Di Fabrizio (del 19/10/2012 @ 09:05:32, in casa, visitato 2375 volte)
Leggevo mercoledì scorso l'articolo di Maurizio Spada:
DALLA
CASA BENE RIFUGIO ALLA CASA SOCIALE e già nelle prime righe mi imbatto in
questa affermazione: "A parte i popoli migranti come i Rom tutti gli altri
hanno bisogno di una casa:" e subito dopo "ora osserviamo che a questo
bisogno fondamentale si risponde nei modi più disparati."
Iniziale caduta di braccia: i Rom rimangono, se non col nomadismo inscritto
nel DNA, dei migranti, gente che non è destinata a stanziarsi e quindi di
casa
non ha bisogno. Possibilmente col solito equivoco: non siamo NOI i cattivi che
non vogliamo concedergliela, sono LORO a non averne bisogno. Quindi, norme e
diritti sono salvi. Ma che differenza può esserci tra un nomade e un migrante?
Forse quel "popoli" iniziale che muta una condizione accessoria e
temporanea (l'essere migranti) ad una situazione culturale loro (il
popolo migrante), senza individuare una altro aspetto culturale partorito
da noi (un popolo sfollato e cacciato, quindi PER FORZA migrante).
Altro sconcerto (ma ormai dovrei saperlo): l'articolo è
ospitato dalla rivista
ArcipelagoMilano: da quattro anni ospita un meritorio dibattito che riunisce i
resti del riformismo milanese, che in passato ha giocato un ruolo fondamentale
nella storia politica cittadina. E "politicamente" sono preoccupato che anche
qui passi il discorso di bisogni abitativi differenti "a prescindere"
(attenzione: il differenzialismo si applica inizialmente ad una
minoranza, per allargarsi in seguito alle altre fasce deboli di popolazione).
Superati questi due scogli iniziali, mi sono impegnato a leggere il resto
dell'articolo, nella speranza di correggere il mio giudizio di partenza. Alla
fine mi è rimasto un senso di delusione: ben scritto e documentato (impreziosito
da citazioni di Heidegger, oltre che degli imprescindibili Marc Augè e dell'Housing
Sociale che in questi casi non mancano mai), ma quello che ad una prima
lettura si presenta come un viale elegante, si chiude come un vicolo senza
uscita.
Nella mia ignoranza, riparto dalla seconda frase che ho citato all'inizio: "ora osserviamo che a questo
bisogno fondamentale si risponde nei modi più disparati." E dall'articolo
di Maurizio Spada vorrei estrapolare un capitolo:
In questa situazione si ritiene che a qualcuno interessi che le case siano
costruite a regola d'arte seguendo principi di sostenibilità energetica e
sociale? Un po' diverso è stato l'operare del mondo cooperativo, almeno nella
prima metà del secolo scorso, infatti sono di quegli anni progetti di città
giardino e d'interventi edificatori che prevedevano la proprietà indivisa,
prezzi d'affitto calmierati congiuntamente a una vita di relazione diversa e una
filosofia che voleva alcuni servizi in comune e molta solidarietà, come ad
esempio i quartieri della Società Umanitaria dei primi del '900. Purtroppo nel
secondo dopoguerra la cooperazione, che intanto sceglie la proprietà divisa
seguendo le mode, finisce per operare come le immobiliari: anche se all'inizio
si costruisce per i soci che le abitano, dopo qualche anno le case possono
essere vendute entrando così nel libero mercato e generando notevoli affari.
Una città, grande o piccola che sia, agisce e cresce essenzialmente su due
logiche contrapposte:
da una lato la spinta razionalista e macroeconomica, per cui
una determinata soluzione abitativa viene ripetuta come una
formina da spiaggia;
dall'altra una spinta più anarchica e microeconomica, per
cui i diversi strati della popolazione che la abitano, si
differenziano in base a storie, bisogni, localizzazione, ecc. e
queste differenze si riflettono nell'abitare.
Vediamo quindi se partendo dai "Rom [che] tutti gli altri hanno
bisogno di una casa" si riesce a giungere ai "modi più disparati."
Attenzione però, il mio non sarà una specie di esercizio filosofico, ma vorrei
ragionare su un concetto che partendo dai Rom (e dai Sinti, e dai Caminanti)
potesse essere utile in una discussione meno settoriale: LA CITTA' PER TUTTI
(sapendo comunque che il PER TUTTI è già di per sé un'espressione che appartiene
all'utopia). Lo spunto è dato dal
PROGETTO ROM, SINTI E CAMINANTI 2012-2015 che proprio in questi giorni
dovrebbe essere discusso in comune, per essere presentato in giunta a fine
mese. Un aspetto non secondario è che il progetto iniziale dovrebbe
contenere tutta una serie di osservazioni, maturate dal confronto con
associazioni, consigli di zona, i rom stessi; e da questo punto di vista si
tratterebbe di una novità importante. Sarebbe utile se in questa
discussione rientrassero le proposte fatte due anni e mezzo fa dal
Tavolo Rom, riguardo l'abitare nell'area metropolitana di Milano.
Proposte "le più disparate", ma che presuppongono un processo,
partecipato e condiviso, che superi la situazione attuale dove "popoli
migranti" ed abitare sono destinati a non incontrarsi mai, sancendo una
situazione abitativa differenziale e da terzo mondo. Con un rischio che riguarda
tutti: le condizioni socio sanitarie di un qualsiasi insediamento spontaneo
lasciato a se stesso, non si fermano ai limiti del campo, ma tracimano. Le
malattie sono per loro natura antirazziste, colpiscono tanto Rom che i loro
vicini, il degrado umano ed urbano di un campo abbandonato ricade su tutta la
zona circostante. Quindi la questione del superamento dei campi ATTUALI, non
riguarda solo l'1‰ della popolazione, ma va affrontata
nello spirito del riformismo milanese degli anni '60, quando menti e risorse
furono impiegate per risolvere l'emergenza sociale e abitativa dei tanti
immigrati che arrivavano dal sud Italia.
Mi limito ad alcuni punti del documento del Tavolo Rom:
Non da ora, ma almeno da una ventina d'anni, ci sono Rom e
Sinti che le case le abitano (o le occupano). In alcuni casi,
senza grossi problemi (e quindi noi smettiamo di considerarli
Rom e Sinti, come se la normalità non fosse una notizia), in
altri casi le situazioni sono più conflittuali. Vuoi perché
funziona nei fatti una sorta di integrazione all'incontrario,
per cui le devianze sociali maturate in un campo rom si saldano
con le tipiche devianze da ghetto urbano, sia perché la
destinazione d'arrivo si trasforma da campo orizzontale a
verticale, replicandone tratti positivi e negativi. Ma il
fenomeno dell'urbanizzazione riguarda, in misura diversa, tutti
i gruppi presenti in città.
Un problema legato al passaggio da una stanzialità non
riconosciuta (campo sosta) ad una ufficiale (casa), è la
sostenibilità. Lavoro, in parole povere. Non si può parlare di
percorso verso l'autonomia, quando le famiglie rom e sinte che
scelgono di andare ad abitare una casa, non ne hanno i mezzi;
ricadranno nella dipendenza dalle mafie locali, piuttosto che
dalla chiesa, dal volontario o dall'associazione di turno. O
nella mentalità del ghetto, cioè ricercare le risorse necessarie
all'interno del proprio clan, senza interazione col mondo
circostante. Se di lavoro si tratta (ma preferirei usare il
termine SOSTENIBILITA'), pur in una situazione di grave crisi ci
sono da anni fette di popolazione rom e sinta che hanno trovato
lavoro, come dipendenti o lavoratori autonomi, persino
imprenditori, e altri si sono riuniti in cooperative. Il
documento propone quindi la creazione di un'AGENZIA, con compiti
di supporto e consulenza, che veda la presenza di soggetti
istituzionali, sindacali e di categoria. Ma, contemporaneamente,
una simile agenzia dovrebbe farsi carico del problema più
propriamente sociale: queste comunità soffrono di un rapporto
altamente conflittuale col resto della popolazione, e questo
conflitto va mediato e governato per evitare "crisi di rigetto".
Potrà sembrare l'ennesimo ente DIFFERENZIALISTA, in realtà
dipende dai soggetti locali che si riusciranno a coinvolgere:
perché una simile unione e confronto di forze diverse, si
trasformi in un laboratorio di mediazione sociale diffusa,
nell'INTERESSE GENERALE.
Alcuni Rom e Sinti (anche qua, dei gruppi più diversi) sono
disposti a trasferirsi in cascina, potendo mantenere lì uno
stile di vita familistico, più vicino alle loro tradizioni.
Attenzione:
alcune hanno aperto un mutuo da anni, eppure sono ancora
"parcheggiate" in un campo. Ma il discorso, COMUNE anche
stavolta, che si pone è: se non ci fossero queste famiglie,
questo capitale edile di cascine abbandonate, che fine farebbe?
E' una questione da affrontare CON URGENZA anche a livello
cittadino, dato che sempre di più si parla di città
metropolitana, che supera grandemente i confini cittadini.
La città metropolitana, e la generale scarsa attenzione che
viene riservata alla città fuori dalla cerchia dei Navigli, ci
porta in quel terreno esteso ed indefinito della periferia
metropolitana. Proprio lì dove si ammassano i campi rom,
comunali e spontanei. Se di superamento vogliamo parlare, ho in
mente un esperimento che da poco è nato nel campo comunale di
via Idro: le stesse strutture vengono utilizzate per il resto
della cittadinanza e lì periodicamente si svolgono proiezioni di
film, presentazioni di libri, riunioni e feste aperte alla
cittadinanza. Il campo si trova all'inizio del neonato Parco
della Media Valle del Lambro, ed è sede una cooperativa di
operatori del verde, un insediamento lì sarebbe del tutto
conseguente. Se aggiungiamo che l'insediamento è in gran parte
autocostruito, che le famiglie condividono le loro piazzole con
ogni tipo di animale da cortile e fattoria (allevato secondo le
norme di legge), quel piccolo insediamento può essere realmente
una risorsa per la zona, per le scuole, per gli urbanisti.
Diverse soluzioni, che comprendono vari aspetti, tutti problematici,
dell'abitare una metropoli complessa e stratificata come Milano. Non intendo
restringerle, ripeto, alla sola questione rom, sto cercando di capire come sia
possibile ragionare assieme, e vedere come questa presenza può tramutarsi in
ricchezza per Milano, o dagli errori politici passati ricavarne buone pratiche future.
Mi viene un dubbio: esiste una logica che lega tutto quanto ho scritto
sinora? Forse sì. Partendo da un gruppo tra i più disagiati e discriminati (in
città, come altrove), che addirittura "di una casa non avrebbe bisogno",
da milanese ho provato ad allargare il discorso a tutta la comunità che qui vive
ed interagisce, provando a spostare l'equilibrio dello status quo. Credo che si
chiami... forse POLITICA?
Di Fabrizio (del 17/10/2012 @ 09:17:39, in media, visitato 1326 volte)
Onde
RoadPosted on October 13, 2012
"I Rom hanno una mappa infinita nel palmo della mano. Io cercavo affannosamente
la mia, strofinando sotto un filo d'acqua le mani sporche di terra; mio padre
vedeva la sua, con più chiarezza. Avevo sei anni, e non sapevo ancora bene cosa
volesse dire partire". Una giovane Rom di nome Rebecca inizia a soli sei anni un
forzato e lungo viaggio itinerante, che dal Sud America l'ha portata in Europa e
infine in Italia. Una vita la sua, intrisa di drammi e dolori. Sgomberi forzati
delle baracche, incendi nei campi di Napoli, lunghe notti all'addiaccio nei
giardini pubblici di Milano, all'interno di vagoni abbandonati. Rebecca ha però
una capacità fuori dal comune, un dono innato: comunica con i colori. Il fascino
per la pittura la attrae fin dalla nascita e disegna usando quello che trova,
bastoncini, mattonelle colorate e addirittura sassi. Finché qualcuno non le
regala una scatola di tempere… Rebecca è venuta a trovarci a Radio Popolare e ci
racconta dei suoi viaggi e della sua passione per la pittura.
A qualche anno di
distanza dall'ultima volta torna ai nostri microfoni anche Marina, una rom del
campo milanese di via Idro. A differenza di Rebecca lei è stanziale da una vita.
Ci racconta come si vive in un campo rom e i sogni di una donna madre di cinque figli…
Giovedì 18 ottobre alle 21.00una serata per affrontare i luoghi comuni e
conoscere persone vere Bem Viver - circolo cooperativo ACLI CORSICO via
Monti, 5 -
tel. 02 - 44 05 929
e-mail: bemviver@aclimilano.com
Ore 20,00 Buffet a Km 0 Prodotti del COMMERCIO EQUOSOLIDALE delle COOP. SOCIALI e AGRICOLTURA BIOLOGICA
con prodotti equi e delle cascine
Ore 21,00 Le nostre amiche e i nostri amici sinti Presentazione di esperienze di lavoro con le bambine e i bambini del Terradeo
Ore 21,30 Parliamo con Augusto Luisi e Ernesto Rossi dell’Ass. Apertamente
Parliamo con Don Massimo di Casa della Carità sulla questione rom a Milano:
case, sgomberi, campi, accoglienza, progetti di integrazione...
In Lituania il primo giorno di scuola (1 settembre) è caratterizzato da una
mezza giornata, gratuita ed obbligatoria, durante la quale i genitori
accompagnano i bambini nel cortile della scuola dove si riuniscono gli
studenti di ogni grado. Il preside farà un discorso di benvenuto, verranno
eseguite delle canzoni, ed alla fine dell'evento i bambini di ogni grado si
terranno per mano. Gli altri li seguiranno all'interno. Lì, si divideranno e
doneranno fiori alle insegnanti.
Così inizia
il nuovo anno scolastico.
Però a Kirtimai i bambini non cantano. Né sono in molti ad andare a scuola. E
tra questi ci sono i molti che interrompono gli studi già dalle elementari.
L'istruzione è uno dei problemi più formativi dei Rom in Lituania e Kirtimai non
fa eccezione. Le ragioni sono tante, dai problemi logistici alla comprensione
delle questioni sociali.
I bambini di Kirtimai frequentano una delle due scuole di Vilnius, di lingua
lituana o
russa, entrambe a poco
più di quattro km. dall'insediamento. Già prima di iniziare la giornata
scolastica, i bambini trovano le prime difficoltà ad arrivare a lezione. A causa
della strategia contro lo spaccio di droghe, gli autobus nopn passano di
frequente nell'insediamento. Di pomeriggio, ci vogliono due ore di attesa prima
che parta il primo autobus verso Kirtimai, con grandi rischi per la sicurezza di
questi bambini lasciati a se stessi (soprattutto d'inverno). D'inverno la
frequenza deve anche fare il conto col fatto che molti bambini non possiedono
scarpe o vestiti adeguati al
rigido clima
dello stato baltico. Capita che con queste condizioni gli autobus congelino,
limitando ulteriormente le possibilità di partecipazione di questi studenti. A
ciò si aggiungano le povere condizioni finanziarie delle loro famiglie: oltre a
non avere le risorse per la scuola, la disoccupazione influisce sul senso dei
tempi e delle scadenze. I libri scolastici non sempre vengono acquistati per
tempo, ed i bambini non solo non sono in grado di seguire le lezioni, ma si
trovano anche in imbarazzo nei confronti dei loro compagni di classe.
Anche raggiunta la scuola, spesso l'istruzione resta inaccessibile. Per quanto
inaudito, insegnanti ed altro personale scolastico usano atteggiamenti e
comportamenti discriminatori verso i bambini rom. E' una sfida la parte più
coinvolgente per i bambini delle dinamiche scolastiche: l'amicizia. Gli studenti
rom tendono a fare gruppo, i compagni di classe li evitano chiamandoli
"zingari". La vergogna conseguente a queste interazione spinge molti bambini ad
abbandonare, specialmente quando gli insegnanti non affrontano le
discriminazioni.
Gli insegnanti non sono in grado di fornire un supporto adeguato. In aula sono
oberati e non sono operatori sociali. Il budget scolastico soffre per i tagli;
gli insegnanti sono esausti, perché sono pagati di meno ma le ore di lavoro
aumentano. Sfortunatamente, quando si tratta dei bambini rom, non tutti hanno la
pazienza che è cruciale per fornire loro un valido ambiente di apprendimento. Le
questioni linguistiche ostacolano sin dall'inizio la partecipazione scolastica
dei Rom. La loro prima lingua è il romanés; il livello di lituano o russo
acquisito all'inizio della scuola è molto vario, ma spesso non fluente. I
bambini tendono ad avere molta energia e non riescono a stare seduti durante
tutti i 45' della lezione, che spesso non capiscono, così spesso lasciano la
classe. Parte di questo problema discende anche dalla differente socializzazione
che i bambini apprendono nell'insediamento; non hanno familiarità con le norme
della società maggioritaria e non le impareranno se non verranno trasmesse loro
dagli insegnanti a scuola. I bambini hanno bisogno di assistenza sociale.
Crescono in una situazione molto difficile di esclusione, povertà e droghe. Non
si tratta di situazione di comunità, ma di diffidenza e criminalità, e tutto ciò
lascia un forte impatto sulla socializzazione dei bambini.
Da dove iniziare
Molti di questi bambini hanno sperimentato direttamente gli effetti perversi
dello spaccio di droga a Kirtimai. Vivono in mezzo a tossicodipendenti e
arresti, sostenendo traumi psicologici non curati. I bambini crescono nel timore
delle autorità, non importa se giudiziarie o scolastiche, e parimenti, in
assenza dei genitori, hanno paura di essere messi in orfanotrofio (dove spesso
non viene rispettato l'obbligo di istruzione). Anche la situazione abitativa è
fonte di ansia incessante. La case di Kirtimai sono una specie di limbo
giuridico; in quanto non registrate sono a rischio perenne di demolizione. Le
famiglie non si sentono sicure nelle loro tristi condizioni di vita. Kirtimai
non è un ambiente favorevole allo studio.
Inoltre, e ci sono poche prospettive di successo, ai bambini manca la
motivazione. Una volta che capiscono di "trascinarsi" dietro ai loro compagni di
classe, capiscono anche che non potranno mai raggiungerli, né avere successo a
scuola o realizzare i loro sogni d'infanzia, questi bambini si arrendono. Nella
loro sfortuna, i figli di Kirtimai hanno una forte educazione alla realtà.
Vale la pena ricordare che attualmente si sta sviluppando un progetto, delegato
a due insegnanti nelle due scuole di Vilnius, che coinvolge 78 bambini rom di
Kirtimai. Il progetto è ancora nella sua fase iniziale, scontando
difficoltà logistiche che ora non vorrei affrontare. Ritengo comunque che sia
uno strumento molto importante, se correttamente attuato, per l'integrazione
scolastica.
Tuttavia, le soluzioni non arrivano da sole. Le facilitatrici scolastiche hanno
il potenziale come modelli positivi e per facilitare la comprensione e le
dinamiche sociali scolastiche; ma non il potenziale per risolvere le questioni
sociali e materiali fuori dalle scuole. Se non ci sono autobus, non ci saranno
alunni. Se non ci sono libri di testo, i bambini saranno svantaggiati in classe.
Se la situazione a Kirtimai non cambia, senza prospettive costruttive nel
futuro, non ci sarà motivazione e nessuna facilitatrice potrà salvare questi
bambini.
Se non riusciremo ad educare questi bambini, se non saremo in grado di
fornire loro un lavoro normale, questa sarà un'altra generazione perduta
Continua a far discutere lo sgombero forzato "per motivi igienico sanitari" del
campo nomadi a Tor De Cenci (Roma), deciso dal sindaco Gianni Alemanno il 31
luglio scorso e confermato dalla sentenza del Tar che ha dichiarato legittima la
decisione del Comune.
Per capire di cosa stiamo parlando, però, è necessario ripercorrere la storia
del "campo" di Tor De Cenci, definito "storico" proprio perché realizzato molti
anni fa dal Comune con i soldi pubblici. Attrezzato regolarmente con container e
servizi, negli ultimi due anni l’amministrazione capitolina ha smesso di fornire
sorveglianza ed i sanitari minimali previsti, trasformando il campo in una vera
e propria baraccopoli.
Da qui la decisione di dichiararlo "campo tollerato" e passare allo sgombero.
Ben 140 persone, soprattutto ragazzini, sono stati portati all'ex Fiera di Roma
perché, come accade in questi casi, la nuova sistemazione non poteva essere
pronta in tempi così ristretti. Sono così state allestite alcune brandine,
affittati una decina bagni chimici e sette docce, istituito un servizio di
guardiania e di controllo. Vengono inoltre distributi dei pasti precotti tre
volte al giorno e il posto è presidiato da un mezzo della Croce Rossa. Era così
urgente sgomberare un campo aperto da vent'anni? Non si poteva aspettare
l'ultimazione dei lavori dell'insediamento di Castel Romano? Sono queste le
domande che si pongono i residenti e gli attivisti intorno a loro. L'intenzione
iniziale era quella di trasferire la popolazione del campo a quello de La
Barbuta o di Castel Romano, che soffrono già di sovraffollamento per la presenza
di più di 1600 persone, ma così non è stato fatto.
Tanto che, circa 50 di loro, donne e uomini maggiorenni, hanno iniziato lo
sciopero della fame per protestare contro le promesse non mantenute
dell'amministrazione comunale.
«Ho dormito fuori perché dentro non si respira e io sono cardiopatico - ha
raccontato un ragazzo rom - mia madre pure sta male, ha un tumore polmonare e
non può magiare panini tutti i giorni. Noi non vogliamo che i nostri figli
finiscano come noi». «É una vergogna - grida un altro - non ci serve la polizia,
noi ci andiamo da soli all'altro campo ma perché metterci qua adesso? Qui non si
rispettano i diritti umani. Qui è un inferno. É un posto migliore di Tor de'
Cenci?».
Il trasferimento alla Fiera di Roma, inoltre, sta comportando grossi problemi
per la partecipazione scolastica dei bambini rom: i mezzi di trasporto restano
ancora legati alle vecchie tratte e nessuno ha pensato di risolvere questa
situazione. Come scrive Mario Marazziti, dalle pagine del Corriere, «Si butta
via l’integrazione scolastica, si distrugge con i container anche una parte del
futuro. Aumenterà il tasso di abbandono scolastico, e quando non accadrà sarà
per uno sforzo quasi eroico: perché due ore in più solo per andare a scuola alle
elementari? Perché ad anno scolastico iniziato? Perché i bambini rom dovrebbero
faticare molto più dei bambini nelle cui case si parla già bene l’italiano?
Queste cose intelligenti sono chiamate "politiche sociali"». Paolo Perrini, di
Arci Solidarietà ed anche lui in sciopero della fame, spiega: «In pochi vengono
a scuola, non riescono a lavarsi tutti e c'è un'epidemia di pidocchi. Non
abbiamo pettinini né il prodotto per eliminarli. I rom sono molto sfiduciati e
depressi, ci chiedono in continuazione psicofarmaci».
«É a rischio la salute di queste persone, tra le quali ci sono dei bambini
piccolissimi - dice Silvia Ioli, segretaria della Cgil di Roma e del Lazio -
Ancora una volta le modalità utilizzate nell'esecuzione del piano nomadi del
Comune di Roma sono inaccettabili. Il lavoro degli adulti e la scolarizzazione
dei bambini rom vengono di nuovo compromessi con l'ennesima di una lunga serie
di soluzioni improvvisate che costituiscono solo uno spreco di risorse che
potrebbero risultare preziose se impegnate in un vero piano di integrazione di
queste comunità nel territorio».
L'operazione, oltre a costituire uno sperpero di soldi pubblici, rischia di
minare i processi di integrazione - ad iniziare da quella scolastica, appunto -
messi in atto fino ad oggi. Della stessa idea sono anche la Caritas e la
Comunità di Sant’Egidio che dicono: «Una vergogna, indegna di una città civile».
Monsignor Feroci, della Caritas diocesana, all'arrivo (non annunciato) dei
vigili e delle ruspe a Tor de Cenci per buttare giù il campo, davanti ad adulti
e bambini, si è messo a gridare per la follia di questa decisione.
Intanto continua la campagna "Stop all'apartheid dei Rom!" lanciata
dall'Associazione 21 Luglio. Un appello con raccolta firme rivolto
"agli
amministratori nazionali e locali che guideranno il nostro Paese e le nostre
città dopo le prossime elezioni" ed ai quali viene chiesta "l'attuazione di
nuove politiche per il superamento definitivo dei 'mega campi monoetnici',
caratterizzati dalla discriminazione e dalla segregazione". La necessità dunque,
di "rappresentare uno spazio di resistenza pacifica alle continue violazioni dei
diritti umani" attraverso una serie di azioni dirette a "condannare e denunciare
le politiche praticate in diverse città italiane e segnate dalla discriminazione
istituzionale, per individuare e proporre le alternative migliori e per
sostenere quanti, anche in campagna elettorale, avranno la forza e il coraggio
di parlare di politiche nuove, che prevedano la restituzione di una cittadinanza
effettiva a ogni rom". Qualora poi si debba procedere a uno sgombero forzato,
l'Associazione chiede almeno che vengano adottate delle misure protettive, vale
a dire "la possibilità di una reale consultazione con gli interessati; un
preavviso sufficiente e ragionevole a tutte le persone interessate; le
informazioni sullo sgombero e, se del caso, la riassegnazione di terreni o
abitazioni, entro un termine ragionevole a tutti gli interessati; la presenza
durante uno sgombero, specialmente quando sono coinvolti gruppi di persone, di
agenti o rappresentanti di governo e di Ong; gli sgomberi non devono esser
eseguiti in condizioni meteorologiche avverse, a meno che l'interessato non
presti il proprio consenso; l'accesso ai rimedi previsti dalla legge; la
fornitura di assistenza legale a chi ha bisogno di appellarsi di fronte alle
autorità giudiziarie, evitando in ogni caso che, dopo uno sgombero, una persona
si trovi senza alloggio adeguato o possa essere vittima della violazione di
altri diritti umani". Secondo l'Associazione 21 Luglio "non si può rispondere
alla povertà e all'emarginazione sociale con una politica fondata su sgomberi e
trasferimenti forzati. In ogni politica sociale il rispetto dei diritti umani è
una prerogativa che non può essere accantonata in nome di un illusorio e
inefficace "repulisti", indegno per una società civile e democratica". Tra gli
aderenti personalità del mondo della cultura come Dario Fo, Franca Rame, Ascanio
Celestini, Erri de Luca, Moni Ovadia, Margherita Hack, Susanna Tamaro, Assalti
Frontali, Alex Zanotelli e i tre maggiori esperti di tematiche relative ai rom:
Piero Colacicchi, Leonardo Piasere e Nando Sigona. Oltre a 70 associazioni, che
contano circa 65mila soci.
Dopo un attento monitoraggio durato tre anni, la stessa Associazione 21 Luglio
ha redatto un completo report nel quale si dipingono quelli che sono i costi e
le modalità degli sgomberi previsti dal "Piano Nomadi" nella Capitale: 450
sgomberi, 6.750.000 euro spesi (la cifra riportata racchiude le spese per la
rimozione dei rifiuti, per l'impiego delle forze dell'ordine, per l'utilizzo
delle unità mobili di strada), 480 famiglie coinvolte. Un bilancio poco
confortante se si pensa che tra gli sgomberi e i trasferimenti forzati il
Campidoglio ha impiegato dieci volte più di quanto investito nell'inclusione
lavorativa di soggetti rom svantaggiati nel medesimo periodo preso in esame.
L'Associazione, in particolare, si rifà al comunicato emesso dal Commissario per
i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, a seguito della sua
visita a Roma dal 3 al 6 luglio 2012, nel quale riteneva «che tali interventi
[sgomberi forzati con trasferimenti a La Barbuta] non si possano certo
conciliare con la nuova ottica imposta dalla Strategia nazionale d’inclusione
dei rom, che è già in vigore in Italia. Piuttosto, si evince una sfortunata
continuità della precedente politica ufficiale di stampo emergenziale. […]
Quella politica aveva alimentato una serie di sgomberi forzati sistematici senza
precedenti, spesso anche a catena, senza alcun riguardo per le circostanze
personali dei soggetti interessati, né per le garanzie procedurali. Il
Commissario - si legge nel rapporto - crede fermamente che sia i campi segregati
per le popolazioni di rom e sinti che gli sgomberi forzati in Italia siano da
relegare definitivamente al passato».
Al coro si è aggiunta anche Amnesty International che ha posto l'accento sul
fatto che, sebbene l'insediamento esista dal 1995 e sia stato dotato di servizi
dal Comune, «negli ultimi due anni le autorità hanno cominciato a riferirsi a
Tor de' Cenci come a un campo "tollerato" (ovvero un campo che esiste da lungo
tempo, ma costruito irregolarmente su un terreno pubblico o privato),
minacciando di chiuderlo e di trasferire i residenti in un altro campo ancora
più lontano dal centro abitato. Nel tempo - denuncia l'organizzazione - le
condizioni di vita all'interno di Tor de' Cenci sono progressivamente
peggiorate, poiché il campo è stato di fatto lasciato a se stesso dalle autorità
in vista della sua pianificata chiusura. Le autorità vogliono invece usare La
Barbuta esclusivamente per trasferirvi rom che vivono ora in altri campi di
Roma. Se così sarà, si tratterà di un altro esempio di edilizia basata sulla
segregazione etnica vietata dal diritto internazionale e incoerente con
l'impegno a favorire la fine della segregazione assunto nel febbraio 2012
dall'Italia di fronte alla Commissione Europea con la presentazione della
"strategia nazionale d'inclusione delle comunità rom, sinti e camminanti"».
Di Fabrizio (del 14/10/2012 @ 09:15:55, in Italia, visitato 1819 volte)
Da Martesana2
Nei giorni scorsi presso il centro polifunzionale situato al centro del campo
rom di via Idro si è riunita la commissione coesione sociale del consiglio di
zona 2.
Molti consiglieri sorpresi nel vedere per la prima volta questa bella struttura;
ancor di più nell'apprendere che la corrente elettrica con cui era illuminato il
centro proveniva da un allacciamento abusivo in quanto A2a e l'amministrazione
comunale da circa 2 anni non hanno ancora risolto il contenzioso aperto mettendo
finalmente
in sicurezza la cabina elettrica e sopratutto l'intero campo dove con l'inverno è
a repentaglio la salute degli abitanti, vecchi e bambini in particolare.
Una discussione interessante che ha visto la partecipazione diretta di alcuni
rom e associazioni del territorio.
Qui di seguito la delibera approvata dalla commissione:
AL SINDACO DI MILANO
ALL’ASSESSORE ALLA SICUREZZA E COESIONE SOCIALE
ALL’ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI E SERVIZI PER LA SALUTE
AI GRUPPI CONSIGLIARI DEL COMUNE DI MILANO
Considerato
Che il documento intitolato Progetto rom, sinti e caminanti 2012-2015 (Proposta
del Comune di Milano del 6 luglio 2012) è stato fatto pervenire ai Consigli di
Zona con la richiesta che essi fornissero liberamente eventuali contributi prima
della stesura finale del progetto stesso (comunemente denominato "Piano Rom").
Che il Consiglio di Zona 2 apprezza tale iniziativa, come tutte quelle che vanno
nella direzione di un maggiore coinvolgimento dei Consigli di Zona nelle
decisioni che riguardano il territorio milanese, e desidera offrire il proprio
contributo.
Visti:
Il Progetto rom, sinti e caminanti 2012-2015;
la delibera approvata dal Consiglio di Zona 2 in data 5 giugno 2012, intitolata
"Progetto di Riqualificazione del campo rom di via Idro";
la delibera approvata dal Consiglio di Zona 4 in data 6 settembre 2012 dal
titolo "Osservazioni Piano Rom";
il progetto di "Villaggio solidale" presentato da alcune associazione della zona
2, inerente il campo di via Idro;
le osservazioni presentate durante le commissioni Coesione Sociale, Inclusione e
Sicurezza della zona 2 del 17 luglio 2012 e 23 luglio 2012;
il documento Dall’emergenza alla Normalità, della Consulta rom e sinti di
Milano;
il documento di Amnesty International Tolleranza zero verso i rom. Sgomberi
forzati e discriminazione verso i rom a Milano.
In relazione al testo del Progetto rom, sinti e caminanti 2012-2015
il Consiglio di Zona 2 chiede:
Che si preveda anche nei successivi passaggi della stesura e messa in pratica
del Progetto rom, sinti e caminanti 2012-2015, il coinvolgimento, dei
rappresentanti delle comunità rom, sinti e camminanti, dei Consigli di Zona,
degli enti non-profit che lavorano con le dette comunità e che venga
conseguentemente costruito un calendario di incontri a scadenza regolare.
Che siano inserite nel piano tutte le informazioni sui fondi stanziati per
l’anno in corso e sulla previsione di quelli "impegnabili" dal 2013 al 2015 per
capitoli di spesa. A tal fine è necessario che si faccia chiarezza in merito
alle risorse impiegate negli ultimi anni, sempre per capitoli di spesa
(sgomberi, manutenzioni ordinarie e straordinarie, fondi girati per le attività
di assistenza affidate agli Enti no-profit ecc..), con particolare riferimento
al "piano Maroni" (si veda Progetto rom, sinti e caminanti 2012-2015, p. 3).
Che in vista del censimento previsto vengano attentamente vagliati i dati già in
possesso dell’amministrazione, in modo da evitare lo spreco di risorse,
razionalizzando l’operazione e rendendone i risultati più durevoli nel tempo. Il
censimento dovrà avere esclusivamente caratteristiche socio-anagrafiche e
rispettare appieno le norme sulla privacy. Al fine di una corretta raccolta e
valutazione dei dati e per evitare sprechi, venga prevista nel progetto la
sospensione degli allontanamenti nei campi informali per un periodo congruo.
Che, in collaborazione con i rappresentanti delle comunità rom sinte e
camminanti, i Consigli di zona, e gli enti no-profit che operano con tali
comunità, vengano individuate e rese pubbliche le priorità di intervento sulla
base dei dati emersi.
Che nel testo del Progetto rom, sinti e caminanti 2012-2015 siano citati dati
ricavabili da precedenti inchieste e censimenti relativi anche ai campi comunali
o "regolari", soprattutto per quanto riguarda il grado di scolarizzazione e di
occupazione lavorativa, dati probabilmente diversi da quelli relativi ai campi
informali o "irregolari" (forniti in sintesi citando uno studio della Casa della
Carità nell’attuale versione del Progetto rom, sinti e caminanti 2012-2015, p.
4), ma che mancano nel testo. Nella bozza del progetto, infatti, l’ipotesi del
"superamento dei campi come modello abitativo stabile" (ibidem), che
riguarderebbe anche i campi comunali, si presenta come ispirata dai dati citati,
riguardanti però i soli campi informali (i cosiddetti campi "irregolari").
Probabilmente si tratta di una svista. La consequenzialità del ragionamento
dalle sue premesse, infatti, così com’è sembra basarsi su una supposta
equivalenza dei dati sui campi informali con quelli sui campi comunali tutta da
dimostrare. Consigliamo di rivedere questo punto del testo.
Che venga rimessa in discussione l’idea del "superamento dei campi" come
principale linea-guida del piano, o che comunque venga meglio giustificata e
riempita di un significato non rigidamente appiattito sulla questione abitativa.
Questo, per non limitare in partenza la gamma delle soluzioni possibili, tenuto
conto che problematiche diverse nelle singole e peculiari realtà dei campi
necessitano di soluzioni diverse. Suggeriamo di parlare in alternativa, nel
testo definitivo, di "superamento del degrado dei campi" o di "superamento della
marginalità" per la popolazione rom, sinta e camminante.
Che sia prevista nel testo la riqualificazione e la messa in sicurezza dei campi
comunali, anche nell’ottica del superamento delle condizioni di degrado, di
emarginazione e per migliorare la vivibilità degli stessi (allegata mozione
Consiglio di Zona 2 sul Campo di Via Idro).
Che si preveda il coinvolgimento nei comitati di gestione dei campi regolari dei
Consigli di Zona interessati.
Che si eviti di usare nel testo la parola "integrazione", che è possibile in
molti casi sostituire con la parola "cittadinanza", e che si evitino riferimenti
ovvi e superflui alla legalità e al rispetto delle leggi.
Che sia più precisamente delineato nel progetto il percorso di accompagnamento
sociale che si intende attuare, che deve prevedere figure di mediatori culturali
e percorsi formativi finalizzati, per ciò che riguarda l’inserimento nel mondo
del lavoro. A questo proposito è importante riattivare esperienze di lavoro
tramite cooperative sociali (quali la Laci Buti di via Idro) favorendo anche la
qualificazione professionale dei soci lavoratori onde poter consentire alle
stesse di operare sul mercato e di essere in grado di acquisire commesse sia da
parte di soggetti privati che da parte delle pubbliche amministrazioni
(inizialmente anche mediante affidamenti diretti). E’ fondamentale che i primi
ad affidare commesse a queste cooperative siano il Comune e gli Enti come
l’AMSA. La stessa manutenzione ordinaria e straordinaria dei campi può essere
affidata a tali cooperative. Si devono in generale favorire le forme di auto
imprenditorialità, come, per esempio, la nascita di cooperative di artisti e
musicanti di strada o la raccolta di materiali di recupero (ferro, ecc.). Il
comune può inoltre sostenere progetti validi ideati da persone rom sinte e
camminanti e/o da associazioni loro vicine, e/o farsi partner nella
partecipazione di tali progetti a bandi di finanziamento indetti da altri enti
pubblici e privati. Ultimo, ma non per importanza, il Comune di Milano deve
farsi promotore di azioni specifiche finalizzate all’emersione del lavoro
sommerso, essendo questa tipologia di lavoro molto diffusa nella popolazione rom
e sinta.
Per quanto riguarda gli allontanamenti dai campi informali:
- Che siano innanzitutto previsti dei percorsi che possano aiutare gli abitanti
di tali campi a superare la propria condizione di irregolarità sul piano
abitativo. Essi devono essere coinvolti nella costruzione di un progetto
condiviso che, con il supporto di esperti e mediatori culturali, possa condurre
alla soluzione del problema senza la necessità dell’allontanamento forzato e nel
rispetto del diritto all’autodeterminazione del singolo.
- Che gli allontanamenti siano eventualmente effettuati solo come ultima
risorsa, dopo che sia stata presa in considerazione ogni altra alternativa
possibile.
- Che siano effettuati nel rispetto del diritto e degli standard internazionali.
Le tutele procedurali richieste dal diritto internazionale sui diritti umani
devono essere poste in essere prima dell’effettuazione di ogni sgombero, in
particolare i requisiti della consultazione reale per considerare ogni
alternativa possibile, della fornitura di informazioni sullo sgombero, di
adeguato preavviso, di rimedi effettivi, di indennizzi e di adeguato alloggio
alternativo.
- Che vengano adottate misure, incluse linee guida, per garantire che tutti i
funzionari coinvolti siano dotati di indicazioni chiare sulle garanzie che
devono essere prese, affinché le operazioni avvengano legalmente e in conformità
con gli obblighi esistenti.
- Che, nel caso dei residenti in campi già chiusi o in fase di chiusura che
hanno già accettato soluzioni alternative di alloggio, sia garantita loro la
sicurezza del possesso. Che sia garantita, non solo l’assistenza ed il supporto
immediati, ma che gli stessi siano assicurati nel tempo. A tal fine è
fondamentale che i competenti uffici comunali – meglio se decentrati e/o
collegati con i Consigli di Zona - siano messi in condizione di funzionare".
Che in ogni caso le iniziative che questo piano metterà in atto (le quali, lo
ribadiamo, devono essere frutto di processi decisionali ampiamente partecipati e
condivisi, che dovranno coinvolgere soprattutto i diretti interessati e i loro
rappresentanti), abbiano carattere duraturo e non seguano logiche emergenziali.
Di Fabrizio (del 13/10/2012 @ 09:18:07, in Italia, visitato 1528 volte)
Di Davide Zaccheo
Foto fatta a giugno durante la festa IO NON SGOMBERO durante la quale ragazzi
italiani del quartiere e ragazzi rom del campo hanno realizzato quel bellissimo
murales fatto sulla parete posteriore di un container. Murales che è stato
distrutto da Roma Capitale insieme al container. (cliccare sull'immagine
per scaricarla a grandezza naturale)
Tra i giorni di lunedì 8 e martedi 9, i circa 170 rom di Tor de Cenci che da 10
giorni il comune aveva parcheggiato nell'ignobile e disumano centro di
accoglienza del Comune di Roma all'ex fiera di Roma, sono stati trasferiti in
via definitiva nel campo di Castel Romano. Sono stati trasferiti dopo quattro
giorni di sciopero della fame, costretti dalle vergognose condizioni in cui
sostavano nel centro di accoglienza nel quale dormivano ammassati in mezzo a
pidocchi pulci e topi.
La visita del sindaco Alemanno e la promessa che il nuovo campo sarebbe stato
pronto per lunedì li ha convinti ad interrompere lo sciopero della fame tra
sabato e domenica. Il lunedì stesso si è proceduto alle prime assegnazioni delle
casette e al trasferimento dei primi nuclei nel nuovo campo. Già martedì 9 tutta
la comunità si trovava a Castel Romano. Le famiglie sono state sistemate in 44
casette. Ci si è accorti però che non tutte le casette erano agibili (in alcune
mancava ancora la corrente elettrica, in altre l'acqua etc.) e quindi alcuni
nuclei familiari in attesa dell'"agibilità" della loro casa, hanno dormito
ammassati in casette di parenti e dintorni.
Il nuovo campo si trova limitrofo all'altro campo che ospita già 900 persone. La
maggioranza è bosniaca e una altra buona parte è serba. Come è noto Castel
Romano si trova su una strada a scorrimento veloce che è la via Pontina con
intorno solo prati e boschi. Da anni i Rom di questa comunità combattono insieme
alle associazioni presenti al campo per l'istituzione di una fermata
dell'autobus che li porti al più vicino punto di contatto con la civiltà che è
il capolinea della metro b di Roma "Eur Fermi". Circa 300 minori del campo
percorrono ogni giorno 30 km all'andata e 30 km al ritorno per raggiungere tutte
le scuole di ogni ordine e grado in cui sono iscritti, e solo questo dovrebbe
far riflettere sulle politiche di integrazione che il comune di Roma ha attuato
negli ultimi dieci anni.
Insieme ai bambini di Castel Romano ci sono da oggi anche i bambini di Tor de
Cenci, quelli che fino a ieri impiegavano dieci minuti per raggiungere la
scuola, quelli che potevano restare fino alle 16.00 insieme con tutti gli altri
bambini italiani e stranieri, quelli che infine incontravano i loro compagni di
classe in giro per il quartiere anche quando non c'era la scuola. Ora non lo
possono fare più. Non lo possono fare più neanche i loro ex vicini di casa
macedoni e bosniaci che sono stati trasferiti nel nuovo campo attrezzato de La
Barbuta, un campo costruito al confine con la pista di atterraggio del secondo
aeroporto di Roma che si chiama Ciampino. Anche per loro, i tempi e le distanze
sono raddoppiati.
Quello che è stato appena detto è anche il continuo di questa storia che è
realmente la storia di una volontà di integrazione. La comunità di Tor de Cenci
è stata per cinque anni letteralmente assediata dalle istituzioni con il preciso
fine di sgretolarne il vissuto, e soprattutto la parte buona di quel vissuto.
Ma la battaglia continua, continua con le proposte alternative dell'autorecupero,
del sostegno economico all'alloggio, del cambiamento delle politiche sugli
sfratti. Continua sempre e senza scoraggiarsi con la scolarizzazione dei minori.
I Rom di Tor de Cenci continuano a combattere ed è proprio per questo che
ovunque si trovano per me sono e saranno sempre i "I Rom di Tor de Cenci".
Mercoledì hanno rovesciato i cassonetti e minacciato di bloccare via del
Cornocchio. Ieri mattina, meglio organizzati, si sono presentati con cartelli e
iniziato lo «sciopero dei bambini». Nel senso che i piccoli non sono stati
mandati a seguire le lezioni come tutte le altre mattine.
Sono i nomadi di origine macedone ospiti del campo comunale, cinque famiglie
per un totale di una trentina di persone, che da qualche giorno hanno dichiarato
una sorta di stato di agitazione. Per colpa delle bollette.
«Noi siamo qui nel campo da anni e abbiamo sempre cercato di lavorare, senza
creare troppi problemi - hanno raccontato i capofamiglia reclamando un
intervento delle autorità. - Ma da qualche tempo tutti noi abbiamo perso il
lavoro e ora non ci sono più i soldi per pagare l'acqua e la luce. E abbiamo
paura che ci taglino le utenze».
Un rischio in realtà non troppo concreto che si lega tuttavia ad una altra
lunga serie di lamentele. Queste, almeno in parte, giustificate.
Gli ospiti del campo infatti dal 2008 vivono nella struttura senza un
regolare contratto di locazione da parte del Comune e questo fatto impedisce che
venga loro concesso il certificato di idoneità alloggiativa. Un documento senza
il quale trovare lavoro è pressoché impossibile.
«Purtroppo si tratta di un problema reale», ammette l'assessore ai servizi
sociali Laura Rossi che ieri alle 14 ha incontrato i nomadi insieme al sindaco
Pizzarotti. «La situazione del campo risente di una storica inerzia e di una
mancanza di accorta gestione da parte delle precedenti gestioni». Uno scomodo
retaggio che ora l'amministrazione si trova a dovere fronteggiare: anche se le
risorse, come è noto, sono molto scarse. «Per parte loro anche i nomadi hanno
delle forti responsabilità: il degrado della struttura è in buona parte
attribuibile a loro che hanno sempre comunque potuto contare su un'assistenza
economica. Le bollette non le hanno mai pagate e ad intervalli l'amministrazione
si è fatta carico di coprire il pregresso. Ora però il problema è più serio».
Si, perchè il campo sarebbe da da bonificare e rimettere in sicurezza con
investimenti pesanti mentre il Comune non può certo mantenere all'interno di una
propria struttura persone senza un contratto che è fondamentale per il loro
permesso di soggiorno e il lavoro. «Nell'incontro di ieri ho chiesto
espressamente che gli ospiti si impegnino per iscritto a offrire la loro
collaborazione per la gestione delle struttura. E' altresì vero che le
condizioni minime di sicurezza sono a rischio». E forse proprio qui è la chiave
per capire il motivo di questa lunga assenza di un contratto: per perfezionarlo
si sarebbe dovuto investire e si è preferito non farlo. Non riuscendo però
neppure a prendere la decisione di sgomberare un'area che ormai appare
fatiscente e devastata. E gli ospiti? Loro dopo l'incontro di ieri sembrano
dichiarare una certa disponibilità anche se le bollette, che ormai superano i
mille euro l'una, dovranno essere pagate. E su chi debba mettere la mano al
portafoglio le ipotesi sono diverse.
«In Emilia è stato stanziato un milione di euro per i campi nomadi- hanno
ripetuto più volte gli ospiti. - Ma i soldi dove sono?».
«Il finanziamento riguarda l'intera regione e per Parma sono disponibili
circa 30mila euro - ribatte l'assessore. - E noi di recente abbiamo partecipato
al bando per ottenere la somma». Ma 30mila euro certo non bastano. Tra poco
arriverà l'inverno. E il clima potrebbe surriscaldarsi.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
il link: www.sivola.net/dblog.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicita'. Non puo' pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. In caso di utilizzo commerciale, contattare l'autore e richiedere l'autorizzazione. Ulteriori informazioni sono disponibili QUI
La redazione e gli autori non sono responsabili per quanto
pubblicato dai lettori nei commenti ai post.
Molte foto riportate sono state prese da Internet, quindi valutate di pubblico
dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla
pubblicazione, non hanno che da segnalarlo, scrivendo a info@sivola.net
Filo diretto sivola59 per Messenger Yahoo, Hotmail e Skype
Outsourcing Questo e' un blog sgarruppato e provvisorio, di chi non ha troppo tempo da dedicarci e molte cose da comunicare. Alcune risorse sono disponibili per i lettori piu' esigenti: