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Di Fabrizio (del 01/12/2005 @ 01:48:20, in Italia, visitato 2134 volte)

La Libertà
LIBERTA' di mercoledì 30 novembre 2005 > Piacenza

La polemica - sugli interventi ai campi sosta
"I nomadi rubano, e allora gli evasori dell'ICI?"

Baggi (Rifondazione): recuperati 1,5 milioni di euro di imposta


(guro) Prendersela con i lavori di migliorìa al campo nomadi, «ricettacolo di delinquenza», come li ha definiti Marco Tassi (An)? E se invece  scoprissimo che sono i piacentini doc, magari proprio il distinto signore della porta accanto, a «bagnare il naso ai nomadi»? L'espressione è di Luigi Baggi, capogruppo di Rifondazione comunista. L'ha usata l'altro ieri in consiglio comunale quando il dibattito sulla variazione di bilancio 2005 poi approvata dalla maggioranza si stava scaldando sui 300mila euro (270mila stanziati dalla Regione, 30mila dal Comune) destinati a lavori di rifacimento strutturale delle aree sosta di Le Mose. Per replicare alle critiche dell'opposizione allo stanziamento, ha spostato lo sguardo su un altro dato che emerge dalla variazione di bilancio, vale a dire il recupero di evasione fiscale superiore alle attese, il che ha costretto il Comune ad aumentare la quota di "aggi" da versare alla ditta privata incaricata dei controlli tributari. Evasione ed erosione su vari fronti fiscali, dalla Cosap alle pubbliche affissioni, ma è sull'Ici che Baggi ha puntato il dito: di 1,5 milioni di euro il recupero di evasione ed erosione da quando è partito l'attività di accertamento (cioè da due anni a questa parte), 500mila dei quali già incassati.
Sui nomadi è intervenuto anche Massimo Trespidi (Fi) chiedendo una scatto in avanti nelle politiche loro riservate: significa responsabilizzarli coinvolgendoli in attività utili alla società.
Ma proprio la responsabilizzazione è quello che ci si propone con questi interventi alle strutture dei campi, ha osservato l'assessore ai servizi sociali Leonardo Mazzoli: «Oggi una delle due aree sosta è in condizioni di forte degrado con promiscuità tra i nuclei familiari che non riescono ad avere i requisiti minimi di privacy e questo porta le persone a una minore responsabilizzazione».
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Di Fabrizio (del 01/12/2005 @ 04:20:09, in Kumpanija, visitato 2457 volte)

PRIMER CONGRESO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE LAS AMÉRICAS

San Luis de Potosi- Mexico - Noviembre 22, 23, 24 y 25 de 2005

DICHIARAZIONE DEL POPOLO ROM (GITANO) DELLE AMERICHE

Le sottoscritte organizzazioni e kumpaniyi Rom, riunite a San Luis Potosí (Messico) dal 22 al 25 novembre 2005, dichiarano quanto segue:

  • Distinte kumpaniyi e gruppi familiari Rom vivono in vari paesi delle Americhe sin dall'epoca coloniale e questo rende fondante la nostra presenza come popolo, anche come preesistente alla formazione di molte delle attuali Repubbliche.
  • Che collettivamente il popolo Rom non è di recente arrivo o comunque alieno o straniero, ma vanta una lunga storia e presenza in quasi tutti i paesi del continente americano.
  • Che abbiamo fornito un apporto incommensurabile e mai riconosciuto dalla società gadyi (non Rom) ai processi di formazione nazionale dei distinti paesi del continente.
  • Che mai il popolo Rom ha preteso di dominare altri popoli o di imporre la propria cultura, contrariamente si è sempre caratterizzato per il rispetto della diversità e della pluralità.
  • Che la popolazione Rom nelle Americhe oltrepassa la cifra di tre milioni di persone, ma a fronte di questa significativa presenza demografica, vive sommerso in un'invisibilità obbligata.
  • Che attraverso la storia, tanto di ieri come di oggi, il nostro popolo è stato la vittima privilegiata di pratiche e procedure razziste, discriminatorie, xenofobe ed intolleranti, che hanno portato gli altri popoli e culture a considerarci con i peggiori e appellativi.
  • Che riferendosi alla diversità dei popoli e delle culture del continente americano, sistematicamente si omette e cala il silenzio sull'esistenza del popolo Rom.
  • Che siamo un popolo millenario, con storia, tradizioni e idioma nostri propri, quindi nel pieno diritto all'esercizio dell'autodeterminazione.
  • Che rifiutiamo la qualifica di "minoranza etnica", in quanto pur garantendoci alcuni strumenti internazionali, non rispecchia la nostra situazione di popolo in situazione di dominazione.
  • Che richiediamo e rivendichiamo per il Popolo Rom il riconoscimento pieno ed integrale dei diritti collettivi, reiteratamente negati ed infranti, e

per quanto il nostro popolo non si identifichi nel cammino della civiltà che sfocia in un progetto statuale definito, ciò non deve essere d'impedimento ad essere appropriatamente rappresentati nelle istanze internazionali e nel sistema delle Nazioni Unite.

In merito a quanto su esposto, come organizzazioni e kumpaniyi Rom delle Americhe esprimiamo il nostro fermo impegno militante a lavorare attivamente sui seguenti principi:

RICHIESTE:

  1. Che gli Stati e i Governi delle Americhe riconoscano il diritto all'autodeterminazione del Popolo Rom.
  2. Che gli Stati e i Governi del continente riconoscano, promuovano e garantiscano i diritti collettivi del Popolo Rom.
  3. Difendere, recuperare e valorizzare la storia e le tradizioni etniche e culturali del nostro popolo, come anche proteggere i diritti patrimoniali e/o il patrimonio culturale e intellettuale del Popolo Rom.
  4. Evitare qualsiasi forma di discriminazione negativa, di razzismo, di xenofobia, di intolleranza e di esclusione verso il Popolo Rom.
  5. Promuovere e difendere di fronte alla società gadye le conoscenze e i saperi tradizionali del Popolo Rom, al pari dei suoi valori etnici e culturali.
  6. Che gli Stati e i Governi delle Americhe applichino rigorosamente le norme giuridiche internazionali che in tutte le forme proteggono i diritti del Popolo Rom.
  7. Lottare per l'ampliamento degli spazi di autonomia e autogoverno del Popolo Rom, mirando al riconoscimento delle sue proprie autorità e validando l'esistenza e il campo d'intervento della giurisdizione speciale o Kriss.
  8. Favorire l'apertura dei necessari spazi interculturali per garantire lo sviluppo autonomo dell'opzione civilizzante propria del Popolo Rom nelle Americhe.
  9. Che gli Stati e i Governi del continente americano consultino in maniera adeguata il Popolo Rom, tramite le sue organizzazioni rappresentative, prima di elaborare Piani di Sviluppo, specialmente per quanto riguarda vita, cultura, identità, necessità fondamentali, e perché si approntino le misure necessarie al pieno sviluppo delle sue istituzioni, cultura, autonomia e scolarizzazione.
  10. Che gli Stati e i Governi regionali garantiscano appropriati programmi di educazione bilingue ed interculturale, come anche l'accesso dei giovani e delle donne alla scolarizzazione media e superiore, in condizioni favorevoli e che venga garantita la loro permanenza.
  11. Che gli Stati e i Governi delle Americhe sviluppino modelli alternativi di attenzione alla salute per il Popolo Rom, che garantiscano un accesso adeguato ai servizi della salute, che dovranno essere opportuni, compatibili, autosostenibili, efficaci, efficienti, mantenere la qualità e l'igiene, le cui azioni si orientino a rafforzare la promozione, prevenzione, trattamento e riabilitazione della salute.
  12. Agire di modo che i piani e programmi statali per la salute tengano conto delle diverse conoscenze, pratiche e usi diagnostici e di trattamento del Popolo Rom.
  13. Che gli Stati e i Governi promuovano e garantiscano la sicurezza alimentare e il miglioramento sostanziale della qualità di vita del Popolo Rom.
  14. Che gli Stati e i Governi garantiscano la libera autoconsultazione del Popolo Rom, attraverso le sue proprie autorità e istituzioni rappresentative, ogni volta che si prevedano progetti di sviluppo, soluzioni legislative o amministrative che lo riguardi direttamente.
  15. Che il Popolo Rom abbia un approccio paritario, permanente ed appropriato ai media di comunicazione sociale di massa.
  16. Che i rappresentanti del Popolo Rom abbiano accesso alle diverse istanze di partecipazione create dalle istituzioni governative e dai poteri pubblici.
  17. Contribuire alla creazione e al consolidamento delle istituzioni e istanze che permettano al Popolo Rom di progredire nel processo di riconoscimento dei suoi diritti collettivi.
  18. Accelerare i meccanismi e le istanze necessarie a stabilire contatti, relazioni ed interscambi fluidi e permanenti tra i Rom nelle Americhe e il resto della comunità Rom internazionale.
  19. Garantire che le forme di vita nomade ed itineranti, mantenute da molti gruppi familiari Rom nelle Americhe, continuino ad essere praticabili nel tempo, quindi che gli Stati e i Governi approntino luoghi speciali atti all'accampamento e e norme che facilitino il libero transito attraverso le frontiere continentali ed internazionali.
  20. Che gli Stati e i Governi della regione riconoscano lo status di asilanti ai membri del Popolo Rom che per ragioni politiche, sociali, culturali, etniche, religiose, siano rifugiati o immigrati nel continente americano, e che siano predisposti piani politici, programmi ed azioni adeguate.

In ragione di queste legittime richieste:

RICHIEDIAMO ALLE NAZIONI UNITE - ONU, CHE:

  1. Si dia inizio a un ampio e profondo processo di democratizzazione di tutta la struttura delle Nazioni Unite, perché le sue istanze più significative non vengano controllate da un numero ridotto degli Stati più potenti, che nella maggiora parte dei casi assumono decisioni controverse e senza il consenso della comunità internazionale.
  2. Vengono progettate istanze, meccanismi e procedimenti che rendano possibile la partecipazione del Popolo Rom al sistema delle Nazioni Unite, in condizione di eguaglianza con gli altri Stati. Come primo passo proponiamo un "Foro Permanente per il Popolo Rom", che ai livelli più alti possibile, con una composizione mista e ampio mandato includa i diritti civili, politici, economici, sociali, culturali, ambientali, sanitari, educativi, linguistici, di genere, di sviluppo, prevenzione dei conflitti... ecc., faciliti il dialogo tra gli Stati membri, il Popolo Rom e le agenzie e le organizzazioni specializzate sui temi e interessi che riguardano direttamente il nostro popolo.
  3. Inizi un processo di partecipazione ampia e paritetica dei delegati del nostro popolo, perché venga redatta, discussa ed approvata una "Dichiarazione delle Nazioni Unite per i Diritti del Popolo Rom", che sia uno strumento internazionale che garantisca, con standards accettabili, tutti i diritti del nostro popolo.
  4. Venga riconosciuto dall'ONU e dagli Stati Membri il giorno 8 aprile come "Giornata Internazionale del Popolo Rom", a memoria del "Primo Congresso della Unione Romani Internazionale" tenutosi a Londra tra il 7 e il 9 aprile, che segnò l'inizio del movimento associativo odierno del nostro popolo.
  5. Come parte delle riunioni e attività preparatorie alla "Conferenza Mondiale Contro il Razzismo, la Discriminazione Razziale, la Xenofobia e Altre Forme di Intolleranza", l'Ufficio dell'Alto Commissariato per i Diritti Umani, propizi e faciliti un "Incontro Continentale del Popolo Rom delle Americhe", in cui si possano unificare criteri, costruire consensi e disegnare strategie a partire dalle distinte realtà del nostro popolo che si presentano nel continente.
  6. Che termini l'occultamento del Popolo Rom delle Americhe nei differenti processi ed istanze del sistema delle Nazioni Unite, e viceversa che venga coinvolto attivamente nelle riflessioni e discussioni sui temi che direttamente o indirettamente lo riguardano.

ALL'ORGANIZZAZIONE DEGLI STATI AMERICANI - OSA:

  1. La costituzione di un'istanza permanente che incorpori l'esistenza del Popolo Rom delle Americhe e mantenga relazioni su basi egualitarie col nostro popolo.

  2. Un coinvolgimento attivo del Popolo Rom delle Americhe in tutto il processo riguardante la riflessione e discussione del "Progetto della Dichiarazione InterAmericana dei Diritti dei Popoli Indigeni", come anche che le disposizioni legali contenute nell'art. 1 di detta Dichiarazione , siano estese al Popolo Rom, per le sue condizioni di popolazione tribale.

  3. Tramite un'adeguata partecipazione del Popolo Rom, si realizzi uno studio esaustivo sulla situazione attuale in materia di diritti umani, civili e collettivi.

AGLI STATI E AI GOVERNI DELLE AMERICHE:

  1. Pieno riconoscimento della nostra esistenza come popolo e garanzia di esercitare i nostri diritti collettivi e civili. Causa la sua proiezione transnazionale e l'ampia mobilità geografica, il Popolo Rom dev'essere riconosciuto esplicitamente dai Governi e dagli Stati del continente, come popolo pienamente americano per tradizioni e presenza storica.

  2. Che si approntino, previo nostro libero e fondamentale consenso, strumenti legali e normativi che garantiscano i nostri diritti collettivi e civili, come pure l'integrità etnica e culturale.

  3. Ratifica del Convenuto 169/1989 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro "Sui Popoli Indigeni e Tribali nei Paesi Indipendenti" e applicazione estensiva delle sue disposizioni legali al nostro popolo.

  4. Garanzia di ampia ed adeguata partecipazione dei delegati del Popolo Rom alle iniziative che saranno predisposte (riunioni mondiali, regionali e continentali) a seguito della "Conferenza Mondiale Contro il Razzismo, la Discriminazione Razziale, la Xenofobia e Altre Forme di Intolleranza".

  5. Accoglienza solidale ai rifugiati Rom, fuggendo da persecuzioni e guerre, approdino sul continente americano in cerca di sicurezza e garanzie per rifarsi una vita.

ALLE ORGANIZZAZIONI NON-GOVERNATIVE E ALLE AGENZIE DI COOPERAZIONE:

  1. Nei propri progetti e programmi d'azione e intervento, tengano conto delle necessità e problematiche attuali del Popolo Rom delle Americhe.

  2. Si impegnino assieme alle organizzazioni Rom delle Americhe ad appoggiare con ricorsi tecnici e finanziari, le iniziative e progetti volti a concretizzare le principali richieste del nostro popolo.

AI POPOLI INDIGENI E AFRODISCENDENTI, COME PURE AGLI ALTRI POPOLI TRADIZIONALI CHE SI SONO STABILITI NEL CONTINENTE:

  1. Appoggio solidale e fraterno delle aspirazioni, richieste e rivendicazioni del nostro popolo, sul cammino per uscire dall'invisibilità in cui è stato sommerso e per il riconoscimento pieno ed integrale di tutti i suoi diritti collettivi.

  2. Azioni di mutua e reciproca conoscenza e "scoperta" perché il Popolo Rom delle Americhe sia riconosciuto come popolo, che non è nativo o originario di queste terre, ma la cui antica presenza e traiettoria ha portato a condividere strutturalmente gli stessi problemi che affrontano i Popoli Indigeni e afrodiscendenti.

  3. Riconoscimento del Popolo Rom come attore sociale nelle Americhe, che dalla sua invisibilità intende uscire per l'edificazione di una società diversa, pluralista e inclusiva, più democratica, libera e giusta.

  4. Il Popolo Rom da grande valore alle domande e rivendicazioni elaborate dai Popoli Indigeni e afrodiscendenti, come dagli altri popoli tradizionali che vivono nel continente, così come riconosce i sentieri da loro aperti e che oggi stiamo percorrendo. Per questo, il Popolo Rom si ritiene in qualche modo l'erede del lavoro organizzativo dispiegato da questi popoli e pertanto lo fa proprio.

Infine, alle organizzazioni presenti a Questo Congresso e kumpaniyi Rom delle Americhe del "Consiglio delle Organizzazioni e Kumpaniyi Rom delle Americhe", che tengono come missione fondamentale:

  1. Contribuire in modo decisivo a dar visibilità al Popolo Rom delle Americhe, come al riconoscimento dei suoi diritti collettivi.

  2. Consolidare maggiormente il movimento associativo del nostro popolo nel continente e in tutto il mondo, portando il processo di visibilità nel contesto della comunità internazionale.

  3. Consolidare organicamente e potenziare politicamente il Processo Organizzativo del Popolo Rom come organizzazione rappresentativa del nostro popolo in questo Continente.

  4. Ottenere la discussione sulla situazione attuale delle relazioni tra gli Stati e il Popolo Rom.

  5. Condividere esperienze con le organizzazioni Rom delle Americhe, per avanzare nel consolidamento delle istanze di coordinamento del nostro popolo.

  6. Dotare il Popolo Rom delle Americhe di una sede internazionale e creare il suo statuto.

En constancia se firma en San Luis Potosí (Mexico) a los 25 días del mes de noviembre de 2005 por los delegados de las organizaciones y kumpania Rom de las Américas presentes:

Shona Paramush, LOLO DIKLO (EE.UU)
Ana Dalila Gomez, PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE COLOMBIA, PROROM
Mario Ines Torres, WESTERN CANADIAN ROMANI ALLIANCE, WCRA
Alexandre Flores, PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE BRASIL, PROROM-BRASIL
Lorenzo Armendariz, LATCHO DROM, MEXICO


JUANCARLOS GAMBOA MARTÍNEZ
Móvil: (57-1) 315-2255905
Dirección Electrónica: juancarlosgamboamartínez@yahoo.es

"Se non faremo l'impossibile, dovremo affrontare l'inconcepibile".

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Di Fabrizio (del 01/12/2005 @ 07:52:52, in Italia, visitato 2218 volte)
Ricevo il testo dell'intervento di Maurizio Pagani, per la sezione di Milano dell'Opera Nomadi.
Per quei milanesi che il 3 dicembre non potranno andare alla manifestazione di Roma PER LA LIBERTÀ E I DIRITTI DEI MIGRANTI, segnala anche un appuntamento

"Comunità rom e sinte e politiche sociali del territorio: quali prospettive di cambiamento"

L’eterogeneità e la diversificazione socio culturale delle comunità che compongono la dimensione Romanì (15 gruppi distinti al proprio interno nella sola provincia di Milano, 27 in tutta Italia), nonché la oggettiva discriminazione politica e sociale che riguarda in particolar modo il nostro Paese e, a livello più ampio i circa 12 milioni di rom in Europa, pongono con forza la questione di “quali politiche pubbliche” si debbano o si possano attuare nel prossimo decennio, e quali siano le “prospettive di cambiameto auspicabili”.

Fino ad oggi, infatti, su scala nazionale, l’azione pubblica non ha seguito alcun indirizzo coerente, preferendo, a partire dalla metà degli anni ’80, “disimpegnarsi” in un processo di progressiva regionalizzazione delle politiche inerenti la minoranza rom, lasciando ai soli Comuni l’applicazione di normative regionali, le cui norme sono state del resto raramente o molto parzialmente ottemperate.

In assenza di un quadro di riferimento statale che promuova una affermazione esplicita dei diritti e delle modalità di partecipazione dei soggetti coinvolti, le contraddizioni si riversano esclusivamente sul livello locale, senza alcuna forma di coordinamento orizzontale tra gli enti, né di corresponsabilità, né di governo, tra le istituzioni ordinate verticalmente.

Le conseguenze che si registrano sono gravi, sul piano politico e culturale, poiché la gestione dei fenomeni ad essi collegati avviene solo sul piano emergenziale o dell’ordine pubblico o, con una parola oggi molto in voga, con la “legalità”.

E sono estremamente gravi per le comunità dei “Rom, Sinti e Camminanti” che subiscono gli effetti devastanti di una forte disuguaglianza di accesso alle risorse pubbliche, sanitarie, scolastiche, occupazionali, abitative o, infine, ma non per minor importanza, di trattamento delle misure giudiziarie afflittive, siano esse rivolte ad adulti o a minori.

La discussione sul tema dei diritti di cittadinanza sembra dunque mancare di una pre - condizione essenziale: il riconoscimento pubblico delle genti rom non solo come entità culturale e storica propria, cioè dell’applicazione da subito dello status di minoranza che le leggi attuali non riconoscono (in attesa di un’estensione più generale a livello europeo), ma anche come parte intrinseca della nostra identità sociale o, più semplicemente, come concittadini.

Costruire un’altra idea di città equivale, innanzitutto, alla possibilità di riconoscere a noi stessi la libertà di autorappresentazione dei soggetti altri, con modalità e capacità che possono anche essere molto diverse da quelle omologate dalla società maggioritaria.

Veniamo ad un esempio.

Il tema della casa e dell’abitare è, oggi come ieri, uno tra i principali motivi di conflitto urbano tra rom e gagè.

La soluzione più praticata dalle amministrazioni comunali è quella della realizzazione di campi sosta o “villaggi”, cioè di una segregazione estrema in luoghi liminali della città, invisibili e privi di un oggettivo valore fondiario, ma ugualmente definiti come frontiere off limits, dove cresce il disagio, la devianza, ma soprattutto viene meno la speranza, avvicinadoci impercettibilmente alle più note banlieues francesi…

L’influenza del luogo in cui si vive è un fattore determinante per creare il senso di emarginazione, discriminazione e disperazione tra le persone. Le barriere mentali si materializzano così in frontiere urbane, in spazi di negazione, in campi nomadi.

Le strutture e i servizi predisposti dal Comune di Milano (le sole ad oggi esistenti sul territorio provinciale…), realizzate nel 2000 per ospitare principalmente una parte dei rom romeni presenti in città, non presentano gli standard minimi necessari all’abitare e hanno codificato un trattamento indiscutibilmente differenziale tra l’applicazione di regole urbanistiche e amministrative che vigono per i cittadini italiani e quelle rivolte ai rom.

La fuoriuscita spontanea dai “campi sosta” di intere famiglie allargate rom o sinte non è, invece, un fenomeno recente. Nei Comuni della Provincia decine di famiglie di sinti lombardi, taich e piemontesi (ma anche rom calderasa e kahanjarja) hanno acquistato da 10 – 15 anni a questa parte piccoli terreni agricoli, riconvertendoli parzialmente ad uso abitativo, dando inizio ad un lungo contenzioso amministrativo e talvolta penale ma, soprattutto, restituendo all’abitare la condizione di consistenza per la persona e il gruppo.

A Milano, questo fenomeno ha interessato molte famiglie rom e sinte dal 1999, in risposta ad un sostanziale abbandono della sfera politica e amministrativa della città alle istanze di cambiamento abitativo avanzate dai gruppi di più antico insediamento.

In misura minore cresce anche il numero di famiglie che chiedono l’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica o che occupano un appartamento sfitto.

In tutti i casi, quel che emerge è la necessità di una politica abitativa che proponga in modo convincente uno salto culturale, abbandonando politiche logore e rigettate dagli stessi rom, come la creazione di aree “abitative” temporanee, separate dal contesto urbano, prodotto di un “differenzialismo culturalista” foriero di sicure sventure.

Occorre inoltre estendere su ampia scala le politiche sociali nei settori prioritari quali l’istruzione, la salute, il lavoro, facendo leva sulle esperienze più che decennali di mediazione culturale e formazione di cooperative rom che costituiscono un prezioso e imprescindibile patrimonio comune.

Un percorso di promozione, sostegno all’autonomia, distribuzione di risorse pubbliche che veda dunque le comunità rom partecipare attivamente alla costruzione di progetti di integrazione e sviluppo e, non, viceversa, come soggetti passivi sottoposti ad una azione di tutela preventiva.

Tra le buone prassi e i modelli esportabili l’esperienza milanese e, in misura minore, quella provinciale può vantare un recente sensibile innalzamento del numero di iscrizioni alle scuole dell’obbligo e alla scuola materna (500 a Milano nell’anno scol. 2004 – 2005, 800 nell’intera provincia) ma soprattutto, la messa in rete di competenze specifiche attraverso un lavoro comune tra CSA, Scuole, Opera Nomadi, Docenti, Mediatori Culturali Rom.

Tuttavia la dispersione scolastica dei minori rom presenta numeri ancora rilevanti, come sostanzialmente negativa risulta essere la valutazione qualitativa degli esiti formativi finali, a cui fa seguito un precoce abbandono degli studi fin dalla scuola media e una pressochè nulla presenza alle scuole superiori.

La fascia minorile meno sostenuta è quella adolescenziale, dove più marcatamente si registrano comportamenti sociali spesso devianti che sfociano nella microcriminalità, in un innalzamento della gravità dei reati commessi (o di cui sono vittime, come nel caso dello sfruttamento a fini sessuali), in una permanenza media negli Istituti Penali Minorili più alta dei loro coetanei italiani.

Analogamente, sul fronte della salute e delle possibili prassi d’intervento finalizzate ad innalzare l’accesso alle strutture pubbliche da parte dei rom, si sono venute a confrontare, talvolta ad interagire efficacemente, modalità e tipologie differenti d’intervento.

Quella pubblica, dei Consultori Familiari e Pediatrici dove operano alcune mediatrici culturali, interagendo con le famiglie rom, in ispecie le giovani donne madri e i loro mariti e i servizi del territorio, e quella del privato sociale impegnato in interventi assistenziali e di carattere umanitario.

Sullo sfondo, gli indici più generali segnalano una aspettativa di vita media per un rom che non supera i 45 – 50 anni, con solo il 2 –3 % della popolazione al di sopra dei 60 anni d’età, ma anche le difficoltà crescenti di accesso al Servizio Sanitario Nazionale e la perdita di tutela per tutti quegli ammalati che, sottoposti alle restrizioni della Legge “Bossi – Fini”, non possono accedere alle prestazioni sanitarie gratuite.

Infine il lavoro, la necessità cioè di combinare azioni pubbliche di sostegno a realtà cooperativistiche consolidate che sono le uniche, oggettivamente, a fornire un percorso di inserimento lavorativo per fasce di soggetti altrimenti esclusi dal mercato del lavoro, accanto alla necessità di sperimentare forme nuove di microcredito individualizzato in grado di sviluppare le potenzialità imprenditoriali presenti nelle comunità rom di più piccole dimensioni.

Permane del resto un’ampia condizione di disoccupazione o di accesso al lavoro nero, ma anche una “chiusura” interna alle comunità come risposta alle sole politiche di repressione e controllo.

Per concludere, i ritardi accumulati dalle politiche pubbliche nell’ultimo decennio sono enormi e più complesse le problematiche in gioco, il cui esito finale, fortemente condizionato dall’andamento delle prossime elezioni e dal costante accanimento mediatico su ogni fatto di cronaca, rischia tuttavia di allontanare ancor più la ricerca di soluzioni praticabili.

Occorre stabilire delle priorità di intervento, ma poi bisogna metterle in atto, non solo enunciarle, dimostrando una capacità complessiva di comprensione e gestione dei fenomeni, non inseguendo un consenso di facciata ma proponendo azioni precise efficaci e di forte impatto simbolico.

Bisogna saper distinguere tra interventi emergenziali doverosi di carattere umanitario che riguardano innanzitutto le pessime condizioni degli immigrati rom romeni e i contenuti salienti di una politica di più ampio respiro che non debba appiattirsi su principi generali di “solidarietà” ma sappia relazionarsi alla gran parte variamente articolata del mondo romanì.

Trezzo, 26 Novembre 2005

Opera Nomadi Milano
Il Vicepresidente
Maurizio Pagani


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Di Sucar Drom (del 02/12/2005 @ 01:28:03, in Italia, visitato 2044 volte)
da sucar drom
Pubblichiamo una lettera dell'Ente Morale Opera Nomadi Sezione di Napoli, ricevuta attraverso il Romano Lil (circolare interna dell'Ente Morale Opera Nomadi Nazionale).
Scrivete a romanolil@libero.it per ricevere la circolare direttamente al vostro indirizzo di posta elettronica.

Cari amici,
vorrei informarvi che la campagna elettorale a colpi di sgombero dei Rom Rumeni 2005-2006 è appena iniziata e che per domani ne è previsto uno nuovo a Torre del Greco, località Via dei Monaci (é anche una fermata della Circumvesuviana, direzione Sorrento).
Circa 70-80 Rom Rumeni, già sgomberati da Casoria il 3 novembre, avevano trovato rifugio dal tempo inclemente di questi giornii su delle strutture abbandonate a ridosso dell'autostrada.
Anche lì sono andati i vigili e minacciano di sfrattarli per domani mattina.
Tra di loro, vi sono parecchi neonati (alcuni con bronchite e altre patologie), donne incinte e vecchi malati.
Sabato scorso ho personalmente condotto alcuni neonati con le mamme al pronto soccorso.
Queste persone sono assolutamente tranquille, non delinquono e vorrebbero solo trovare un pò di pace, dopo lo sciagurato sgombero di via Lufrano.
Ancora una volta, però, verranno buttate sulla strada (non sono considerate nemmeno degne di un'espulsione) al freddo e al gelo di questi giorni, nell'indifferenza generale delle istituzioni (Prefetto in testa) e il disinteresse di tutti.
Ma quanti neonati dovranno ancora pagare con la vita la terribile colpa di essere nati rom?
Per quanti secoli o anni dovrà ancora durare questa assurda caccia contro lo "zingaro", spauracchio da sempre dei popoli stanziali?
Inivitandovi a essere vigili e all'erta sulla questione, speriamo nella collaborazione di tutti

per il Consiglio Direttivo
professore Marco Nieli
Ente Morale Opera Nomadi Sezione di Napoli

Per contatti diretti e per offrire la propria collaborazione
professore Marco Nieli, telefono 338 2064347
avvocato Cristian Valle, telefono 333 6271815

2311903

Riferimenti:
il dibattito sugli sgomberi a Napoli
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Di Fabrizio (del 02/12/2005 @ 03:12:06, in media, visitato 2335 volte)
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Gli Unza, gruppo di musicisti rom

di Zita Dazzi

MILANO - Sarà il primo serial tv dedicato ai romeni che vivono a Milano. Il primo docu-film che ha per protagonisti un gruppo di immigrati ripresi nella loro vita quotidiana alla periferia della grande città. Le prime 11 puntate di “Miracolo alla Scala”, film documentario ispirato al grande capolavoro neorealista “Miracolo a Milano”, sono già state girate e montate.

La pellicola - prodotta dall’Arci e dal Centro sperimentale “Cesare Zavattini” - è stata presentata in prima serata a Milano con una grande festa-concerto ai caselli daziari di Porta Ticinese. Presenti il regista, sceneggiatore e montatore Claudio Bernieri (che ha già in mente un progetto di 50 puntate in totale) e i protagonisti, un gruppo di musicisti rom.

Per ora il film gira nei cinema e nei circoli privati di Milano, ma l'idea è di proporlo alla tv. E Bernieri è già in contatto con Nessuno Tv, emittente privata milanese, che vuole comprare la prima serie per programmarla quest'inverno. Gli “Unza”, attori nel film, sono oggi, fra i gruppi musicali di strada, i più richiesti in città per feste, spettacoli e concerti, portati persino in passerella dallo stilista Romeo Gigli, durante le sfilate di moda della primavera scorsa.

Quella degli Unza è una parabola felice all’interno della vicenda tormentata del grande campo realizzato dal Comune per i nomadi in via Triboniano, periferia nord del capoluogo lombardo. Un campo in pessime condizioni, che accoglie in modo stabile circa 500 dei 2mila zingari sgomberati in fasi successive dalla ex favela di via Barzaghi. Gli sgomberi cominciati tre anni fa per volere della giunta del sindaco Albertini, ancora non hanno permesso all’amministrazione di venire a capo della vicenda. E ogni sei mesi la favela ricresce, alle porte di Milano, rendendo necessario un nuovo intervento della polizia.

La telenovela di via Barzaghi, l’estate scorsa, è uscita anche dai confini delle cronache cittadine per approdare sulle pagine nazionali dei quotidiani, quando la Caritas ambrosiana ha dovuto far fronte all’emergenza creata dall’ultima ondata di sgomberi, programmati senza prevedere nemmeno accoglienza per i bambini e per le donne in regola con i documenti di soggiorno. Tutta questa vicenda è sullo sfondo degli 80 minuti di pellicola girati a Musocco, il quartiere milanese dove cresceva la favela, senza effetti speciali e senza camuffare la realtà. In scena Marian Badeanue, alias “Director”, il direttore della banda musicale, e i suoi compagni di avventura.

Nel film – come nella vita vera - Director ogni mattina esce dalla sua roulotte per andare in metropolitana a suonare col suo gruppo, e con i figli, Loredana e Ciprian, costretti a una vita molto diversa da quella degli altri bambini milanesi. L’idea è quella di raccontare una grande metropoli italiana vista con gli occhi degli immigrati, sempre in bilico fra integrazione e marginalità sociale. Negli 11 episodi, in tutto 80 minuti di filmato in presa diretta, come in uno spaccato neorealista, si vedono molti aspetti della vita degli stranieri: il lavoro nero, la difficoltà per fare i documenti, l’inserimento scolastico, la precarietà degli alloggi, le discriminazioni, ma anche la fiducia nella vita e nella possibilità di integrarsi.

La presenza dei bambini, figli del protagonista, consente a un certo punto al regista di risollevare le sorti di questa fiction dal grigiore della cronaca. L’epilogo infatti ha un tocco magico che lo rende simile a una storia di Cesare Zavattini: i musicisti rom fanno fortuna, la rete del trasporto pubblico, grazie a loro, incrementa i passeggeri, e rende ricco il Comune. Per questo, l’amministrazione arriva a riconoscere i meriti dei musicisti e avvia la costruzione di case popolari per ospitarli in modo più degno di una grande città.

Il titolo della prima serie di 11 puntate, “Miracolo alla Scala”, è stato scelto perché la piccola Loredana racconta in un tema ai compagni di classe la sua vita. Loredana sogna di diventare ballerina alla Scala. E anche questa storia è a lieto fine, perché la ragazzina sarà “adottata” artisticamente da una insegnante di ballo dell’ente lirico più famoso del mondo, che le permette di realizzare il suo sogno.

“I musicisti e i due bambini – racconta il regista – vengono seguiti passo passo, in metropolitana e nel centro della città. Il film racconta le proteste per avere una casa, la difficoltà per trovare il lavoro, le roulotte, i matrimoni rom, la fatica di chi fa il muratore a cottimo… E si potrebbe andare avanti per 50 puntate, secondo il mio progetto. Sarebbe una bellissima serie tv, un programma a metà strada fra il reportage e la fiction, con un soggetto strano per la televisione: i nuovi poveri e i cittadini del mondo. Lasciando spazio per una rivelazione finale, un sogno. La realizzazione del miracolo per l’appunto”.

(21 novembre 2005 - ore 11.27)

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Di Fabrizio (del 02/12/2005 @ 03:26:04, in Regole, visitato 6265 volte)
Noi, capifamiglia della comunità Rom di via Idro 62,
in merito ad alcune notizie apparse sulla stampa nazionale
PRECISIAMO
  • Non è avvenuto alcun arresto o alcun fermo nel campo comunale di via Idro, che è sempre stato abitato da cittadini italiani di etnia Rom Harvati.
  • I carabinieri e la polizia sanno chi sono i residenti del campo, tramite un controllo costante dei gruppi famigliari. Sono anche a conoscenza di tutti gli insediamenti provvisori di Rom e cittadini stranieri, che si sono sviluppati attorno al nostro campo.
  • Alcuni di questi insediamenti sono tollerati come “soluzione provvisoria” da parte dello stesso comune, che da un verso procede agli sgomberi e dall’altro deve trovare luoghi lontano dalla città, dove far sostare gli sgomberati.
  • Le forze di sicurezza e le autorità sono a conoscenza che in una simile situazione di tensione e di miseria, che coinvolge TUTTE le comunità Rom, siamo noi i primi a non poter tollerare insediamenti di persone e famiglie di altri gruppi. Tra cui, possono esserci sia persone oneste che criminali.

Ribadiamo: siamo cittadini italiani, residenti in questa zona da oltre 30 anni. Nessuno di noi si è mai macchiato di crimini come quelli commessi nel Lecchese, che sono quanto di più lontano dalla nostra tradizione e dai nostri comportamenti.

Comportamenti che sono distanti da qualsiasi ipotesi di convivenza civile. PER QUESTO RITENIAMO MOLTO GRAVE aver coinvolto la nostra comunità in fatti a cui siamo assolutamente estranei. Mettetevi nei panni di quanti di noi lavorano e devono tener nascosto di essere Rom o di abitare in questo campo: com’è possibile per noi ottenere il rispetto o impegnarci per aver un rapporto col quartiere dove viviamo e dove molti di noi sono nati e sono andati a scuola?

Vi invitiamo, serenamente, a verificare le notizie prima di scriverle, con noi i diretti interessati, perché ogni vostra parola è importante per una convivenza civile.

Per questo, vi invitiamo presso il nostro campo di via Idro 62 – MILANO ad una conferenza stampa, venerdì 2 novembre 2005 alle ore 15.30

Le famiglie della comunità Rom di via Idro
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Di Fabrizio (del 02/12/2005 @ 15:00:05, in Italia, visitato 2136 volte)

Oltre 250 cittadini africani giunti a Milano da vari paesi straziati da conflitti (come Sudan, Etiopia ed Eritrea) sono stati costretti a trovare rifugio in un edificio abbandonato di via Lecco 9, dopo aver pernottato in condizioni sub-umane in una caserma abbandonata in zona Forlanini.
Tutti loro sono titolari di Permesso di Soggiorno per motivi umanitari o per asilo politico. Alcuni altri sono ancora in attesa del riconoscimento del loro status di residenti per asilo politico. Quindi la loro presenza a Milano è pienamente legale e i documenti di cui sono titolari per soggiornare in Italia hanno una validità di due anni.

Ma, in questo momento, stanno letteralmente rischiando la vita:
- per le condizioni disastrose dello stabile ove alloggiano,
- per la difficoltà a sopportare rigide temperature in mancanza di qualsiasi forma di riscaldamento,
- per la mancanza d'acqua che rende impossibile curare l'igiene personale o cucinare pasti caldi,
- per le allarmanti condizioni sanitarie di molti. Sono infatti presenti persone affette da scabbia, dissenteria e da patologie psicologiche post-traumatiche provocate da torture, shock o stress da situazioni belliche, ecc.

Sin dal primo giorno di permanenza in via Lecco queste persone si sono date da fare per cercare di rendere più puliti, sicuri e vivibili i locali di questo edificio.

Ora le necessità più impellenti sono:
- il passaggio regolare dell'Amsa per la rimozione dei rifiuti;
- la fornitura dell'acqua e del gas;
- la fornitura di fonti di calore (stufe o caloriferi elettrici) per il riscaldamento dei locali;
- l'organizzazione di un presidio sanitario in loco.

Le associazioni che si sono attivate in queste settimane per cercare di aiutare questi nostri nuovi concittadini, fuggiti dalla guerra e dalla fame, hanno fornito ai rifugiati vestiti pesanti, materassi, coperte e generi alimentari.
Ma c'è ancora bisogno d'aiuto e di materiali; per questo le associazioni solidali con i rifugiati stanno organizzando un centro di raccolta ove convogliare tutti gli aiuti da distribuire agli abitanti di Via Lecco 9.

Allo stesso tempo, i firmatari chiedono alle autorità e istituzioni competenti di intervenire sollecitamente per risolvere i problemi più urgenti segnalati sopra, attivando celeri procedure d'emergenza in considerazione della straordinarietà della situazione e del rischio incombente di una vera e propria catastrofe umanitaria nel cuore di Milano; alla cittadinanza tutta chiediamo anche di non voltare lo sguardo dall'altra parte e di rimboccarsi le maniche. Chi può metta a disposizione le proprie risorse, le proprie energie, le proprie competenze.

C'è bisogno di tutto e di tutti e prima possibile!

Milano 1 dicembre 2005

Action, Associazione Todo Cambia, Rifondazione Comunista, Arci
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Di Fabrizio (del 02/12/2005 @ 15:11:35, in lavoro, visitato 2192 volte)
GALATI - Circa una ventina di mediatrici sanitarie di origine rom, in otto località nel distretto di Galati, hanno preso parte ad un corso di formazione sui metodi contraccettivi, organizzato dal Dipartimento di Sanità Pubblica (DSP).
L'azione coinvolge anche i volontari della Croce Rossa nelle scuole superiori di "Sf.Maria", "Emil Racovita" e "Dimitrie Cuclin" di Galati.

Fonte: Romanian_Roma
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Di Fabrizio (del 03/12/2005 @ 05:24:31, in scuola, visitato 1901 volte)

Il comune di Elsinore, il 22 novembre scorso ha deciso la chiusura dell'ultima classe separata destinata ai bambini Rom.

Sinora queste classi segregate erano poste sotto l'ombrello delle "scuole per la gioventù", che avevano studenti, insegnanti, materiale scolastico, aule in affitto dalla scuola pubblica, uns sitema educativo che aveva sollevato proteste da parte della nostra associazione "Romano", anche sotto il profilo della costituzione danese.

Ci è stato riferito che il direttore del dipartimento giovani del comune, Bjarne Pedersen, ha giustificato la chiusura dicendo "Tanto non funzionava comunque!!" (Det virker jo alligevel ikke!).

Riteniamo che la semplice chiusura non sia sufficiente! A quegli studenti va data ora la possibilità di recuperare la programmazione scolastica che non hanno avuto sinora, così che possano uscire di scuola con la stessa qualifica degli altri. Chiediamo anche un'adegiuato indenizzo a quelle famiglie i cui figli hanno subito un'educazione dequalificata, perché erano a tutti gli effetti studenti della scuola pubblica. Secondo la legge, la responsabilità è del comune. Similmente, ci sono stati casi di genitori (danesi) di bimbi dislessici, che hanno fatto causa al comune per la scarsa qualità dell'educazione scolastica fornita ai loro figli!

A Elsinore ci sono 250 Rom, su poco più di 5000 in tutta la Danimarca, con grosse difficoltà a trovare impieghi adeguati, molti raggiungono a fatica metà del reddito minimo. Questa situazione li ha portati a una generale disillusione sul sistema in generale, che da un lato frena la frequenza scolastico e dall'altro si traduce nella sfiducia della società nei loro confronti. La chiusura delle principali fabbriche di Elsinore (cantieri navali, birrerie e manifatture di stivali in gomma) e la mancanza di politiche comunali di reimpiego, li ha allontanati dall'economia ufficiale.

Secondo la Costituzione danese, lo stato è tenuto a fornire lavoro a chi ne ha bisogno, oppure ad intervenire col "social welfare", ma i governi più recenti non hanno approntato politiche del lavoro e di riconversione industriale, mantenendo nel contempo ai margini i 40.000 immigrati di arrivo più recente. Se da un lato il governo predica "l'integrazione", dall'altro aumenta i tagli agli investimenti e alla formazione professionale e al sistema scolastico. I dati sono reperibili su www.jobnet.dk.

Già nel 1997 il sindaco di Elsinore rifiutò un progetto EU per la qualificazione dei Rom disoccupati nel settore turistico, progetto che era stato annunciato nel Nord North Sealand (si stima avrebbe portato 1 milione di visitatori annui nel castello di Krongborg).

I Rom hanno lunga tradizione di convivenza tra le esigenze delle loro famiglie allargate - sia autoctone che di provenienza oltre-confine - con la complessa burocrazia che regola visti e permessi, sicurezza, lavoro nel campo alimentare e dello spettacolo a livello internazionale, produzioni audio e video ecc. ma di rado possiedono documentazione su carta delle loro capacità o possono presentare un c.v. Il progetto avrebbe potuto rimediare a ciò.

A dispetto dei loro innegabili talenti musicali, ai Rom viene rifiutato l'accesso ai lavori in campo culturale, musicale e dei media - e sono "forzatamente attivati" nel taglio o la cura degli alberi, nel trasporto delle pietre o nei lavori domestici, e spesso i servizi sociali municipali tagliano l'assegno sociale per risibili motivi.

Un gran numero di proteste sono state indirizzate al Comitato per le Proteste per un Equo Trattamento Etnico, patrocinato dall'Istituto Danese per i Diritti Umani - "organo" stabilito dall'art. 13 della Direttiva CEE 43/2000. Tra le lamentele raccolte, una riguardava proprio l'uso di scuole differenziali per i Rom, che secondo l'agenzia ministeriale della giustizia di Copenhagen, non aveva carattere discriminatorio. (ndr. confronta Danimarca su Pirori). L'agenzia ministeriale si occupa di verificare l'attività delle autorità locali. "Romano" portava a testimonianza il fatto che in questo tipo di scuole, i ragazzi impiegavano soltanto 3 libri di testo per un programma della durata di 9 anni. Inoltre, gli studenti terminavano il corso di studi, senza disporre del diploma finale, indispensabile al conseguimento della cittadinanza per naturalizzazione - altra forma discriminante verso quei bambini nati in Danimarca da genitori con passaporto straniero o senza nazionalità.

"Romano" aveva anche compilato un'ulteriore protesta al Comitato per violazione dell'art. 7 della Direttiva CEE 43/2000, che richiama al rispetto e alla piena informazione verso i soggetti (individuali o collettivi) che chiedano indagini sul trattamento etnico.

Eric Støttrup Thomsen
"Romano"
Kongevejen 150
3000 Helsingør
49 22 28 11
www.romano.dk

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Di Fabrizio (del 03/12/2005 @ 05:25:14, in casa, visitato 2729 volte)

Ustiben report
DAIL FARM: IL GOVERNO POTREBBE IMPORRE LA SOLUZIONE
By Grattan Puxon - fonte British_Roma 

Un ostile editoriale di ECHO, il giornale locale, ha chiesto al governo una decisione definitiva sulla lunga vertenza che coinvolge gli occupanti di Dale Farm (vedi precedenti, ndr.) perché si dia inizio allo sgombero e alla demolizione definitiva della comunità autogestita, diventata illegale negli anni (i casi in Italia, ndr).

Lo stesso giorno, il tribunale accettava la richiesta della Commissione per l'Uguaglianza Razziale di costituirsi parte in causa assieme ai Nomadi e Viaggianti che hanno fatto causa al comune di Basildon per la decisione di abbattere le 86 case del villaggio di Dale Farm e sgomberare 600 persone.

L'intervento del Governo rappresenterebbe una svolta decisiva e lo sgombero in questo caso potrebbe avvenire in tempi brevi. Il portavoce degli occupanti, Richard Sheridan, teme che i recenti tentativi di John Prescott, incaricato governativo, di convincere le famiglie a lasciare di propria volontà il villaggio di Dale Farme  spostarsi in un'altra parte, porti i residenti/occupanti a perdere le loro proprietà.

Sempre Prescott ha indicato una nuova area di 3,5 ettari a Pitsea (sempre nel comune di Basildon), attualmente di proprietà di English Partnership, un'agenzia di rigenerazione,, che potrebbe affittarla o venderla ai Nomadi e Viaggianti perché possano destinarla ad area di sosta.

Questa possibilità, per quanto ben accetta, pone un dilemma ai proprietari dei lotti di Dale Farm, che avrebbero preferito aver ottenuto i permessi per le strutture che hanno creato in questi anni e che sono costate alla loro comunità due milioni di euro. D'altro canto, le forti tensioni che negli ultimi anni hanno contrapposto la comunità dei Nomadi e Viaggianti ai Consigli Comunali, hanno di fatto delegato a John Prescott e al governo il ruolo di arbitri super-partes, e difficilmente l'offerta di un'area alternativa potrebbe convivere col rinnovo dei permessi di progettazione a Dale Farm.

Ma la proposta governativa, che ha una sua logica, non tiene conto dell'opposizione dei residenti di Pilsea all'arrivo di 600 Nomadi e Viaggianti. Il comune di Basildon, i comitati civici e la Neighbourhood Watch (un gruppo anti-crimine) hanno già annunciato che non tollereranno il trasferimento.

Il capogruppo dei conservatori locali, Malcolm Buckley, dopo eessere stato a lungo contestato per le affermazioni razziste che hanno segnato la contrapposizione su Dale Farm, ha potuto così definire Pitsea come un luogo non adatto alla sosta: "È a mala pena ad un chilometro da un deposito dell'immondizia e dalla centrale fognaria." Inoltre, la sistemazione si situa nel cuore del distretto elettorale del deputato John Baron, uno dei più attivi nel fomentare il panico nella popolazione residente per la presenza delle comunità Nomadi e Viaggianti.

Per ironia della sorte, la strenua opposizione che sta montando sull'ipotesi Pitsea, ha l'effetto di prolungare la permanenza di Dale Farm, che a causa dei rinnovi dei permessi edificativi, dei processi legali incrociati che contrappongono i Consigli Comunali ai Nomadi e Viaggianti, delle stesse elezioni locali, potrebbe durare anni.

[...]

In questo momento, è difficile capire se la mossa governativa rappresenti un'uscita di sicurezza oppure un tradimento. E anche se l'area di Dale Farm fosse sgomberata, non potrebbe ritrasformarsi in spazio verde a disposizione dei residenti. La stessa English Partnership è a sua volta parte in causa per i lavori della A127 che attraverseranno le sue proprietà.

[...]

"Tutto ciò che possiamo fare è concentrarci sul ricorso al giudice" dice Richard Sheridan. "Sono in gioco le nostre case".

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