Ennesimo sgombero a Segrate. Per Cristina, la bimba nomade di dieci anni
di cui una maestra ha parlato a "Vieni via con me", è lo sgombero numero
diciassette.
Un momento dello sgombero del 18 novembre, a
Segrate.
La mattina del 18 novembre, sotto una pioggia battente e implacabile, polizia e
carabinieri hanno sgomberato gli 80 rom rumeni che abitavano in via Fermi, a
Segrate, ricco comune alla periferia est di Milano. Qui, seguiti dalla Comunità
di Sant’Egidio, 14 bambini andavano regolarmente a scuola, 15 uomini lavoravano
con contratto regolare nell’edilizia e 4 adolescenti, dopo anni di dispersione
scolastica, avevano intrapreso un percorso di avviamento professionale. Marius,
a 17 anni, è passato dall’elemosina a un corso di idraulica e a un tirocinio per
riparare le tubature di molte case milanesi. Ora l’ennesimo sgombero mette a
rischio questi passi concreti verso l’integrazione.
Il 18 novembre non è solo la data dello sgombero di via Fermi: è anche il
diciassettesimo sgombero subito da Cristina, 10 anni, in un solo anno. Quando
nel settembre 2008 abitava al campo di via Rubattino, Cristina ha iniziato a
frequentare la quarta elementare. Nell’ultimo anno, a causa degli sgomberi, ha
perso molti giorni dell’anno scolastico e ha dovuto cambiare tre scuole. La sua
famiglia è molto povera; per questo, e non certo per scelta, ha una baracchina
al posto della casa. Quando uno sgombero rade al suolo anche quella, rimangono i
cavalcavia o un telo di plastica fissato su dei legni. Ha provato a vivere anche
sottoterra, sgomberata anche da lì. Cosa perde Cristina ad ogni sgombero?
Giocattoli? No, non ne possiede. Vestiti? Ben pochi. Perde invece un riparo dal
freddo e dalla pioggia, la bombola e il fornello che le consentono di mangiare
qualcosa di caldo.
Ma perde anche le sue radici: il luogo dove tornare e che riconosce come "casa",
gli amici rom, che si disperderanno, gli amici italiani, da ritrovare ogni
giorno a scuola, le maestre che l'aspettano per accompagnarla a scuola, quella
scuola che le consentirà un giorno di essere una cittadina al pari degli altri,
di essere rispettata, di comprendere e difendersi. La maestra Flaviana Robbiati
aveva letto l’elenco degli sgomberi subiti da Cristina durante la trasmissione
Vieni via con me di Fazio e Saviano. Dice: “Don Lorenzo Milani sostiene che chi
conosce mille parole è più libero di chi ne conosce cento. É forse per questo
che oggi si sgombera Cristina? Per impedirle di essere domani libera e con una
dignità riconosciuta e rivendicata? Intanto, ancora oggi, si è svegliata con i
lampeggianti blu della polizia.”
I diciassette sgomberi subiti da Cristina in un anno danno un volto al caso
zingari, all’emergenza nomadi. Il rifiuto degli zingari è diffuso negli ambienti
più diversi, criminalizza un piccolo popolo sostanzialmente indifeso. In nome
della preoccupazione per la sicurezza dei cittadini, lo zingaro diventa spesso
la personificazione del male. Ma il caso zingari ci pone di fronte a una domanda
decisiva, quella del modo in cui vogliamo vivere. Avere un nemico facilmente
identificabile può perfino essere rassicurante, ma dobbiamo sapere che spesso ha
il volto di Cristina.
Le famiglie di via Fermi sono una parte dei rom che da un anno, con costi
enormi, sono alternativamente respinte dall’area di via Rubattino (Milano) e da
Segrate. Si sceglie ripetutamente lo strumento dello sgombero, effettuato in
assenza di reali proposte alternative, sgomberando per sgomberare, per poi
lasciare rioccupare la medesima zona e ricorrere successivamente, con clamore
mediatico, a un ulteriore allontanamento. Quando illusoriamente si parla dei
luoghi sgomberati come “restituiti alla città” o “liberati”, si dimentica spesso
che i rom sono uomini, donne, anziani, bambini, soprattutto bambini.
Elenco degli sgomberi subiti da Cristina, 10 anni, Rom
19 novembre 2009: sgomberata del campo di via Rubattino
20 novembre 2009: sgomberata da un edificio abbandonato a Segrate
21 novembre 2009: sgomberata da un capannone fatiscente sotto la tangenziale di Rubattino
2 febbraio 2010: sgomberata da via Siccoli
4 febbraio: sgomberata da Quarto Oggiaro, torna a Segrate in un capannone
24 febbraio: sgomberata da via Carlo Reale
25 febbraio: sgomberata da via Bovisasca
10 marzo: sgomberata dall'area di via Durando.
6 aprile: sgomberata da Segrate.
7 settembre 2010: sgomberata dell'area ex Innocenti di via Rubattino. È la
stessa area da cui era stata sgomberata dieci mesi prima.
8 settembre 2010: sgomberata da via delle Regioni a Redecesio (Segrate).
9 settembre 2010: dorme per strada in zona Lambrate, ma al mattino è
allontanata.
10 settembre 2010: allontanata dal ponte della tangenziale di Rubattino.
21 ottobre 2010: sgomberata del campo di via Umbria a Redecesio (Segrate).
22 ottobre 2010: allontanata da un parcheggio nelle vicinanze dell’ospedale
Sacco.
23 ottobre 2010 – 27 ottobre 2010: Cristina e la sua famiglia dormono in vari
punti della città (Bovisa, Lambrate, …) e sono allontanati tutti i giorni.
18 novembre 2010: sgomberata da via Fermi a Segrate.
Di Fabrizio (del 19/11/2010 @ 09:52:21, in Italia, visitato 1882 volte)
Ricevo da Agostino Rota Martir
E' dura, ma non ci si può arrendere, perché è fondamentale per tutti, non
solo per i Rom ma per tutti noi, riuscire a tenere alta la guardia, anche se
sappiamo di essere in pochi a lottare contro una "macchina del fango" collaudata
e che continua a vomitarlo sopratutto sui rom, con l'intento di manipolare e
condizionare l'opinione pubblica, ma non solo questa... e falsare
deliberatamente la realtà dei fatti.
Ieri mattina (16 Novembre) sull'autobus di linea Livorno-Pisa una mamma rom
di Coltano, viene aggredita verbalmente dai passeggeri presenti, la sua colpa è
di essere Rom e del campo Rom di Coltano, ormai visto dall'opinione pubblica
pisana come luogo infamante e di degrado culturale e umano.
Qualche settimana fa anche in un Centro Caritas vicino ad Ardenza (LI) che
distribuisce abiti, si ripete più o meno la stessa scena, con un'altra donna Rom
di Coltano.
Non vengono nemmeno risparmiati i bambini Rom a scuola, visti e indicati a dito
dai loro compagni come gente pericolosa... bambini che tornano a casa piangendo
e con la tristezza sui loro volti.
Trovare un idraulico disposto a fare dei lavori all'interno del Villaggio, è
un'impresa non certo facile: prevale il timore, la paura di finire chissà
come... oppure il rifiuto come principio.
Penso che la redazione di Il Tirreno di Pisa potrà gioiosamente brindare, per
aver raggiunto lo scopo prefissato, e finalmente premiare la loro giornalista di
punta, C. V. per essere riuscita a creare il clima giusto, di rivolta nei
confronti della comunità Rom di Coltano. Ognuno fa le sue scelte: meglio avere
una città feroce verso i Rom che sondare, confrontare per cercare di capire la
verità dei fatti, come farebbe un serio cronista. Scelte redazionali: tutto in
nome "dell'integrazione" ovviamente, "siamo una testata aperta, democratica e
tollerante", che sa utilizzare, quando è necessario anche la giusta dose di
persecuzione, pur di delegittimare il popolo Rom. Recentemente, alcuni studiosi
e ricercatori non hanno esitato di usare il termine "genocidio", in nome della
sicurezza portata avanti oggi, anche all'interno dei Tribunali minorili in
Italia in materia Rom: "Dalla tutela al genocidio?" (ed. CISU, 2010)
Anche i servizi sociali del comune di Pisa sembrano allinearsi ed adattarsi
perfettamente a questa campagna a senso unico. E' preoccupante il silenzio di
quei operatori che conoscono a sufficienza la realtà dei fatti, e l'infondatezza
delle gravi accuse. Hanno avuto modo di vedere la "bambina sposa", forse anche
di parlarci insieme, di vederla serena e libera di muoversi all'interno del
campo. Con gli stessi indagati, ancora in carcere hanno lavorato insieme,
mangiato insieme, gli hanno aperto le porte di casa loro, hanno anche raccontato
le loro difficoltà, a volte hanno pure litigato insieme. Sono quegli stessi
operatori che non tanto tempo fa, di fronte ai tagli previsti dal comune
riguardante il settore sociale, non hanno esitato a manifestare e protestare per
far valere l'importanza di lavorare per "l'integrazione dei Rom", per non
perdere il cammino fatto finora a fianco dei Rom di Coltano... allora
manifestavano per non perdere un lavoro o una occupazione, che può essere
sacrosanto! Perché ora non sanno (o non vogliono) esprimere un loro parere su
questa vicenda? Il loro silenzio grida forte e lo si sente eccome tra le dimore
dei Rom! Perché si dovrebbe riconoscere la loro professionalità solo quando il
posto di lavoro è minacciato da possibili tagli?
Questa vicenda rivela anche la totale mancanza di autonomia da parte di tanti
soggetti attivi nel sociale e pone degli interrogativi molto seri anche sulle
finalità dichiarate di tanti Progetti Rom: migliorare la condizione sociale,
culturale ed economica di rom!?
Al fango i rom, in genere sono abituati, quello dei campi e del nuovo
villaggio... dobbiamo tutti temere invece il fango del pregiudizio,
dell'intolleranza e del razzismo che sta montando senza alcun argine, che decima
senza pietà delle intere famiglie Rom, e che non sa dare spazio al punto di
vista diverso dal nostro, fino a negare il diritto di voce e la loro presunzione
di innocenza. Quando la verità dei fatti sarà accertata sapremo riconoscere il
fango nauseabondo che forse sta anche dentro di noi o abbiamo imparato troppo
rapidamente a conviverci comodamente?
Di Fabrizio (del 16/11/2010 @ 09:35:04, in Italia, visitato 2459 volte)
Antefatto: alla fine del mese scorso diversi giornali
pubblicano la notizia di una ragazzina rapita in Kosovo per essere data in sposa
a Rom che risiedono in Italia nel campo di Coltano (PI). Su Internet ho trovato
la bellezza di
82 articoli, e neanche uno che abbia sentito il bisogno di ascoltare anche
il parere dei diretti interessati. Non per avvallare aprioristicamente la loro
versione, ma per quello che tuttora si chiama "diritto di cronaca". Grazie ad
Agostino Rota Martir, ecco cos'hanno detto:
Questa sera c'è stata la conferenza stampa al campo Rom di Coltano
(PI) sulla vicenda della "sposa-bambina", in seguito alla
campagna discriminatoria e diffamante portata avanti con ferocia, sopratutto
dal Tirreno di Pisa, non ancora finita (ovviamente il Tirreno non era
presente, perché ha ritenuto inutile ascoltare la voce Rom).
E' stato un bel momento perché i Rom finalmente hanno potuto parlare,
raccontare, far sentire la loro voce..una conferenza stampa voluta e gestita
solo da loro, non dalle Associazioni presenti, ma in disparte!
Che ha sorpreso anche i pochi giornalisti presenti, increduli pure loro per
la piega presa dell'intera vicenda, di come è stata presentata dalla stessa
stampa di fronte alle prove inconfutabili di decine e decine di foto e del
racconto stesso dei Rom.
Ciao Ago
Coltano, Pisa, 15 Novembre 2010
Noi come nomadi, nella nostra tradizione di rom, noi da 2000 anni sposiamo i
nostri figli da giovani, di 14, 15, 16, 17 e 18 anni. Per prima cosa noi
conosciamo i genitori della ragazza e dopo, se i ragazzi sono d'accordo,
cominciano a vedersi oppure (se sono lontani) a conoscersi attraverso il
computer, e dopo alcuni mesi facciamo il fidanzamento. Se i ragazzi non sono
d'accordo, non è mai successo tra i nomadi che si sono fatti sposare con la
forza. I ragazzi si sposano se si piacciono, se non si piacciono non succede
nulla e le famiglie cercano un altro sposo e un'altra sposa.
Non siamo gente che prendiamo ragazze con la forza, perché come famiglia
vogliamo che i ragazzi si vogliano bene e vogliamo rimanere in buoni rapporti
con l'altra famiglia.
Quando una ragazza si sposa, la madre della ragazza sceglie una donna di sua
fiducia, spesso la moglie del sacerdote musulmano, che deve rimanere accanto
alla futura sposa, per stare con lei, prepararla al matrimonio, rassicurarla e
assisterla, e anche testimoniare della sua verginità per i suoi genitori. Questa
è nostra tradizione di matrimonio: è una tradizione di cui tutti i rom sono
consapevoli, e che ogni persona rom accetta liberamente. La nuora entra nella
nuova famiglia, e diventa una nuova figlia, da lei si avranno nipoti e
pronipoti, le si vuole bene come una figlia. Le due famiglie diventano come
parenti perché nascono i bambini e il sangue si mischia.
Le cose che abbiamo letto sui giornali non sono vere e ci hanno colpito. Non
sappiamo perché la ragazza ha detto queste cose. Noi vogliamo bene a questa
ragazza, abbiamo fiducia in lei e nella sua famiglia che siamo parenti da trenta
anni, non crediamo a quello che abbiamo letto sui giornali, vogliamo che la
ragazza possa dire la verità. Lo stesso giorno che è successa questa cosa è
stata presa un'altra ragazza minorenne, sposata con un ragazzo del campo, e ora
non sappiamo dove sia finita neppure lei.
Ora con queste cose che si sono lette sui giornali per noi è diventata una
vergogna andare a giro, tutte le genti pensano male di noi rom. Già prima tante
persone ci giudicavano male, adesso per noi è diventato difficile andare a
scuola, andare a lavorare, andare a fare la spesa perché la gente ci giudica e
ci guarda male. Questo succede perché la gente legge le cose che si dicono ma
non conosce le nostre tradizioni. Proviamo vergogna anche rispetto ad altri rom.
Chiediamo all'Italia di avere coscienza che le nostre usanze non sono solo
nostre. Se provano a ricordare, anni fa anche nelle famiglie di italiani c'erano
queste usanze, cioè matrimoni tra persone giovani, matrimoni combinati tra
famiglie, si considerava importante la verginità e tante altre cose simili.
Milano. Continua il viaggio di c6.tv alla scoperta della vera realtà dei rom
italiani, oltre gli sgomberi e i disagi. Oggi siamo stati ospiti di Aldo Deragna
che con la sua famiglia vive da 10 anni nel campo di Chiesa Rossa. Un campo
fatto di case mobili e in muratura, niente a che vedere con le immagini di
sgomberi e disagio a cui siamo abituati. Lui e gl altri rappresentanti del campo
hanno scritto una lettera al prefetto per invitarlo a toccare con mano ciò che
amministra e che probabilmente non conosce. Attendono una risposta e nel
frattempo, alle prossime comunali, Aldo dice che voterà Boeri. Servizio di
Claudia Bellante
Siete curiosi di sapere come si vive davvero in un campo rom autorizzato,
meglio noto come "villaggio attrezzato" del Comune di Roma?
Volete sapere se strutture del genere favoriscano effettivamente la sicurezza e
l'integrazione dei rom, come sbandierato dalle autorità? Volete scoprire se i
diritti fondamentali dei bambini siano pienamente garantiti e se le case, gli
spazi e le condizioni igienico-sanitarie rispettano realmente i parametri di
legge?
Allora non mancate all'appuntamento con la presentazione della ricerca: "Esclusi
e ammassati: il Piano Nomadi a Roma e l'infanzia rom", a cura dell'Associazione
21 luglio, che si terrà sabato 20 novembre 2010 alle ore 10:30 nella cornice di
Palazzo Frascara in piazza della Pilotta 3, nel pieno centro di Roma.
Il rapporto è nato dall'esigenza di analizzare l'impatto che hanno avuto le
politiche sociali del Piano Nomadi di Roma sui diritti dell'infanzia rom e, in
particolare, prende in esame un "villaggio attrezzato" modello del Piano Nomadi
messo a punto dall'amministrazione comunale della Capitale.
L'indagine si concentra su alcune caratteristiche fondamentali riscontrabili
all'interno del campo, quali le dimensioni delle abitazioni, gli spazi dedicati
alle attività sportive, la distanza tra il villaggio stesso e i servizi
essenziali (ospedali, luoghi di socializzazione, trasporto pubblico), la
sicurezza, l'istruzione dei minori e le condizioni igienico-sanitarie.
Attraverso queste analisi, l'Associazione 21 luglio ha voluto verificare di
prima mano le possibili situazioni di esclusione, segregazione e privazione dei
diritti sanciti dalle convenzioni internazionali che riguardano i minori rom
nella città di Roma, facendo riferimento principalmente alla Convenzione sui
diritti dell'Infanzia siglata a New York il 20 novembre 1989.
L'indagine, iniziata il 1 luglio 2010 e conclusa il 15 settembre 2010, è stata
condotta con una ricerca sul campo, utilizzando alcuni strumenti dell'analisi
qualitativa quali l'osservazione diretta e le interviste in profondità. L'equipe
di ricerca è composta da un antropologo, un esperto di storia e cultura rom, una
mediatrice culturale, un esperto di diritti umani, un avvocato, un ingegnere e
una psicologa.
All'evento del 20 novembre, Giornata per i Diritti dell'Infanzia, che sarà
condotto dal direttore di Current Tv Davide Salenghe, saranno presenti numerosi
rappresentanti dell'associazionismo (tra cui non mancherà Amnesty International.
Sarà proiettato, infine, il bellissimo film documentario "Me sem rom".
Dopo la nostra conferenza stampa di ieri, abbiamo letto i commenti che il
vicesindaco De Corato ha dedicato alla denuncia che in quell'occasione abbiamo
presentato. Notiamo per prima cosa che non c'è un punto, nelle sue
dichiarazioni, che smentisca le fattispecie sollevate nella denuncia, ossia
– lo ripetiamo – l'abuso d'ufficio (anche con l'utilizzo di ingenti soldi
pubblici solo per gli sgomberi senza progetti di accompagnamento ed
integrazione), i danneggiamenti a beni di proprietà (con l'intervento delle
ruspe e la distruzione di ogni bene), l'interruzione di pubblico servizio (nello
specifico, l'interruzione della frequenza scolastica).
Il vicesindaco dichiara che è sempre stata osservata la
correttezza delle procedure; lo smentiamo, sulla scorta anche dei più recenti
sgomberi. Lo dimostrano:
- le procedure ultimative: sgombero intimato solo a voce con rudezza e
intimidazione all'alba o a tardo pomeriggio, nell'incombere dell'imbrunire,
senza preavviso, in presenza di maltempo con pioggia o neve;
- l'assenza dei funzionari dei servizi sociali, negli ultimi episodi, malgrado
il fatto che appunto i ripetuti censimenti e controlli effettuati sul microcampo
Cavriana-Forlanini avessero rilevato la presenza di minori anche di pochi mesi;
- continuiamo a pensare che quella della frattura del nucleo familiare (madri
e bambini da una parte e padri per strada) non sia la soluzione; in una
Milano che celebra in questi giorni, in un apposito evento, la sacralità della
famiglia, suonano stonati questi interventi che dal legame familiare
prescindono.
Rifiutiamo con forza la designazione del nostro gruppo come facente parte
di "associazioni pseudobuoniste" che "non hanno di meglio da fare" che indulgere
al "can can mediatico".
Noi qualcosa di meglio lo abbiamo da fare, e sta nel nostro impegno
quotidiano di cittadini e cittadine, nell'affiancamento a queste storie
difficili ma ricche, nel tentativo arduo di forzare gli ostacoli che si
oppongono a una piena socializzazione di questi soggetti, nell'esigere diritti e
prestazioni pari a ogni altro cittadino di questa città (scuola, servizi,
salute, casa), nella ricostituzione paziente di un ambiente vitale dopo che ogni
effetto personale è stato regolarmente degradato a "spazzatura". Non c'è nulla
di spettacolare in tutto ciò; si tratta invece di un laboratorio di cittadinanza
sociale, che dovrebbe stare a cuore alle autorità.
Il "can can mediatico", invece, imperversa ai danni di queste fasce di
popolazione come su altre (i migranti, ma non solo), identificate come "capri
espiatori" di una crisi e di una sua gestione politica in senso autoritario.
Non siamo affezionati al fatto che, come afferma il vicesindaco, chi vive in
questo come in altri campi scorrazzi "tra amianto, topi e quintali di rifiuti";
a parte il fatto che questo richiama lo stato di tante aree dimesse, lasciate a
marcire in attesa d'interventi speculativi, non possiamo accettare che le
autorità pensino che chi ci vive abbia piacere di condurre la sua esistenza in
questi ambienti.
Il vicesindaco sa bene - avendolo ascoltato di persona dalla viva voce di due
donne abitanti di questo campo, in un'assemblea in piazza Ovidio, dell'aprile
del 2009, che hanno preso la parola e non sono rimaste nascoste - quanto sia
avvilente per un essere umano e il suo ambito di affetti vivere in non-luoghi
degradati; quelle due donne ebbero il coraggio di venirlo a dire davanti a una
platea che le ascoltò muta e attenta, e che si sentì dire che la "sicurezza"
di cui tanto si ciancia parte per prima cosa dalla dignità del proprio vivere e
lavorare in una società e in un ambiente non ostile, se non solidale.
Insostenibile è poi l'affermazione secondo cui agli insediamenti di nomadi
si correlino immediatamente e immancabilmente "la criminalità predatoria e il
degrado"; in due anni di affiancamento continuo non abbiamo mai avuto segnali
anche lontani di criminalità, né sono dimostrabili in nessun modo. In queste
affermazioni categoriche risuona un pregiudizio razzista che è quello che
abbiamo ravvisato in molti comportamenti posti in essere dai decisori politici
di questa città e che abbiamo esposto nella nostra denuncia.
Milano, 10 novembre 2010 Gruppo Sostegno Forlanini e genitori di Rubattino firmatari della
denuncia
Di Fabrizio (del 05/11/2010 @ 09:12:21, in Italia, visitato 2888 volte)
COMUNICATO STAMPA
DENUNCIA NEI CONFRONTI DEL SINDACO E DEL VICESINDACO PROTAGONISTI DEI RIPETUTI
SGOMBERI DEI CAMPI ROM A MILANO
[...]
CONFERENZA STAMPA
MARTEDI' 9 NOVEMBRE 2010 ALLE ORE 11,00
SALA STAMPA DEL TRIBUNALE DI MILANO (atrio centrale piano 3°)
Del testo della denuncia daremo copia in quell'occasione
Interverranno alcuni sottoscrittori della denuncia ed i legali che li hanno
assistiti, oltre ad alcuni Rom che abitavano i campi ripetutamente sgomberati .
In allegato: § Breve presentazione del campo Rom Forlanini/Cavriana e del Gruppo di
Sostegno Forlanini;
Milano, 3 novembre 2010
IL CAMPO ROM FORLANINI-CAVRIANA E IL GRUPPO DI SOSTEGNO
Chi percorre il viale Forlanini in direzione aeroporto, alla periferia est di
Milano, a un certo punto, sulla sinistra, vede un muro; è l'ultimo rimasuglio di
una caserma in disarmo. Alcuni anni fa, ospitava circa 150 profughi del Corno
d'Africa (erano i reduci da via Lecco, e poi si sono dispersi, tra Bruzzano,
piazza Oberdan e altri luoghi più o meno nascosti di questa metropoli
inospitale).
Il nostro Gruppo di sostegno Forlanini nacque allora, andando lì a conoscere
le storie tremende di uomini e donne in fuga dalla guerra, dalla repressione e
dalla fame, prodigandosi per le elementari necessità di quegli "ospiti", per la
maggioranza in possesso del permesso temporaneo perché rifugiati, ma come sempre
disperati, discriminati, obbligati a star nascosti e a non rivendicare alcunché.
Con un grande e diffuso sforzo di solidarietà, garantito da alcune
associazioni e soprattutto da "cittadini e cittadine attive", riuscimmo a
garantire un'esistenza un po' meno penosa a quegli uomini e donne, ma sempre
nella latitanza delle istituzioni. E arrivò lo sgombero, preavviso della svolta
sempre più militare impressa dalle autorità alla questione immigrazione, tanto
che la caserma fu abbattuta. Adesso, appunto, restano solo il muro frontale e
due corpi di guardia in muratura, nel frattempo resi inagibili dall'accanimento
dei successivi sgomberi.
E' in quest'ambiente, tra le radure e la campagna retrostante, tra il fango e
le sterpaglie, che si sono poi venuti a insediare alcuni piccoli nuclei di rom,
composti da coppie di anziani, famigliole più o meno allargate con bimbi
piccoli, ragazzi soli, reduci da altri sgomberi, oppure in fuga da una Romania
che ci viene raccontata come tremenda, ma forse a suo modo non tanto diversa
dalla Milano ringhiosa di questi anni.
Ed è ricominciata, da circa due anni una catena di solidarietà ancora più
larga. Ora il Gruppo svolge la sua attività umanitaria all'interno del campo Rom
in collaborazione con altre Associazioni di volontariato sociale milanesi; ha
una quarantina di componenti, che acquistano generi di prima necessità, fanno
accompagnamento sociale verso il pronto soccorso o gli ambulatori medici (per
una salute di grandi e piccini che è sempre più minata dalle pessime condizioni
ambientali), aiutano nelle minute pratiche burocratiche, tentano l'approccio
alla scuola, garantiscono la fornitura di tende, coperte, vestiti, nella
quotidianità come nelle punte più acute degli sgomberi, quando viene distrutto
tutto, dalle baracche agli affetti personali o ai beni di proprietà - come per
esempio un prezioso generatore -, ma soprattutto si insulta la dignità. Con il
nostro operato siamo riusciti ad avviare un contatto fiduciario, con soggetti
che da tempo hanno perso ogni riferimento con la cittadinanza, le istituzioni,
il potere.
Durante la seduta del Consiglio di Zona 4 del 11 febbraio 2010 abbiamo letto
un comunicato con il quale chiedevamo di fermare gli sgomberi e denunciavamo le
continue violazioni degli elementari diritti umani, contemporaneamente abbiamo
dichiarato pubblicamente "dopo ogni sgombero continueremo a garantirei beni
essenziali, quelle poche cose a cui ogni volta questi dannati della terra devono
rinunciare; torneremo a portare tende, coperte, farmaci e cibo e quant'altro
possa servire".
Le famiglie che risiedono in questo campo hanno trovato nel nostro gruppo
sostegno concreto: generi alimentari, abbigliamento, medicine, coperte, tende,
oltre all'accompagnamento verso le strutture pubbliche (ospedali e pronto
soccorso, per la cura delle malattie, e consultori familiari e pediatrici, per
quanto concerne le vaccinazioni dei bimbi e la maternità delle donne). Infatti,
molti abitanti del campo soffrono di varie patologie (respiratorie, reumatiche,
traumatologiche) proprio per le cattive condizioni di vita in questa situazione,
nel totale disinteresse degli organi preposti alla tutela della salute anche di
questi cittadini/e.
Grazie al lavoro di due anni in questo campo, siamo riusciti ad avere un
rapporto di totale fiducia ma, soprattutto, ad essere un riferimento certo,
nell'assenza totale di ogni contatto positivo con le istituzioni di questa
città. Ci stiamo adoperando per il loro inserimento lavorativo, ostacolato da
molte rigidità, e per l'inserimento scolastico, da settembre scorso infatti un
bambino ha iniziato a frequentare una scuola elementare in zona dove sta
sperimentando nelle maestre e nei compagni finalmente dei soggetti che lo
riconoscono e collaborano positivamente con lui.
In data 20 ottobre 2010 si è svolto l'ultimo sgombero: dalle 7,00 di mattina
gli abitanti del campo hanno atteso l'arrivo della Polizia locale insieme a una
decina di componenti del Gruppo di sostegno Forlanini. Nonostante la presenza di
minori (due bambine di 15 e 19 mesi e un maschio di 7 anni, tutti peraltro nati
in Italia) e di anziani con seri problemi sanitari – presenze già verificate da
precedenti accertamenti e in ultimo dal sopralluogo svolto dalla Polizia la sera
precedente - la procedura di sgombero è stata avviata comunque e con la totale
assenza dei servizi sociali. Il Gruppo di sostegno ha preteso, ma inutilmente,
l'esibizione di un titolo scritto per lo sgombero, oltretutto in assenza di una
chiara individuazione del proprietario del fondo.
Gli abitanti del campo sono stati allontanati e denunciati per occupazione
abusiva; successivamente sono entrate in funzione le ruspe per distruggere le
baracche, le tende e tutti quei beni che gli abitanti del campo non sono
riusciti a portarsi dietro nel loro ennesimo esodo.
Ora gli abitanti del campo vagano di nuovo nel quartiere e nella città, in
una città in cui non vengono riconosciuti a questa categoria "speciale" i
diritti di base: la casa, la salute, l'assistenza sociale e sanitaria,
l'istruzione, un lavoro.
Siamo ormai al quattordicesimo sgombero di questa realtà, che non ha mai
impensierito realmente gli abitanti del quartiere, cui basta il traffico
frenetico del viale e quel muro per non vedere quel luogo di perdizione. Eppure
gli "ospiti" di quel campo non si vogliono nascondere: ad aprile 2009, poco
prima del primo sgombero, a un'assemblea in piazza Ovidio con De Corato, indetta
sulla sicurezza, convincemmo due di quelle donne a intervenire pubblicamente;
davanti a una platea prima tumultuante e poi raggelata nell'ascolto, parlarono
della loro vita grama, della loro insicurezza, del degrado in cui non
volontariamente vivevano, dimostrando quanto erano "normali" gli "alieni" da cui
ci sentiamo "minacciati".
Ora il nostro gruppo intende intensificare la lotta a questa politica degli
sgomberi continui senza alcuna reale alternativa abitativa, contro questa
politica disumana ed illegittima; saremo presenti agli interventi che lì si
preannunciano, abbiamo già raccolto materiale per altri sgomberi, in modo da non
lasciare sguarnite le dotazioni; e intendiamo denunciare questi comportamenti
inumani nelle sedi ufficiali, alla stampa e agli organi nazionali e
internazionali a ciò preposti. Perché i "loro" diritti sono i "nostri" diritti.
Di Fabrizio (del 04/11/2010 @ 09:55:38, in Italia, visitato 1643 volte)
Tra reticenze e mezze verità, continua lo scaricabarile mentre si avvicina la
scadenza del 31 dicembre (e fa pure freddo, a questo non ci pensa nessuno?)
Lo Stato e il Viminale, attraverso il Prefetto, "hanno fatto la loro parte" sull"'emergenza
rom" a Milano, "ora il Comune, che sin qui ha fatto moltissimo, dovra'
continuare a fare la sua. Nel rispetto dei propri diritti, ma anche di quelli
dei rom. Perché ci sono situazioni, e quella cui mi riferisco e' tale, che non
sono risolvibili con uno sgombero".
Lo afferma Gian Valerio Lombardi, prefetto di Milano, in un'intervista al
Corriere della Sera. Lombardi, nella veste di commissario straordinario per
l'emergenza rom, si riferisce in particolare all'area di via Triboniano,
periferia nordovest di Milano. "Oggi ospita oltre 500 persone, ma ora l'area
serve per l'Expo 2015 – spiega -. Solo che l'istituzione di quel campo era stata
disposta e regolamentata dal Comune stesso: la maggior parte di coloro che vi
risiedono ha tuttora diritto di starci e la condizione per chiuderlo e' che si
trovi una soluzione per loro.
Per questo il Comune la scorsa estate aveva individuato 25 alloggi dell'Aler,
l'istituto milanese delle case popolari, con le caratteristiche di cui sopra: da
destinare ai rom, ma senza sottrarli ad alcuna graduatoria". Tuttavia "una parte
politica della maggioranza del Comune di Milano, preoccupata di un possibile
messaggio negativo per i cittadini milanesi, ha deciso di rivedere gli impegni
gia' presi". Lombardi spiega allora di aver trovato "soluzioni alternative"
interpellando "i privati".
Ora, prosegue, "risulta decisivo il ruolo del Comune: queste case andranno usate
per il fine cui sono state destinate, e il compito di gestire i passaggi
successivi spetta appunto al Comune". Lo sgombero del Triboniano non sara'
comunque "automatico": "e' un campo regolare, e nessuno potra' presentarsi qui a
chiedermi semplicemente di sgomberarlo. Il Comune dovra' fare un decreto e
motivarlo. Presentare anche agli abusivi un regolare provvedimento di
allontanamento. E farsi carico di trovare una sistemazione provvisoria per i
‘regolari' ancora eventualmente presenti".
Giuseppe Cancelli, 57 anni, ha vissuto dall'infanzia all'età adulta in
carovana
Popolo misterioso quello degli zingari. Misterioso e irriducibile al vivere
stanziale. E per questo motivo percepito come pericoloso. "Troppo facile fare di
tutta l'erba un fascio", risponde Giuseppe Cancelli che ha trascorso
dall'infanzia alla vita adulta in carovana, per le strade del mondo.
Cinquantasette anni, ben piantato, lo sguardo indagatore ed il sorriso
ironico sotto i baffi spruzzati di bianco, Cancelli si racconta seduto su un
divano del soggiorno arredato in giallo. Mentre sua moglie Iside, sinta di
Ferrara riservata e gentile, serve il caffè agli ospiti in tazze di porcellana a
fiori.
Cancelli: un cognome italiano...
E' quello di mia madre, una sinta italiana con sangue tedesco nelle vene.
Sono nato a Pisa, ho studiato in scuole italiane, ho fatto il servizio militare
a Pordenone, nella divisione corazzata Ariete, caserma Fiore. Lavoro in Italia,
ho documenti italiani, voto in questo paese, i miei figli sono italiani.
Al tempo stesso lei è fiero di far parte del Romané Chavé, del
popolo rom.
Non c'è contraddizione, se si risale indietro nei secoli. Con una
precisazione: da quando l'Europa ha aperto le frontiere dell'Est, molti pensano
che rom sia l'abbreviazione di rumeno. Invece nella nostra lingua di origine
indiana, il Romanès, rom significa uomo.
Siete diversi all'origine?
No, casomai per paesi di destinazione. Immagini due rette parallele originate
entrambe, a partire dall'VIII secolo d.C. per successive migrazioni dovute a
carestie e conflitti, dalla medesima regione del Pakistan chiamata Sindh giunte
poi in Grecia dalla Mesopotamia con le legioni romane d'Oriente. Da allora il
nostro cammino non si è più fermato: stiamo in un paese trenta, quaranta, anche
cent'anni, se ci lasciano vivere tranquilli; per andarcene quando veniamo
perseguitati. Noi, Rom e Sinti, parliamo un'unica lingua con inflessioni
dialettali legate ai paesi di permanenza; di cui abbiamo adottato i costumi
senza offuscare la nostra identità.
In Italia il popolo nomade ha sempre conosciuto persecuzioni?
No. Conserviamo dei salvacondotti papali del 1200, che ci permettevano di
muoverci senza essere carcerati. Le vessazioni partono dal '400 con bandi del
ducato di Milano, della Repubblica di Venezia, in cui viene quantificato il
valore dello zingaro catturato vivo e di quello ucciso. I galeoni, che solcavano
l'oceano verso l'America, erano pieni di zingari ai remi, imprigionati e
deportati. Oggi si trovano rom ai quattro angoli del pianeta.
Facendo un salto di secoli: avete conosciuto le persecuzioni naziste?
I nonni paterni e mio padre durante il fascismo sono stati internati a Berra,
nel ferrarese, altri del gruppo in quella di Campobasso. Non ci è stato
riservato l'atroce destino dei lager nazisti, ma molti rom sono deceduti lì
dentro per fame, freddo, malattie: eravamo gli ultimi ad essere considerati.
Dicono che nell'Olocausto sono morti 500.000 zingari, almeno il doppio secondo
la nostra stima.
Come campavate, quando giravate con i carri?
Il mio gruppo di appartenenza è quello dei Rom Kalderash, emigrato in
Moldavia e Valacchia e lì rimasto schiavo cinque secoli; per giungere poi in
Montenegro, paese dei miei bisnonni e nonni. Come dice il nome stesso, i
Kalderash sono sempre stati bravi calderai e ramai. Anche mio padre lo era e da
lui ho imparato a girare per i paesi in cerca di caldaie in rame ed acciaio da
stagnare; di ristoratori, pasticceri, grandi alberghi. D'inverno ci fermavamo e
vivevamo dei guadagni dell'estate, come le formiche.
Da quanto risiedete a Padova?
La mia famiglia da 37 anni, io sono stanziale da 18. Ho figli e nipoti nati,
chi a Monselice, chi ad Abano, chi a Camposampiero. Nei primi anni '90 abbiamo
comprato la terra ed incominciato a farci la casa. Ma i tempi cambiano e per
dare un futuro ai figli ho iniziato a fare l'ambulante: abbiamo dei chioschetti,
con cui giriamo per fiere, sagre e mercati vendendo bibite, panini, salsicce. E'
tutto in regola: partita Iva, richieste, licenze, pagamenti Tosap, conservo
tutto, ecco qua. Ai Comuni non chiedo aiuti né soldi, solo il permesso di
lavorare: voglio integrarmi del tutto nella società, in cui vivo.
I suoi figli hanno studiato?
Con l'aiuto dell'Aizo sezione di Padova, presieduta dall'infaticabile Elisa
Bertazzo, i nostri ragazzi arrivano alla terza media. I Sinti spesso frequentano
le superiori, sono ben integrati, trovano poi impiego come cassiere,
magazzinieri, saldatori, muratori, imbianchini.
Professa una religione?
Sono cattolico battezzato, come i miei figli. Con una parte della famiglia ci
stiamo orientando verso gli evangelici-cristiani, di cui mio genero è pastore.
Ci raduniamo spesso qui a meditare sulla Bibbia.
Perché la titubanza di certi suoi sguardi, certi silenzi?
Ci portiamo dentro una diffidenza atavica. Crede sia facile per i miei figli
non essere salutati dagli ex compagni di scuola? Per me dai loro genitori, con
cui ci siamo visti per anni? Siamo contenti di vivere qui, vogliamo essere
cittadini come gli altri, ci impegniamo a rispettare le leggi di questo paese, a
studiare, a non delinquere. Coscienti che nei nostri confronti vien fatta di
tutta l'erba un fascio e che non cambierà mai.
Di Fabrizio (del 31/10/2010 @ 09:35:01, in Italia, visitato 1875 volte)
Ciao a tutti, sperando di fare cosa gradita vi invio la
posizione unitaria di cgil cisl uil di Monza-Brianza in risposta a un odg
razzista e spietato della lega contro i rom.
ciao
Marta Pepe
CGIL CISL UIL Monza e Brianza, venuti a conoscenza degli ordini del giorni
sui Rom in discussione al Consiglio Provinciale di oggi, esprimono le seguenti
valutazioni.
Riteniamo che sia un fatto grave innanzitutto parlare di "espulsione su base
etnica" dei Rom dalla Provincia di Monza e Brianza perché questo termine, in
contrasto con le normative europee e nazionali vigenti, prefigura reato di
discriminazione razziale.
Sosteniamo che tutti i cittadini hanno diritto all'ordine e alla sicurezza così
come diciamo che la responsabilità penale è personale e che vanno perseguiti
tutti i reati da chiunque commessi. E' però preoccupante, a nostro avviso,
utilizzare stereotipi per incriminare una intera etnia, basandosi su pregiudizi
e non su dati concreti. Sosteniamo che ritenere una comunità collettivamente
responsabile di reati e contrastare la legislazione europea sulla libera
circolazione delle persone si configura come una palese manifestazione di
razzismo e intolleranza.
Ricordiamo infatti che oltre alle recenti posizioni espresse dal Papa e dal
Parlamento europeo, uno specifico articolo del Trattato di Lisbona vieta la
discriminazione basata su sesso, razza od origine etnica, religione o credo,
disabilità, età e orientamento sessuale e conferisce al Consiglio dell'UE un
chiaro mandato a svolgere le azioni necessarie per combattere queste
discriminazioni.
Parlare di degrado ambientale, di aumento di furti nelle abitazioni di Pescara,
Palermo e Alassio e di incendi di baracche e roulottes nei campi nomadi; pensare
di risolvere tutto chiedendo fondi al Ministero per attuare le stesse politiche
per cui il Governo francese è appena stato censurato dalla Commissione Europea
non serve a nessuno, così come non serve una visione esclusivamente repressiva
nei confronti della presenza delle popolazioni Rom e Sinti che vivono nel nostro
Territorio, prescindendo da ogni considerazione circa il loro stato personale e
giuridico.
Non riteniamo affatto che la politica degli sgomberi e dei rimpatri forzati
(sull'esempio francese) sia la risposta che un territorio come la Brianza, noto
per la sua storia di accoglienza, possa mettere in campo. Ci pare che risponda
invece solo a costruire un clima di insicurezza e paura finalizzato a
distogliere l'attenzione dai problemi urgenti da affrontare per risolvere la
situazione difficile del Paese.
Siamo favorevoli, invece, all'implementazione di tutte le azioni che possano
costruire reali processi di integrazione, come condizione per superare gli
aspetti critici della convivenza e garantire migliori condizioni di vita a tutte
le persone che vivono nella nostra Provincia.
Riteniamo perciò che la strada debba essere quella della cooperazione nel
territorio tra tutti i soggetti Istituzionali, sociali e sindacali per
realizzare quelle politiche di integrazione che ovunque si sono dimostrate la
vera arma per affermare i diritti dei cittadini, da quello della sicurezza e
cittadinanza, a quello della legalità contro la clandestinità.
Auspichiamo che il Consiglio Provinciale deliberando su un tema tanto delicato,
tenga in considerazione queste nostre osservazioni.
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