Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
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Di Fabrizio (del 14/03/2010 @ 09:05:48, in scuola, visitato 1766 volte)

Segnalazione di Maria Grazia Dicati ed Ernesto Rossi

Fonte: www.redattoresociale.it

Una delle “maestre dei rom” ha scritto una lettera aperta per denunciare le spaventose condizioni di vita. Alla Bovisa 8 famiglie vivono nelle fondamenta di un palazzo mai terminato: “Ombre spaventate, che non escono nel prato per non essere viste”
MILANO – Pubblichiamo integralmente una lettera scritta ieri da Flaviana Robbiati, una delle “maestre dei rom” di Milano, che domenica scorsa è andata a vedere dove vivono alcuni dei piccoli alunni rom che frequentano le scuole milanesi, trovandoli in condizioni di vita spaventose. “Credevo di aver visto un ventaglio esauriente di posti dove i rom continuamente scacciati si accampano, compreso il girone dantesco della fabbrica crollata di Rubattino tra macerie e topi (20 novembre). Quello che ho visto oggi è molto, molto peggio. Zona Bovisa, un edificio a più piani mai terminato, di cui esistono solo pilastri d’acciaio verticali e orizzontali e solette. Il tutto evidentemente abbandonato da anni”.
“Dal marciapiede spostando una lamiera si accede a un prato incolto, lo si attraversa e si arriva all’edificio: nessuna traccia dei rom, non uno, non una voce. Si costeggia il palazzo, cioè il suo scheletro, tra sporcizia e masserizie e si comincia a scendere uno scivolo, fino ad infilarsi sotto il palazzo dove nella semioscurità vivono 7 o 8 famiglie rom. Sottoterra e con la pochissima luce che filtra, con le correnti fredde, molto fredde create da spazi pieni e vuoti. Ci abituiamo alla poca luce (siamo in quattro, tre maestre e una signora volontaria) e cominciamo a veder tende a igloo, bambini, persone: fantasmi, ombre spaventate che non escono nel prato dove il sole rende la temperatura meno rigida per non essere visti. Il popolo del sottoterra milanese. Tutti ci parlano del freddo, ma ancora di più dello sgombero annunciato per domani. Nessuno si lamenta, nessuno ci chiede alcunchè”.
“Mentre siamo lì una signora rom pulisce i fornelli (l’acqua la prendono alla fontanella della piazza vicina), cambia i fogli di giornale che fanno da tovaglia, scalda una pentola d’acqua e lava le stoviglie. Un’altra scopa il pavimento di cemento: lo spazio in cui stanno è pulito, nelle tende regna l’ordine, ma è un posto da topi, siamo sottoterra al freddo e all’umido puzzolente. Una nostra scolara di 10 anni, ci chiede un libro per studiare: lei a scuola ci andava, ma i continui sgomberi hanno reso impossibile la frequenza. Ci chiede quando potrà tornare. Per tutto il tempo che stiamo lì non uscirà mai dalle braccia della sua maestra”.

“Un altro bambino, di 6 anni, quando vede la sua maestra si ferma immobile e resta così per un po’, ma intanto la faccina gli si trasforma e diventa un unico grande sorriso, sembra che gli scoppi la luce dentro. Poi le corre incontro e le salta in braccio. Verso di noi solo rispetto, tanto rispetto e grande educazione, verso i bambini coccole e tenerezza. Noi ce li coccoliamo i nostri scolari e anche i loro fratellini. Mi chiedo in quale altra parte del mondo le persone sono costrette a vivere così e con la paura di essere scacciati anche dai sotterranei: forse nelle fogne di Bucarest? Forse nell’Africa più ingiusta? Forse nelle favelas del Brasile? Ci è difficile venire via da lì, e quando usciamo non commentiamo.
Una donna rom ci augura “buon 8 marzo”.

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Di Fabrizio (del 14/03/2010 @ 09:29:09, in musica e parole, visitato 1542 volte)

Segnalazione di Orhan Tahir

Musica da Russia, Polonia, Serbia, Slovacchia, Romania, Ungheria

clicca sull'immagine per andare alla raccolta

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Di Fabrizio (del 14/03/2010 @ 09:47:09, in Italia, visitato 2220 volte)

Di Lanfranco Sbardella - 11/03/10 18.31


Con più di un centinaio di milioni di euro si sarebbero potuti costruire degli alloggi stabili per i rom. Ogni anno, infatti, dal 1996 sono stati spesi circa 13 milioni di euro dal Comune di Roma. Partiamo dall'ordinanza n.80 del 23 gennaio 1996 del sindaco Francesco Rutelli. Poche pagine in cui l'amministrazione capitolina aveva fissato un numero chiuso per le presenze nei campi. I più fortunati avrebbero dovuto essere anche in possesso dei documenti, oltreché di un regolare permesso di soggiorno. Inoltre avrebbero dovuto mandare i figli regolarmente a scuola. A distanza di 13 anni, l'attuale Piano Nomadi della giunta Alemanno non sembra scostarsi molto da quella ordinanza: torna il numero chiuso e il possesso dei documenti. Rimarranno i cosiddetti campi sosta, aree recintate, in cui stavolta verranno effettuati lavori per l'allaccio idrico ed elettrico. Saranno dotati anche di un sistema di videosorveglianza.

Dal 1996 ad oggi il Comune di Roma ha speso circa dieci milioni di euro l'anno per la gestione dei campi sosta dove vivono i rom. La cifra comprende, come spiegano i bilanci del Palazzo Senatorio, il servizio di pulizia e ritiro dei rifiuti da parte di Ama, la municipalizzata che si occupa di tenere pulita la capitale; il pagamento di utenze per l'acqua e l'elettricità; la gestione del campo e i lavori di manutenzione. Oltre a questo capitolo di spesa si devono aggiungere anche tre milioni di euro, sempre annuali, che il Campidoglio stanzia per il cosiddetto privato sociale, o terzo settore, per i progetti di scolarizzazione. Dal 1996 al 2009 la situazione non è cambiata. Si continuano a spendere tanti soldi senza però conoscere i risultati prodotti. Non esistono infatti relazioni ufficiali sullo stato dei campi romani, tantomeno sui progetti di scolarizzazione. Un dato: la presenza dei bimbi rom in classe è pari al 40% del totale dei giovani in età scolare. Neanche questa cifra, fornita dalle associazioni che si occupano di portare i bambini rom a scuola, è ufficiale. Negli archivi del Comune non esistono dati. C'è di più: in 17 anni di progetti solo 20 ragazzi si sono iscritti alle scuole superiori.

Che cosa è successo con il cambio di amministrazione? L'attuale maggioranza ha voluto rispondere in particolare alle insicurezze dei cittadini provocate dalla cosiddetta “emergenza rom”. La Giunta, appena insediata, ha elaborato un documento: il Piano Nomadi. L'obiettivo è quello di superare lo stato delle cose entro i primi mesi del 2010. In campagna elettorale Alemanno aveva ipotizzato lo spostamento di tutti gli insediamenti fuori dalla città. Dal Piano nomadi emerge però un'altra prospettiva: i rom saranno sistemati in 13 aree, molte delle quali già presenti sul territorio cittadino. Nella capitale potranno rimanere solo 6.000 persone, con i documenti in regola, senza precedenti penali e con i figli regolarmente a scuola. Quanto si spenderà? Circa 23 milioni di euro. Proprio come voleva fare Rutelli nel 1996.
Si continuano dunque a spendere cifre consistenti con risultati al di sotto di quanto si potrebbe sperare. Nel 1996 i nomadi censiti dal comune erano 5.467, divisi in 50 aree. Nel 2009, dopo l'ultimo censimento della Croce Rossa, sono 7.177, divisi in più di 100 aree. In 13 anni le presenze sono salite del 31%, moltiplicando le difficoltà di un sistema che non è riuscito ad evolversi positivamente.
Dopo lo spostamento nel 2005 del più grande campo rom d'Europa che sorgeva nel quartiere Marconi (dove vivevano da 30 anni quasi 1.000 rom) è nato il campo di Castel Romano, sulla Pontina, un'area di quattro ettari dentro una riserva naturale. Una situazione che, secondo il Comune, doveva essere temporanea ma che poi ha assunto caratteristiche diverse. Il campo è ancora in piedi. Costo dell'opera: 5 milioni di euro. Proprio Castel Romano sarà una delle aree previste dal Piano Nomadi di Alemanno.

Nel 1991 sono arrivati i primi rom montenegrini e bosniaci che si stabilirono lungo il canale che costeggia il parco di Centocelle. Molti di loro, secondo quanto descrivono alcune relazioni fornite dall'antropologa sociale Monica Rossi, che aveva lavorato nel campo, non si accontentarono di costruire una baracca. L'85% dei presenti aveva dichiarato che, nel paese di appartenenza, viveva in alloggi stabili. Case distrutte dalle bombe oppure occupate durante la guerra dei Balcani, il conflitto che causò la fuga di migliaia di Bosniaci musulmani perseguitati dalle pulizie etniche.
Questo è un dato di partenza per provare a rispondere al tema del presunto nomadismo dei rom. Popolazioni che si definiscono per lo più stanziali e ormai poco inclini agli spostamenti. Proprio l'idea del continuo movimento ha portato ad utilizzare il vocabolo “nomade” in modo improprio.

Si deve aggiungere anche un'altra voce nel capitolo dei costi: lo sgombero di un campo rom, che coinvolgendo forze di pubblica sicurezza e macchinari speciali, arriva anche a costare migliaia di euro. Altri soldi. Perché allora siamo al punto di partenza? Alcune associazioni italiane come l'Arci e la Casa dei diritti sociali lamentano la “invisibilità giuridica” dei rom, la maggior parte oggi cittadini europei. Nel corso degli anni sembra essere mancato un indirizzo politico da parte delle istituzioni nazionali. Per quanto riguarda la capitale, le diverse giunte comunali hanno affrontato le fasi d'emergenza senza curarsi di fissare una strategia più generale. Chissà se la commissione d'inchiesta proposta dalla deputata del Popolo della Libertà, Jole Santelli, per indagare sulla condizione femminile e dei minori rom presenti in Italia, riuscirà a mettere in risalto adeguatamente questi aspetti.

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Di Fabrizio (del 15/03/2010 @ 09:14:29, in media, visitato 1983 volte)

Da Demetrio Gomez

Carlos Mendoza è un giornalista Rrom honduregno e presenta un notiziario; è stato nominato come miglior presentatore dell'anno, aiutiamolo a vincere, entrate nell'evento e votate per lui. Diffondete. Grazie!

(cliccare su Presentador de Noticias)

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Di Fabrizio (del 15/03/2010 @ 09:19:14, in Europa, visitato 1399 volte)

Da Roma_Francais

Par Chloé Leprince 05/03/2010

Eccetto che sulle pagine locali del Parisien, l'espulsione della gens du voyage da un accampamento a Ris-Orangis (Essonne) ha fatto poco rumore. Tuttavia, almeno in due avete allertato a riguardo Rue89 negli ultimi giorni. Piuttosto offesi da ciò che ritenevate rilevare dai slittamenti elettoralisti in questo dipartimento dell'Ile-de-France.

Al cuore delle vostre reazioni: il tono utilizzato da un sindaco dell'UMP dei dintorni nel gridare vittoria. Precisamente Stéphane Beaudet, eletto nel 2001 sindaco della cittadina vicina di Courcouronnes.

In un messaggio inviato ai suoi amministrati il 1 marzo e sul suo blog, il sindaco scrive in grassetto: "Abbiamo vinto!" Si bea che "l'appello alla mobilitazione" abbia pagato - "un metodo che funziona", recita l'editto che chiamava gli abitanti del suo comune a manifestare contro la presenza, dall'estate 2009, di una quindicina di carovane in un piccolo bosco nella vicina località.

Stéphane Beaudet quindi non era immediatamente coinvolto nella questione: il terreno in oggetto appartiene allo stato ed è situato nel territorio di Ris-Orangis. Ne le Parisien del 26 febbraio, lo riconosceva lo stesso sindaco:

"Il terreno non appartiene al comune, quindi non posso far ricorso alla giustizia per far chiudere [l'accampamento]."

Crociata contro quanti "fanno marcire la vita degli abitanti".

Tuttavia, se la cosa esce dalle sue prerogative, il sindaco UMP sembra avere deciso di partire per la crociata. Un po' troppo, il termine di "crociata"? L' appello alla mobilizzazione era però esplicito. Un opuscolo, redatto in parte in lettere maiuscole, che gridava così da alcune settimane:

"La partenza immediata della gens du voyage non sarà negoziabile."

Per arringare i suoi amministrati, Stéphane Beaudet non ha lesinato i toni razzisti. In particolare ha accusato la gens du voyage di Ris-Orangis di "avvelenare la vita degli abitanti".

Precisione significativa: il fatto è che l'eletto è, d'altra parte, candidato della maggioranza presidenziale nell'Ile-de-France alle regionali. Caso del calendario? Mentre la scadenza elettorale si avvicinava, il tono s'è fatto più duro. Al punto che Stéphane Beaudet aveva semplicemente chiamato i suoi abitanti a costruire pareti di terra attorno all'accampamento allo scopo di bloccarne l' accesso. Ciò che non ha mancato di offendere il sindaco di Ris-Orangis. Quest'ultimo è socialista.

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Di Fabrizio (del 15/03/2010 @ 09:40:40, in Italia, visitato 1638 volte)

Il lutto per Enea, un progetto per il futuro dei suoi coetanei

Enea Emil è l’ennesimo bambino rom morto nel rogo provocato dalla stufa che doveva riscaldarlo. Viveva in un rifugio di fortuna dopo essere stato sgomberato con la sua famiglia dal campo di via Triboniano dove, se non altro, avrebbe avuto quel minimo che garantisce la sopravvivenza di un essere umano e una piccola speranza per il proprio futuro.

La perdita della vita e del futuro di un bambino, stroncati in questo modo a Milano, la città dell’ EXPO, benestante e “accogliente”, significa una sconfitta della nostra società e nello stesso tempo non possiamo far finta di non vedere che c’è una responsabilità oggettiva in chi accetta che uomini, donne, bambini vengano lasciati vivere in condizioni di degrado così pesanti.

Milano è diventata in questi anni centro di una vera e propria “caccia al rom”, un carosello di sgomberi che insegue sempre le stesse comunità da un punto all’altro della città, un costo inutile e crudele che si limita a cancellare i tentativi di fissare piccoli pezzi di vita con bambini che vanno a scuola, uomini e donne che ottengono lavori anche regolari, ma più spesso in nero perché non c’è nulla di più facile che sfruttare la disperazione del nostro prossimo.

Eppure il ministero degli Interni ha stanziato 13 milioni di euro per affrontare la questione rom a Milano, una cifra che consentirebbe di avviare un percorso vero di integrazione: i Rom a Milano sono meno di circa 1500 regolari e circa altrettanti tra “tollerati” e abusivi secondo il censimento del prefetto. Dei 1000 coinvolti nella chiusura dei campi la metà è composta da cittadini italiani, alta è la frequenza scolastica non solo nei campi regolari ma anche in quelli abusivi dove operano le associazioni del volontariato. Ma il progetto del Comune prevede solo circa 4 milioni a questo scopo e il resto a interventi di “sicurezza”.

Noi siamo convinti che la sicurezza di una comunità si basi sulla sicurezza sociale dei suoi membri, qualunque sia la loro origine, etnia, cultura, religione, in una convivenza fondata sul rispetto reciproco. Per questa ragione chiediamo all’amministrazione cittadina due cose:

  1. Che cessi la politica di sgomberi inutilmente crudeli perché in due anni non hanno portato a nessun risultato se non a quello di distruggere i piccoli passi di integrazione realizzati. A meno che qualche centinaio di rom inseguiti dalle ruspe e dalle forze dell’ordine da un ponte all’altro, da una discarica all’altra non sia utile per altri scopi.
  2. Che si apra un reale confronto tra Comune, associazioni e comunità rom per discutere dell’utilizzo del finanziamento stanziato per affrontare dal versante giusto la “questione rom”, realizzando passi concreti di avviamento al lavoro, all’abitazione e alla scolarità di una comunità che nella nostra società è vittima di un pregiudizio e di una ghettizzazione che nega ai suoi componenti la dignità di essere umano a cui ha diritto ciascuno di noi.

Associazione Aven Amentza, associazione Upre Roma, CGIL Milano, Federazione Rom e Sinti Insieme, Gruppo Abele Milano, NAGA, Opera Nomadi Milano

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Di Fabrizio (del 16/03/2010 @ 09:23:18, in Europa, visitato 1649 volte)

Da Roma_Francais

I Rom: una libertà pagata cara par D. Sabo

Le popolazioni nomadi zigane si confrontano a discriminazioni persistenti e subiscono una profonda esclusione sociale. Iniziative cittadine ed azioni di sensibilizzazione permettono, in alcuni casi, di contrastare gli attentati ai loro diritti.

Occorre vedere il magnifico film "Liberté" di Tony Gatlif. Si riferisce alla persecuzione dei Zigani durante la II guerra mondiale. Una zona d'ombra che il cineasta ha superbamente messo in luce con la storia di Taloche, uno zigano internato nel campo di Montreuil-Bellay, sotto Vichy, storia ispirata del libro di Jacques Sigot "Questo filo spinato dimenticato dalla storia" (edizioni Wallâda)..

Non lo si ricorda spesso ma sui due milioni di zigani che vivevano in Europa, tra i 250.000 ed i 500.000 furono deportati nei campi di concentramento. Pochi lo sanno: 40.000 zigani sono stati rinchiusi in trenta campi francesi durante la guerra. Il rigetto della popolazione dei Rom è antico e persiste,, per quanto siano del tutto cittadini europei. Dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007, i Rom costituiscono la più grande minoranza etnica della UE.

Malgrado la loro cittadinanza europea, restano vittime di ostracismo e si confrontano con le discriminazioni. Il considerevole apporto che queste popolazioni potrebbero avere nella società europea è ignorato, per l'effetto di stereotipi e pregiudizi che si esprimono con discriminazioni economiche, sociali e politiche.

Tre rapporti* sul razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo e l'intolleranza in Repubblica Ceca, Grecia e Svizzera, sono stati pubblicati il 15 settembre 2009. Anche se si osserva un'evoluzione positiva in ciascuno dei tre stati membri del Consiglio d'Europa, i rapporti rilevano, nel contempo, alcuni fatti che rimangono preoccupanti.

In Repubblica Ceca, i Rom si confrontano con la segregazione nell'istruzione e l'alloggio ed alla discriminazione nell'impiego. Si osserva un'intensificazione che lascia ammutoliti, delle attività di gruppi di estrema destra. Un nuovo codice penale è stato adottato nel 2008 e contiene disposizioni più complete in materia di lotta al razzismo.

In Grecia, i Rom conoscono ugualmente problemi di impiego, di alloggio e di giustizia. La legislazione che proibisce l'incitamento all'odio razziale è ancora poco applicata.

Anche in Svizzera si assiste ad una pericolosa intensificazione dei discorsi politici razzisti contro i nuovi cittadini. La legislazione non è sufficientemente sviluppata per trattare la discriminazione razziale diretta che tocca in particolare i musulmani, le persone originarie dei Balcani, della Turchia, dell'Africa ma anche la gens du voyage.

Segnali incoraggianti

La situazione è particolarmente delicata per le donne rom. E non solamente in questi tre paesi. Il 12 gennaio 2010, le donne rom hanno urgentemente invitato i governi europei a rispettare i loro diritti fondamentali. Alcuni di questi governi praticano la sterilizzazione forzata. Misure concrete sono prese poco a poco per compensare le vittime, sanzionare gli autori di tali atti ed avviare una riforma del settore medico pubblico perché i diritti delle pazienti siano rispettati.

Le conclusioni di una conferenza delle donne rom europee che si è tenuta ad Atene l'11 ed il 12 gennaio 2010, hanno sottolineato la necessità di prevenire ogni segregazione di fatto in materia di alloggio e d'istruzione, promuovendo i principi di qualità e d'integrazione. Le partecipanti hanno ugualmente incoraggiato le militanti rom e chi difende i diritti umani ad agire presso le comunità rom per sensibilizzarle nei loro diritti fondamentali e facilitare il loro accesso ai servizi pubblici ed ai dispositivi destinati a far rispettare la legge.

L'integrazione delle comunità rom dipende dalla responsabilità condivise tra gli stati membri e la UE. La UE dispone di un solido arsenale giuridico per lottare contro le discriminazioni. Ricorre ai fondi strutturali europei ed organizza iniziative di sensibilizzazione sulle discriminazioni nei confronti dei Rom. Inoltre, un'azione coordinata è condotta in alcuni grandi settori particolarmente importanti per l'integrazione dei Rom, come l'istruzione, l'occupazione e l'integrazione sociale.

Nel quadro della sua partecipazione al "2010 - Anno europeo di lotta contro la povertà e l'esclusione sociale", la direzione Istruzione, Cultura, Multilinguismo e Gioventù della Commissione Europea organizza un'esposizione ed una conferenza dedicate all'aiuto che forniscono i programmi dell'UE alla minoranza rom.

Ed in Francia?

Neppure nell'Esagono, la situazione dei Rom è facile. Per la maggior parte cittadini dell'Unione Europea dopo l'entrata della Romania e della Bulgaria in quest'insieme, sono trattati come "cittadini di seconda zona". Le Comunità zigane sono le prime vittime della politica del numero e della paura in materia d'immigrazione. Inoltre gli ostacoli all'azione umanitaria si sono intensificati e moltiplicati nel 2008-2009. L'azione umanitaria è sistematicamente considerata come sospetta dai pubblici poteri. È un fenomeno nuovo di cui si possono purtroppo citare numerosi esempi.

"Le popolazioni sono state incessantemente sgomberate e rese precarie, ciò che impedisce alle OnG di di occuparsene e mantenere un legame sociale. Le loro espulsioni ripetute senza soluzione di rialloggiamento comportano esaurimento, interruzione di cure e di seguito medico, in particolare delle donne incinte e dei bambini" deplora il dott. Bernard dell'associazione Médecins du Monde. Occuparsi dei più poveri diventa sempre più difficile. L'80 % dei pazienti non hanno alcuna copertura malattia mentre vi avrebbero diritto ed il 20 % non dipendono da alcun dispositivo.

Nell'estate 2009, lo stato francese ha chiesto l'espulsione del campo urgentemente installato a Saint Denis da Médecins du Monde per famiglie rom sulla strada. La mobilizzazione de più di trenta associazioni (Fondazione Abbé Pierre, Soccorso cattolico, Romeurope, ATD Quarto Mondo, il Droit au Logement (DAL), la Lega dei Diritti dell'Uomo (LDH), Rete Istruzione Senza Frontiere) e l'azione della giustizia hanno permesso tuttavia di contrastare questa richiesta.
Il tribunale ha così respinto la domanda d'espulsione formata dal prefetto di Seine Saint Denis, riconoscendo così la situazione urgentemente umanitaria nella quale si trovano i Rom dell'Ile de France. "Una presa di coscienza della gravità della situazione sanitaria dei Rom comincia ad emergere„ si rallegra Médecins du Monde anche se rimane da trovare una soluzione definitiva per le famiglie.

* Questi  rapporti fanno parte del quarto ciclo seguito dall'ECRI. ECRI è un meccanismo indipendente dal Consiglio d'Europa che si occupa dei problemi del razzismo e dell'intolleranza, prepara relazioni ed indirizza delle raccomandazioni agli Stati membri. Le relazioni per paese, con le osservazioni dei governi allegate, sono disponibili su: www.coe.int/ecri

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Di Fabrizio (del 16/03/2010 @ 09:38:36, in blog, visitato 1886 volte)

...ed invece sono passati quasi 5 anni. Lo rileggo volentieri per guardare (una volta tanto) la strada percorsa ...ed anche per l'amico Yuri del Bar, che a Mantova s'e' ricandidato alle elezioni comunali

Non sapevo cosa scrivere

(e invece)
Ho un mucchio di notizie arretrate da sbrigare e forse da pubblicare, ma e' come se mi autocensurassi:
forse potra' interessare a qualcuno che nella Repubblica Ceca si continua a parlare di sterilizzazione forzata delle donne Rom, senza la certezza se questa pratica prosegua ancora oggi, o che la International Organization for Migration abbia iniziato una propria campagna europea di assistenza a favore dei Rom dell'Europa dell'Est, che vivono oggi una situazione per molti versi simile a quella del nazismo (non lo dico io, e' quello che leggo sul loro documento).
Stranamente, non ci sono notizie di nuovi rimpatri forzati verso il Kosovo, non so se dipenda dal silenzio stampa dei ministeri degli interni o per la moratoria richiesta dall'UNHCR, in compenso in Gran Bretagna continua la polemica tra il partito conservatore e il governo laburista sulle aree di sosta...
Ne scriverei, se non fosse che sono cose scontate e che sono stanco di ripetere le medesime notizie.

Ci sono stati dei momenti negli anni scorsi, in cui le notizie erano da addentare come se fossi un mastino. Scontri violenti per motivi etnici, in Romania, Slovacchia, Kosovo, un corrispondente macedone che prima mi scriveva sotto i colpi di mortaio dell'UCK, e poi ferito dalla polizia durante una manifestazione di protesta. Li' forse c'era un senso, perche' queste notizie non arrivavano sui giornali italiani, se non dopo settimane. Li', nel silenzio dell'informazione ufficiale, misuravo il senso della parola discriminazione.

Quella e' la discriminazione di "guerra". Poi c'e' l'altra discriminazione, quella di "pace": nel lavoro, nella casa, nello studio o nell'accesso ai servizi sanitari. Ma se nel caso della guerra potevo parlare di CENSURA, la "discriminazione di pace" e' piu' ambigua: da una parte sullo Zingaro (uso apposta il termine dispregiativo) si caricano tutta una serie di paure secolari, dall'altra, fatichiamo a vederlo diverso da come ce lo siamo sempre immaginato. Mi spiego: LORO non han voglia di lavorare, ma NOI faticheremmo ad accettare un collega Sinto o una baby sitter Rom. LORO non vogliono mandare i figli a scuola e NOI facciamo cambiare scuola ai nostri bambini se 2 o 3 dei loro compagni di classe abitano in un campo sosta.
Dico che li abbiamo rinchiusi, prima che nei campi sosta, in un ruolo da cui abbiamo paura che escano.
Allora, parlare delle discriminazioni quotidiane serve a poco, perche' sono quelle cose che turbano per qualche giorno, ma ci rassicurano che il gradino basso della societa' e' occupato, ed e' giusto cosi', perche' se e' occupato non rischiamo di caderci noi. Proprio le cronache della "discriminazione di guerra" mi hanno insegnato che qualsiasi siano i contendenti, i Rom sono sempre i primi a pagare e, finito con loro, c'e' qualcun altro, che stava meglio, che si ritrova al loro posto, suo malgrado.

Poi, ci sono i "bravi democratici": quelli che sono affascinati da un nomadismo che se potessero i Rom si lascerebbero volentieri alle spalle, quelli che "Zingaro e' cultura, e' musica, e' poesia". Si', ma che senso ha questa cultura, se non ha possibilita' di esprimersi e di confrontarsi? Se rimane chiusa nei ghetti o nei campi? E' come parlare dei menestrelli medievali, con la differenza che i cavalieri antichi sono estinti, e qua ci riferiamo a un popolo che vive in mezzo a noi. Insomma, buoni o cattivi, sembra che l'importante sia percepirli come DIVERSI.

Diversi, lo siamo tutti, non vedo qua il problema. Il problema e' quando la diversita' e' un alibi per vivere separatamente e senza confronto. Da questo tipo di diversita', non puo' che nascere una societa' malata, da un lato e pure dall'altro.

Mentre si continuano a tenere le distanze, i Rom e i Sinti (per natalita' o per fuggire alle guerre e alle persecuzioni), sono diventati la minoranza etnica piu' vasta della Comunita' Europea. 10/12 milioni (non lo sappiamo), piu' degli abitanti dell'Austria o del Belgio. E si affacciano nuove generazioni.

Livia Jaroka e Yuri del Bar hanno in comune la giovane eta' (30 e 26 anni). E l'etnia. Per il resto sono DIVERSISSIMI: lei Ungherese e lui Italiano, lei antropologa e lui mediatore culturale. Anche politicamente sono distanti: Livia Jaroka eletta al Parlamento Europeo nel Partito Popolare, Yuri del Bar al Comune di Mantova in Rifondazione Comunista.
Livia Jaroka ha sponsorizzato il mese scorso un programma di formazione professionale presso il Parlamento Europeo, per giovani Rom che possano in futuro essere quel nucleo politico-intellettuale che e' mancato al suo popolo per risollevarsi dal II dopoguerra (chi volesse ulteriori notizie, me le richieda via email).
Yuri del Bar e' stato eletto con un programma che richiedeva la chiusura dei campi sosta a favore di microareee, il diritto di voto ai migranti, piu' fondi allo studio e sostegno alle famiglie.
Su di loro, la cappa mediatica che ricordavo prima. Eppure, credo che quei due, cosi' DIVERSI, siano l'avanguardia di una nuova generazione che possa parlare in prima persona del proprio popolo, perche' finalmente si racconti la miseria o la gioia senza i NOSTRI giri letterari.

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In questi giorni così difficili abbiamo deciso di rendere più facile (e gratuito) l'accesso al volume "Politiche possibili. Abitare le città con i rom e i sinti" (Carocci, 2009, 300 p.).
Da oggi è disponibile per essere scaricato gratuitamente dal sito dell'editore.

E' sufficiente andare sul sito www.carocci.it, schiacciare nel menu a sinistra il tasto "press on line", registrarsi (senza costi) e scrivere nel menù di ricerca dei titoli "Politiche possibili". Sarà possibile così scaricare il pdf dell'intero volume per una agevole consultazione sul proprio computer o per stamparlo. Per chi ne avesse l'esigenza rimane comunque possibile comprare la versione cartacea.

[...]

Desidero ringraziare sentitamente tutti gli autori che hanno contribuito con passione civile e rigore analitico alla scrittura collettiva del volume, il dr. Loris Caruso che mi ha aiutato nella revisione editoriale dei testi, Paola Ciceri per la segreteria organizzativa dell'iniziativa (un po' faraonica, ma il risultato ne valeva la pena), il dr. Aluigi alla Carocci per l'accompagnamento editoriale sollecito, competente e puntuale, Laura di Martino, l'Arci Blob e l'Arci di Milano per aver dato vita all'iniziativa seminariale da cui è partita l'idea, e - last but not least - Maurizio Cabras per avermi coinvolto e spinto nell'operazione e Luca Rodda per aver sempre creduto nell'iniziativa.

Un ringraziamento particolare va agli enti, organizzazioni sindacali, cooperative e associazioni che hanno scommesso sulle ragioni e le modalità di questa ricerca e la hanno resa possibile. La pubblicazione non sarebbe stata possibile senza il contributo iniziale dell’Associazione dei Comuni per l’Adda e il sostegno successivo di ARCIMilano, ARCIToscana, AUSERLombardia, Caritas Ambrosiana, CGIL-Camera del Lavoro Metropolitana di Milano, Comune di Modena, Forum del Terzo Settore della Lombardia, Opera Nomadi di Milano, Opera Nomadi di Padova.

Con molta cordialità
Tommaso Vitale

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Di Fabrizio (del 17/03/2010 @ 09:07:03, in Europa, visitato 1624 volte)

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Osservatorio sui Balcani - Fuori dall'ombra
12.03.2010 Da Capodistria, scrive Stefano Lusa

Foto di Fabrizio Giraldi
Era la più grave violazione dei diritti dell'uomo della sua storia recente. Ora finalmente sanata. La Slovenia ha restituito ai cosiddetti ''cancellati'' i loro diritti. In 13.000 potranno ora riottenere la residenza

La Slovenia ha posto rimedio alla più grande violazione dei diritti dell’uomo nella sua storia recente. Il parlamento, infatti, ha varato una norma che consentirà a quei cancellati, che non avevano potuto farlo sin ora, di riottenere la residenza. Dei complessivi 25.761 sono ancora oltre 13.000 coloro che non hanno regolato il loro status. Nessuno sa quanti di essi vivano ancora in Slovenia e quanti sono coloro che, dopo anni passati all’estero, possano essere interessati a riottenere la residenza.

Il ministro degli Interni Katarina Kresal, nel presentare[] il provvedimento, aveva invitato i deputati ad approvarlo “se non già per un vincolo etico nei confronti delle persone a cui lo stato 18 anni fa ha fatto un torto, per rispetto della costituzione”. Da anni la polemica sui cancellati è altissima e anche questa volta il centrodestra non ha lesinato strali nei confronti del ministro e del provvedimento. Molto si è puntato sui risarcimenti che adesso i cancellati potrebbero richiedere alle vuote casse dello stato. La Kresal non si è scomposta più di tanto e come al solito ha continuato a ribadire l’importanza del rispetto della costituzione, delle leggi e dei principi dello stato di diritto.

Ora ci saranno tre anni di tempo per presentare formale richiesta. Quello che, però, appare più importante è che, in qualche modo, si chiede scusa per quanto accaduto. C’è voluta una generazione di politici nuovi. Troppo giovani per essere sulla scena politica all’epoca dei fatti e per avere scheletri negli armadi.

La cancellazione risale all’epoca della proclamazione dell’indipendenza. Lubiana, si era impegnata a concedere la cittadinanza a tutti i residenti che si erano trasferiti nella repubblica dalle altre parti della federazione. Gli immigrati erano circa 200.000. In oltre 170.000 ottennero la cittadinanza.

All’epoca qualcuno decise di andarsene, altri non riuscirono a raccogliere la documentazione necessaria o si videro respinta la domanda, altri ancora non presentarono richiesta di cittadinanza, pur avendo intenzione di continuare a vivere in Slovenia. Per loro cominciò una vera e propria via crucis. Le autorità pensarono bene di depennarli dall’elenco dei residenti. L’operazione comportò per loro la perdita di tutti i benefit di cui godevano. Persero il diritto al lavoro, all’assistenza sanitaria, all’acquisto a prezzo agevolato della casa ed altro ancora. In sintesi persero il diritto di continuare a vivere nella repubblica e si trovarono d’un tratto ad essere clandestini nel paese dove avevano vissuto per decenni o erano addirittura nati.

La cancellazione avvenne in maniera arbitraria e del tutto illegalmente. In ogni modo quell’operazione, fatta in gran segreto, poté contare su un consenso sociale altissimo. L’opinione pubblica d’altronde pensava che, in fondo, quelli erano potenziali nemici, oppositori dell’indipendenza slovena. In ogni modo avevano avuto la possibilità di regolare la loro posizione e non avevano voluto farlo. La cosa ovviamente non era vera, anche perché nessuno aveva spiegato loro che se non avessero ottenuto la cittadinanza avrebbero perso anche i diritti legati alla residenza.

Il problema dei cancellati cominciò ad emergere negli anni successivi. Le loro tristi storie iniziarono ad essere raccontate dai giornali e già 15 anni fa il neo nominato tutore dei diritti civili puntò il dito sulla questione sin dal suo primo rapporto. Era facile rendersi conto che ci si trovava di fronte ad una palese violazione dei diritti dell’uomo, orchestrata consapevolmente o meno all’epoca del primo governo sloveno democraticamente eletto, formato da una coalizione di centrodestra. Quando, poco dopo, il centrosinistra prese in mano per più di un decennio le redini del paese non si preoccupò di porre rimedio alla questione.

Il problema finì di fronte ai giudici della Corte costituzionale. Il primo ricorso venne presentato nel 1994. Per arrivare ad una sentenza si dovette attendere ben 5 anni. L’Alta corte stabilì l’illegalità della cancellazione e diede 6 mesi di tempo al legislatore per correre ai ripari. Da quel momento i politici, loro malgrado, cercarono una soluzione. Venne approvata una prima legge che consentiva ai cancellati ancora in Slovenia di regolare la loro residenza, successivamente vennero approvate delle modifiche alla legge sulla cittadinanza che apriva loro le porte all’ottenimento del passaporto sloveno.

La questione era diventata materia di scontro politico. Intanto i cancellati avevano costituito una loro associazione. A battersi per i loro diritti oramai erano scesi in campo Amnesty International, l’Istituto per la pace e le altre organizzazioni impegnate sul fronte della tutela dei diritti dell'uomo. Al loro fianco c’era anche un ex giudice della Corte costituzionale, Matevž Krivic, che divenne il loro portavoce.

La battaglia continuò con nuovi ricorsi alla Corte costituzionale. I giudici stabilirono che la residenza doveva essere riconosciuta retroattivamente, sin dal momento della cancellazione. Il governo allora preparò un’apposita legge e l’opposizione indisse un referendum. Nel 2004 il 94% degli elettori disse no alla normativa, ma la partecipazione al voto fu solo del 31%. Si proseguì con manifestazioni, scioperi della fame e ricorsi al Tribunale europeo per i diritti dell’uomo.

La Slovenia, che era uscita dallo sfaldamento della Federazione jugoslava con l’immagine di un paese ordinato, si trovava a dover rispondere di una palese violazione dei diritti umani, ormai sotto gli occhi della comunità internazionale.

L’impegno a risolvere definitivamente la questione è comunque venuto dal nuovo governo. La soluzione della questione dei cancellati è stata persino inserita nell’accordo di coalizione. Molti però dubitavano che si avesse realmente intenzione di fare sul serio.

Il ministro degli Interni Katarina Kresal ha stupito tutti e non ha mancato di precisare che era intenzionata a chiudere la vicenda anche a rischio della sua popolarità. Il ministero, così, con gran sgomento dell’opposizione, prima ha fornito il dato esatto dei cancellati, poi ha portato a conclusione il procedimento di riconoscimento della loro residenza con effetto retroattivo per coloro che avevano già regolato il loro status ed infine ha fatto approvare la legge che risolverà definitivamente il problema anche per gli altri.

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