Di Lanfranco Sbardella - 11/03/10 18.31
Con più di un centinaio di milioni di euro si sarebbero potuti costruire degli
alloggi stabili per i rom. Ogni anno, infatti, dal 1996 sono stati spesi circa
13 milioni di euro dal Comune di Roma. Partiamo dall'ordinanza n.80 del 23
gennaio 1996 del sindaco Francesco Rutelli. Poche pagine in cui
l'amministrazione capitolina aveva fissato un numero chiuso per le presenze nei
campi. I più fortunati avrebbero dovuto essere anche in possesso dei documenti,
oltreché di un regolare permesso di soggiorno. Inoltre avrebbero dovuto mandare
i figli regolarmente a scuola. A distanza di 13 anni, l'attuale Piano Nomadi
della giunta Alemanno non sembra scostarsi molto da quella ordinanza: torna il
numero chiuso e il possesso dei documenti. Rimarranno i cosiddetti campi sosta,
aree recintate, in cui stavolta verranno effettuati lavori per l'allaccio idrico
ed elettrico. Saranno dotati anche di un sistema di videosorveglianza.
Dal 1996 ad oggi il Comune di Roma ha speso circa dieci milioni di euro
l'anno per la gestione dei campi sosta dove vivono i rom. La cifra comprende,
come spiegano i bilanci del Palazzo Senatorio, il servizio di pulizia e ritiro
dei rifiuti da parte di Ama, la municipalizzata che si occupa di tenere pulita
la capitale; il pagamento di utenze per l'acqua e l'elettricità; la gestione del
campo e i lavori di manutenzione. Oltre a questo capitolo di spesa si devono
aggiungere anche tre milioni di euro, sempre annuali, che il Campidoglio stanzia
per il cosiddetto privato sociale, o terzo settore, per i progetti di
scolarizzazione. Dal 1996 al 2009 la situazione non è cambiata. Si continuano a
spendere tanti soldi senza però conoscere i risultati prodotti. Non esistono
infatti relazioni ufficiali sullo stato dei campi romani, tantomeno sui progetti
di scolarizzazione. Un dato: la presenza dei bimbi rom in classe è pari al 40%
del totale dei giovani in età scolare. Neanche questa cifra, fornita dalle
associazioni che si occupano di portare i bambini rom a scuola, è ufficiale.
Negli archivi del Comune non esistono dati. C'è di più: in 17 anni di progetti
solo 20 ragazzi si sono iscritti alle scuole superiori.
Che cosa è successo con il cambio di amministrazione? L'attuale maggioranza
ha voluto rispondere in particolare alle insicurezze dei cittadini provocate
dalla cosiddetta “emergenza rom”. La Giunta, appena insediata, ha elaborato un
documento: il Piano Nomadi. L'obiettivo è quello di superare lo stato delle cose
entro i primi mesi del 2010. In campagna elettorale Alemanno aveva ipotizzato lo
spostamento di tutti gli insediamenti fuori dalla città. Dal Piano nomadi emerge
però un'altra prospettiva: i rom saranno sistemati in 13 aree, molte delle quali
già presenti sul territorio cittadino. Nella capitale potranno rimanere solo
6.000 persone, con i documenti in regola, senza precedenti penali e con i figli
regolarmente a scuola. Quanto si spenderà? Circa 23 milioni di euro. Proprio
come voleva fare Rutelli nel 1996.
Si continuano dunque a spendere cifre consistenti con risultati al di sotto di
quanto si potrebbe sperare. Nel 1996 i nomadi censiti dal comune erano 5.467,
divisi in 50 aree. Nel 2009, dopo l'ultimo censimento della Croce Rossa, sono
7.177, divisi in più di 100 aree. In 13 anni le presenze sono salite del 31%,
moltiplicando le difficoltà di un sistema che non è riuscito ad evolversi
positivamente.
Dopo lo spostamento nel 2005 del più grande campo rom d'Europa che sorgeva nel
quartiere Marconi (dove vivevano da 30 anni quasi 1.000 rom) è nato il campo di
Castel Romano, sulla Pontina, un'area di quattro ettari dentro una riserva
naturale. Una situazione che, secondo il Comune, doveva essere temporanea ma che
poi ha assunto caratteristiche diverse. Il campo è ancora in piedi. Costo
dell'opera: 5 milioni di euro. Proprio Castel Romano sarà una delle aree
previste dal Piano Nomadi di Alemanno.
Nel 1991 sono arrivati i primi rom montenegrini e bosniaci che si stabilirono
lungo il canale che costeggia il parco di Centocelle. Molti di loro, secondo
quanto descrivono alcune relazioni fornite dall'antropologa sociale Monica
Rossi, che aveva lavorato nel campo, non si accontentarono di costruire una
baracca. L'85% dei presenti aveva dichiarato che, nel paese di appartenenza,
viveva in alloggi stabili. Case distrutte dalle bombe oppure occupate durante la
guerra dei Balcani, il conflitto che causò la fuga di migliaia di Bosniaci
musulmani perseguitati dalle pulizie etniche.
Questo è un dato di partenza per provare a rispondere al tema del presunto
nomadismo dei rom. Popolazioni che si definiscono per lo più stanziali e ormai
poco inclini agli spostamenti. Proprio l'idea del continuo movimento ha portato
ad utilizzare il vocabolo “nomade” in modo improprio.
Si deve aggiungere anche un'altra voce nel capitolo dei costi: lo sgombero di
un campo rom, che coinvolgendo forze di pubblica sicurezza e macchinari
speciali, arriva anche a costare migliaia di euro. Altri soldi. Perché allora
siamo al punto di partenza? Alcune associazioni italiane come l'Arci e la Casa
dei diritti sociali lamentano la “invisibilità giuridica” dei rom, la maggior
parte oggi cittadini europei. Nel corso degli anni sembra essere mancato un
indirizzo politico da parte delle istituzioni nazionali. Per quanto riguarda la
capitale, le diverse giunte comunali hanno affrontato le fasi d'emergenza senza
curarsi di fissare una strategia più generale. Chissà se la commissione
d'inchiesta proposta dalla deputata del Popolo della Libertà, Jole Santelli, per
indagare sulla condizione femminile e dei minori rom presenti in Italia,
riuscirà a mettere in risalto adeguatamente questi aspetti.