! Il Domaaki è
la lingua parlata dalla casta bassa di musicisti e fabbri nella valle di Hunza
nel nord del Pakistan (India antica). La valle di Hunza confina con la Cina e da
parecchi punti della valle di Hunza si ha una bella vista sull'Himalaya
innevato. L'area era un tempo una roccaforte della religione buddista.
In Bulgaria, passando in macchina attraverso le montagne da Yakoruda verso
Razlog, c'è una striscia di terra con rigogliosi campi verdi sotto le
torreggianti cime innevate dei monti Pirini. Non lontano si trova Rila, il più
famoso monastero in Bulgaria, costruito originariamente nel 927 e poi
ricostruito nel 1335. A badare al campo ed a raccogliere patate vedemmo le
stesse facce scure che oggi si vedono nelle foto di Hunza e del vicino Kashmir.
Ad ogni modo, fu sempre sulle montagne bulgare che trovai degli zingari che
ancora credevano ai vampiri. Nell'India antica molte caste basse credevano che i
“mulos” (zingari morti) tornassero per importunarli e perseguitarli. Una volta
arrivati nei Balcani, quella superstizione indiana si adattava così bene alle
locali storie di vampiri che oggi esse sono diventate interscambiabili.
Paradossalmente, oggi molti zingari balcanici diranno che non credono nella
chiromanzia o nella magia nera (sebbene molti Rom kosovari lo facciano ancora).
Ma quando si parla di credere ai vampiri, la maggior parte dei Rom adulti
giurano sugli occhi dei loro figli che hanno visto un vampiro. Una donna a
Peshtera, Bulgaria, ci disse che una notte, tornando da un altro villaggio in
cui si era recata per vendere cesti, un uomo iniziò a camminarle accanto. Non la
toccò, ma un momento era un uomo, subito dopo era un cane, poi una mucca. La
donna era sicura che fosse un vampiro: non le aveva fatto nulla, ma lei si era
spaventata molto.
Un'altra Rom, a Septemvri, Bulgaria, ci disse di aver conosciuto un uomo una
volta. Si chiamava Teke Babos ed era un vampiro. Lei lo aveva visto un anno dopo
che era morto. Era molto alto ed indossava scarpe nere ed una giacca nera. Aveva
un frustino in mano. Le unghie erano molto lunghe. Lei lo vedeva solo se era da
sola, e solo da mezzanotte alle 4 del mattino. Anche stavolta, lui non le aveva
fatto nulla. Ma molte storie che ho sentito nel corso degli anni sono piene di
sangue e ferite.
Sebbene molte delle tradizioni originarie dell'India antica siano andate
perdute, ce ne sono ancora abbastanza per identificare le tribù e le caste
d'origine di molti Rom. Oggi la maggior parte della gente crede che i Rom siano
tutti uguali. Ma non lo sono. Se c'è una tradizione generale che gli zingari
hanno mantenuto dall' antica India, è quella relativa all'identità delle tribù e
delle caste. Nei Balcani ci sono più di 50 gruppi diversi di zingari. Sebbene
essi possano avere tradizioni affini e parlare lingue simili, la maggior parte
sa di non essere uguale agli altri e non vi sono matrimoni misti né rapporti.
Secondo il vecchio sistema indiano delle caste, essi si identificano dalla
professione ereditata dai loro antenati. Il nome del gruppo è di solito il nome
indiano della casta tradotto nella lingua locale parlata dove vivono oggi. Ad
esempio, il nome della casta dei Lohar, che erano fabbri provenienti dall'India
antica e che oggi vivono nei Balcani, è stato tradotto in “Kovachi”, che è la
parola slava per “fabbro”. Ad ogni modo, alcuni Rom hanno in realtà continuato a
definire la propria casta con il nome indiano originario, sebbene l'ortografia e
la pronuncia potrebbero essere un po' diversi. Un esempio è costituito dai
Gabeli in Kosovo, il cui nome d'origine indiano per la casta era Khebeli.
Non è solo il vecchio nome della casta ad identificare una certa tribù, ma anche
certe tradizioni. Ad esempio, molti Rom kosovari e bulgari credono che quando
una persona muore si debba raccogliere una grossa pietra da un fiume pulito e
metterla sulla tomba del defunto. Essi credono che questo sia l'unico modo in
cui il defunto può ottenere l'acqua in cielo. Come mi ha detto una vecchia donna
Rom, va bene mendicare sulla terra, ma non in cielo. Sebbene il numero di giorni
in cui la pietra deve stare sulla tomba possa variare da un giorno ad un anno,
la tradizione è identica ed è praticata solo dai Gond nell'India centrale.
Un'alta tradizione che faccio risalire ai Gond è quella di pagare per il latte
materno quando si compra una sposa. La maggior parte dei Rom nei Balcani ancora
pratica la compravendita delle spose (un'usanza proveniente per lo più dal
sud-est dell'India nell'area di Multan!). Ma anziché definirlo un acquisto
diretto come quello di una mucca, essi pretendono di pagare per il latte che la
madre ha dato alla sposa quando era in fasce.
Un'altra tradizione (in realtà un bluff) che sono riuscito a far risalire dai
Balcani ad una casta semi-nomadica nell'attuale Punjab è quella di succhiare via
i vermi bianchi dal naso o dalle orecchie dei bambini per curare il mal
d'orecchi. Sebbene molte anziane donne Rom nei Balcani erano solite andare di
villaggio in villaggio a succhiare i vermi fuori dalle orecchie dei figli di
ignoranti gadjos (non – Rom), molti Rom credono ancora che non sia un raggiro e
pagherebbero per farlo fare quando i loro figli sono malati. Ma è una truffa. La
“dottoressa” zingara in realtà si infila dei vermi bianchi in bocca,
nascondendoli di soliti in una cavità dentale, e poi finge di succhiarli via
dall'orecchio del bambino con una cannuccia. E' un'antica tradizione della tribù
dei Sansis in Punjab ed è tuttora praticata lì.
Sebbene agli zingari che vivono in Europa abbiano svariati nomi, come Rom, Kali,
Sinti, Manoush, ecc. ecc., non è difficile tracciare a ritroso il loro percorso,
villaggio dopo villaggio, fino ad arrivare al paese d'origine. Una volta lo
feci, dalla Repubblica Ceca all'Iran. La maggior parte dei Rom non hanno mai
sentito dire da dove il loro popolo provenisse prima di stanziarsi in Europa, ma
sanno da quale villaggio i loro antenati sono partiti per arrivare a quello in
cui si trovano ora, ed quello si trova sempre in direzione di un ritorno
all'India. Nel tentativo di spostarsi ad ovest, gli zingari hanno sempre
lasciato dietro alcune famiglie. Dalla Repubblica Ceca ho tracciato a ritroso il
percorso di una famiglia fino ad un villaggio nella Slovacchia orientale. In
quel villaggio mi fu detto che i loro antenati provenivano da un villaggio in
Ungheria. In Ungheria, fui mandato ad un villaggio in Croazia, e di lì in Bosnia
e Montenegro. Dal Montenegro fui mandato a trovare dei cugini perduti in
Macedonia, e dalla Macedonia alla Bulgaria; e dalla Bulgaria alla Grecia. In
Grecia fu più difficile trovare qualcuno che avesse memoria di posti reali in
Turchia, ma seguendo la professione della loro casta, fu possibile allacciarsi
allo stesso tipo di zingari in Turchia. Dopo fu facile spostarsi di villaggio in
villaggio fino ad arrivare in Iran. Ma nella Turchia orientale, quando trovai i
“musicisti per matrimoni, fu possibile saltare direttamente indietro alla Valle
di Hunza sul confine cinese.
Sebbene debba ancora intervistare parecchi zingari nei Balcani e nel resto
dell'Europa, sto progettando di recarmi nella valle di Hunza ad ottobre,
portando con me non solo la mia videocamera, ma anche il kit per il test del
DNA. Le tradizioni, e persino la lingua, possono essere adottate. Ma il DNA non
mente. Solo allora sarò in grado di dimostrare alcune delle mie ricerche e di
dar credito alle storie orali degli zingari. E soprattutto, di dimostrare che è
valsa la pena di salvarli.
Paul Polansky, scrittore e storico, è uno dei più importanti poeti statunitensi
“in esilio”, autore di diverse raccolte poetiche e romanzi di forte impegno
civile, dedicandosi negli ultimi anni soprattutto alla drammatica situazione dei
rom residenti nel Kosovo, vittime di avvelenamento per il piombo rimasto nel
sottosuolo dalle guerre precedenti e ignorati anche dalle Nazioni Unite che
dovrebbero protteggere la loro incolumità fisica, soprattutto quella dei
bambini, le vittime più numerose. Questa poesia, “Il mio lavoro”, è un esempio
della produzione poetica fortemente politica e umanitaria di Polansky. Nel 1994
il Comune di Weimar, in Germania, ha concesso a Paul Polansky il prestigioso
Human Rights Award, consegnatogli dal Premio Nobel Günther Grass.