Comunità delle Piagge, Fondazione Michelucci, Medici per i diritti umani,
Rete antirazzista Firenze hanno scritto questa lettera all’Assessore Allocca -
proprio oggi impegnato in un incontro sull’insediamento di Quaracchi - per
sollecitare la Regione Toscana ad affrontare in modo organico la "questione
rom". La pubblichiamo integralmente.
I rom di Quaracchi: la buona politica sia umana, rapida ed efficace
La Regione Toscana, che con più forza di qualunque altra ha posto la
questione del superamento della condizione di "esclusione organizzata" che i
campi nomadi rappresentano in Italia, è chiamata oggi a fare un bilancio delle
politiche messe in atto, e della situazione inedita che vede presentarsi nuove
forme di povertà ed esclusione abitativa, che riguardano anche popolazioni rom.
Dalla seconda metà degli anni Novanta due nuove leggi regionali toscane –
rispettivamente del 1995 e del 2000 – e un forte movimento che ha coinvolto
anche gli stessi rom, hanno consentito ad alcune amministrazioni di sperimentare
strategie e azioni per il superamento dei "campi nomadi".
Questi interventi legislativi hanno aperto una fase nuova che, tra slanci
progettuali e ripensamenti, nuove realizzazioni e ripiegamenti timorosi, ha
cambiato la geografia degli insediamenti rom e sinti nella Regione. Se nella
seconda metà degli anni Novanta i "campi" accoglievano la quasi totalità dei
gruppi rom e sinti (quindi oltre 2.500 persone), oggi in "campi" variamente
autorizzati o riconosciuti ci sono poco più di 1.000 persone. Più di 500 sono
ora le persone che abitano in villaggi, pur costruiti con modalità e approcci
differenti. Oltre 700 persone vivono in alloggi Erp, e circa 500 abitano in
strutture o insediamenti transitori in attesa di nuove soluzioni.
Contemporaneamente, negli ultimi anni si è manifestato un fenomeno nuovo: la
creazione attorno alle aree urbane più dense di nuovi insediamenti informali,
baraccopoli piccole e grandi, occupazioni di aree o edifici abbandonati, abitati
soprattutto da immigrati provenienti dall’Est Europa, da rifugiati e profughi, e
da una significativa presenza di rom di più recente arrivo.
Le amministrazioni locali, già alle prese con le difficoltà e i tempi lunghi dei
percorsi di superamento dei "vecchi" campi nomadi, hanno reagito a questo nuovo
fenomeno prevalentemente con azioni di dissuasione o di allontanamento, in un
quadro che ha risentito dell’insorgere o del radicalizzarsi di espressioni di
rifiuto e di intolleranza che hanno concorso a indebolire la volontà delle
amministrazioni locali nel predisporre interventi di accoglienza e di assistenza
diretti a queste popolazioni.
Al contrario, le azioni di tipo repressivo riscuotono un ampio consenso ma, come
è evidente anche dagli episodi che si sono succeduti in questi anni, non
risolvono il "problema" della presenza di popolazioni o gruppi che sono ritenuti
indesiderati sul territorio, non favoriscono alcun processo positivo e, non
ultimo, alimentano discriminazione ed emarginazione.
Occorre in questo momento delicato un sussulto di consapevolezza. In una società
frammentata, indebolita dalla crisi e dalla crescita degli egoismi, il
riconoscimento dei diritti di cittadinanza è l’unica strategia per rafforzare la
coesione sociale, per promuovere la solidarietà – invece che la competizione –
tra le componenti più deboli della società. Al contrario, l’intolleranza
avvelena la convivenza civile anche quando in apparenza rende coesa una comunità
locale – magari contro un nemico immaginario e indifeso.
Le centinaia persone che solo nell’area fiorentina vivono in baracche, edifici
dismessi, non svaniranno dopo l’ennesimo sgombero. Cercheranno riparo in altri
luoghi, in condizioni ancora più critiche.
Come avviene ormai da anni per le famiglie rom che sono sgombrate regolarmente
dalle sistemazioni sempre più precarie che riescono a reperire tra l’Osmannoro,
l’area ex Osmatex e Quaracchi. Non è solo nel nome di una visione umanitaria che
questa sequenza di sgomberi brutali deve provocare sdegno in tutti i cittadini,
ma nel nome di una qualsiasi idea di buona politica e di buona amministrazione.
Per quanto possa sembrare trascurabile e marginale il "problema" rappresentato
da queste poche famiglie rispetto ai tanti problemi di questa area urbana,
questo costituisce invece un importante banco di prova, materiale e simbolico,
della capacità di buon governo dell’amministrazione pubblica proprio per la sua
capacità di agire efficacemente anche sui versanti più difficili e più
controversi.
Per questo chiediamo a chi è chiamato a responsabilità politiche e
amministrative, di compiere uno sforzo di comprensione e di immaginazione, prima
di affrontare il problema in termini razionali e operativi, come è ovviamente
necessario.
Nell’area fiorentina come sul territorio regionale sono stati sperimentati in
questi anni diversi percorsi di inserimento socio-abitativo per rom dalla cui
rivisitazione critica possono trarsi elementi utili per affrontare e gestire (se
non per risolvere) la questione delle famiglie attualmente presenti a Quaracchi.
1. La prima considerazione è che gli interventi, provvisori o definitivi, devono
essere immediati e non prorogare ulteriormente una situazione ai limiti della
sopravvivenza e della dignità umana.
2. La seconda è che le soluzioni devono essere condivise con i destinatari e con
le associazioni che li sostengono, altrimenti sono inevitabilmente destinate al
fallimento.
3. Inoltre, va considerato che soluzioni che hanno funzionato, pur tra molti
problemi, per alcuni gruppi, non è detto che funzionino per altri. E’ il caso
dei percorsi di accompagnamento abitativo che in larga scala sono stati messi in
atto nel progetto pisano di "Città sottili", e nel caso degli ex ospedali Luzzi
e Mayer nell’area fiorentina. Questi percorsi si sono dimostrati efficaci in
presenza di una condizione socio-economica accettabile delle famiglie, mentre
hanno avuto l’esito di ricacciare in situazioni di marginalità quelle famiglie
che ne erano prive.
4. Nel caso delle famiglie di Quaracchi, siamo in presenza di persone con grandi
difficoltà, alle quali non sono stati rivolti sinora interventi che ne potessero
aumentare significativamente le risorse interne e le opportunità di
miglioramento della propria condizione. Inserirle ora in percorsi abitativi
ordinari (per quanto "accompagnati") si presenta come una operazione velleitaria
e destinata a riproporre il problema in tempi brevissimi.
5. Va detto con chiarezza che si illude chi pensa che tutte le situazioni di
grave disagio abitativo possano essere superate nascondendole agli occhi della
popolazione, diluendone la presenza attraverso la loro disseminazione sul
territorio. Le dimensioni del fenomeno e le sue caratteristiche renderanno
inevitabili, nel breve-medio periodo, soluzioni temporanee di "abitare di
comunità", che vanno però progettate e realizzate in modo da evitare la miseria
e il degrado dei campi per nomadi o profughi.
6. Il problema di una sistemazione abitativa per le famiglie di Quaracchi non è
nel "come" affrontarlo, ma nel "dove": dove, e con il concorso di chi, reperire
un’area o una struttura da adibire a luoghi di vita decorosi, per quanto
temporanei, con un limitato impiego di risorse economiche e spaziali.
E’ necessario decostruire il "problema", valutandolo razionalmente nelle sue
dimensioni e nelle sue specificità: poche famiglie, per le quali l’abitare
luoghi marginali, in situazioni insopportabili per qualunque altro cittadino, è
divenuto quasi una colpa, piuttosto che la misura di una discriminazione.
La buona politica può impegnarsi per una soluzione partecipata, umanitaria,
rapida ed efficace, nell’interesse della coesione sociale e della convivenza,
dei rom e delle città dove vivono.
Firenze, 13 gennaio 2011