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Di Fabrizio (del 30/04/2010 @ 09:41:46, in Europa, visitato 2716 volte)

Da Czech_Roma (leggi anche QUI)


Firma questa carta o morirai Ingannate nell'autorizzare la propria sterilizzazione, un gruppo di donne romanì si sono unite nel combattere per i propri diritti riproduttivi. by Sophie Kohn 20 aprile 2010

OSTRAVA, Repubblica Ceca | Elena Gorolova aveva un gran dolore. Le infermiere e i dottori gridavano attorno a lei, cercando di inserirle un pallone tra le gambe per fermare l'uscita del suo bambino e così utilizzare un parto cesareo. Gorolova e suo marito, Bohus, una coppia con altri due bambini a casa, erano eccitati alla prospettiva di un altra aggiunta alla loro giovane famiglia.

Ma per i dottori, il nuovo arrivo significava che Gorolova finiva nella terza sezione-C. Le dissero che un altro parto sarebbe stato fatale.

Le misero semplicemente un foglio in mano ed improvvisamente le dissero: firma o morirai. Non c'era tempo per domande, spiegazioni, riflessioni.

Elena Gorolova

"Non lo lessi," spiega con calma Gorolova, abbassando i vividi occhi marroni. "Non c'era nessuno con me. Nessuno mi disse cosa stava succedendo. Ero totalmente fuori di testa e così firmai."

E lì, mentre stava per dare alla luce, le capacità riproduttive di Gorolova furono interrotte. Poco dopo aver partorito suo figlio col taglio cesareo, i dottori sterilizzarono irreversibilmente Gorolova tagliandole le tube di fallopio. Era il settembre 1990.

Come Gorolova scoprì più tardi, si stima che 90.000 donne romanì nella Repubblica Ceca sono passate per la stessa esperienza negli scorsi 40 anni, molte di loro terrorizzate nel firmare l'autorizzazione alla sterilizzazione, dopo che i dottori dissero loro che partorire nella sezione-C era a rischio della loro vita.

Due giorni dopo che Gorolova diede alla luce il suo terzo figlio, il direttore dell'ospedale di Ostrava, una città industriale a 15 km. ad est dal confine polacco, spiegò che la sterilizzazione era l'unica maniera per essere sicuri che lei non avrebbe più partorito. Era medicalmente necessario, disse. In quel momento Gorolova arrivò a negare che l'ultimo nato fosse suo.

Lei e l'offeso marito Bohus hanno dubitato che la spiegazione razionale che avevano appena ricevuto fosse il motivo reale Gorolova era stata sterilizzata. Andarono al tribunale di Ostrava a chiedere una spiegazione. Furono immediatamente cacciati fuori.

Ancora nessuna scusa

Per oltre 15 anni, Gorolova ha pazientemente lottato con la vergogna. Bohus frequentava un pub del posto dove gli altri rom gli dicevano che sua moglie non serviva a nulla.

Vlasta Holubova

La maternità è importante nella cultura romanì, dice Vlasta Holubova - 45 anni, un'altra romnì di Ostrava sterilizzata senza il suo consenso nel dicembre 1988, mentre stava partorendo il quarto figlio. Dice "La gente che ha più figli in famiglia è ricca. Avere tanti bambini è come un tesoro."

Negli scorsi quattro anni, Gorolova ed altre sterilizzate contro volontà si sono unite come una singola voce per i diritti riproduttivi. Spalleggiate da avvocati di spicco, le donne si sono lanciate in una campagna di testimonianza dentro la Repubblica Ceca ed attraverso campagne all'estero. Il loro lavoro è stato recentemente riconosciuto dal governo.

A novembre, l'amministrazione ceca ha espresso rammarico sulle sterilizzazioni, senza però arrivare ad una piena ammissione di colpa. Il governo ha quindi ordinato al Ministero della Salute di revisionare le proprie pratiche per assicurarsi che non avvengano più in futuro sterilizzazioni senza un consenso propriamente informato.

Secondo la legge, il consenso senza informazione è da considerarsi una base insufficiente per qualsiasi intervento medico, inclusa la sterilizzazione. Eppure, soltanto una manciata di queste sterilizzazioni è arrivata ai tribunali, col risultato di isolate scuse ed alcune compensazioni finanziarie. I dottori responsabili non hanno subito alcuna punizione.

Controllo della popolazione

Otakar Motejl, difensore civico ceco e convinto sostenitori dei diritti romanì, dice di non essere pienamente soddisfatto della risposta governativa e chiede che i Rom continuino a battersi per una piena compensazione. Però "a causa della natura personale [dei reclami], non possiamo aspettarci grandi folle di donne che si rivoltano nelle strade," spiega in un'intervista telefonica dal suo ufficio nella città orientale di Brno.

Ottenere scuse ufficiali dal governo è ancora più complicato perché "il governo che ora si sta scusando ha davvero poco a che fare con l'organizzazione che iniziò il programma di sterilizzazione," dice Motejl, riferendosi al fatto che gli operatori sanitari dell'epoca lavoravano sotto istruzione dell'ex regime comunista.

Le prime emozionanti azioni iniziarono nel 2005, quando Motejl fece pressioni sul governo perché il governo investigasse sui numerosi reclami di sterilizzazioni forzate che crescevano sulla sua scrivania, la maggior parte da donne romanì di Ostrava.

Spiega che quando la Repubblica Ceca era uno stato comunista, la pratica che descrive come "controllo della popolazione" era che gli operatori sociali obbligavano alla sterilizzazione i Rom. In quei tempi, minacciavano di portare via i bambini se le donne non consentivano alla procedura.

"Stavano infrangendo la legge durante il sistema comunista perché non volevano far far nascere altri Rom," dice Gorolova.

Con la caduta del comunismo, la pratica apparentemente ebbe termine, ma il caso di Gorolova è la prova che i responsabili semplicemente usarono metodi differenti per ottenere i medesimi risultati. I dottori allora presenterebbero la procedura alle romnià come una urgente necessità medica, scegliendo gli intensi, paurosi e disorientanti momenti del travaglio come il periodo migliore per estorcere l'accordo.

Anche alcune donne ceche non-rom sono state vittime di sterilizzazioni involontarie; Holubova parla di donne che lo stato considerava "socialmente più deboli", scarsamente istruite o disabili, come obiettivi tipici.

Imparare a parlare

Le mani di Gorolova ostentano anelli d'oro su ogni dita. Siede calma mentre racconta la sua storia, sul luogo di lavoro negli uffici di Ostrava di Life Together, un gruppo dedicato ai diritti romanì.

Gorolova arrivò in Life Together nel 2006, quando un rapido notiziario apparve una sera sullo schermo della sua televisione. Sorride e dice, "Ho capito che vi appartenevo."

Molto presto, altre donne rom sterilizzate provarono a bussare alle porte dell'organizzazione. Le donne si sedevano attorno ad un lungo tavolo e, per la prima volta, offrivano le loro storie. Da questi inizi lanciarono un progetto chiamato "Non sei sola". Mandarono Gorolova, eletta portavoce, nella comunità ad incoraggiare altre vittime della sterilizzazione a farsi vive.

Ma le donne avevano paura di parlare. Alcune vittime non romanì delle sterilizzazioni rifiutarono di partecipare agli incontri perché non volevano mescolarsi con gli stigmatizzati Rom. Molti pensarono che Gorolova avesse parlato della sua storia per ottenere soldi dal governo. Così, quando le donne non volevano andare da lei, Godolova le visitava a casa loro. Lentamente, le approcciò.

"La principale ragione per cui le donne mi hanno creduto, è che io stessa sono passata per la sterilizzazione, e so come si sentono. Non sono un'estranea," dice dolcemente.

Le donne rom tradizionalmente hanno molti bambini già da giovani e restano a casa a crescerli. Possono passare decenni tra il primo figlio e l'ultimo. Inoltre, dato che i Rom incontrano una significativa ostilità fuori dalle loro comunità, le donne possono finire abbastanza isolate negli anni in cui crescono i figli. Per molte di loro, il coinvolgimento in Life Together ha svegliato abilità sociali atrofizzate, riaccendendo un senso di scopo. Gorolova attribuisce persino al suo attivismo la decisione di prendere un diploma di scuola superiore.

"Per 15 anni sono stata disoccupata," dice. "Ho dimenticato totalmente come comunicare con la gente. Non avrei mai pensato che sarei stata capace di comunicare con gente a questo livello, e che avrei dovuto farlo col governo."

Gorolova elenca con semplicità le realizzazioni di cui è più orgogliosa nel suo lavoro con Life Together. L'organizzazione ha organizzato una consulenza psichiatrica per le donne, un'esposizione fotografica delle case e delle famiglie romanì, in palazzi del governo e musei in tutto il paese, ed iniziato dei forum di discussione con ginecologi. Gorolova viaggia spesso assieme a Gwendolyn Albert, attivista romanì americana che ha tradotto i discorsi di Gorolova nelle presentazioni a New York, Strasburgo, Grecia e Svizzera.

Nonostante gli sforzi delle donne, Holubova dice che l'ammissione del governo è più un contentino alle pressioni internazionali che una sincera espressione di scusa. Tutti e quattro i figli di Holubova hanno trasferito le loro giovani famiglie in Inghilterra e Canada per fuggire dalla discriminazione che sentono come Rom nella Repubblica Ceca. Mentre osserva il quieto, fumoso appartamento che ora condivide solo con suo marito, il suo disappunto per la propria patria è palpabile.

"I ragazzi sono già cresciuti. Volevamo ancora un figlio o una figlia, per non rimanere così da soli," dice.

Mentre parla, i suoi tre curiosi nipoti, in visita assieme ai genitori dalla GB, attorniano la poltrona, ridendo. La più piccola, Natalia, sorride con malizia, dondolando le gambette bardate di stivaletti d'argento.

Quando le si chiede cosa la fa andare, Holubova sorride pensosamente e pone un braccio protettivo attorno a Natalia. Risponde "questi bambini".

Sophie Kohn is a writer in Toronto. Photos by Valter Ziantoni.


Continuo con la mia personale antologia delle poesie di Paul Polansky. Un'anticipazione, sarà a Milano il prossimo 27 maggio. A presto i particolari

UN VESTITO NUOVO

Una infermiera continuava a venire a casa mia
per convincermi.

"Eva", diceva
"hai già troppi figli.
Fai questa operazione e potrai
avere belle cose in cambio."

Avevo ventidue anni.
ero incinta del mio quinto figlio.
Mio marito era in prigione.

Acconsentii all'aborto,
ma non ero sicura riguardo all'altra cosa.

Dopo essere tornata a casa dall'ospedale,
l'infermiera mi diede dei soldi
per un vestito nuovo.

Fu allora che seppi
di essere stata sterilizzata.

"Certo che hai acconsentito," disse lei.
"Sul tavolo operatorio... hai annuito."

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Di Fabrizio (del 29/04/2010 @ 09:45:21, in Italia, visitato 2337 volte)

Segnalazione di Alberto Maria Melis

Una settimana di musica, danza, fotografia, cinema, antropologia dall' 8 al 13 Giugno 2010
Nei locali di S.Chiara, Via Cacciatore delle Alpi, Cuneo

bruskoiprala@gmail.com
http://www.chambradoc.it

Martedi 8 Giugno
ore 18.30 Presentazione della Mostra fotografica "Te dikav" a cura di Andrea Fantino
Rinfresco e intrattenimento musicale di Florin "Stufulica" Tanase e Florin "Cucurigu" Ursu
ore 21.00 Presentazione del libro "Me bashavao ande Italia" "Io (Rom) suono in Italia" di Marco Ghezzo
Proiezione del documentario di viaggio "I Gagè ascoltano Csavas"

Mercoledi 9 Giugno
ore 21.00 Sonorizzazione dal vivo del cortometraggio "The adventures of Dollie" di Griffith a cura di Bruskoi Triu
ore 21.30 Proiezione di "Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen" di Laura Halilovic e tavola rotonda con l'autrice

Giovedi 10 Giugno
ore 21.30 presso "Jazz Club" di Cuneo Concerto Nadara duo + Bruskoi e Jam Session finale

Venerdi 11 Giugno
ore 21.30 Concerto del gruppo Bruskoi Prala e Nadara
ore 23.00 Live set a cura di Dj Grissino e Caravan Etnique

Sabato 12 Giugno
Dalle 18.00 rinfresco ed esibizioni dei laboratori di danza, canto e musica

PRATICARE LA CULTURA

Laboratori di danza, canto e musica
Da Venerdi 11 a Domenica 13 Giugno 2010

Danza: Insegnanti Benki Iambor e Alexandra Beaujard

Approccio ai diversi stili di danza Rom transilvana che nei secoli hanno attinto alla tradizione romena e ungherese rielaborandole
Adatto a tutti i livelli e le età.

Canto: Insegnante Alexandra Beaujard

Il canto, momento di aggregazione transculturale, diventa un avvicinamento alla musica rom anche per non musicisti

Musica: Insegnante Ferenc "Tocila" Iambor

Adatto a tutti gli strumenti, particolarmente indicato ai violinisti, il corso introduce il musicista allo stile virtuoso dei Rom attraverso la pratica d'insieme.

Quota di iscrizione: 20 euro al giorno oppure 50 euro per tre giorni.

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Di Fabrizio (del 29/04/2010 @ 09:26:19, in Italia, visitato 2058 volte)

Di Giancarlo Ranaldi

Napoli, 26 aprile 2010 - Marco Ricci, 29 anni, figlio del boss Gennaro dei Quartieri Spagnoli, sarà processato insieme ai cugini Maurizio e Salvatore Forte per la sparatoria davanti alla fermata della Cumana a Montesanto del 26 maggio 2009 durante la quale una pallottola vagante uccise il musicista rumeno Petru Birlandeau. Il gup Paola Laviano ha infatti rinviato a giudizio i tre arrestati del 'commando' del clan Ricci che fronteggiò i rivali Mariano quella sera per imporre il proprio controllo sul territorio. Il processo comincerà il 24 maggio davanti alla III sezione della Corte di Assise. In quella sparatoria tra la folla rimase ferito alla spalla anche un ragazzo 14enne. Marco Ricci fu arrestato a Terracina a luglio dello scorso anno.

Petru morto per sbaglio, morto di camorra.

A febbraio una cerimonia per ricordarlo, alla stazione di Montesanto.

C’erano proprio tutti:
Alfonsina De felice, Assessore regionale alle Politiche Sociali e all'Immigrazione;
Pasquale Colella, Professore di Diritto Canonico presso l'Università degli Studi di Salerno;
Alessandro Pansa, Prefetto di Napoli;
Santi Giuffrè, Questore di Napoli;
Razvan Victor Rusu, Ambasciatore straordinario e pluripotenziario della Romania;
Giulio Riccio, Assessore comunale alle Politiche Sociali;
Don Gaetano Romano, vicario episcopale per la Carità;
Raffaello Bianco, Amministratore delegato Sepsa, Società che gestisce la Metropolitana.

… e non potevano mancare;
Enzo Esposito dell'associazione Opera Nomadi di Napoli;
Marco Rossi della Comunità di Sant'Egidio;
Cgil, Cisl e Uil (sic!).

Non c’era Angelica, sempre carcerata allo scoglio di mare, non c’era Mirela, fuggita in Romania. Non c’erano i piccoli Raluca e Ricardo.

Ma tutti quelli che c’erano, davanti a quella fisarmonica traforata da un proiettile e rinchiusa nella teca, giurarono il loro impegno per non dimenticare.

Così Enzo Esposito a Repubblica: «L'idea è quella di lasciare a Napoli la musica di Petru, un ricordo simbolicamente forte, ma che evoca anche un po' di poesia. C'è bisogno di poesia in tutta questa storia. Perché se indifferenza c'è stata, c'è stata anche tanta solidarietà e ha ragione il Sindaco quando dice che le istituzioni, tutte, non hanno mai lasciato sola Mirela».

Non era vero…
«Nonostante numerose note e ampio carteggio - scrive al «Mattino» l’avvocato Marco Croce, legali di parte civile che rappresenta la moglie della vittima, Mirela Boboaca e i suoi giovanissimi figli Raluca e Ricardo - dopo quasi un anno non consta che né il Comune di Napoli, né la Regione Campania abbiano preso in considerazione la serietà, anzi la drammaticità della situazione del nucleo familiare del suonatore rom ucciso accidentalmente nella sparatoria del 26 maggio 2009. Passato il clamore del tragico evento non si ha la percezione di un vero vincolo di solidarietà della comunità verso la moglie e i due piccolissimi figli: essi attendono - ora come allora - di conoscere se sussiste una qualsivoglia tipologia, l’entità nonché i tempi e le modalità di corresponsione di provvidenze, erogazioni, raccolte di fondi e liberalità stanziati in loro favore».

Una presa di posizione ferma e chiara, quella dell’avvocato. Anche perché, prosegue, «non si rinviene ancora nemmeno alcuna notizia dei 5000 euro che sarebbero stati già stanziati dalla Regione in favore dei nostri patrocinati» «Preme rimarcare - aggiunge il legale - che la nostra assistita e i suoi figli, oltre alla ferita morale certamente non rimarginabile, versano in condizioni economiche di assoluta indigenza, avendo perduto con il padre e compagno la fonte esclusiva del loro sostentamento».

Così avanti, senza poesia, a maggio inizia il processo per la morte di Petru Birladeanu… e si attende il Giudizio di Cassazione per Angelica.

Próxima Estación Esperanza.

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Di Fabrizio (del 28/04/2010 @ 09:28:29, in musica e parole, visitato 2417 volte)
Circolo Arci Magnolia
mercoledì 5 maggio 2010 alle ore 21.00

Concerto tributo per il cinquantenario della scomparsa di Fred Buscaglione

Liberi Gruppi, la trasmissione di Radio Popolare dedicata alla musica emergente, celebra Fred Buscaglione, il re dello swing in salsa tricolore a cinquant'anni dalla sua scomparsa con un grande live.

Mercoledì 5 Maggio alle ore 21 saliranno sul palco del Circolo Magnolia di Milano le cinque migliori band selezionate durante l'ultima edizione di Liberi Gruppi che insieme ad alcuni ospiti illustri reinterpreteranno i più famosi successi del dritto di Chicago.

Muzikanti di Balval con Jovica Jovic, Roberto Dell'Era, I Calamari, Vallanzaska e Tonino Carotone saranno i pezzi da novanta del live che si concluderà con un dj set dei conduttori della trasmissione Liberi Gruppi, Jam e Ketty.

Apriranno la serata le band emergenti Junior Sprea e Dreama, Revo Fever, Black House, Airin + Selton, Party Tonite più due ospiti speciali: Riz Samaritano e Mister Casckè

Inizio concerto ore 21. Ingresso 5 euro con tessera ARCI

Gianpiero Jam Kesten e Ketty Passa conducono Liberi Gruppi, la trasmissione di musica emergente di Radio Popolare. In onda ogni venerdì alle 15:35 su 107,6 FM.

liberi-gruppi@radiopopolare.it
L'appuntamento su Facebook

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Di Fabrizio (del 28/04/2010 @ 08:55:12, in Italia, visitato 1937 volte)

Segnalazione di Marco Brazzoduro

L'Espresso

La denuncia del Gruppo EveryOne: nel campo di via Triboniano bisogna chiedere un'autorizzazione per invitare esterni. Secondo l'associazione, in città c'è un attacco ai Roma in vista dell'Expo 2015

Il Gruppo EveryOne ha ricevuto un drammatico comunicato da parte degli operatori umanitari che seguono le famiglie Rom di via Triboniano, a Milano. "Le comunità Rom di via Triboniano," recita l'appello, "chiedono aiuto a tutte le forze antirazziste e umanitarie per contrastare gli sfratti ai danni di 5 famiglie 'ree' di aver violato il Patto per la Legalità (voluto dal Comune di Milano con la complicità di alcune associazioni) avendo ospitato nei propri container e roulotte persone (per lo più parenti) non residenti nel campo". Si tratta di un diritto che in Italia è negato solo ai Rom, fra i liberi cittadini. Nel campo di via Triboniano, per esempio, se un bambino invita un amichetto senza avvertire le autorità, la sua famiglia viene espulsa, senza alternative di alloggio né assistenza.

"Questi sfratti cadono a ridosso del preannunciato sgombero dell'intera comunità previsto per il 30 giugno 2010," prosegue il comunicato, "per lasciar posto a uno svincolo legato alla realizzazione dei lavori strutturali per Expo-2015. Chi dimostrerà di avere la necessaria disponibilità economica (leggi un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, chimera ormai per i più, a partire dai lavoratori italiani colpiti da centinaia di migliaia di licenziamenti) e soprattutto a chi si sarà dimostrato 'volenteroso' di integrarsi alle regole del campo ("Quelle basate sull'accettazione della persecuzione e sulla disponibilità alla delazione interna," spiega mestamente un internato nel campo, "che sono di fatto negazioni dei minimi diritti della persona") verrà elargito un contributo economico minimo (e temporaneo) per accedere a un'abitazione.

"In parole povere: al 10% delle famiglie residenti verrà concessa la possibilità di abitare in alloggi," prosegue la lettera, "ma senza alcun piano di integrazione o di protezione dal grave fenomeno dell'antiziganismo e dell'esclusione sociale".
(20 aprile 2010)

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Di Fabrizio (del 27/04/2010 @ 09:20:38, in Europa, visitato 1948 volte)

Segnalazione di Paolo Ciani

santegidio.org

Su invito della Comunità di Sant'Egidio, il 22 e 23 aprile, a Budapest e a Pannonhalma, in Ungheria, si sono tenute due importanti conferenze della scrittrice austriaca Ceija Stojka, sopravvissuta al porrajmos, l'olocausto dei rom durante la II guerra mondiale.

Il primo incontro ha avuto luogo nel liceo dei benedettini a Pannonhalma, dove la signora Stojka è stata salutata calorosamente anche dall'abate Asztrik Várszegi. Il secondo, nella capitale, è stato organizzato insieme alla Facoltà di Teologia dell'Università Cattolica Pázmány Péter di Budapest e al vescovo ausiliare János Székely, responsabile della pastorale degli zingari nella Conferenza episcopale ungherese.

In entrambe le occasioni, la signora Stojka è stata ascoltata da un pubblico numeroso ed attento, per lo più giovani studenti universitari e liceali.

Ceija Stojka ha raccontato la persecuzione, la sua deportazione e la sua prigionia nei campi di sterminio ad Auschwitz, Ravensbrück e Bergen-Belsen che lei ha vissuto da bambina rom insieme alla sua grande famiglia cui molti membri furono uccisi. Oltre ai fatti narrati in maniera acuta e emozionata, ha offerto anche una riflessione approfondita sull'attualità della sua testimonianza.

"Come mai anche oggi – si è chiesta - all'inizio del nuovo secolo, in paesi europei, gli zingari, solo perché tali, specie bambini ed altri innocenti vengono umiliati, maltrattati e – come è successo in Ungheria - persino uccisi?" Con grande fermezza, ha rivolto un invito al suo pubblico giovane: "Lasciate che i miei nipoti vivano. Anzi aiutateli a vivere. Voi siete il mio manto protettore . Se voi difendete gli zingari, i piccoli, difenderete anche voi stessi. Così diventerete un manto protettore per voi stessi."

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Di Fabrizio (del 26/04/2010 @ 09:56:22, in Kumpanija, visitato 2645 volte)

Da Roma_Daily_News

The Jordan Times - 20 aprile 2010 By Taylor Luck

Membri della tribù dei Bani Murra, considerati gli "Zingari di Giordania", durante un incontro settimana scorsa. La comunità di circa 50.000 guarda alle elezioni parlamentari come un mezzo per superare gli stereotipi

AMMAN - Quando il quattordicenne campione di karate Abdalrahman Al Masatfeh sale sul ring, spesso sente il peso di un'intera comunità sulle sue spalle.

Masatfeh, che ha vinto diverse medaglie in competizioni internazionali ad Istanbul e Tel Aviv, dice di sentirsi lontano dall'essere un vincitore quando torna in Giordania.

"L'arbitro dice che ho vinto, ma tutto quello che sono qui è un Nawari (Zingaro)"

Il giovane fa parte della "comunità dimenticata" di Giordania, i Bani Murra, che nonostante siano tra i più antichi residenti del Regno, sono rimasti ai margini della società per circa mezzo secolo.

Tra i primi Giordani

I Bani Murra, o Dom, sono una minoranza di lingua araba dalle origini incerte, alcuni dicono che la comunità possa essere arrivata dall'India, attraverso l'Iran e il Golfo, mentre altri dicono che scontri tribali in Siria abbiano portato alla dispersione attraverso il Medio Oriente.

I Dom hanno una storia evidente nella regione che risale ad oltre un millennio ed hanno risieduto nel Regno per diverse centinaia d'anni, secondo varie registrazioni storiche e studi antropologici.

I cittadini Bani Murra sottolineano di essere musulmani ed Arabi, ed hanno poco che li distingua dalle altre tribù beduine a parte il dialetto, che è considerato dall'UNESCO una lingua da salvaguardare.

Mustafa Wahbi Tal, poeta nazionale giordano, immortalò la romantica vita libera dei Dom agli inizi del XX secolo in una serie di  poemi e divenne amico intimo dei Beni Murra - una mutua amicizia che durò tutta la vita.

Conosciuti come abili fabbri e metallurgici, i Bani Murra lavorarono coltelli, spade ed altri utensili per le principali tribù del Regno nel XIX e all'inizio del XX secolo e secondo varie registrazioni storiche ed orali furono tra i primi residenti dell'attuale Amman.

Conosciuti per il loro talento musicale, la comunità ha dato i natali a Abdo Mousa, una delle figure musicali più riverite del Regno, che ha immortalato il folklore e la musica beduine e ha dato alla comunità un nuovo rango.

Sua maestà il precedente re Hussein ha fatto suonare Abdo Mousa per tantissimi dignitari e, vuole la leggenda convocò il musicista all'ultimo minuto quando l'ex segretario USA Henry Kissinger fece una sosta di un paio d'ore ad Amman. Lo racconta Sheikh Fathi Mousa, figlio del musicista e avvocato della comunità.

Nonostante la marcata presenza culturale, i componenti della comunità dicono di dover ancora raggiungere i pieni diritti come Giordani, tenuti indietro dal loro status di "Zingari".

Popolo senza una terra

L'ultimo leader che unificò le 63 tribù Bani Murra fu Saeed Mousa Pasha, poi emiro, tra i primi leader riuniti da re Abdullah I, a seguito della Grande Rivolta Araba e grande sostenitore della comunità durante i regni dei re Talal ed Hussein.

Secondo Rashid Ben Saeed Pasha ed altri anziani Bani Murra, re Hussein nel 1960 offrì a Pasha 1.000 dunum (un milione di m², ndr) in un'area fuori Um Al Jimal, vicino a Mafraq.

Dato che allora il terreno era arido deserto con poche infrastrutture, Saeed Pasha era riluttante a trasferire lì la sua gente.

Tuttavia, negli ultimi 40 anni la condizione dei Bani Murra nella comunità è peggiorata, con i Dom che si sono sparpagliati in tutto il paese, alcuni mantenendo il loro tradizionale stile di vita nomade ed altri combattendo giorno per giorno nel vivere con lo stigma di "Zingari".

"Se ci fossimo spostati ad Um Al Jimal, almeno avremmo avuto una terra da chiamare nostra. Oggi la gente ci vede solo come Zingari," dice Fathi Mousa.

Secondo diverse ricerche accademiche o informali, oltre il 90% dei Bani Murra vive in appartamenti ad Amman, Zarqa, Irbid ed altrove, alcuni anche in grandi ville in quartieri signorili.

Anche le vite di quanti risiedono nelle tende non differiscono dalla media dei Giordani. Abu Salem, la cui famiglia è ritornata nel Regno al tempo della prima guerra del Golfo nel 1991, ha vissuto in una tenda a Qweismeh due decadi e dice di aver tutte le comodità di cui ha bisogno.

Anche se la casa di Abu Salem vista dall'esterno può sembrare come una baracca improvvisata - è assolutamente rifornita con televisione satellitare, un vasto sistema di riscaldamento, gabinetti e persino finestre.

Suo figlio Fares si trova agli internet caffè. gioca a calcio con gli amici, e attualmente si sta preparando ad essere assunto. Come nella maggior parte delle famiglie giordane, il mansaf è il piatto principale alle feste nuziali in cui i giovani ballano il debkeh.

"Preghiamo alla moschea, abbiamo la cittadinanza giordana, perché siamo così differenti?" sottolinea Fares.

Il termine "nawar" [...] è spesso usato per descrivere i Bani Murra ed è diventato una barriera verbale che li tiene lontani dalla partecipare pienamente alla vita di tutti i giorni. Questa barriera, dicono i membri della tribù, non potrebbe essere più evidente che nell'istruzione, dato che molti Dom non completano gli studi a causa delle pressioni economiche e del bullismo scolastico.

Il campione di karate Masatfeh, nonostante gli encomi in classe ed al ginnasio, ora non può permettersi di andare a scuola.

"Quando sei un Zingaro, nessuno crede che avrai successo e tutti aspettano la tua caduta," dice.

Ma, contrariamente agli stereotipi, molti nella comunità dei Bani Murra hanno ottenuto posizioni di rilievo nella società giordana, sottolineano.

"Siamo dottori, avvocati, ingegneri, insegnanti e soldati. Ma la cosa più importante, siamo Giordani fedeli al Regno Hashemita e chiediamo pari diritti," dice Mousa al Jordan Times.

Gap di consapevolezza

I media locali ed internazionali non sono stati amichevoli con i Bani Murra.

Piuttosto che mettere in luce i loro successi, dicono che i giornalisti si focalizzano sulle poche migliaia che vivono nelle tende, contastorie o indovini, mendicanti, nomadi e vittime senza casa, rinforzando i vecchi stereotipi sui Bani Murra. O peggio, aggiungono, ci sono i giornalisti che fotografano quelli che vivono nelle tende, mostrandoli in condizioni "imbarazzanti".

"Disgraziatamente, sembra che molti membri della stampa facciano correre selvaggia la loro immaginazione, quando sentono degli Zingari," dice il dottor Bassem Mousa, urologo all'ospedale Al Bashir.

La più grande sfida per i Dom è la mancanza di consapevolezza che ha portato al razzismo che prevale persino ai livelli ufficiali, col soggetto della reale esistenza dei Bani Murra considerato un tabù.

In un intervista al Jordan Times alla fine dell'anno scorso, un sindaco negava l'esistenza dei Bani Murra nella sua città, nonostante la presenza di un evidente campo dom a meno di un km. dal suo ufficio.

"In questa città c'è solo gente rispettabile. Nessun nawar qui," diceva.

Il figlio dell'ultimo Saeed Pasha dice che senza una rappresentanza politica, i Dom rimarranno "cittadini di terza classe".

Dice che la più alta carica pubblica raggiunta da un membro della comunità è mukhtar, leader comunitario non stipendiato la cui posizione è affiliata alMinistero degli Interni, presso il quartiere a predominanza dom di Hay Al Dabaibeh ad Amman.

Votare per cambiare

Molti Dom giordani ritengono che la risposta ai loro problemi possa risiedere nelle prossime elezioni parlamentari.

Fathi Mousa, tra i importanti rappresentanti della tribù dei Bani Murra, intende candidarsi alla Camera Bassa.

Durante un incontro tribale mensile tenutosi settimana scorsa per organizzare il supporto alle elezioni di Mousa, gli anziani hanno definito "essenziale" l'elezione di un parlamentare per salvare la comunità.

"E' come se avessimo dormito mentre il resto del paese andava avanti. Siamo diventati un popolo invisibile, e questo deve finire," dice Hassan Adnan.

Fathi Mousa si candidò anche alle elezioni del 2003, ma dato che i Bani Murra erano dispersi tra distretti elettorali e governativi, la comunità non riuscì a raccogliere un numero concentrato di elettori per sostenere un candidato al Parlamento.

Mousa richiede alla nuova legge elettorale di includere un seggio per la comunità dom, o di permettere ai membri dei Bani Murra di eleggere un candidato tramite i distretti elettorali, per assicurare la rappresentanza politica.

Non importa il risultato delle prossime elezioni parlamentari, i Dom di Giordania dicono di essere una comunità che il paese non può più permettersi di ignorare.

"Sono stanco di competere solo per i Bani Murra. Voglio che tutti sappiano che competo per la Giordania," dice Masatfeh.

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Di Fabrizio (del 25/04/2010 @ 09:31:32, in lavoro, visitato 2078 volte)

Segnalazione di Ilenia Modafferi

 (il link per chi legge da Facebook)

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Di Fabrizio (del 25/04/2010 @ 09:19:15, in conflitti, visitato 2170 volte)

Seconda segnalazione di Alberto Maria Melis

Recensione di Sonya Orfalian su Le Monde Diplomatique 3.2010

"Quando ripenso ai miei primi dodici anni, ho l'impressione che nessun uomo o bambino abbia mai sognato di vivere in un luogo così vicino al paradiso". Con queste parole inizia Crossing, il secondo libro di Jan Yoors, autore del bel reportage romanzato Zingari, pubblicato in Italia lo scorso anno. Siamo di nuovo nelle Fiandre, ancora in compagnia dei Rom Lovara. Qualcosa però è cambiato: è scoppiata la guerra e Yoors, in pagine affascinanti, ne racconta il dramma e le pesanti conseguenze sull'accampamento degli zingari che lo hanno benevolmente adottato. L'alba del 10 maggio 1940 sorprende Yoors in viaggio con la sua famiglia d'adozione. L'accampamento si trova presso il confine che divide il Belgio dalla Francia, in una splendida valle tra i boschi: un luogo adatto per i cavalli e per gli uomini liberi. Un rumore scuote il campo, subito i bombardieri arrivano dal cielo e la serenità ha fine: la guerra è iniziata. L'esodo della popolazione civile dalle zone di guerra trova i Rom Lovara in fila assieme ai gagè, i non-zingari. Sebbene costretti a rinunciare alle loro abitudini, perseguitati e testimoni della decimazione dei loro simili, i Lovara si adattano bene alla nuova situazione, dominata dalla burocrazia della guerra: il loro status giuridico unito a un certo savoir faire (sfuggiranno alla legge che in Germania impone loro l'obbligo di una vita sedentaria, dichiarando identità diverse in luoghi diversi) li aiuterà a procurarsi un'infinità di tessere annonarie. Proprio queste rappresenteranno una parte cospicua del contributo che i Lovara forniranno alla Resistenza dopo che Yoors, contattato dai Servizi inglesi, li avrà persuasi a collaborare. Le leggi speciali nazionalsocialiste li bolleranno come rassenverfolgte cioè "razzialmente indesiderabili", al pari degli ebrei, e come se non bastasse artfremdes blut vale a dire "sangue straniero". Infine verranno dichiarati freiwild, "prede alla mercè di tutti". Mezzo milione di rom verranno eliminati; eppure tale pulizia etnica, a differenza di ciò che accadrà per l'Olocausto, non verrà studiata e analizzata a dovere. I motivi? Molteplici: da un lato c'è lo scarso senso della storia tipico di questo popolo, dall'altro - come spiega bene lo stesso Yoors - "i Rom non hanno nessun desiderio di uscire dall'ombra, di salire alla ribalta". Una lettura interessante, da non perdere, che ci rivela un modo inedito di interpretare la vita da parte di una popolazione che fino a oggi sembra sfuggire a tutte le leggi della globalizzazione del vivere "civile" di noi gagè.

Jan Yoors - Crossing.- Ed Irradiazioni
Jan Yoors (aprile 1922 - novembre 1977) artista fiammingo-americano, fotografo, pittore, scultore, scrittore. Nato in Belgio, a 12 anni scappò con un gruppo di rom lovara e viaggiò a lungo con loro. Quando ritornò finalmente a casa, i genitori che lo avevano molto cercato, invece di sgridarlo gli diedero il permesso di passare una parte dell’anno con i suoi amici. Più tardi nella vita scrisse il bellissimo libro dal titolo The Gypsies, 1965 (Zingari, Irradiazioni, 2008), considerato un documento unico sulla vita degli zingari. A Zingari segue nel 1971 Crossing.

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Di Fabrizio (del 24/04/2010 @ 09:48:46, in media, visitato 2372 volte)

Il Manifesto

Ha 15 anni: ok, il particolare e' importante visto che si sta parlando dell'ennesimo incidente avvenuto a Roma a causa di una "minicar". E a rimetterci la pelle stavolta poteva esssere un bambino di cinque anni.
Ma che senso ha scrivere nel sottotitolo, come fa il Corriere della sera di oggi nella cronaca di Roma, che il guidatore minorenne "appartiene a un clan degli zingari sinti"? E' ovvio che questa informazione appaia nel pezzo, per quanto stupisca che sia sbattuta in faccia al lettore addirittura nel primo capoverso dell'articolo. E' ovvio perche' qualsiasi giornalista, nel fare il suo mestiere, cerca di raccogliere il maggior numero di particolari sulla storia che deve seguire, e poi di conseguenza di raccontarli.

Ma che questo particolare – perche' trattasi di un particolare – venga ritenuto talmente significativo da meritare il sottotitolo la dice lunga su come funzionino i pericolosissimi automatismi delle redazioni, anche quelle più autorevoli. Se alla guida della minicar c'è un ragazzino sinto (nell'articolo addirittura definito "nomade") la cosa fa titolo, nonostante l'allarme minicar sia scoppiato da giorni in seguito alla morte di due ragazzini di purissima "razza italiana". Forse la sua guida è stata più imprudente perché è un sinto? Forse in quanto sinto non dovrebbe possedere un modello di macchina di quel tipo? Forse se alla guida di una minicar che sbanda e rischia di uccidere c'è un sinto la gente si indigna di più e quindi si tuffa a pesce sull'articolo? Ecco, forse sì. E forse è il caso di andarsi a rileggere la Carta di Roma sottoscritta dall'Ordine dei giornalisti.

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