Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 15/12/2008 @ 09:20:51, in casa, visitato 1749 volte)
Come promesso ieri, CityRom va in
via Impastato a Milano
(@2008 google - Immagini @2008 digitalGlobe, Cnes/Spot image, GeoEye)
Il piccolo campo comunale di via Impastato occupa un "vuoto" di forma quadrata
tra via Rogoredo, la tangenziale Est - nei pressi dello svincolo per
l’autostrada del Sole - e l’anello di prova per i treni del deposito di Rogoredo
della Metropolitana 3.
Il campo è costituito da un piazzale di terra battuta con tre piccole case
prefabbricate e alcuni container ed è situato dietro un terrapieno che ne
nasconde la vista dalla strada. È occupato interamente dai membri di una stessa
famiglia, quella dei Bezzecchi, in tutto una quarantina di persone. Giorgio
Bezzecchi, vice-presidente nazionale dell’Opera Nomadi, che ha lavorato 23 anni
all’Ufficio nomadi del Comune, racconta come la sua famiglia si è dovuta
trasferire in questo campo comunale cinque anni fa dopo vare vissuto per
ventanni in affitto su un terreno demaniale nelle vicinanze. Secondo Pasquale
Maggiore dell’Ufficio nomadi del Comune per la famiglia Bezzecchi essere
spostata in un campo comunale anziché pagare l’affitto per il terreno che
occupavano costituisce una regressione. Goffredo Bezzecchi, patriarca della
famiglia, infatti, aveva scelto di non vivere in un campo nomadi, rifiutando
l’assistenzialismo del Comune e questo era un segno di responsabilità e
autonomia che avrebbe dovuto essere sostenuto anziché frustrato.
Il 6 giugno 2008 all’alba il campo nomadi fu oggetto di un "blitz" della polizia
per effettuare il "Censimento dei rom" voluto da valerio Lombardi, super
commissario per i rom con gli ampi poteri previsti dall’ordinanza della
Presidenza del Consiglio. Fu il primo e l’ultimo effettuato nei campi
autorizzati di rom cittadini italiani, dopo che la vigorosa protesta degli
interessati e dell’opinione pubblica mise in evidenza gli aspetti discriminatori
e anticostituzionali dell’iniziativa.
Giorgio Bezzecchi
Siamo rom harvati, cittadini italiani anche se la mia famiglia è di origine
slovena, che vuol dire che fino alla prima guerra mondiale aveva la cittadinanza
austriaca e poi abbiamo scelto di essere italiani. Mio nonno, il padre di mio
padre, era un militare italiano. È andato in guerra e non è più tornato. Mio
padre è stato in campo di concentramento durante il fascismo… Girava con la
giostra ma ha deciso di fermarsi e nel 1966 ha affittato con un regolare
contratto un terreno demaniale, in via Bonfadini, nei pressi di quello che è ora
il campo comunale dei rom abruzzesi, su cui ha posizionato delle strutture
facilmente rimovibili: prefabbricati, case mobili. Pagavamo un regolare affitto,
l’acqua e la luce. Abbiamo dovuto lasciare l’area perché era interessata a
lavori pubblici: doveva passare il Tav, il treno ad alta velocità. Non volevamo
stare nello stesso campo dei rom abruzzesi, che il Comune aveva costruito nel
1987 e abbiamo chiesto un’altra soluzione. Ci hanno dato quest’area di risulta.
L’area non é stata attrezzata e nemmeno pavimentata. L’unico intervento
strutturale fatto dal Comune è stato quello di costruire questa montagna alta
oltre due metri per nascondere il campo alla vista del quartiere. C’è
l’allacciamento all’acqua, alla fogna e all’elettricità e vengono pagate tutte
le utenze, perché ogni famiglia ha un contratto privato con l’Enel e l’AEM, cosa
che non accade negli altri campi. Abbiamo firmato una specie di contratto e il
Comune ha dato un tot di metri quadri a famiglia e alla casa abbiamo dovuto
provvedere noi. Nei campi nomadi c’è il regolamento che vale per il circo e si
possono posizionare solo strutture non ancorate a terra, facilmente rimovibili.
Questa casa dei miei genitori è un prefabbricato. Era in via Bonfadini, è stata
divisa in due, caricata e trasportata coi "trasporti eccezionali". Una casa di
questo tipo quando è nuova si può trasportare anche più di una volta, ma quando
ha trent’anni come questa, nel trasporto, si rompe…vedete le crepe? L’ho detto
anche a mio fratello che ne ha comprata una da poco: se tra quindici anni la
devi spostare, si rompe tutta…
Gli altri stanno nei container perché non possono permettersi queste casette,
che sono a norma ma costano molto. Se si chiede ai Rom dove preferirebbero
abitare, non si ottiene una risposta univoca. In questo campo, alcuni ragazzi
giovani hanno fatto domanda di alloggio popolare; uno o due ha anche occupato
abusivamente un alloggio popolare, come molti italiani. Mio padre vuole
continuare a vivere in questo modo, mia sorella anche, l’altro mio fratello
anche… Una mattina di giugno alle cinque si sono presentati 70 agenti – da
notare che in questo campo vivono 40 persone –: Carabinieri, Polizia di Stato,
Polizia Municipale e furgone della Scientifica. Hanno circondato il campo e
hanno svegliato tutti. In base all’ordinanza di Berlusconi, siamo stati censiti,
fotografati, sottoposti a rilievi dattiloscopici dalla Polizia Scientifica.
Anche i bambini. Si è istituito per noi un archivio speciale in Prefettura,
nonostante siamo cittadini italiani, residenti in via Impastato, regolarmente
registrati all’anagrafe civica. Un intervento istituzionale differenziato.
Sarebbe bastato andare in anagrafe per rilevare le presenze. Per fortuna la
nostra è rimasta l’unica famiglia italiana che è stata censita. Per ora in
questo archivio parallelo ci sono solo la mia famiglia e i Rom stranieri. Siamo
riusciti in qualche modo, sembra, a fermare il censimento attraverso la Procura.
Abbiamo presentato un esposto citando il capo del Governo, il Sindaco e il capo
della Polizia…
Goffredo Bezzecchi
O fai lo zingaro e giri o quando ti fermi ti devono dare la possibilità di farti
una casa, comprartela, sennò sei fuori… Prima io giravo perché avevo le
giostrine. Non mi sarei fermato con la mia giostrina, anche se mi avessero
regalato un posto io non ci sarei stato. Andava bene così: mi fermavo due o tre
giorni e non davo fastidio. Poi me ne ne andavo e il posto rimaneva pulito.
Allora era diverso: avevi la giostrina e ci vivevi, non c’erano tante esigenze.
Oggi fare lo zingaro non è facile. Mi sono fermato perché avevo otto figli e ho
preferito per loro la scuola e il lavoro. Mi sono fermato in via Bonfadini. Ero
in affitto su un terreno e non volevo vivere nel campo nomadi. Il funzionario
era una brava persona, adesso è in pensione. Lui e la moglie mi hanno aiutato
molto, anche per il lavoro. Io ho detto "pago l’affitto" e sono andato avanti
per tanti anni, e i ragazzi andavano a scuola. E dalla scuola sono passati al
lavoro: uno ha fatto per 19 anni il portinaio; mio figlio Paolo da 30 anni
lavora sempre sotto lo stesso padrone; Giorgio è stato assunto dal Comune.
Alcuni fanno i lavori che trovano: mia figlia stamattina è partita alle cinque
per andare a lavorare in un’impresa di pulizie… Io sono scappato dal campo e mi
sono accorto che i miei figli hanno una testa, non sono stupidi e possono
farcela. A molti invece il campo fa comodo, specialmente ai furbacchioni. A
molti piace scroccare, ma non solo ai rom. Anche nelle case popolari ci sono i
furbacchioni. Ma se non puoi andare fuori dal campo, dove vai? Se non ti
lasciano, non hai scelta… Io ormai alla mia età non ci andrei più a vivere in
una casa e ci sono alcuni ragazzi che continuano a preferire vivere qui, nella
casetta o nel container, ma con mio figlio Giorgio, che ha sposato una gagia ho
insistito. Gli ho detto "per amor di Dio, tu non devi più stare qui con la tua
signora, lei è abituata a stare in una casa…".
(Il sopralluogo al campo e le interviste a Goffredo e Giorgio e Bezzecchi sono
stati effettuati il 22 ottobre 2008, l’intervista a Pasquale Maggiore il 16
ottobre 2008 )
Di Fabrizio (del 14/12/2008 @ 09:16:24, in Italia, visitato 1727 volte)
Da
Tg Roseto. altre notizie su
Coopofficina
12 Dicembre 2008 - Martedì 16 dicembre alle ore 15.00 si svolgerà
presso il Centro Polivalente per Immigrati "Melting POinT", in via C. Battisti
31 a Martinsicuro, un incontro pubblico di approfondimento sulla cultura Rom.
Fonti storiche segnalano l’arrivo dei Rom in Abruzzo già nel XIV secolo, eppure
i Rom costituiscono ancora "cittadinanze imperfette".
La parola "rom" suscita ancora timore e troppo spesso rappresenta causa di
allarme sociale.
Per cercare di ovviare a questo "stato di emergenza", la Provincia di Teramo
e la Casa Circondariale di Teramo organizzano un incontro pubblico di
approfondimento sulla cultura Rom, rivolto a cittadini, operatori sociali e
famiglie Rom.
All’incontro parteciperanno:
§ MIRELLA DI GIORGIO - Rinnovare le pratiche e le parole: zingaro o Rom?
§ ANNA RITA SILVESTRI - 60 anni e 6 giorni dalla Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo: raccomandazioni, leggi e progetti per promuovere la dignità
di ciascun individuo
§ ERNESTO RUSSO - La presunta non integrabilità: casi di Rom al lavoro
E’ tutto a posto con i Rom?
La parola "rom" fa ancora timore quando viene espressa nella società italiana, e
per vari politici rappresenta causa di grande allarme sociale con possibili
gravi ripercussioni sull’ordine pubblico e la sicurezza, in una parola
costituisce "uno stato di emergenza".
Prima di arrivare a queste affermazioni, i politici dovrebbero farsi la domanda…
Quanto conosciamo di questo popolo? Già, con la legge 482 del 1999 che riconosce
le minoranze linguistiche, all’ultimo momento i rom e i sinti vennero cancellati
e purtroppo, finora niente non è mai stato fatto.
La missione a Roma, il 18 e 19 settembre scorsi, di un gruppo di
europarlamentari ha già prodotto un rapporto in cui si legge, tra le molte
osservazioni: "le azioni perpetrate contro i rom dalle autorità italiane violano
diversi obblighi dell’Italia rispetto alle norme internazionali sui diritti
umani".
Al termine delle 40 pagine della bozza di rapporto, scritto da Gèrard Deprez
eurodeputato belga liberale e presidente della Commissione libertà pubbliche si
legge: "le autorità italiane devono abrogare immediatamente tutte le normative e
ordinanze che hanno come bersaglio i Rom. Oltre ad abrogare, il governo italiano
viene invitato anche a fare, a non dire e a condannare".
E’ un richiamo verso tutte le istituzioni a un impegno per ricercare, con il
tempo, un dialogo costruttivo che prevede un processo di integrazione a lungo
termine, e non un processo di colpevolezza.
La legislazione europea afferma che soluzioni abitative che emarginano, dal
punto di vista geografico, comunità minoritarie come i rom e i sinti sono
soluzioni razziste; e tanto altro è previsto ancora.
Il cambiamento può avvenire dentro di noi. Liberarsi dei pregiudizi, lavorare su
noi stessi, rispettare i diritti degli altri, accogliere le diversità come una
risorsa non come una minaccia, è poi, chiedere di essere rispettati.
Un noto scrittore sottolinea:" i rom e i sinti sono belli e brutti, intelligenti
e stupidi, modesti e falsi, aperti e chiusi come tutti noi, come i nostri
parenti e i nostri vicini di casa".
E si trasformano e si adattano al mondo. L’importante è crescere insieme,
conoscersi e fare tesoro delle nostre diversità.
Finora, però, le risposte ancora mancano; per questo, ci associamo anche noi
alla domanda; E’ tutto a posto con i Rom?
Di Fabrizio (del 14/12/2008 @ 09:09:19, in casa, visitato 4520 volte)
CityRom ha ripreso la presentazione di alcuni campi sosta
comunali del milanese. Oggi si parla del campo di
via Bonfadini, domani di quello di via Impastato.
(@2008 google - Immagini @2008 digitalGlobe, Cnes/Spot image, GeoEye)
L'"area abitativa comunale per cittadini di origine rom e sinti" di via
Bonfadini occupa un triangolo di 5.000 metri quadrati nei pressi
dell'Ortomercato, i cui lati sono definiti dai binari del passante
ferroviario. Vi si accede con una strada cieca che, dopo aver attraversato
un'area di stoccaggio dell'Ortomercato, passa al di sotto della ferrovia e sbuca
in un'isola tra i binari occupata interamente dal campo. Emergendo dal
sottopassaggio – che è l'unico accesso all'"isola" da quando, qualche anno fa,
due passaggi a livello sono stati eliminati – Milano scompare e ci si trova
improvvisamente in un altro continente. Progettato dal Comune nel 1987 come
"area di sosta attrezzata per roulotte e case mobili", per alcune famiglie di
rom abruzzesi che dagli anni sessanta si erano stabiliti in un terreno nelle
vicinanze, il campo si presenta oggi come uno slum costituito da un denso
agglomerato di case mono-famigliari autocostruite, alcune in muratura, altre in
legno e qualche casa mobile e roulotte. Varcato l'ingresso – costituito da uno
spazio libero che interrompe la schiera di case rivolte verso l'interno del
campo che ne recintano il perimetro, - ci si trova in un villaggio brulicante di
vita. Tra le case e le auto parcheggiate i bambini giocano mentre gli adulti si
dedicano alle più svariate attività: chi aggiusta una motocicletta, chi cucina,
chi pialla in un laboratorio di falegnameria a cielo aperto, chi semplicemente
chiacchiera in gruppo seduto davanti a casa. Dappertutto fervono lavori di
ristrutturazione, manutenzione e ampliamento delle casette. Il disegno delle
piazzole di 200 mq originariamente assegnate ad ogni famiglia per parcheggiare
l'auto e la roulotte o la casa mobile non si riconosce più. Come racconta M. A.-
una giovane abitante del campo in attesa di essere riconfermata mediatrice
culturale dal Comune - non appena il campo comunale fu pronto, nel 1987, e
furono assegnate alle famiglie le piazzole in cui dovevano trasferirsi per
liberare l'area dove vivevano da vent'anni, tutti cominciarono a costruire
casette di legno e da allora nel villaggio i lavori per renderle sempre più
confortevoli non si sono mai interrotti. Il Comune aveva predisposto il campo
come un campeggio, con la possibilità di collegarsi alla rete elettrica e con un
blocco di servizi comuni - gabinetti e docce con l'acqua fredda - ma la maggior
parte delle famiglie ha provveduto in proprio ad allacciare la propria
abitazione alla rete fognaria e all'acqua. Ora quasi tutte hanno l'acqua
corrente e il gabinetto in casa. Secondo le informazioni fornite dal Nucleo
problemi del territorio della Polizia locale, la maggior parte delle costruzioni
abusive sono state condonate per “stato di necessità".
Nel campo vivono oggi 25 famiglie, per un totale di circa 120 persone, tra cui
moltissimi minori. Secondo Valerio Pedroli dei Padri Somaschi, l'associazione
che si occupa di assistenza e mediazione sociale nel campo di via Bonfadini, la
posizione e la struttura del campo ne fanno un ghetto destinato fin dalle
origini ad essere un vivaio di disagio e asocialità. Il tentativo
dell'associazione è quello di mettere in comunicazione il campo e il territorio,
soprattutto attraverso progetti che coinvolgono i bambini del campo che
frequentano le scuole del quartiere e i loro genitori.
M.A.: La mia famiglia è venuta dall'Abruzzo negli anni Sessanta in cerca di
lavoro. I genitori di mia madre in Abruzzo vivevano da sempre in casa, quelli di
mio padre si occupavano di cavalli e si spostavano con la roulotte. Noi non
siamo nomadi, siamo sedentari e ci siamo dovuti costruire da soli questa casa,
con il bagno, la cucina e lo spazio per vivere in sei persone. I bambini vanno a
scuola e hanno bisogno di spazio. Abbiamo già ricevuto una denuncia per abuso
edilizio ma siamo stati assolti perché abbiamo fatto i lavori per necessità, per
avere una casa dove vivere. Ora stiamo facendo altri lavori e abbiamo paura di
ricevere un'altra denuncia. Non capisco perché ci denunciano, noi abbiamo reso
la nostra casa a norma, ora i soffitti sono dell'altezza giusta, l'impianto
elettrico è a norma e abbiamo usato materiali a norma per gli incendi. Qui tutti
sistemano continuamente la propria casa, per renderla più comoda. Fanno il bagno
con l'acqua calda, la ampliano perché i figli si sono sposati. In questo campo
vivono le stesse famiglie che c'erano quando è nato, ma i figli sono cresciuti,
si sono sposati e hanno avuto dei bambini. C'è ancora l'abitudine di sposarsi
giovani - questi che si stanno costruendo la casa qui a fianco hanno vent'anni e
tre figli - e per tradizione la nuova famiglia resta a casa dei genitori dello
sposo. A me piace vivere qui perché sto vicino ai miei parenti e perché ora che
abbiamo sistemato la casa mi trovo bene. Ogni tanto c'è qualcuno che va a vivere
fuori dal campo, in una casa normale, come una ragazza che fa la mediatrice
culturale come me. Ma sembra che il Comune non le rinnovi più il contratto
perché da quest'anno solo chi vive nel campo può fare la mediatrice culturale.
Trovo che sia assurdo: lei al campo conosce tutti, viene sempre, non è
necessario abitare nel campo per fare il lavoro di mediazione culturale. Noi rom
abbiamo la nostra cultura e il nostro lavoro di mediatrici coi bambini che vanno
a scuola, i loro genitori e le maestre è molto importante. La mia collega aveva
un lavoro e poteva pagare l'affitto fuori dal campo e ora che le tolgono il
lavoro che cosa fa? deve tornare ad abitare nel campo?
Valerio Pedroni: Il campo si trova ai margini di una zona storicamente
indigente e disagiata di grandi case popolari. Nella zona più decentrata e
marginale di una zona marginale, chiuso tra i binari della ferrovia. Questo
significa che è destinato all'emarginazione. Tra gli adulti c'é una percentuale
impressionante di persone in carcere o agli arresti domiciliari. C'è una
situazione di povertà non certo materiale, perché a nessuno manca da mangiare,
ma immateriale, di disagio sociale. Nel campo ci sono due tendenze opposte: da
una parte una tendenza centrifuga, che riguarda le donne e i minori che
rifiutano fortemente di vivere in campo e che vorrebbero una situazione
abitativa diversa. Dall'altra una tendenza centripeta, di chi cerca di rimanere
nel campo, un po' perché ha paura di quello che c'è fuori, e il campo diventa
una forma di protezione dai pericoli esterni, e un po' anche perché per certi
versi costituisce una zona franca. Il campo sicuramente favorisce il formarsi di
percorsi devianti e rappresenta un ostacolo alla riuscita un percorso positivo
di uscita dall'emarginazione.
Alcuni degli abitanti del campo ora vivono in case popolari – alcuni le occupano
abusivamente, altri invece ne hanno ottenuta una –, altri hanno provato ad
andare a vivere in una casa popolare, non ci sono riusciti e sono tornati al
campo. Sicuramente il campo, sia per quelli che ci vivono, sia per quelli che
abitano nelle case popolari, costituisce ancora il centro nevralgico della
comunità sociale.
Dal momento che il problema è che questo campo è un esempio di esclusione
sociale allo stato puro e non ha nessun tipo di comunicazione con il territorio,
quello che intendiamo fare col nostro intervento è portare il territorio nel
campo e il campo nel territorio. Il territorio è ossigeno e noi dobbiamo fare in
modo che le due realtà, campo e territorio, si parlino. La prima cosa che
abbiamo fatto è stato conoscere molto bene il territorio - i comitati
d'inquilini, le parrocchie, gli oratori, le varie associazioni di volontariato,
le istituzioni – e cercare di portare gli adulti a usufruire dei servizi che
questo offre, creando alcune prime occasioni di conoscenza reciproca. Nello
stesso tempo stiamo cercando di creare occasioni per portare persone del
territorio all'interno del campo attraverso il volontariato, in modo tale che
questo circuito di ossigeno cominci a funzionare. Lavoriamo molto con i minori e
la scuola: ci sono, tra elementari e medie, circa trenta minori iscritti.
Lavoriamo insieme a due mediatrici culturali del campo e gestiamo uno “sportello
scuola" con alcuni insegnanti delle elementari e delle medie, cercando di
proporre ai minori anche attività extra-scolastiche sul territorio, concertate
insieme alle scuole stesse. E gli adulti, in un certo senso, si ancorano alle
traiettorie dei minori. Per cui, se un ragazzo del campo inizia a frequentare il
doposcuola e conosce un altro ragazzo, le due famiglie riescono a parlarsi più
facilmente. Questo moto che abbiamo cercato di innescare sembra dare i primi
risultati, tenendo conto che siamo in questo campo solo da febbraio. Ma il
percorso evidentemente è molto lungo e il lavoro da fare è con tutte le
istituzioni, il Comune di Milano in primis.
(Il sopralluogo al campo è stato effettuato il 17 ottobre 2008, l'intervista a
Valerio Pedroni il 25 ottobre 2008)
Di Fabrizio (del 14/12/2008 @ 08:52:08, in Italia, visitato 2369 volte)
Ricevo da Roberto Malini
Favola di Natale a Pesaro: Marco, un 44enne italiano, perde il
lavoro, quindi la casa. I servizi sociali ignorano il suo caso e si ritrova in
mezzo alla strada, povero, al freddo e senza un futuro. Gruppo EveryOne: "Quando
tutto sembrava perduto, un "carabiniere buono" l'ha aiutato e le famiglie Rom di
Pesaro l'hanno accolto, condividendo con lui un tetto sulla testa, un po' di
zuppa e tutto il loro calore umano. La favola di Marco deve essere un monito
perché le Istituzioni e la gente ritrovino la via della solidarietà".
Pesaro, 13 dicembre 2008. Natale si avvicina e in Italia vi sono migliaia di
senzatetto che sopravvivono in condizioni socio-sanitarie tragiche. Gli ospedali
sono pieni di un'umanità dolente, sopraffatta dalla fame, dal freddo, dalle
malattie, dall'indigenza. Il 10 novembre scorso ha destato orrore il caso di
Andrea Severi, senzatetto di Rimini aggredito mentre riposava su una panchina e
dato alle fiamme da quattro giovani italiani di buona famiglia. E' ancora in
gravi condizioni, con ustioni estese e terribili. Ma l'odio che circonda i
poveri è vivo e palpabile in tutta Italia, tanto che spesso le cittadinanze
accusano i volontari della Caritas di essere "un ricettacolo di barboni,
alcolizzati e sbandati". Da mesi i dirigenti dell'associazione cristiana
lanciano l'allarme: "Il razzismo e l'intolleranza dilagano; hanno vinto gli
impresari della paura".
"Natale 2008 sarà ricordato dai 'clochard', dai Rom e dai migranti più
svantaggiati che vivono in Italia come un giorno di emarginazione, povertà e
gelo," affermano preoccupati Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau,
leader del Gruppo EveryOne. "Le Istituzioni non solo hanno abbandonato a se
stessi i disagiati, ma fanno a gara per emanare ordinanze atroci, la cui
crudeltà è sempre più raccapricciante". In questo clima di intolleranza e
sofferenza, però, si è verificata anche una commovente "Favola di Natale",
all'insegna dell'amore e della solidarietà. "E' una vicenda che si svolge tra
Fano e Pesaro," raccontano Malini, Pegoraro e Picciau, "due città in cui
purtroppo l'intolleranza verso i poveri, gli stranieri e i Rom raggiunge punte
fuori controllo di persecuzione, avversione e indifferenza. A Pesaro siamo
costretti a lottare ogni giorno, fra mille difficoltà, per salvare la vita a
cittadini Rom romeni in condizioni spaventose, abbandonati a se stessi e
sgraditi. Fano è nota per le ordinanze contro i senzatetto, che obbediscono alla
linea dura del governo italiano, ma violano di fatto tutte le leggi
internazionali sui diritti dell'uomo. In questo clima che non ha niente di
natalizio né di civile o cristiano," proseguono gli attivisti, "il sentimento di
solidarietà, che è alla base della vera civiltà, non è però morto". A Fano è
iniziato il calvario di un uomo, Marco Ripanti, 44 anni, che dopo aver lavorato
per tanti anni con coscienza, gli ultimi nove alla Berloni - dove i colleghi lo
ricordano ancora per la sua attività svolta sempre con puntualità e sacrificio -
si è separato dalla famiglia, a causa di un matrimonio sfortunato ed è rimasto
disoccupato, dopo i tagli del personale effettuati dal mobilificio pesarese.
"Marco, che è nato a Fano e risiedeva da sempre in città, si è trovato così in
mezzo alla strada, senza casa e senza mezzi di sostentamento," continua EveryOne.
"Ha chiesto aiuto ai servizi sociali, ha presentato una domanda di alloggio
popolare, ha cercato disperatamente un nuovo lavoro, anche umilissimo.
Nonostante la chiara situazione di urgenza, però, le Istituzioni locali hanno
incredibilmente respinto tutte le sue richieste, lasciandolo nella condizione di
senzatetto".
"Quando si è abituati a una vita normale, la vita di chi lavora per mantenere
la propria famiglia, va in chiesa e al cinema con i propri cari, fa il tifo per
una squadra di calcio o di basket, abituarsi all'esistenza del 'clochard' è
difficile," dice Marco, sconsolato. "Vivendo nelle strade, mi sono accorto di
quante ingiustizie esistano, di quanto dolore ci circondi. La gente guarda i
poveri con diffidenza e paura, non sa che quello che è capitato a me può
succedere a chiunque, da un giorno all'altro". Marco trascorre giornate
durissime. E' difficile, per lui che vuole mantenersi una persona onesta,
procurarsi il pane quotidiano e un tetto sulla testa, quando scende la notte, la
temperatura diventa gelida e il mondo esterno è pieno di insidie. A Fano le
Istituzioni, le autorità di ordine pubblico e una parte della cittadinanza
mostrano una vera e propria avversione per i poveri. Un gruppo di cittadini è
giunto a sequestrare le panchine su cui i derelitti si coricavano la notte.
Episodi di intolleranza, in città, sono piuttosto frequenti e i 'clochard' sono
guardati a vista, mentre i servizi sociali, la cui missione dovrebbe essere
proprio quella di aiutarli, girano la faccia altrove. Così si è spostato a
Pesaro, dove incontra, è vero, disprezzo e rifiuto da parte di molti, ma anche
un barlume di accoglienza. "Abbiamo battezzato Pesaro 'la città dal cuore di
metallo' in riferimento alla celebre scultura di Arnaldo Pomodoro," proseguono i
leader EveryOne, "ma soprattutto all'atteggiamento intollerante e alla mancata
assistenza da parte delle Istituzioni verso i poveri, i migranti in difficoltà e
i Rom. Questi ultimi suscitano addirittura una fobia irrazionale, da parte del
sindaco e di molte autorità locali, che non solo li condannano all'esclusione,
ma rifiutano persino di ricevere i nostri rappresentanti quando si verificano
emergenze umanitarie. Marco però ha conosciuto, proprio a Pesaro, anche i
'buoni' di questa Favola di Natale. Il primario dell'Ospedale San Salvatore, che
ha aperto tutte le porte ai bisognosi, senza eccezioni né distinzioni. Poi, un
carabiniere, che svolge il suo dovere con coscienza, ma non ha mai rinunciato ad
amare il prossimo, a 'servire e proteggere' i più deboli. E' lui che ci ha fatto
conoscere il caso di Marco. Ma i veri protagonisti della nostra fiaba natalizia
sono... i Rom di Pesaro. Quando sono venuti a sapere della situazione in cui si
trova Marco, povero come loro, emarginato come loro, esposto ai pericoli del
freddo e dell'intolleranza come loro, le famiglie Rom romene che vivono fra
mille difficoltà in città hanno fatto a gara per accoglierlo. Non posseggono
niente, sopravvivono in due edifici abbandonati - una casa colonica fatiscente e
una fabbrica dismessa - ma sono ancora capaci di solidarietà e amore per il
prossimo".
"Nessuno deve vivere da solo e senza un rifugio," ha detto la signora Mariana
Danila, quando ha saputo delle vicissitudini di Marco. "Qui nella fabbrica c'è
ancora posto e almeno potrà vivere al sicuro. Un piatto di zuppa e un po' di
pane non gli mancheranno e di notte potrà dormire ben coperto e senza timore.
Siamo poveri anche noi, perché nessuno dà un lavoro né a me né ai miei figli e
il Comune ci ha detto che non ha la possibilità di aiutarci, ma siamo buoni
cristiani". Da oggi Marco vive con i Rom di Pesaro, che gli hanno teso la mano
proprio quando la disperazione era divenuta insopportabile e gli hanno offerto
il calore umile di un desco e di una famiglia. "Un altro dramma è stato
scongiurato," concludono gli attivisti, "nella 'città dal cuore di metallo'. Ora
dobbiamo continuare a dialogare con Istituzioni che sembrano insensibili come
pareti di ghiaccio, perché si torni sulla via della civiltà e del rispetto dei
Diritti Umani. La 'favola' di Marco e dei Rom non deve toccare i cuori solo per
un attimo, come se fosse un film di Natale, ma deve indurre tutti, a partire da
chi ci governa e dalle autorità locali, a cambiare atteggiamento verso gli
emarginati e comprendere che la solidarietà non è solo 'assistenzialismo', ma un
aspetto basilare della società umana, fondamento della democrazia e della
civiltà. La solidarietà produce la vera sicurezza e il vero benessere, mentre
l'intolleranza semina odio, dolore e morte".
Gruppo EveryOne
Tel: (+ 39) 331-3585406 - (+ 39) 334-8429527
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:: info@everyonegroup.com
Di Fabrizio (del 13/12/2008 @ 12:53:58, in Italia, visitato 3780 volte)
Dal blog
Casilino 900
foto tratta da reterom.blogspot.com
E' accaduto all'1.30, mentre l'intera città era colpita da una pioggia dura e
incessante.
Arriviamo al campo alle 10 di mattina, dove troviamo Hackja (uno dei direttori
dei lavori, il portavoce dell'area bosniaca del campo) assieme ai figli e al
gruppo operativo NAE.
La casa è recintata dai nastri gialli della Polizia Municipale.
Mancano le parole, a tutti.
Due giorni prima accanto alla casa si era tenuta la riunione degli anziani del
campo. Erano 50 anni che non accadeva una cosa simile. Il fuoco acceso in una
vasca da bagno ardeva scaldando i pensieri e le parole dei saggi, argomentando
le posizioni da intraprendere per il futuro delle famiglie e dell'insediamento.
Desiderio di futuro e voglia di parteciparne.
Credo che con Savorengo Ker sia andata definitivamente in fumo la burocrazia che
ha bloccato i lavori di costruzione della casa e nient'altro. Dal 28 luglio la
casa aspettava di essere completata e inaugurata. Cavilli burocratici, posizioni
politiche e l'ambiguità di chi ha patrocinato il progetto hanno bruciato
Savorengo Ker.
Il degrado è figlio dell'abbandono, della mancanza di cura. Per questo
l'architettura in legno di Savorengo Ker è crollata bruciando nel rogo
dell'impotenza, lasciando che cenere e fango si confondessero nel presente di
una città dei forti.
Savorengo Ker avrebbe potuto essere la biblioteca di un nuovo sapere, i suoi
libri avrebbero testimoniato la nascita di una cultura dell'incontro e della
reciprocità, le mappe archiviate negli scaffali avrebbero testimoniato il
passaggio epocale dalla discrimanzione all'accoglienza del popolo rom nel mondo
dei gagè, i suoi video infine avrebbero raccontato come sia possibile costruire
assieme la città attraverso la fiducia reciproca.
Savorengo Ker avrebbe contenuto volumi pericolosi. Tutti i cittadini avrebbero
potuto leggervi la vera storia di una persecuzione, quella del popolo rom,
oscurata dalla televisione e dai giornali.
Ma con Savorengo Ker è bruciato solo il legno che la teneva in piedi.
Dalle ceneri della casa nasce un nuovo desiderio.
per stalker, ilaria
Di Fabrizio (del 13/12/2008 @ 09:49:46, in scuola, visitato 1659 volte)
Czech_Roma
Discriminazione
nelle scuole
A fine novembre, dopo lunghi periodi di silenzio dal governo ceco sulla
segregazione scolastica dei Rom, Ondrej Liska, il ministro dell'istruzione,
intende adoperare un metodo rivoluzionario di "inclusione" volto a "terminare la
discriminazione nelle scuole". Ma cosa significheranno in pratica queste parole?
Un primo test cruciale arriverà all'incontro di questa settimana del
Consiglio dell'Unione Europea, quando la Repubblica Ceca renderà pubblica l'
agenda per la sua presidenza dell'UE, programmata per il 1 gennaio.
Secondo rapporti interni, la questione Rom sarebbe assente dall'agenda.
Sarebbe un'opportunità persa, non solo per i Rom, ma per l'Europa nel suo
complesso.
Nonostante alcuni progressi, persiste una rigida realtà per i Rom. Continuano
ad essere i più poveri, ad avere meno accesso al sistema sanitario e soffrire di
tassi di disoccupazione più alti tra le maggioranze nazionali. La media di
vita dei Rom nell'Europa Centrale è di 10 anni inferiore a quella dei non-Rom.
Molti Rom non completano l'istruzione primaria, pochi vanno alle superiori e
ancora meno all'università.
L'anno scorso, la più alta corte europea pubblicò una decisione approfondita
secondo cui la segregazione razziale nelle scuole - una brutta cicatrice su gran
parte del paesaggio europeo - era una violazione di legge. La decisione
riguardava 18 bambini della Repubblica Ceca che erano stati assegnati a scuole
speciali per disabili mentali con modelli razziale sproporzionati.
Come suggeritomi dal consulente legale, ero incoraggiato dalla decisione del
tribunale; ma passato un anno, i Rom rimangono confinati in scuole separate.
Le autorità ceche hanno la possibilità di rimediare a questo danno.
Dovrebbero iniziare annunciando alla sessione di giovedì del Consiglio che i Rom
saranno una priorità per la prossima presidenza. L'approfondimento della
recessione globale solo sottolinea l'assurdità di continuare a marginalizzare
10-12 milioni di cittadini.
James A. Goldston, Prague Executive director, Open Society Justice Initiative.
Di Fabrizio (del 13/12/2008 @ 09:35:29, in Italia, visitato 1951 volte)
Premessa noiosa: da circa un mese sento discutere su quanto Facebook sia alienante, sul fatto che bisogna starne distante perché è pieno di gruppi fascisti (che si chiudono e riaprono a velocità pazzesca), sul fatto che è pieno di programmi inutili. Io rimango della vecchia idea che non bisogna buttare via bambini assieme all'acqua sporca. Ad esempio, ho conosciuto meglio persone che già frequentavo, trovato nuovi collaboratori e lettori, frequento gruppi di discussione sugli argomenti che mi stanno a cuore, ho trovato partecipanti ad iniziative...
Proprio su Facebook mi è stato segnalato questo lungo e interessante articolo di Eugenio Viceconte sul portale di Sinistra Democratica: spiega bene gli arretramenti delle politiche sociali negli ultimi 10 anni, in particolare l'odissea di quest'ultimo anno, dove media e politica hanno fatto gli straordinari per costruire "il pericolo zingaro". Noto lo sforzo di chi ha scritto nel cercare anche soluzioni "politiche" e non di buonismo alla presenza di forse 150.000 Rom e Sinti in Italia. Insomma: grazie per la solidarietà, ma ora è tempo di sporcarsi le mani e di promuovere soluzioni politiche!
Quando il governo ha dato corso alle promesse elettorali sulla sicurezza ed ha messo in scena le azioni repressive contro "zingari", in particolare la sciagurata campagna della raccolta delle impronte ai bambini, nel popolo della sinistra si è colto qualche segnale di indignazione e s'è fatta strada l'idea che alla gente Rom e Sinti venisse negato qualcuno dei diritti fondamentali dell'uomo previsti dalla Dichiarazione Universale e le immagini dei roghi di Ponticelli hanno creato dolore e sconcerto facendo prendere coscienza che il razzismo del nostro paese è una realtà concreta. Poi è arrivato l'attacco alla scuola, la crisi economica e nei sondaggi la paura della povertà ha sostituito l'ansia per la presenza dei Rom; il risultato è stato che di Ponticelli e di impronte non si parla più. Ovvero, la litania contro il governo "che prende le impronte ai bambini rom" e rimasta nelle frasi fatte negli articoli politici e nei blog, anche se la norma, per l'intervento della comunità europea, è stata ritirata. Un modo per connotare il governo di destra e delle città amministrate dagli sceriffi quando anche l'opposizione dei Diritti dei Rom sembra essersi completamente dimenticata. La "crisi" ha fatto ripiombare sul tema dei diritti umani della più grande minoranza europea la cortina di silenzio che grava da sempre. Non che sia scemato in questi mesi "l'accanimento contro gli zingari". L'opinione pubblica continua ad essere ferocemente xenofoba fomentata da una stampa ed una TV spietatamente attive nel creare odio cieco ed ingiustificato allarme. Da parte sua il governo e le amministrazioni comunali hanno continuato un'azione costante di intimidazione sulla popolazioni rom e sinti. Continuano di buon passo i piani per smantellare quel poco di sostegno sociale che, malamente, era stato dato per far fronte a progetti di integrazione vecchi di venti anni; come continuano i progetti di rimozione sociale dell'etnia rom da allontanare, marginalizzare, isolare, espellere, nascondere. Si vanno anche consolidando preoccupanti progetti di allontanamento dei minori dalle famiglie con la creazione dei presupposti ideologici nella società tali da far accettare l'equazione "povertà = perdita della patria potestà". Ma non è questa la sede per fare l'analisi puntuale delle discriminazione in corso contro la gente rom e sinti da parte di questo governo e delle amministrazioni locali ne per mettere in evidenza il pensiero razzista insito nella società italiana. Ci sono siti che quotidianamente si battono su questi temi (*) ed a questi vi rimando. Invece è importante fare il punto sui ritardi della politica italiana in generale e della sinistra in particolare sulla battaglia per l'applicazione della Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo per la gente Rom e Sinti in Italia. Le direttive europee per l'applicazione della Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo. La comunità europea riconosce che in Europa i Rom e i Sinti sono ancora oggetto, in varia misura, di discriminazione, emarginazione e segregazione. In Italia, a dispetto da quanto previsto dalle raccomandazioni europee, non c'è un riconoscimento giuridico dei Rom e Sinti come minoranze etnica e linguistica. Su questi temi c'è uno storico ritardo della sinistra che praticamente non ha fatto niente per difendere il diritto all'identità culturale al popolo rom e sinti. Ritardo è ancora più triste se si pensa che negli anni settanta, in particolare per l'azione di Lelio Basso, la sinistra italiana ha contribuito in maniera determinante alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, espressa nella Carta di Algeri, e fatta proprio nelle direttive dell'ONU e della Comunità europea. Il tema della identità è centrale per superare l'attuale emergenza civile della discriminazione di una minoranza fortemente penalizzata da una oggettiva segregazione economica in gran parte derivante dal pregiudizio etnico. Le raccomandazioni europee per il pieno conseguimento dei Diritti dell'Uomo per la minoranza Rom e Sinti dovrebbero rappresentare un percorso politico per la sinistra italiana. Nelle raccomandazioni europee si richiede:
- Il riconoscimento dello status giuridico dei Rom e dei Sinti
- Programmi per il miglioramento dell'integrazione nella società come individui, comunità, gruppi minoritari,
- Partecipazione ai processi decisionali a livello locale, regionale, nazionale ed europeo
- Garantire, come gruppo minoritario, trattamenti per l'istruzione, l'impiego, l'assistenza medica, i servizi pubblici e situazione abitativa
- Mettere in atto azioni positive a favore delle classi svantaggiate quali i Rom ed i Sinti per l'impiego, l'alloggio e l'istruzione
- Creare istituzioni speciali per proteggere la lingua, la cultura, le tradizioni e l'identità Sinte e Rom
- Combattere il razzismo,la xenofobia e l'intolleranza e garantire in trattamento non discriminatorio dei Rom e Sinti a livello locale, regionale, nazionale ed internazionale. Si veda la Raccomandazione N.R. 1557 (2002) adottata da l'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, il 25 Aprile 2002 [http://sucardrom.eu/europa.html#1557 ]
Questo percorso politico sociale, che deve garantire ai Rom e sinti, tra l'altro, l'accesso alla piena cittadinanza ed alla libera circolazione, il diritto all'abitazione, al lavoro ed alla scolarizzazione, deve sfociare nel riconoscimento del diritto alla differenza come valore sociale ed occasione di incontro tra diverse società e culture. Occorre aver ben presente che l'etnia Rom e Sinti non è un corpo estraneo in Italia ed in Europa. Più della metà dei Rom e praticamente tutti i Sinti sono cittadini italiani, radicati nella cultura regionale e nazionale da secoli, e non hanno niente a che fare con il nomadismo. Su questa parte di popolazione italiana sopravvivono, nella cultura maggioritaria, preconcetti e mitologie che non permettono il superamento delle barriere all'integrazione nella diversità culturale della gente rom-sinti. La "zingara ladra di bambini" ne è l'esempio più eclatante mille volte smentito e ancora ingiustificatamente vivo. Una stampa spesso appiattita sul luogo comune xenofobo, quando non asservita all'interesse politico, non aiuta a modificare i preconcetti di una opinione pubblica prevenuta ed impaurita. Di contro l'Italia non ha mai fatto i conti con il suo passato razzista. Un chiaro sintomo, simbolico quanto significativo è la mancanza nella Giornata della Memoria del ricordo dello sterminio dei Rom, (porrajmos,divoramento in lingua romanì) I rom balcanici, la cittadinanza e lo jus soli Se ci sono fortissimi ritardi sul riconoscimento pieno dei diritti dei Rom e dei Sinti italiani, che anzi stanno regredendo per situazione abitativa e per accesso al lavoro, la situazione dei Rom di vecchia e recente immigrazione è particolarmente critica. Per ben quarant'anni ben poco è stato fatto per approntare politiche di accoglienza rispetto al flusso migratorio dei Rom provenienti dalla area dell'allora Jugoslavia, flusso cominciato negli anni 70 e culminato all'inizio degli anni 90 in concomitanza con la dissoluzione del paese. A ben vedere l'immigrazione rom dai Balcani è stata costituita da rifugiati per la situazione bellica, etnica e di disgregazione nazionale del paese di provenienza. La popolazione Rom balcanica paga con l'emarginazione la decennale mancanza di politiche di accoglienza e di inserimento graduale. L'effetto più disastroso è la sciagurata situazione dei grandi dei grandi "campi nomadi" che restano l'unica possibilità abitativa per queste popolazioni. Da tener presente che tra i rom di origine balcanica c'è una nettissima prevalenza di persone arrivate giovanissime in Italia o nate in Italia (seconda e terza generazione) che non hanno più alcun legame linguistico e di cittadinanza con le zone d'origine, di fatto apolidi poiché non riconosciuti dalle neo repubbliche balcaniche e che in pochissimi hanno avuto la cittadinanza Italiana. In Italia non è previsto lo jus soli (cittadinanza per diritto di suolo) e quindi un ragazzo nato e cresciuto in Italia, con la scolarizzazione dell'obbligo e, qualche volta, con un diploma, divenuto maggiorenne si trova quasi sempre nella paradossale situazione di non poter accedere ne alla carta d'identità ne al permesso di soggiorno. Quindi viene loro negato l'accesso al lavoro. Esiste quindi la necessità di definire una normativa che garantisca la cittadinanza per diritto nascita sul territorio italiano. Alla estrema destra che raccoglie firme per espulsioni indiscriminate qualcuno dovrebbe spiegare che questa componente non ha altro luogo in cui andare se non l'Italia. Per questa popolazione, in gran parte apolidi di fatto, non esistevano e non esistono problemi di censimento. Sono infatti da sempre inseriti nell'assistenza sanitaria, nei programmi di sostegno e di scolarizzazione e, per alla nascita, registrati all'anagrafe. L'immigrazione dei Rom Rumeni L'ultima parte dell'immigrazione rom, a partire dalla fine degli anni 90 è stata costituita da rom provenienti dalla Romania. Una immigrazione "alla spicciolata" di piccoli nuclei familiari estremamente poveri, spinti all'emigrazione da una situazione di disaggio sociale fortissima nel paese d'origine. Poco propensi a creare una presenza stabile in Italia hanno occupato spazi di sopravvivenza ancora più marginali. In particolare questa popolazione è dispersa sul territorio in piccoli gruppi, in situazioni abitative precarie ed ha poco a che vedere anche con i campi nomadi. La sicurezza, le politiche abitative e l'integrazione con il territorio Intorno all'arrivo dei Rom Romeni, nel frattempo divenuti cittadini europei, è montato un allarme sociale spesso immotivato che ha travolto anche le popolazioni preesistenti. Tra l'altro i numeri sulla presenza rom propagandati dalla stampa e dalla politica all'inizio della campagna di allarmismo seguito al caso Reggiani erano enormemente sopravvalutati, anche rispetto alle stime in possesso delle autorità all'inizio del 2007, stime che poi si sono rilevate rispondenti alla realtà. L'effetto è stato che le politiche e gli inasprimenti introdotti dal decreto sicurezza rischiano di fermare il processo, lentamente iniziato di inserimento nel tessuto sociale di tutte le popolazioni rom e sinti,, ormai di fatto italiana, ledendo i diritti di base di persone già fortemente marginali nel tessuto economico. La politica proposta dal governo e dalle amministrazioni comunali, incentrata sull'isolamento sociale, tende a non superare la logica dei megacampi. Anzi si tende ad "istituzionalizzare" il disaggio e l'emarginazione sociale mediante la segregazione abitativa. Questo non aiuta la risoluzione di un problema essenzialmente di carenza di diritti per l'etnia rom, e non risolve neanche i problemi legati all'illegalità verso cui una popolazione priva di fonti di sostentamento e di possibile inserimento nel mondo del lavoro viene sospinta. La politica abitativa è essenziale per creare fattori di inserimento sociale. Oggi, ad esempio una ragazzina rom del famigerato Casilino 900, una vera favela, va a scuola con classi di ragazzi del quartiere, va dal medico di base, quando sarà trasferito il campo al di fuori del raccordo anulare, secondo il progetto Alemanno, si troverà a far scuola in un container tra soli bambini rom ed ad essere assistita da un medico della croce rossa, in una situazione di militarizzazione e di isolamento. La rappresentanza politica e l'autodeterminazione Ultimo ma non meno importante punto è quello della rappresentanza politica del mondo Rom e Sinti. Prevista dalla normativa europea è forse l'aspetto più disatteso del processo di integrazione del contesto italiano. Fino ad oggi le comunità Rom e Sinti non hanno mai avuto una voce diretta per esprimere le proprie posizioni ne per governare e partecipare all'impostazione dei processi di integrazione. Una politica realmente aperta al rispetto dei diritti dell'Uomo deve necessariamente aprire degli spazi di rappresentanza sia alle organizzazioni che aggregano la complessità etnica, nazionale e culturale delle genti Rom e Sinti, sia aprirsi ad accogliere singoli esponenti provenienti da questa cultura minoritaria. La politica deve diventare anche luogo di incontro perché si possa arrivare all'obiettivo dell'integrazione nel rispetto della diversità culturale. Fonti FEDERAZIONE "ROM SINTI INSIEME" È la maggiore organizzazione di autorappresentanza delle numerose associazioni del mondo Rom e Sinti si esprime tramite il un blog istituzionale [http://comitatoromsinti.blogspot.com/ ]. Sucar Drom È un blog [http://sucardrom.blogspot.com/ ] è la voce dell'Istituto di Cultura Sinta, e dell'associazione Sucar Drom e costituisce la fonte più sull'argomento. Di particolare utilità è il sito istituzionale di Sucar Drom [http://sucardrom.eu/home_it.html ] che raccoglie la documentazione essenziale per capire e cominciare a conoscere le Minoranze Nazionali ed Europee Sinte e Rom e per definire gli obiettivi per il pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza. Utilissimo è il quadro legislativo [http://sucardrom.eu/legislazione.html ], che a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, riporta la vastissima legislazione internazionale, europea, italiana, regionale che dovrebbe garantire a questo popolo dignità ed eguaglianza ed è invece largamente disattesa. RomSinti@Politica È il vivace e combattivo blog di gran parte del direttivo della Federazione Rom e Sinti Insieme [http://coopofficina.splinder.com/ ] Mahalla È una finestra sulla galassia rom, raccoglie e segnala notizie da tutto il mondo con una specifica attenzione ai temi della difesa dei diritti dell'uomo. [http://www.sivola.net/dblog/ ]
Di Fabrizio (del 13/12/2008 @ 08:45:05, in Italia, visitato 2043 volte)
Ricevo da Piero Maria Maestri
Ciao a tutte/i,
ieri pomeriggio (10 dicembre, ndr) ho partecipato ad un incontro con il Prefetto (in qualità di
Commissario straordinario alla "emergenza Rom") con una delegazione della
Commissione consiliare Servizi sociali della Provincia.
Voglio condividere con voi alcune informazioni che ci ha fornito – magari le
avevate già registrate, e in questo caso mi scuso – e alcune riflessioni.
Sui numeri. I dati del censimento parlano di 3531 "nomadi" presenti nel
territorio della Provincia di Milano tra campi autorizzati e abusivi. A questi,
secondo il Prefetto vanno aggiunti circa 500 persone "itineranti", presenti cioè
ora in un comune ora in un altro.
Sempre secondo il Prefetto altre 800/900 persone (soprattutto neocomunitari)
sarebbero andate via per evitare il censimento. Tra parentesi, il censimento si
sarebbe svolto in maniera tranquilla con qualche caso di polemiche (come via
Impastato "a causa dell’orario in cui si è svolto" – sic!).
In sostanza, nella provincia ci sarebbero stati nella scorsa primavera circa
5000 "nomadi": più o meno quello che le ricerche più serie sostengono da anni.
Alla faccia dei Penati e DeCorato di turno che hanno parlato di 10.000, poi
25.000, di "invasione eccetera.
E alla faccia del Ministro Maroni che alla presentazione del censimento (vedi
comunicato che vi allego) parlava di 12.000 allontanatisi all’inizio di giugno
(a meno che fossero tutti a Roma e Napoli….).
Per meglio specificare:
- nei 12 campi autorizzati nel Comune di Milano ci sono 1331 persone (di cui 601
minori) – 587 italiani;
- nei 18 campi non regolari del Comune di Milano ci sono 797 persone (299 minori)
– 109 italiani, 307 comunitari, 380 extracomunitari e 1 apolide;
- nei 9 campi autorizzati nel resto della provincia 363 persone (134 minori), in
maggioranza italiani;
- nei 34 comuni con presenza di insediamenti irregolari ci sono 1071 persone (422
minori) – di cui 526 italiani.
A questi vanno appunti aggiunte circa 500 persone "itineranti".
Anche in questo caso, come sostengono le ricerche più credibili, circa il 35-40%
dei "nomadi" sono cittadini italiani.
Capitolo minori (ai quali, parole del Prefetto "a nessuno sono state prese le
impronte digitali").
Prendendo i dati delle presenze nel comune di Milano, nei campi autorizzati su
359 bambine/i in età scolare, 341 risultano iscritti alle scuole e di questi 299
sarebbero frequentanti!
Nei campi irregolari su 299 minori (mi manca il dato di quelli in età scolare,
che presumo sia intorno a 220/250…) 208 risultano frequentare le scuole
dell’obbligo.
Non sono così convinto che i dati siano così "idilliaci" (scherzo: un centinaio
di bambini che non frequentano la scuola dell’obbligo è una sconfitta per tutti
noi…), ma in ogni caso i soliti dati allarmistici (il solito Penati parlava del
3% di bambini Rom frequentanti le scuole!) sono piuttosto ridimensionati.
Resta il problema di una politica inadeguata a garantire la scolarizzazione dei
Rom, assolutamente possibile visti i numeri di bambine/i di cui si sta parlando.
A questo punto, secondo il Prefetto, si dovrà avviare la "Fase B2, quella della
"razionalizzazione delle presenze".
In primo luogo si sta approntando (con il Comune di Milano) un regolamento della
presenza nei campi (che parte anche dai Patti di legalità…), di cui non siamo
riusciti ad avere la bozza, anche perché sarà in discussione anche nel gruppo di
lavoro specifica presso il Ministero dell’Interno (come dice un comunicato del
Ministero "con i Prefetti di Roma, Milano e Napoli, Commissari straordinari per
l’emergenza relativa agli insediamenti di comunità nomadi, e con i
rappresentanti del ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali, del
ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, e con il presidente
dell’UNICEF").
L’ipotesi è comunque quella di far gestire i campi (quello continua a essere il
nome, alla faccia del "zero campi"!) ad un "gestore sociale", che farebbe anche
"servizio di portierato, vigilanza e collaborazione con il Comune". Si vorrebbe
scegliere per questo il terzo Settore (olè!).
Una volta fatto il regolamento "si vorrebbero evitare nuove presenze".
Dalle risposte ad alcune domande rivolte (tralascio qualche battutina polemica
che è stata rivolta al Prefetto) risulta anche che:
- non esiste alcun progetto per gli attuali insediamenti "abusivi" – ribadendo che
negli ultimi tempi non sono stati fatti veri sgomberi e solo per ordinanze,
sicurezza ecc. Si penserebbe a nuove localizzazioni nei comuni ("ma i sindaci
non sembrano molto disponibili…");
- il Prefetto sarebbe propenso a chiedere poteri su tutto il territorio della
Lombardia (perché in provincie come Cremona, Mantova ecc. ci sarebbero più spazi
vuoti. Tenete conto che il Prefetto già altre volte ha fatto capire di ritenere
"spazio vuoto" il verde agricolo!!!) ;
- per l’emergenza il Commissario ha un finanziamento di 1 milione di Euri (non
ancora arrivati, peraltro);
- il Prefetto ha eluso la domanda sul coinvolgimento del "Tavolo Rom" (reso
superfluo dai poteri commissariali, pare di capire) e tantomeno risulta
interessato ad un coinvolgimento di rappresentanti dei Rom ("anche perché
rifiutano qualsiasi tipo di regolamento"…).
Questo l’incontro. Nulla di nuovo, quindi, ma solamente la conferma che non
esisteva né esiste alcuna "emergenza Rom"; che di fronte alla vera emergenza
(2000 donne, uomini e bambini in condizioni disperate e in questi giorni sotto
la neve) non esiste alcun progetto (anzi, De Corato parla di sgombero di Bacula
a gennaio!); che i Rom sono solamente materia di scontro elettorale e di
propaganda sicuritaria.
Vi abbraccio tutte/i, Piero
Di Fabrizio (del 12/12/2008 @ 09:34:25, in casa, visitato 1735 volte)
Da
Roma_Daily_News
Una via di Sulukule, dove molte case attendono la demolizione per
trasformarsi in hotel e centri commerciali. Articolo di Eve Coulon per
TheNational
In una piccola casa di una strada percorsa dal disordine e dalle rovine di
appartamenti i cui abitanti sono già andati, Goksel Gulkoperan aspetta di
essere sgomberato. Al signor Gulkoperan è stato dato il termine odierno per
lasciare la sua casa vicino alle mura antiche della metropoli turca, o viceversa
di essere buttato a forza per strada.
"Non so dove andare," dice il signor Gulkoperan. Casa sua, come il resto del
povero quartiere di
Sulukule,
una parte della vecchia Istanbul che una volta era un popolare centro della vita
notturna e per la predominanza di popolazione Rom, sta per essere demolita per
fare spazio ad appartamenti di lusso, hotel e centri commerciali.
Le autorità cittadine dicono di voler fermare il "decadimento" in questa
parte di Istanbul e dare alloggi sani agli abitanti da qualche altra parte, ma i
residenti e gli attivisti dicono che il piano è parte di un programma
implacabile e guidato-dal-soldo di ristrutturazione che distrugge le vite di
migliaia di gente.
Da quando la Turchia si è arricchita per il boom economico degli ultimi anni,
molte città hanno iniziato programmi di rinnovamento urbano che rifletta questo
nuovo benessere e modernità. Questo è maggiormente visibile ad Istanbul, una
città con 3.000 anni di storia, diventata improvvisamente la "cool Istanbul",
che attrae oltre sei milioni di turisti all'anno.
In diverse parti della città sono spuntati centri commerciali, hotel e
appartamenti di lusso. Ora è il turno della storica penisola sulla parte europea
che ospita l'Hagia Sophia, il Palazzo Topkapi e la Moschea Blu, ma anche
quartieri come Sulukule, che letteralmente significa "torre d'acqua" perché da
qui entrava un'importante tubatura al tempo dei Bizantini.
Una volta ospitava 5.000 persone, ma la popolazione di Sulukule si è
dimezzata dopo il programma di reinsediamento iniziato due anni fa, dice Nese
Ozan, attivista della Piattaforma Sulukule, un gruppo che sta lottando contro
questi piani. "Sono già state distrutte due case su tre," dice la signora Ozan.
Alcune strade nel quartiere sembrano zone di guerra, con molti edifici distrutti
e ridotti a cumuli di macerie, allontanati i vecchi proprietari.
Altre case sono ancora in piedi, ma le finestre e le porte sono state
divelte. Un gruppo di uomini raccoglieva il metallo da una casa distrutta, per
poterlo rivendere come ferraglia.
Ai proprietari di Sulukule è stata offerta una somma di compensazione di 500
lira (Dh1,170) a metro quadro per le loro case. Ma dato che molte delle piccole
case misurano soltanto 60 mq., il denaro offerto non basta per comperare un
appartamento da qualche altra parte, dice Ozan.
Sulukule ed altre zone simili della penisola storica "sono diventate regioni
di decadenza e macerie nel centro di Istanbul" a causa di anni di negligenza,
riporta una dichiarazione del governo municipale di Fatih, di cui Sulukule fa
parte.
Inoltre, possibili terremoti sarebbero un pericolo per gli abitanti a causa
dello stato precario di molte case. "Daremo appartamenti a quelli che vivevano
negli edifici demoliti, si sposteranno lì" in una nuova sistemazione, ha detto
in un discorso dell'anno scorso Kadir Topbas, sindaco di Istanbul. "Credeteci".
Ma in molti a Sulukule rifiutano il programma per una semplice ragione: non
vogliono lasciare il loro quartiere per nuovi appartamenti in un sobborgo remoto
e senza lavoro.
Yilmaz Kucukatasayyar, discorrendo con gli amici di fronte a una casa
sventrata che era della sua famiglia, ha detto che i suoi genitori si sono
spostati in un blocco d'appartamenti a Tasoluk, 40 km. a nord di Sulukule,
vicino alle coste del Mar Nero. "Non potrei starci, è davvero molto lontano. Là
non siamo felici. La nostra casa è qui, nel cuore di Istanbul," dice Kucukatasayyar.
Per il momento alloggia nella vecchia casa di famiglia e sta tentando di
ottenere la licenza di venditore da strada.
Quando gli si chiede cosa farà se la casa sarà abbattuta, uno dei suoi amici, Ercan Ozkulan,
risponde per lui con una risata: "Allora andremo in un'altra casa, finché non
finiranno."
Ma per il signor Gulkoperan nella sua casa vicina a quella di Kucukatasayyar
e dei suoi amici, le cose non sono così facili. Nella sua stretta sala,
Gulkoperan, 47 anni, tiene in mano delle radiografie. Ha un cancro ai polmoni, e
i dottori gliene hanno già asportato uno durante un'operazione.
Quando gli venne offerto un appartamento a Tasoluk come tenutario a Sulukele,
lo rivendette immediatamente per pagarsi le cure mediche e ritornò nel
quartiere, dove vive con i suoi tre bambini e uno zio anziano. Ora il denaro è
andato ed aspetta l'arrivo dei bulldozer.
Lì vicino, un altro proprietario, Adem Ergucel, dice che le autorità volevano
pagargli un compenso per uno solo dei suoi appartamenti, quando lui ne ha due.
"La municipalità è sopra la legge?" si chiede. La signora Ozan dice che gli
attivisti ed i residenti hanno promosso due cause per fermare il progetto, ma
anche se sinora la corte non si è espressa in merito, le demolizioni continuano.
Un gruppo di circa 30 accademici ed esperti è uscito con un progetto
alternativo che hanno chiamato Stop e che dicono renderebbe possibile ai
residenti di Sulukule di rimanere nel quartiere. Mustafa Demir, sindaco di Fatih,
ha promesso di riguardare al progetto.
"Non è troppo tardi" per salvare Sulukule, dice la signora Ozan. Ma i
progressi del progetto, che dovrebbe completarsi nei prossimi due anni,
suggeriscono che i piani cittadini sarebbero duri da fermare. "Le conseguenze
sociali saranno terribili," dice la signora Ozan.
Ci sono anche critiche internazionali. "La popolazione Rom ha affrontato
diverse istanze di demolizione di comunità, sgomberi forzati ed esposizione a
povere condizioni di vita e sanitarie, senza far mai ricorso pubblico," ha detto
questo mese la UE in un rapporto sui progressi della Turchia come paese membro
candidato.
"Le demolizioni dei quartieri rom, in alcuni casi sono diventati sgomberi
forzati," continua. Il rapporto della UE ha notato anche che la commissione per
i diritti umani del primo ministro turco, ha richiesto un'indagine su possibili
violazioni dei diritti umani a Sulukule.
Di Fabrizio (del 12/12/2008 @ 09:31:53, in scuola, visitato 1640 volte)
Da
Vita.it
Di Daniele Biella - Si chiama "Villaggio degli Ercolini", è della
Fondazione Raphael onlus e riceve oggi il premio del Pontificio consiglio per la
giustizia e la pace della Santa sede. Si tratta di un centro polifunzionale per
l'accoglienza di giovani rom e non solo
Un villaggio destinato all’accoglienza di giovani disagiati, in particolare
ragazze e ragazzi rom. Che nasce come centro polifunzionale dedicato ad
attività di formazione professionale e inserimento sociale degli utenti e che
potrebbe diventare, in futuro, un vero e proprio luogo attrezzato per la dimora
di famiglie tuttora senza una unità abitativa. È questo, in sostanza, il
progetto Villaggio degli Ercolini, promosso dalla Fondazione Raphael onlus
con la collaborazione del Comune di Roma, che ha individuato la struttura dove
sorgerà la sede del centro, nel quartiere Prenestino.
Un progetto ancora in cantiere ma che proprio oggi, giorno in cui cade il 60simo
anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, riceve un primo
grande riconoscimento, quello del Pontificio consiglio per la giustizia e la
pace del Vaticano, che ha assegnato al progetto della Fondazione il premio
“Cardinale van Thuan”, dal nome del religioso vietnamita (ex presidente del
Pontificio consiglio stesso) spentosi nel 2002 all’età di 74 anni. Alla presenza
del papa Benedetto XVI, la premiazione del progetto Villaggio degli Ercolini
riveste un significato particolare perchè tocca un tema su cui molto si è
dibattuto negli ultimi mesi, quello legato ai numeri e alle condizioni di vita
delle famiglie di “nomadi” presenti sul suolo nazionale. A Roma, i dati del
censimento effettuato da Croce rossa italiana e Prefettura, parlano di 8.306 rom
e sinti presenti, lo 0,3% della popolazione della capitale. Una cifra più che
dimezzata rispetto alla presenza 'percepita', che prima del censimento era
stimata in almeno 20mila unità.
“È con grande soddisfazione che abbiamo appreso dell'assegnazione del
prestigioso premio", sono le parole del sindaco di Roma Gianni Alemanno, "la
nostra città, attraverso questa iniziativa, saprà ancora un volta rilanciare la
propria immagine di accoglienza e solidarietà”. Il progetto della Fondazione
Raphael inizialmente era previsto per una zona del XX municipio, quella dove
opera l’associazione sportiva Ercolini di don Orione, che annovera tra le
proprie file una squadra di calcio maschile e una di pallavolo femminile
interamente composta da ragazzi e ragazze rom. Una volta concluso, il Villaggio
degli Ercolini potrebbe essere un modello virtuoso di soluzione per il
superamento dei campi nomadi. E degli sgomberi forzati.
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