Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Milano 21 gennaio 2011: anche oggi c’è stato uno sgombero in via
Adriano.
Speravamo che il vicesindaco De Corato fosse soddisfatto dei 156 sgomberi
dell’anno scorso che, secondo lui, avrebbero ridotto dell’80% la presenza di
famiglie Rom.
Speravamo che le famiglie rifugiate in qualche stanza di un immenso palazzo
di Via Adriano da anni disabitato, potessero ripararsi dal freddo e restare
tranquille con le loro poche cose per tutto l’inverno. Invece stamattina le
forze della Polizia Locale, anche loro stanche di allontanare donne e bambini,
sono intervenute. Cinque famiglie Rom si trovano ora con i loro sacchetti di
poche cose in mezzo alla strada, al gelo. Si tratta di cinque famiglie con 10
bambini, alcune delle quali hanno collezionato 14 sgomberi in un anno.
Questa mattina durante lo sgombero erano assenti i servizi e gli assistenti
sociali che dovrebbero garantire ai minori il rispetto dei loro diritti.
Nessuna alternativa accettabile è stata offerta alle famiglie, se non la
solita proposta di dividere i nuclei familiari collocando le donne e i bimbi
piccoli in comunità, gli altri figli in un orfanotrofio e la strada per gli
uomini.
Conosciamo bene queste famiglie perché i bambini, con mille difficoltà sono
iscritti e vanno tutti i giorni a scuola, perché gli adulti lavorano
nell’edilizia oppure sono inseriti in percorsi di integrazione.
L’unico intervento di sostegno è stato quello dei volontari della Comunità di
Sant’Egidio, delle mamme e dei cittadini dei quartieri di Rubattino-Lambrate che
dallo sgombero del 19 novembre 2009 seguono queste famiglie.
Chi scrive, il 7 dicembre, ha ricevuto la benemerenza civica dal sindaco
Letizia Moratti perché "con tenacia, amore e grande senso civico ha scommesso
per un’integrazione possibile".
Questo senso civico può essere riconosciuto come un valore prima di Natale,
ed essere totalmente dimenticato poco dopo l’Epifania?
Dov’è il senso civico quando si nega ad Albert di 6 anni (sgomberato 10 volte
in 5 mesi) il diritto ad avere un tetto?
Purtroppo sembra che non si voglia porre fine a questa pulizia etnica: la
tristezza e la disperazione che ogni volta leggiamo sui volti di questa umanità
calpestata, resterà nella storia di Milano come il simbolo di una violenza che
non vorremmo esistesse.
A pochi giorni dal 27 gennaio, Giornata della Memoria, queste azioni non si
allontanano molto dal clima di pulizia etnica che scatenò tanto orrore.
L’integrazione è possibile quando si guarda con occhi nuovi verso le persone e
ci si chiede come insegnare a scrivere a Marius che ha 15 anni, come salvare la
biciclettina che Jonut voleva tenere a tutti durante lo sgombero, se Maria,
Florin, George e Adrian potranno mai sentirsi parte di questa umanità che li
scaccia, li umilia, li costringe a nascondersi, perdendo ogni volta scarpe,
libri e i pochi giocattoli?
Si nega loro l’infanzia nel nome della sicurezza, in realtà si prepara un
futuro di odio e paura verso tutti.
Milano 22 gennaio 2011 - Assunta Vincenti e le mamme e maestre di Ribattino
Circa due mesi fa ho conosciuto Davide Castronovo, coordinatore del
presidio sociale presso il campo sosta di via Chiesa Rossa. E' seguita il mese
scorso una visita al campo, e l'ultimo fine settimana ci siamo ritrovati con la
famiglia Frosh per una chiacchierata, a cui ha collaborato anche Davide.
Da subito si sono mostrati interessati a questo blog e alle notizie che
pubblico. Mi fanno vedere un computer portatile. Si collegano a internet con la
chiavetta.
Alex (30 anni): Perché la rete telefonica non funziona mai. Ci sono
delle capocchie sigillate, come a Venezia, ma sono sempre allagate lo
stesso.
Quando è nato il campo c'erano l'ing. Luigi Pagnoni, il dottor Prina e Carlo
Cuomo, ma c'erano solo le piazzole, la strada era già asfaltata.
Abbiamo chiesto la linea telefonica e ci hanno risposto: "Ma volete anche il
telefono??" (ride)
Giuliano (suo padre): La nostra lingua è romanés harvato, istriano,
tutto misto.
Siamo arrivati a Milano nel 1968, eravamo in via Negrotto, che è stato il
primo campo a Milano. Poi siamo andati, abusivamente, in via Castellamare, ed
infine in via Giovanni Fattori dal 1978. Sempre nella stessa zona.
Alex: Fino al 20/2/2000, quello lo ricordo bene.
Giuliano: Quando siamo arrivati, lì c'era una discarica, abbiamo
spianato, buttato la ghiaia, e poi andavamo in comune a chiedere di darci
l'acqua e la luce. Aprivamo un tombino e si prendeva l'acqua, ho preso anche una
denuncia per questo...
Dopo 20 anni ci hanno dato una fontana e un allaccio volante per tutti.
L'acqua arrivava col contagocce.
Eravamo circa 160.
Nel 1968 il comune aveva aperto una specie di cantiere solo per i nomadi,
all'epoca davano 500 lire al giorno. Abbiamo sistemato la Montagnetta, giardini,
tagliato l'erba, e poi i marciapiedi in Bovisa, a Quarto Oggiaro e in via
Console Marcello.
Lavoravamo un po' tutti, il problema è che tra noi si parlava nel nostro
dialetto e la gente ci identificava come zingari, anche se non facevamo niente
di male. Questo succede anche oggi.
E poi allora c'era una cooperativa, veniva al campo per l'ingaggio e ci
davano dei soldi, in nero, naturalmente. Io ho lavorato con loro anche se ero
minorenne. Era meglio di adesso, perché allora c'era lavoro per tutti.
Allora volevamo veramente integrarci, ma non ci siamo mai riusciti. Quando si
scopriva che eravamo rom, le ditte ci mandavano via. Ho lavorato alla ESSO e col
caposquadra non c'erano problemi, ma il direttore aveva un po' di pregiudizi
quando ha scoperto dove abitavamo.
Insomma, si lavorava col comune ed in nero con qualche cooperativa.
Non vi sentite isolati a vivere qui lontano da tutti?
Alex: Integrazione: ormai siamo più che integrati.
Ti posso dire che è una scelta di vita. Mia sorella ha provato a vivere in
appartamento assieme al suo ragazzo, ma c'erano tanti problemi con la madre di
questo ragazzo. Allora sono tornati qua tutti e due. Quello che sei non lo
puoi cambiare.
I vicini non ci accettano. Un'altra mia sorella ha preso un appartamento in
affitto, lei a vederla non sembra rom; è andato tutto bene le prime due
settimane. Ma i bambini giocavano sulle scale, e naturalmente facevano rumore e
parlavano la nostra lingua. Ci sono stati reclami all'amministratore. La cosa è
andata per quattro mesi. Poi sono andati via per evitare grane.
Giuliano: Noi non volevamo venir qui da Palizzi Fattori. Noi non
volevamo e la gente qui attorno nemmeno.
Quindi giovani e anziani la pensano nella stessa maniera?
Giuliano: Quando siamo arrivati qua, volevano costruire una scuola
dentro il campo, solo per Rom. Quella sarebbe stato un vero ghetto. Invece i
bambini per fortuna vanno alla scuola normale, c'è uno di noi per classe.
Un giovane può sempre cambiare, io non ce la farei mai, chiuso in casa è come
stare a san Vittore.
Ad esempio, siamo abituati a parlare a voce alta, e questo non lo sopportano.
Il campo ha sempre avuto casette simili?
Giuliano: Per le case il comune ha dato permesso di costruire senza
fondamenta, sono le case che avevamo in Palizzi Fattori e il comune le ha
portate di qua. La mia casa ad esempio è a moduli. Allora ci hanno dato 8
milioni per la buonuscita, e chi doveva trasportare la casa ha pagato di tasca
sua.
Alex: I bagni invece li ha fatti il comune. Noi abbiamo fatto tutto il
resto, ad esempio abbiamo piantato gli alberi. I bagni sono dei container e
valgono niente.
Secondo voi, di che lavori avrebbe bisogno il campo?
Alex: Il lavoro più urgente sarebbe di rifare tutti i bagni. Dare
un'occhiata alla fognatura, perché la manica del depuratore non funziona.
Davide: La vasca è troppo bassa e piccola.
Alex: La pavimentazione è tutta da rifare.
I contatori sono isolati in una colonna all'ingresso del campo: da un lato va
bene perché non portano via spazio nella piazzola, ma dall'altro chiunque può
staccarli o manometterli, e i pozzetti sono sempre sott'acqua.
E poi abbiamo il problema di una casa che il comune ha abbattuto ad agosto, e
le macerie sono ancora lì.
Comunque, ho girato tanti campi a Milano e anche a Saronno e Varese, ma il
migliore che ho visto è questo. E' stato qui anche un rom francese, e anche lui
la pensa così.
Davide: I lavori di ristrutturazione dovrebbero riguardare le
fognature e gli allacciamenti del gas.
Poi è previsto un rimpicciolimento del campo sulla base delle famiglie che
sono state allontanate e di quelle che hanno deciso di uscire dal campo. Il comune
ha messo a disposizione pochi strumenti, contraddittori tra loro..
Siete in 150/160 persone. Tra di voi ci sono problemi di convivenza?
Alex: Siamo divisi in famiglie, con qualcuna si può convivere, con
altre è impossibile. E' una guerra continua, e poi naturalmente c'è omertà
Ti faccio un esempio: se io mi spostassi sulla piazzola sgomberata ad agosto
dal comune, la famiglia che prima era lì lo considererebbe un affronto.
Davide: Questo dovrebbe diventare un campo di transito, dove rimanere
al massimo 3 anni (dal 2008, quindi il termine scadrebbe adesso). Ma ci sono le
elezioni, e non si sa come andrà a finire il tutto.
Il problema degli spazi vuoti può diventare esplosivo, ci vuole
capacità di mediazione. Ad esempio, c'è una signora che è in mezzo alla strada
con la sua roulotte, non vuole ritornare sulla sua piazzola perché lì è morto
suo marito.
Alex: Ho paura che il comune ci dica: o vai su questa piazzola, o
finisci in mezzo alla strada.
Ho sempre l'idea che il comune non prenda mai decisioni definitive. Ad
esempio, qua ci sono le telecamere a circuito chiuso?
Giuliano: No. Abbiamo detto che è una questione di privacy (ride).
Davide: Metterle era nella intenzioni della prefettura e del ministero
degli interni.
Abbiamo approfittato del momento particolare: la Moioli si scornava con De
Corato; i vigili urbani litigavano con De Corato perché ogni giorno c'erano
sgomberi... gli abitanti, anche grazie al confronto con la cooperativa, sono
stati bravi a organizzarsi come interlocutori della forza pubblica.
Inoltre c'era stato da poco l'abbattimento della casa e probabilmente il
comune voleva recuperare il rapporto col resto del campo.
Alex: Rimangono le telecamere sulla strada, ma quelle ci sono in tutta
Milano.
Cosa vi aspettate dalle prossime elezioni?
Alex: Ho idea che chiunque ci sarà, per noi le cose non cambieranno.
Se qualcuno si mette a parlare bene dei campi e dei sinti, chi ti vota più?
Comunità delle Piagge, Fondazione Michelucci, Medici per i diritti umani,
Rete antirazzista Firenze hanno scritto questa lettera all’Assessore Allocca -
proprio oggi impegnato in un incontro sull’insediamento di Quaracchi - per
sollecitare la Regione Toscana ad affrontare in modo organico la "questione
rom". La pubblichiamo integralmente.
I rom di Quaracchi: la buona politica sia umana, rapida ed efficace
La Regione Toscana, che con più forza di qualunque altra ha posto la
questione del superamento della condizione di "esclusione organizzata" che i
campi nomadi rappresentano in Italia, è chiamata oggi a fare un bilancio delle
politiche messe in atto, e della situazione inedita che vede presentarsi nuove
forme di povertà ed esclusione abitativa, che riguardano anche popolazioni rom.
Dalla seconda metà degli anni Novanta due nuove leggi regionali toscane –
rispettivamente del 1995 e del 2000 – e un forte movimento che ha coinvolto
anche gli stessi rom, hanno consentito ad alcune amministrazioni di sperimentare
strategie e azioni per il superamento dei "campi nomadi".
Questi interventi legislativi hanno aperto una fase nuova che, tra slanci
progettuali e ripensamenti, nuove realizzazioni e ripiegamenti timorosi, ha
cambiato la geografia degli insediamenti rom e sinti nella Regione. Se nella
seconda metà degli anni Novanta i "campi" accoglievano la quasi totalità dei
gruppi rom e sinti (quindi oltre 2.500 persone), oggi in "campi" variamente
autorizzati o riconosciuti ci sono poco più di 1.000 persone. Più di 500 sono
ora le persone che abitano in villaggi, pur costruiti con modalità e approcci
differenti. Oltre 700 persone vivono in alloggi Erp, e circa 500 abitano in
strutture o insediamenti transitori in attesa di nuove soluzioni.
Contemporaneamente, negli ultimi anni si è manifestato un fenomeno nuovo: la
creazione attorno alle aree urbane più dense di nuovi insediamenti informali,
baraccopoli piccole e grandi, occupazioni di aree o edifici abbandonati, abitati
soprattutto da immigrati provenienti dall’Est Europa, da rifugiati e profughi, e
da una significativa presenza di rom di più recente arrivo.
Le amministrazioni locali, già alle prese con le difficoltà e i tempi lunghi dei
percorsi di superamento dei "vecchi" campi nomadi, hanno reagito a questo nuovo
fenomeno prevalentemente con azioni di dissuasione o di allontanamento, in un
quadro che ha risentito dell’insorgere o del radicalizzarsi di espressioni di
rifiuto e di intolleranza che hanno concorso a indebolire la volontà delle
amministrazioni locali nel predisporre interventi di accoglienza e di assistenza
diretti a queste popolazioni.
Al contrario, le azioni di tipo repressivo riscuotono un ampio consenso ma, come
è evidente anche dagli episodi che si sono succeduti in questi anni, non
risolvono il "problema" della presenza di popolazioni o gruppi che sono ritenuti
indesiderati sul territorio, non favoriscono alcun processo positivo e, non
ultimo, alimentano discriminazione ed emarginazione.
Occorre in questo momento delicato un sussulto di consapevolezza. In una società
frammentata, indebolita dalla crisi e dalla crescita degli egoismi, il
riconoscimento dei diritti di cittadinanza è l’unica strategia per rafforzare la
coesione sociale, per promuovere la solidarietà – invece che la competizione –
tra le componenti più deboli della società. Al contrario, l’intolleranza
avvelena la convivenza civile anche quando in apparenza rende coesa una comunità
locale – magari contro un nemico immaginario e indifeso.
Le centinaia persone che solo nell’area fiorentina vivono in baracche, edifici
dismessi, non svaniranno dopo l’ennesimo sgombero. Cercheranno riparo in altri
luoghi, in condizioni ancora più critiche.
Come avviene ormai da anni per le famiglie rom che sono sgombrate regolarmente
dalle sistemazioni sempre più precarie che riescono a reperire tra l’Osmannoro,
l’area ex Osmatex e Quaracchi. Non è solo nel nome di una visione umanitaria che
questa sequenza di sgomberi brutali deve provocare sdegno in tutti i cittadini,
ma nel nome di una qualsiasi idea di buona politica e di buona amministrazione.
Per quanto possa sembrare trascurabile e marginale il "problema" rappresentato
da queste poche famiglie rispetto ai tanti problemi di questa area urbana,
questo costituisce invece un importante banco di prova, materiale e simbolico,
della capacità di buon governo dell’amministrazione pubblica proprio per la sua
capacità di agire efficacemente anche sui versanti più difficili e più
controversi.
Per questo chiediamo a chi è chiamato a responsabilità politiche e
amministrative, di compiere uno sforzo di comprensione e di immaginazione, prima
di affrontare il problema in termini razionali e operativi, come è ovviamente
necessario.
Nell’area fiorentina come sul territorio regionale sono stati sperimentati in
questi anni diversi percorsi di inserimento socio-abitativo per rom dalla cui
rivisitazione critica possono trarsi elementi utili per affrontare e gestire (se
non per risolvere) la questione delle famiglie attualmente presenti a Quaracchi.
1. La prima considerazione è che gli interventi, provvisori o definitivi, devono
essere immediati e non prorogare ulteriormente una situazione ai limiti della
sopravvivenza e della dignità umana.
2. La seconda è che le soluzioni devono essere condivise con i destinatari e con
le associazioni che li sostengono, altrimenti sono inevitabilmente destinate al
fallimento.
3. Inoltre, va considerato che soluzioni che hanno funzionato, pur tra molti
problemi, per alcuni gruppi, non è detto che funzionino per altri. E’ il caso
dei percorsi di accompagnamento abitativo che in larga scala sono stati messi in
atto nel progetto pisano di "Città sottili", e nel caso degli ex ospedali Luzzi
e Mayer nell’area fiorentina. Questi percorsi si sono dimostrati efficaci in
presenza di una condizione socio-economica accettabile delle famiglie, mentre
hanno avuto l’esito di ricacciare in situazioni di marginalità quelle famiglie
che ne erano prive.
4. Nel caso delle famiglie di Quaracchi, siamo in presenza di persone con grandi
difficoltà, alle quali non sono stati rivolti sinora interventi che ne potessero
aumentare significativamente le risorse interne e le opportunità di
miglioramento della propria condizione. Inserirle ora in percorsi abitativi
ordinari (per quanto "accompagnati") si presenta come una operazione velleitaria
e destinata a riproporre il problema in tempi brevissimi.
5. Va detto con chiarezza che si illude chi pensa che tutte le situazioni di
grave disagio abitativo possano essere superate nascondendole agli occhi della
popolazione, diluendone la presenza attraverso la loro disseminazione sul
territorio. Le dimensioni del fenomeno e le sue caratteristiche renderanno
inevitabili, nel breve-medio periodo, soluzioni temporanee di "abitare di
comunità", che vanno però progettate e realizzate in modo da evitare la miseria
e il degrado dei campi per nomadi o profughi.
6. Il problema di una sistemazione abitativa per le famiglie di Quaracchi non è
nel "come" affrontarlo, ma nel "dove": dove, e con il concorso di chi, reperire
un’area o una struttura da adibire a luoghi di vita decorosi, per quanto
temporanei, con un limitato impiego di risorse economiche e spaziali.
E’ necessario decostruire il "problema", valutandolo razionalmente nelle sue
dimensioni e nelle sue specificità: poche famiglie, per le quali l’abitare
luoghi marginali, in situazioni insopportabili per qualunque altro cittadino, è
divenuto quasi una colpa, piuttosto che la misura di una discriminazione.
La buona politica può impegnarsi per una soluzione partecipata, umanitaria,
rapida ed efficace, nell’interesse della coesione sociale e della convivenza,
dei rom e delle città dove vivono.
Firenze, 13 gennaio 2011