Circa due mesi fa ho conosciuto Davide Castronovo, coordinatore del
presidio sociale presso il campo sosta di via Chiesa Rossa. E' seguita il mese
scorso una visita al campo, e l'ultimo fine settimana ci siamo ritrovati con la
famiglia Frosh per una chiacchierata, a cui ha collaborato anche Davide.
Da subito si sono mostrati interessati a questo blog e alle notizie che
pubblico. Mi fanno vedere un computer portatile. Si collegano a internet con la
chiavetta.
Alex (30 anni): Perché la rete telefonica non funziona mai. Ci sono
delle capocchie sigillate, come a Venezia, ma sono sempre allagate lo
stesso.
Quando è nato il campo c'erano l'ing. Luigi Pagnoni, il dottor Prina e Carlo
Cuomo, ma c'erano solo le piazzole, la strada era già asfaltata.
Abbiamo chiesto la linea telefonica e ci hanno risposto: "Ma volete anche il
telefono??" (ride)
Giuliano (suo padre): La nostra lingua è romanés harvato, istriano,
tutto misto.
Siamo arrivati a Milano nel 1968, eravamo in via Negrotto, che è stato il
primo campo a Milano. Poi siamo andati, abusivamente, in via Castellamare, ed
infine in via Giovanni Fattori dal 1978. Sempre nella stessa zona.
Alex: Fino al 20/2/2000, quello lo ricordo bene.
Giuliano: Quando siamo arrivati, lì c'era una discarica, abbiamo
spianato, buttato la ghiaia, e poi andavamo in comune a chiedere di darci
l'acqua e la luce. Aprivamo un tombino e si prendeva l'acqua, ho preso anche una
denuncia per questo...
Dopo 20 anni ci hanno dato una fontana e un allaccio volante per tutti.
L'acqua arrivava col contagocce.
Eravamo circa 160.
Nel 1968 il comune aveva aperto una specie di cantiere solo per i nomadi,
all'epoca davano 500 lire al giorno. Abbiamo sistemato la Montagnetta, giardini,
tagliato l'erba, e poi i marciapiedi in Bovisa, a Quarto Oggiaro e in via
Console Marcello.
Lavoravamo un po' tutti, il problema è che tra noi si parlava nel nostro
dialetto e la gente ci identificava come zingari, anche se non facevamo niente
di male. Questo succede anche oggi.
E poi allora c'era una cooperativa, veniva al campo per l'ingaggio e ci
davano dei soldi, in nero, naturalmente. Io ho lavorato con loro anche se ero
minorenne. Era meglio di adesso, perché allora c'era lavoro per tutti.
Allora volevamo veramente integrarci, ma non ci siamo mai riusciti. Quando si
scopriva che eravamo rom, le ditte ci mandavano via. Ho lavorato alla ESSO e col
caposquadra non c'erano problemi, ma il direttore aveva un po' di pregiudizi
quando ha scoperto dove abitavamo.
Insomma, si lavorava col comune ed in nero con qualche cooperativa.
Non vi sentite isolati a vivere qui lontano da tutti?
Alex: Integrazione: ormai siamo più che integrati.
Ti posso dire che è una scelta di vita. Mia sorella ha provato a vivere in
appartamento assieme al suo ragazzo, ma c'erano tanti problemi con la madre di
questo ragazzo. Allora sono tornati qua tutti e due. Quello che sei non lo
puoi cambiare.
I vicini non ci accettano. Un'altra mia sorella ha preso un appartamento in
affitto, lei a vederla non sembra rom; è andato tutto bene le prime due
settimane. Ma i bambini giocavano sulle scale, e naturalmente facevano rumore e
parlavano la nostra lingua. Ci sono stati reclami all'amministratore. La cosa è
andata per quattro mesi. Poi sono andati via per evitare grane.
Giuliano: Noi non volevamo venir qui da Palizzi Fattori. Noi non
volevamo e la gente qui attorno nemmeno.
Quindi giovani e anziani la pensano nella stessa maniera?
Giuliano: Quando siamo arrivati qua, volevano costruire una scuola
dentro il campo, solo per Rom. Quella sarebbe stato un vero ghetto. Invece i
bambini per fortuna vanno alla scuola normale, c'è uno di noi per classe.
Un giovane può sempre cambiare, io non ce la farei mai, chiuso in casa è come
stare a san Vittore.
Ad esempio, siamo abituati a parlare a voce alta, e questo non lo sopportano.
Il campo ha sempre avuto casette simili?
Giuliano: Per le case il comune ha dato permesso di costruire senza
fondamenta, sono le case che avevamo in Palizzi Fattori e il comune le ha
portate di qua. La mia casa ad esempio è a moduli. Allora ci hanno dato 8
milioni per la buonuscita, e chi doveva trasportare la casa ha pagato di tasca
sua.
Alex: I bagni invece li ha fatti il comune. Noi abbiamo fatto tutto il
resto, ad esempio abbiamo piantato gli alberi. I bagni sono dei container e
valgono niente.
Secondo voi, di che lavori avrebbe bisogno il campo?
Alex: Il lavoro più urgente sarebbe di rifare tutti i bagni. Dare
un'occhiata alla fognatura, perché la manica del depuratore non funziona.
Davide: La vasca è troppo bassa e piccola.
Alex: La pavimentazione è tutta da rifare.
I contatori sono isolati in una colonna all'ingresso del campo: da un lato va
bene perché non portano via spazio nella piazzola, ma dall'altro chiunque può
staccarli o manometterli, e i pozzetti sono sempre sott'acqua.
E poi abbiamo il problema di una casa che il comune ha abbattuto ad agosto, e
le macerie sono ancora lì.
Comunque, ho girato tanti campi a Milano e anche a Saronno e Varese, ma il
migliore che ho visto è questo. E' stato qui anche un rom francese, e anche lui
la pensa così.
Davide: I lavori di ristrutturazione dovrebbero riguardare le
fognature e gli allacciamenti del gas.
Poi è previsto un rimpicciolimento del campo sulla base delle famiglie che
sono state allontanate e di quelle che hanno deciso di uscire dal campo. Il comune
ha messo a disposizione pochi strumenti, contraddittori tra loro..
Siete in 150/160 persone. Tra di voi ci sono problemi di convivenza?
Alex: Siamo divisi in famiglie, con qualcuna si può convivere, con
altre è impossibile. E' una guerra continua, e poi naturalmente c'è omertà
Ti faccio un esempio: se io mi spostassi sulla piazzola sgomberata ad agosto
dal comune, la famiglia che prima era lì lo considererebbe un affronto.
Davide: Questo dovrebbe diventare un campo di transito, dove rimanere
al massimo 3 anni (dal 2008, quindi il termine scadrebbe adesso). Ma ci sono le
elezioni, e non si sa come andrà a finire il tutto.
Il problema degli spazi vuoti può diventare esplosivo, ci vuole
capacità di mediazione. Ad esempio, c'è una signora che è in mezzo alla strada
con la sua roulotte, non vuole ritornare sulla sua piazzola perché lì è morto
suo marito.
Alex: Ho paura che il comune ci dica: o vai su questa piazzola, o
finisci in mezzo alla strada.
Ho sempre l'idea che il comune non prenda mai decisioni definitive. Ad
esempio, qua ci sono le telecamere a circuito chiuso?
Giuliano: No. Abbiamo detto che è una questione di privacy (ride).
Davide: Metterle era nella intenzioni della prefettura e del ministero
degli interni.
Abbiamo approfittato del momento particolare: la Moioli si scornava con De
Corato; i vigili urbani litigavano con De Corato perché ogni giorno c'erano
sgomberi... gli abitanti, anche grazie al confronto con la cooperativa, sono
stati bravi a organizzarsi come interlocutori della forza pubblica.
Inoltre c'era stato da poco l'abbattimento della casa e probabilmente il
comune voleva recuperare il rapporto col resto del campo.
Alex: Rimangono le telecamere sulla strada, ma quelle ci sono in tutta
Milano.
Cosa vi aspettate dalle prossime elezioni?
Alex: Ho idea che chiunque ci sarà, per noi le cose non cambieranno.
Se qualcuno si mette a parlare bene dei campi e dei sinti, chi ti vota più?